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Ottobre 2011: OGNI INCONTRO E’ UNA SCELTA: Venite e vedete (Gv1,35-42)

di sr Mariolina Cattaneo

OGNI INCONTRO E’ UNA SCELTA: Venite e vedete
(Gv1,35-42)

 

Ogni giorno incontriamo, osserviamo, dialoghiamo. Con l’avvento dei social networks ci sembra che il mondo intero sia divenuto luogo di incontro, spesso in cui giocarsi in ruoli diversi, reinventarsi. Incontriamo senza incontrarci, dialoghiamo senza rivelarci come se volessimo limitare il rischio di essere noi stessi.
Al tempo di Gesù gli incontri erano invece sempre personali, non esistevano metodi “a distanza” “asettici”, ma solo i modi della quotidianità fatta di saluti, auguri, richieste. Non che non si sentisse parlare delle cose lontane!

 

 

 

Racconti di viaggiatori e pellegrini, pettegolezzi da mercato, rendevano la comunicazione dei fatti vicini e lontani una realtà che nemmeno i giornali oggi si possono immaginare. Così Gesù viene spesso ri-conosciuto dalle piazze e dalle folle. Eppure  solo gli incontri personali rendono l’incontro con Gesù un ricordo indelebile, come è successo a Giovanni Battista (Gv 1,29;31;36) e a tanti altri.   
Gli incontri però non avvengono in un vacuum, in uno spazio virtuale, non toccato dalla realtà esterna, ma sono sempre immersi in una realtà già cominciata, sono conseguenza di azioni già compiute,  di scelte già fatte. Non cominciamo mai da zero ma costruiamo la nostra vita pezzo per pezzo, momento per momento, scelta dopo scelta.
Ogni incontro ne porta ad altri e così avviene anche per i discepoli di Giovanni che, attraverso di lui incontrano un altro, Gesù (Gv 1,35).
Eppure si ha paura di incontrare. I due discepoli di Giovanni, infatti, si mostrano interessati, affascinati, ma non abbastanza perchè si facciano avanti. Rimangono infatti a debita distanza, guardano, seguono, ma non incontrano (Gv 1,37).
E’ interessante notare come ogni incontro vero presuppoga una “crisi”, un senso di vuoto che non si riesce a riempire semplicemente con cio’ che gia’ si conosce.
E’ proprio qui che Gesù rompe gli schemi e girandosi, rivolge loro la parola, quella per eccellenza, e rompe il silenzio di Dio rivolgendosi direttamente ai discepoli e di conseguenza ad ogni ascoltatore di questo vangelo: “Che cosa cercate?” (Gv 1,38) Le prime parole di Gesù nel vangelo di Giovanni  sono al plurale, si rivolgono ad una ‘coppia’, a due persone, quasi a dirci che insieme si cerca, cammina e costruisce. Questa domanda sembra ancora più significativa oggi di allora, in un mondo così ricco di possibilità da lasciarci spesso senza risposte.  E’ una domanda che va oltre i convenevoli di rito e diventa la domanda fondamentale di ogni persona cosi’ come della Chiesa: cosa cerchiamo?
Alcuni cercano sicurezza, vorrebbero una posizione sicura e abbastanza soldi per poter vivere decentemente. Non è uno scopo sbagliato ma è un puntare al minimo, se si pensa che e’ in gioco la propria vita.
 Altri cercano carriera, potere e prestigio. Lo scopo della vita si riduce quindi ad una personale ambizione alla quale mettere tutto a servizio, comprese le relazioni, e alla fine se stessi.
Altri ancora cercano qualcosa che gli permetta di vivere in pace con se stessi, con Dio e con gli altri. Questa diviene vera ricerca di Dio quando non è una pace fasulla,  una forma di qualunquismo.
L’incontro con Gesù spiazza la nostra ricerca e ne fa sorgere un’altra, fatta di sguardi e di gesti. In fondo cercare significa non essere sicuri, non sapere, non poter contare solo su se stessi.
Di fronte alle parole di Gesù i due discepoli rispondono chiedendo una cosa forse strana alle nostre orecchie: Dove abiti? In realtà, non si parla semplicemente di un’abitazione, un luogo sicuro in cui stare, ma di una dimensione del vivere.
La risposta di Gesù non è una risposta che da sicurezza ma, ancora una volta,  apre la via: venite e vedete.... il non sapere ci spiazza, il non poter acquisire informazioni ci lascia senza sicurezza. Eppure l’incontro richiede questo passo per poter essere vero, per poter cambiare, per poter divenire proprio.
La risposta di Gesù non è direttamente legata alla domanda dei discepoli ma è un invito che permetterà loro di trovare da soli la risposta (vedi anche Gv  4,9-10; 6,28-29; 18,35-38).
La storia potrebbe fermarsi qui, ed invece si va ancora oltre. L’invito di Gesù ai due discepoli viene accolto, ed essi accettano la sfida del cammino. Il primo passo lo compie Andrea, l’unico dei due ad essere chiamato per nome.  Andrea diviene intermediario di una scoperta, di una realtà incontrata. Il “che cercate” diviene un “andare alla ricerca”. Andrea invita Pietro, suo fratello e questi, viene visto e chiamato-trasformato dall’incontro, come gli altri due discepoli,  anche se con altre parole, perchè ogni incontro è unico e diverso. Infatti Gesù si rivolge direttamente a Pietro e gli da un nome “nuovo”, da sempre nella Bibbia simbolo di trasformazione interiore e legato alla missione che Dio concede e affida (Abramo, Giacobbe...). Ancora una volta, l’incontro concreto e determinante cambia, trasforma, rende nuovi.
In un mondo fatto di incontri virtuali, il racconto di Giovanni ci mostra un mondo in cui gli unici incontri veri sono quelli di chi vede, osserva, guarda, tocca.
Non ci sono scorciatoie nella vita, nè realtà che si possano vivere “virtualmente” attraverso un computer o l’esperienza di un altro. Certe esperienze dobbiamo farle solo noi, direttamente. L’incontro con Gesù, per cambiarci, deve essere di questo tipo o non è incontro.
Ma questo non vale solo per Gesù ma per ogni incontro vero. Non esiste incontro senza l’uscire da se stessi, dal proprio mondo per poter toccare l’altro ed esserne toccati, cambiati, trasformati.
L’esperienza dell’uscita da sè è l’esperienza della missione, perche’ solo uscendo da sè, dalle proprie sicurezze, dalle proprie priorità, dalle illusioni si puo’ incontrare. E l’incontro rende presente il Signore, il Messia, rende presente l’ALTRO che diviene parte della vita e la trasforma.
La missione non è “buonismo”  ma necessità per ogni individuo e per la Chiesa, non perchè ci fa più buoni o più grandi, ma perché ci rende aperti all’ALTRO, ci rende UMANI nel vero senso della parola, e quindi Figli e Figlie di Dio, da senso alla VITA, rende viva la PAROLA, parla della e con la VITA.
Vivendo in Etiopia sono molto consapevole che noi in Europa non stiamo incontrando l’altro,  stiamo solo fissando immagini di una tristezza indicibile ma che non ci toccano nella carne e nel sangue, semplicemente fanno scattare gli automatismi del buonismo.
Il buonismo della ‘crisi alimentare’ non ci fa incontrare l’altro perchè siamo ancora troppo preoccupati per noi stessi, per il nostro senso di colpa, di responsabilità di fronte alla grande tragedia umana che si sta sviluppando davanti a noi. Ma una volta che l’emergenza sarà passata il buonismo tornerà a dormire, e noi ricominceremo a dimenticarci che esiste un mondo al di fuori di noi, e saremo persino contenti di aver contribuito a salvarlo in tutto o in parte. La necessità della missione invece richiede l’incontro con l’altro affinchè uscendo da se si possa veramente cominciare a vivere.

Sr Mariolina Cattaneo  mc

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