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Marzo 2012

di sr Mariolina Cattaneo

 Il mondo sembra girare ad un ritmo vertiginoso. Conflitti, insurrezioni, morti violente sono all’ordine del giorno dei nostri telegiornali. Alcune storie ci colpiscono piu’ di altre, ci toccano e ci segnano. Infatti, e’ difficile rimanere indifferenti di fronte alle storie di sofferenza: quando un bimbo muore di fame o di malaria, quando una donna viene violata, quando un uomo viene reso schiavo.

 In questo periodo dell’anno ricordiamo l’esperienza degli ultimi giorni di vita di Gesu’ sulla terra, la condanna ingiusta, la tortura, la sofferenza e la morte in croce e questo ci richiama all’esperienza dei tanti uomini e donne che subiscono violenza ed ingiustizia ogni giorno.

La settimana santa, con il suo carico di tradimento e dolore ci e’ divenuta cosi’ familiare da divenire emozionalmente asettica, una storia per bambini raccontata in continuazione che ha perso la forza di svegliarci, di scandalizzarci, di muoverci.

Il vangelo di Marco, il primo vangelo ad essere scritto, e’ fondamentalmente un breve sommario della vita e del messaggio di Gesu’. Su 16 capitoli, Marco ne dedica ben 2 alla vicenda della morte e della resurrezione di Gesu’.

L’importanza di questo testo e’ assolutamente incredibile, se si pensa che la chiesa primitiva non sapeva come comportarsi di fronte alla vicenda incredibilmente vergognosa della morte in croce. Nei primi secoli, i cristiani non raffiguravano la croce, ancora considerata come un mistero insoluto nella strana vicenda di Gesu’ di Nazaret, il Figlio di Dio.

La croce non e’ una cosa facile, e nemmeno un simbolo da esporre sulle bandiere delle nostre crociate. La croce e’ l’evento finale dell’appartenenza di Cristo a questo mondo, la sua scelta di essere fedele a se stesso e al messaggio ricevuto. Gesu’ un martire con I tanti martiri sconosciuti della storia, simbolo di ignominia… ma anche dell’incredibile liberta’ dell’essere umano di tradire la sua vocazione alla vita e divenire un portatore di morte.

Se la vita di Gesu’ e il suo messaggio ci fanno riscoprire la speranza del sogno, la croce e’ difficilmente gestibile e digeribile. Come vantarsi di una morte cosi’ ignomignosa come quella in croce? Come accettare la sofferenza indicibile riservata ai reietti, agli schiavi, ai non-uomini della societa’?

Eppure, la scelta di Gesu’ e’ chiara e irrevocabile, corrisponde alla scelta di “parte”, a quella che oggi viene definita “l’opzione per I poveri” che non e’ mai un’opzione che esclude, ma che include ogni essere umano perche’ parte dal cuore dell’umanita’, che e’ sempre quella senza voce e senza forza.

La scelta e’ chiara e seducente a parole, difficile e inospitale nei fatti: credere che il reietto, l’escluso, quello che non fa parte del “NOI” che consideriamo gruppo, e’ colui che porta la salvezza… non io che la porto a lui!

La sofferenza di Cristo, l’Umanita’ sofferente, ci ricorda in modo profondo il legame che abbiamo tra di noi, il legame che ci unisce dalle doglie del parto e che Gesu’, il Figlio di DIO, e’ venuto a condividere con noi. Forse e’ per questo che il vangelo di Marco ci presenta il tempo quotidiano, l’ORA di tali avvenimenti per renderli ancora piu’ toccanti perche’ e’ la stessa ORA della nostra vita.

E’ interessante che la liturgia orientale etiopica viva il venerdi’ santo proprio come un momento privilegiato per far memoria delle ORE, delle tante ORE di sofferenza di molta umanita’. All’inizio di ognuna di queste ore - la terza (circa le nove), la sesta (circa mezzogiorno), la nona (circa le tre del pomeriggio) - i cristiani etiopici a migliaia si inchinano di fronte alla sofferenza di Cristo, ricordando anche la loro propria sofferenza e per questo invocano ad ogni prostrazione: Signore, abbi pieta’ di me, o Cristo”.

Nel Cristo reietto e crocifisso c’e’ sempre la voce dell’umanita’ che grida “Dio, dove sei?” l’umanita’ che si sente abbandonata, che e’ senza speranza, nemmeno la speranza di un Dio. Eppure, nel prendere su di se’ l’umanita’ reietta, nell’atto estremo di fedelta’ all’umanita’, Gesu’, Figlio di Dio, porta in se’ la grande risposta: “CI SONO”. Ed e’ questa risposta che trova le spoglie dell’umanita’ senza speranza e gliela rende, semplicemente nel momento piu’ buio affinche’ possa cominciare a vedersi l’alba.

L’esperienza della morte di Gesu’ in croce e’ un momento unico nella storia dell’umanita’ ma non l’ultimo. Il silenzio che circonda la morte di Gesu’ continua, ma con un’attenzione al non-ancora che deve avvenire, all’alba del nuovo giorno, il primo dopo il sabato. Non esiste l’esperienza della croce senza il mistero della resurrezione perche’ altrimenti saremmo persi nel buio della disperazione, nella incapacita’ di muoverci.

La speranza Cristiana non nasce dalla croce come tale, ma dall’esperienza della croce che Dio fa, della condivisione della sofferenza alla luce di una possibilita’ nuova di vita.

La croce ci riporta, insieme alla resurrezione, alla possibilita’ di credere che l’umanita’ ferita, umiliata e reietta non sia semplicemente un “dato di fatto”, un’analisi della situazione umana. Non e’ sociologia, ma teo-logia, perche’ parla di Dio, del Dio che sceglie di continuare a credere nell’umanita’ dell’uomo e della donna, nell’umanita’ piu’ vera e bella.   

La tragedia piu’ grande dell’uomo e di non avere piu’ fiducia nell’uomo, di aver dimenticato l’umanita’ dentro e fuori di se’. La fine della storia umana di Gesu’ e’ caratterizzata da questa durezza dell’esperienza: persone che condannano, che complottano, che abusano altri per ottenere il loro scopo. Persone che superficialmente commentano di cio’ che avviene ad altri, persone che torturano con la lingua e con le mani, persone che decidono della morte di altri.

La chiamata piu’ totale che oggi la storia di Gesu’ ci racconta e’ la chiamata a divenire “umani”, a credere nell’umanita’, a divenire noi stessi luogo dove la nuova storia, che comincia sulla croce e continua con la resurrezione trova spazio di sviluppo.

Le vicende del venerdi’ santo non sono mai isolate dalla storia di Gesu’, figlio di Dio e figlio di Maria che sceglie consapevolmente di portare un messaggio nuovo: il Regno di Dio non e’ lontano da te, ma dentro di te, accanto a te. Questo messaggio viene ripreso in tutta la sua forza nella fedelta’ del martire che sceglie di continuare a credere anche dall’alto della Croce, e che in questo atto di fedelta’ viene riconosciuto come Figlio di Dio.

Il Venerdi’ santo degli oppressi e’ il luogo della fedelta’ di Dio che continua a credere nella capacita’ dell’umanita’, anche nella nostra, di uscire dal buio della divisione e della cattiveria per entrare nell’alba di una nuova vita, quella della condivisione e della comunione.

 Suor Mariolina Cattaneo mc

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