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Dicembre 2010: Per un'altra strada (Mt 1,18 - 2,12)

di Alberto Maggi

PER UN’ALTRA STRADA
(Mt 1,18-2,12)


La grande attesa del popolo è per la rinascita gloriosa dell’ormai defunto regno del re Davide, il “regno d’Israele”. La monarchia in Israele era infatti durata appena l’arco di tre re, poi, a causa di scismi e di lotte fratricide, era miseramente fallita, la nazione era diventata facile preda per i suoi nemici e Israele ora è sotto la dominazione dei pagani.
Le attese ci sono, i sogni anche, e le profezie non mancano. C’è solo da attendere il Messia, “il figlio di Davide”, per la loro realizzazione, e allora, in quel giorno, come profetizzò Isaia, “Stranieri ricostruiranno le tue mura, i loro re saranno al tuo servizio… ci saranno estranei a pascere le vostre greggi e figli di stranieri saranno vostri contadini e vignaioli… Vi nutrirete delle ricchezze delle nazioni, vi vanterete dei loro beni” (Is 60,19; 61,5.6). Queste sono le promesse. Un futuro di potenza, di dominio, di splendore e di ricchezza.

Con queste prospettive è evidente che il popolo avrebbe avuto difficoltà a riconoscere in Gesù il Messia atteso. Gli ebrei attendono il regno d’Israele, e Gesù annuncia loro il regno di Dio (Mt 4,17; At 1,6). Loro aspettano la venuta del figlio di Davide, e lui si rivela quale figlio di Dio.
Per questo, le stesse folle che hanno accolto festosamente Gesù al grido di “Osanna al figlio di Davide” (Mt 21,9), quando si rendono conto che Gesù non è il figlio di Davide, ovvero non assomiglia in nulla al bellicoso guerriero nel quale riponevano le loro speranze di riscatto, gli gridano tutto il loro livore: “Sia crocifisso!” (Mt 27,23).
E Gesù è morto per essere fedele al messaggio d’amore universale di Dio, universalità che non riguarda solo l’estensione di questo amore (ovunque), ma la sua qualità (tutti). Tutti sono oggetti dell’amore di Dio, nessuna persona, qualunque sia la sua condizione religiosa, morale, se ne può sentire esclusa, come sarà formulato dalla professione di fede di Pietro “Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo” (At 10,28).
L’universalità di questo amore, filo conduttore di tutta la vita e dell’insegnamento di Gesù, il “Dio con noi” (Mt 1,23), viene presentata dall’evangelista Matteo già dal momento del primo apparire del Cristo in questo mondo con un episodio che sarà mal digerito dalla prima comunità cristiana, e sarà ben presto annacquato, moderandone il suo straordinario rivoluzionario contenuto.
Scrive infatti l’evangelista che, “nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni maghi vennero da oriente a Gerusalemme…” (Mt 2,1). Matteo è cosciente che sta per presentare una grande sorpresa, per questo introduce la scena con “Ecco!”, avverbio con il quale si suole introdurre qualcosa di inatteso.
I primi che si rendono conto che è nato il re dei Giudei non sono gli ebrei, ma i pagani, non gli abitanti di Gerusalemme ma stranieri che vengono da oriente, non dei sacerdoti, ma dei maghi (in greco magoi) termine col quale si indicavano coloro che si dedicavano alle arti occulte, dagli indovini agli astronomi.
L’unica volta che questi maghi appaiono nell’Antico testamento è nel Libro di Daniele, dove sono uniti agli indovini e agli incantatori (Dn 1,20; 2,2).
Severamente proibita nella Bibbia (Lv 19,26), l’attività del mago è condannata con la morte di chi la pratica (“Chi impara qualcosa da un mago merita la morte”, Shab. B. 75b), e anche nel Nuovo Testamento i maghi sono presentati in maniera negativa (At 8,9-24). Nella Didachè, primo catechismo dei cristiani, l’esercizio di mago viene proibito e posto tra il divieto di rubare e quello di abortire (Did. 2,2).
Al tempo in cui Matteo scrive, con il termine maghi si indicavano anche i truffatori e i corruttori.
Era troppo per la primitiva comunità cristiana. Per cui si provvide ben presto a una sorta di censura dell’episodio, cominciando dall’appellativo: via quell’inquietante maghi, sostituito dal più innocuo (e insipido) magi, poi, per cercare un poco di nobilitare questi enigmatici personaggi, si concesse loro il massimo titolo onorifico (re). Per risolvere l’indeterminatezza del numero, si decise, in base ai doni portati, di quantificarli in tre. Ormai c’era solo da internazionalizzarli (uno bianco, uno nero, l’altro meticcio), battezzarli come Gaspare, Melchiorre e Baldassarre… e i personaggi per il presepio erano pronti! A scapito però della teologia di Matteo e dell’annuncio di Gesù.
Matteo non intende fare del folklore, ma della teologia, non presenta una cronaca, ma una verità: l’amore di Dio è per tutti gli uomini, nessuno ne è escluso, ma sono proprio quelli che sono ritenuti i lontani, gli esclusi, quelli che per primi se ne rendono conto e l’accolgono. Mentre all’annuncio della nascita del re dei Giudei “il re Erode si spaventò e con lui tutta Gerusalemme” (Mt 2,3), i pagani si rallegrano (Mt 2,10). Se è comprensibile la paura di Erode, re illegittimo che sospettava di tutto e di tutti, ed è pronto a uccidere i suoi familiari e persino i suoi stessi figli per timore di perdere il trono, appare ingiustificata la paura di Gerusalemme. Quel che accomuna Erode a Gerusalemme è la paura di perdere il potere e il dominio sul popolo, e l’uccisione di Gesù, che non riuscirà al re Erode, la conseguirà il Sommo sacerdote (Mt 26,65-68).
Su Gerusalemme, la città santa che ha rifiutato il suo Signore, non brillerà mai la stella che invece guida i maghi. E il Cristo risuscitato mai apparirà a Gerusalemme, la città che uccide i profeti e lapida quelli che il Signore invia (Mt 23,27), ma per vederlo occorrerà uscire da essa e salire in Galilea, terra di confine con il mondo pagano (Mt 28,9.16). Per questo scrive l’evangelista che i maghi, “avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese” (Mt 2,12). “Per un’altra strada” è un’espressione molto rara, che nella Bibbia è stata usata per indicare l’abbandono del santuario di Bet-El, la “Casa di Dio” (1 Re 13,10), dove non si adorava più il Signore ma il vitello d’oro (1 Re 12,25-33), e diventato per questo Bet-Aven, “Casa di peccato” (Os 4,15), come il tempio di Gerusalemme, che l’avidità e l’ingordigia dell’istituzione religiosa aveva trasformato da casa di preghiera a “covo di ladri” (Mt 21,13).
Ma il progetto di Dio non viene per questo frustrato. Se la casta sacerdotale ha rifiutato Gesù, a loro “sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produce i frutti” (Mt 21,43), e questo popolo è rappresentato dai maghi venuti dall’Oriente. Saranno i pagani a riconoscere in Gesù la condizione divina (“si prostrarono e lo adorarono” Mt 2,11) e, attraverso i loro doni, a entrare a far parte del progetto di Dio sull’umanità: il suo regno. Le tre caratteristiche che facevano di Israele un popolo privilegiato, quello di essere il popolo sacerdotale, sponsale e regale, ora passano ai pagani. Matteo rappresenta ciò attraverso i doni dell’oro, dell’incenso e della mirra. Offrendo a Gesù oro, simbolo di regalità, i maghi lo riconoscono come re. Il regno di Dio rifiutato dai Giudei è ora accolto dai pagani. Elemento specifico del servizio sacerdotale era l’offerta dell’incenso, azione riservata esclusivamente ai sacerdoti d’Israele (1 Sam 2,28; 2 Cr 26,18;). Ora anche i pagani offrono incenso, e anch’essi fanno parte del popolo sacerdotale (“Voi sarete per me un regno di sacerdoti”, Es 19,6). I profeti avevano figurato l’alleanza tra il Signore e Israele come un matrimonio, dove Dio era lo sposo e Israele la sposa (Is 54,5; Os 2,4), e la mirra era il profumo della sposa (Sal 45,8; Pr 7,7; Ct 1,13; 3,6; 5,1.5). Per Matteo anche i pagani ora sono il popolo sposo di Dio, e il suo amore è per tutta l’umanità.

Alberto Maggi

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