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MARZO 2010 - Piangere per la Vita

padre Domenico Guarino

Piangere per la vita...

Il terremoto che ha colpito Haiti, ha sprofondato il Paese in una crisi che viene da molto lontano e che ora riemerge con tutto il dolore e la sofferenza del momento. Le scene di disperazione della gente trasmesse dalle televisioni e finite poi sulle prime pagine dei giornali, mi hanno riportato indietro nel tempo. Era l'estate del 2007 quando partecipai, a Santo Domingo, al IV incontro delle Comunità Ecclesiali di Base dei paesi caraibici....

Ricordo che le comunità di Haiti erano rappresentate da una delegazione formata maggiormente da giovani. Nei vari gruppi di lavoro, la testimonianza di Pierre, Anibal e Marta era ascoltata con grande attenzione ed interesse; le loro parole trasmettevano un amore profondo per la vita e, soprattutto, il coraggio e la voglia di camminare senza perdere la speranza. Nei loro racconti c'era anche tanto dolore e tanta rabbia. Era impossibile dimenticare quel 29 febbraio del 2004, quando i loro sogni e quelli di tantissime organizzazioni popolari si erano infranti. Un colpo di Stato organizzato dagli Stati Uniti, con l’appoggio della Francia e del Canada, ma con responsabilità pesanti anche dell’Unione Europea, aveva abbattuto il governo democraticamente eletto di Jean-Bertrand Aristide. Da allora, l'ingerenza statunitense nella politica interna del Paese attraverso una numerosa forza militare di pacificazione è diventata permanente. Il terremoto del 12 gennaio ha rafforzato questa ingerenza con l'invio di una portaerei, di 33 aerei da soccorso e molti navi da guerra, oltre a 11 mila soldati. (Carta, Anno XII, n. 3) Non è poi così difficile pensare che dietro gli aiuti umanitari si possa mascherare anche una presenza militare degli Stati Uniti in una zona strategica dell'America Latina rispetto a alcuni paesi come Venezuale e Cuba.

Il pianto e le urla disperate del popolo Haitiano mi riportano ad un altro pianto: quello di Gesù su Gerusalemme. Gesù piange dopo essere stato acclamato nella discesa del monte degli ulivi e prima di entrare in Gerusalemme dove scaccia i venditori dal tempio (Lc 19,28-48). Colpisce come il canto regale di giubilo dei pellegrini diretti alla città santa per la festa di Pasqua, è interrotto da un pianto che manifesta delusione di fronte a coloro che lo rifiutano. Nel vangelo di Giovanni 19,14-16 ci viene presentata la motivazione più lucida di questo rifiuto. La dichiarazione pubblica e solenne dei sommi sacerdoti manifesta senza equivoci, il rifiuto di Dio e del suo Cristo come re e salvatore d'Israele, e la scelta di Cesare come loro re e salvatore. L'imperatore di Roma è il nuovo signore d'Israele, ha agito secondo la logica di tutti i potenti di questo mondo, distruggendo e massacrando il popolo ribelle.

E' chiaro che Gesù, scegliendo di dirigersi "decisamente verso Gerusalemme" (Lc 9,51), capisce che si approssima definitivamente alla dolorosa fase finale della sua esistenza terrena: quella della passione, morte e risurrezione. A Gerusalemme Gesù si era già recato per momenti importanti come ogni buon ebreo, ora però quest’ultima sua salita verso la città ha un qualcosa di diverso: è il sigillo finale a un percorso di vita vissuto pienamente con i poveri, gli ammalati... coloro che erano marginati dal sistema politico e religioso di quel tempo. Ci arriva come profeta, con un progetto di pace, molto diversa da quella romana (pax et securitas) promessa dagli imperatori. Gesù conosceva molto bene la fine toccata in sorte ai profeti: da Elia, Geremia a Giovanni Battista suo amico. Di conseguenza a quel destino di morte è Gesù che sceglie di andare incontro.

Una volta entrato in città, Gesù si dirige al tempio e scaccia con veemenza alcuni venditori. Alla base di questo episodio, c’è una convinzione che si è fatta strada molto presto nella fede dei primi cristiani: il vero spazio della presenza di Dio nel suo popolo non è più il tempio, ma il Signore Gesù e il Regno da lui annunciato. Il gesto di Gesù non riguarda la purificazione del tempio, non punta a una riforma della liturgia - come scrive Jose Antonio Pagola nel suo libro "Gesù, un aproccio storico" - bensì alla scomparsa dell'istituzione stessa. Il tempio è diventato il simbolo di tutto ciò che opprime il popolo. Si sta nuovamente ripetendo ciò che Geremia condannava ai tempi suoi: il tempio era diventato un "covo di ladri". Il "covo" non è il luogo dove si commettono i crimini, bensì quello in cui si rifugiano i ladri e i criminali dopo averli commessi. Così avviene a Gerusalemme: non è nel tempio che si commettono i crimini, bensì al di fuori di esso. Il tempio era il luogo dove i ladri si rifugiavano e ammassavano il loro bottino.

Se Gesù guardasse oggi la città di Port au Prince, piangerebbe. Lo farebbe non solo per i figli e le figlie rimaste sepolte sotto le macerie, ma anche per tutte le ingiustizie commesse su questo popolo che porta nel corpo le piaghe, non ancora guarite, del colonialismo più brutale di tutta l'America Latina. Il suo pianto sfocerebbe in una denuncia - gesti e parole - di un sistema in cui la tragedia diventa, ancora una volta, la grande opportunità per il capitale di tirare fuori i propri artigli e divorare quel poco di dignità che resta di questo popolo. Gesù aprirebbe i nostri occhi per andare oltre i nostri sguardi indifferenti, perplessi e fin troppo ingenui nel credere che gli aiuti umanitari sono liberi da possibili interessi economici e militari. In tutti quersti anni, la crescita economica di Haiti è stata volutamente bloccata creando un risentimento senza precedenti nella popolazione. Come riporta Pete Hallward, Haiti è un Paese in cui circa il 75% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno, e il 56% - 4 milioni e mezzo di persone - vive con meno di 1 dollaro. Decenni di "aggiustamenti" neoliberisti e interventi neoimperialisti hanno spogliato il Paese di qualsiasi significativa capacità di investire sul suo popolo e regolare la sua economia. (Adista 23/01/'10).

Purtroppo la complicità che esiste oggi tra il potere politico, economico e religioso impedisce al Vangelo - Parola proclamata - di compiere con la sua funzione profetica. Difficilmente saremo rifiutati dal sistema, come lo è stato per Gesù, perchè incapaci di metterlo in discussione, anzi il sistema ha bisogno di noi preti, vescovi e cardinali per essere "benedetto", mentre altri, i senza fissa dimora, gli immigrati... i poveri vengono rifiutati e lasciati fuori. Ma tutti, forse, preferiamo non vedere, non sapere e credere come dice il ministro Maroni riferendosi ai fatti di Rosarno, che "certe cose avvengono perché siamo stati fin troppo tolleranti". Come discepoli e discepole di Gesù di Nazaret, dobbiamo prendere una posizione chiara, con stili di vita alternativi, davanti a un'economia di mercato che dirige questo nostro mondo con le sue regole di competizione e accumulo. Se l'identità di Dio è formata dai volti delle persone, soprattutto dal volto dei poveri, non possiamo restarcene soltanto a guardare. C'è bisogno di rilanciare e rafforzare le piccole esperienze comunitarie di vita, i processi solidali, l'economia solidaria, la costruzione di una cittadinanza attiva e l'impegno politico per fare delle città e del territorio uno spazio di vita e non di rifiuto o di morte. Dobbiamo avere il coraggio di uscire da uno "spazio virtuale" per ritrovarci con le persone, in strada, con coloro che soffrono. Questi incontri reali e non quelli virtuali, saranno capaci di trasformare la nostra vita.

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