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Gennaio 2007

Proclamare ai poveri la Buona Notizia (Lc 4,14-30)

Insieme... per organizzare la speranza.
Un saluto di pace a tutti/e voi.
Apriamo un nuovo anno all’insegna della speranza. Ci teniamo a sottolinearlo con forza, perché troppe voci pessimiste si alzano in coro e non ne accettano la sua s-coinvolgente attualità.
Queste voci non piovono dal cielo, ma provengono dai tanti spettatori di un mondo dove la parole, i dibattiti, le conferenze, i rumori che si mascherano da “notizie”, si moltiplicano e sprecano, intasano l’aria. Ci sarebbe da puntare il dito verso un sacco di istituzioni, mezzi di comunicazione, politicanti senza vocazione, ma non faremmo che aumentare la confusione.

Non andiamo alla ricerca di colpevoli, ma smascheriamo l’ipocrisia del nostro ruolo da spettatori, ruolo comodo e superprotetto, al riparo dai drammi che sconvolgono lo scenario mondiale. Non c’è speranza reale per lo “spettatore”, perché la speranza non si costruisce a tavolino ma, come dicevano Agostino e Tommaso, sta solo in viatoribus, in coloro che vanno, che si coinvolgono, entrano in scena. Se uno vuole stare sicuro, rimanere protetto a casa, che senso ha sperare? Sperare di essere sicuro è come sperare che la tua speranza venga meno, sperare di non sperare. Noi siamo giovani in cammino, che la speranza vogliono viverla, assumerla fino in fondo. Cosa vuol dire concretamente?
È dire no al “me ne frego”, all’apatia, all’isolamento in fin dei conti.
Cominciamo il 2007 mettendo in gioco il nostro essere in relazione con l’Altro, con il mondo: ci lasciamo guidare dallo spirito del Risorto e vogliamo chiedergli il dono della compassione.
 “Fino a quando noi cristiani saremo impregnati dall’idea del perfezionismo, non riusciremo mai a inserirci fino in fondo nei movimenti sociali, perché sempre incontriamo dei difetti e noi vogliamo essere puri. Questa è un po’ la situazione delle chiese, che nei differenti contesti storici sempre si mettono in mezzo come mediatrici, ma poche volte riescono a prendere parte, a vivere la compassione” (A. Potente). Cerchiamo di “non schifarci della storia” (S. Caterina da Siena): è la nostra storia e non ne abbiamo il diritto, perché ci siamo dentro, ne siamo partecipi. Sentendola nostra possiamo anche cercare di riplasmarla con criteri differenti.
Le parole chiare e convinte di p. Mosè, il coinvolgimento profetico di mons. Bregantini nella storia del suo popolo calabrese, le migliaia di persone che il 20 gennaio si raduneranno a Nairobi per il World Social Forum, le parole di pace di Benedetto XVI, ci ricordano che il Dio della Vita ci vuole a pieno titolo partecipi nella costruzione di un altro mondo possibile, il suo Spirito ci invita a organizzare la speranza.
Buon anno a tutti,
insieme “Vivi-amo la SPERANZA”!!!

Equipe GIM Venegono


Proclamare ai poveri la Buona Notizia. (Lc 4,14-30)


"Occorre imparare a guardare i grandi eventi della storia universale dal basso, dalla prospettiva degli esclusi, dei sospetti, dei maltrattati, degli impotenti, degli oppressi, dei derisi, in una parola, dei sofferenti". (D. Bonhoeffer)

Emilio ha rubato perché aveva fame. Maria ha ucciso il suo compagno perché non ne poteva più di sopportarne gli abusi. Josè ne avrà per un bel po’ in carcere, visto che durante una rapina a mano armata ha ucciso due guardie giurate. A Josefa, l’anziana che vive dietro casa, non bastano i pochi soldi della "carta di credito degli indigenti" per poter vivere ogni giorno… ha fame e se la tiene. Fabian non ha avuto l’occasione di finire gli studi e manda avanti la sua giovane famiglia, racimolando quel che basta, facendo lo scaricatore al mercato centrale. E l’elenco è interminabile…
Le persone nominate partecipano in un modo o nell’altro al cammino della nostra comunità cristiana. Immagino che il pubblico che Gesù si trovò di fronte in quel famoso sabato nella sinagoga del suo paese, avesse le stesse preoccupazioni vitali di questi.
Di quale Buona Notizia hai bisogno per essere felice? Chi ha ancora il coraggio di dire che OGGI è l’INIZIO della felicità giubilare? Eppure da quell’OGGI proclamato da Gesù al nostro OGGI, siamo in ritardo nel permettere una vita piena a tutti. Forse Emilio, Maria, Josè… mi guarderebbero con un sorriso alquanto ironico. E avrebbero ragione!
Preoccupati come siamo di definire razionalmente il povero, di definirlo come il più malconcio possibile per puntare il dito contro la coscienza dei ricchi, giochiamo con la loro vita a fare i "nuovi messia"... insomma, non solo i poveri non ci lasceranno dormire, ma neppure potremmo essere totalmente felici se non cresceremo con loro.
Si è scritto molto sui poveri e la crescente distanza tra ricchi e poveri è il punto dolens che ci fa organizzare convegni, tavole rotonde, marce di protesta… ma i sentimenti, i desideri di tutte queste persone li conosciamo veramente o li usiamo per costruire la nostra buona immagine di buoni Samaritani anche se sappiamo che non scenderemmo mai veramente dal nostro cavallo?
Gesù apre un "nuovo" che era stato chiuso "sottovuoto": la liberazione dell’uomo in quanto soggetto protagonista.
Le prime tre sequenze (tre passi) del Vangelo di Luca, in cui Gesù è protagonista, si aprono sotto il segno dello Spirito che segna il passo del nazareno:

   1. la discesa dello Spirito nel Battesimo (3,21-22)
   2. la guida dello Spirito nel tempo della tentazione (4,1-12)
   3. la forza avvolgente dello Spirito nella predicazione (4,14-15).

Gesù è investito dallo Spirito nel Giordano, verifica nel deserto l’intenzione del proprio agire e da inizio alla sua attività in Galilea suscitando un forte entusiasmo popolare. Il suo passare "è balsamo per le tante ferite aperte" (E. Hillesum).
Ci soffermiamo sul terzo passo (4,14…) che è "il manifesto d’invio" di se stesso e coincide con lo stile di Dio: gli altri sono il punto di partenza e d’arrivo della vera salvezza. Quante volte abbiamo sentito commentare questo testo identificandoci con Gesù. Ci immaginiamo di essere nella sinagoga, aprire i rotoli e proclamare… addirittura ce lo sentiamo nelle viscere, ci commuoviamo e usciamo con la sindrome del messia. Ma forse noi dovremmo identificarci di più con la gente che ascoltò ciò che Gesù ha proclamato: lo vedo più reale, libero e normale.
In un mattino di sabato Gesù entrò, secondo il suo solito, nella sinagoga del suo paese. Dopo alcune invocazioni comuni, prese l’iniziativa di proclamare la lettura del rotolo (tale atto era un diritto di ogni ebreo maschio adulto) e senza incontrare resistenza del presidente della sinagoga (forse per la fama di maestro itinerante) spiegò il testo di Isaia 61,1-2 (vs. 21).

E’ l’annuncio della liberazione definitiva dei deportati, poveri e oppressi, come un annuncio di restituzione della libertà originaria per tutti. Schiavi e indebitati (Lv 25,8-55). Gesù va al cuore dell’intenzione dell’annuncio profetico: è finito il tempo delle parole, il tempo delle attese o promesse rinviate perché QUI ed ORA inizia il compimento.
Parte dalla reale necessità di ciascuno per farlo uscire dalla tentazione del "sarà sempre così" e aprirlo alla speranza del riscatto.  E’ giunto, quindi, il tempo opportuno per la consegna delle nostre povertà e dei cambi umani che desideriamo realizzare ORA, con Lui, è il tempo di vivere.
E’ la Buona Notizia in quanto DA’ VITA (realizza, come la creazione) a ciò che proclama: ora i poveri, gli affamati, gli afflitti sono davvero fortunati, beati perché ORA QUI per loro inizia il Regno, la liberazione effettiva (6,20-21).
I suoi paesani si resero conto che non si trattava dei soliti slogans di propaganda religiosa o di pie elucubrazioni consolatorie; sono entusiasti di un discorso che rende palese l’amore gratuito di Dio, fa intuire la forza storica NUOVA di questa realtà.
Ma non può essere un’illusione tutto questo, una suggestione momentanea? Difficilmente l’uomo riesce a dar credito a un futuro nuovo, diverso, che non rientri in qualche modo negli schemi o modelli familiari. Eppure Gesù respirava il ritmo quotidiano della sua gente, ed era convinto che bisognava incontrare un punto di dialogo e di apertura al NUOVO… in qualsiasi realtà d’amore ad un certo punto si ha bisogno di fidarsi dell’altro per cercare insieme la felicità promessa o il bello nascente. "Non siate ingrati verso le belle cose. Godete di esse, sentendo che durante ogni secondo in cui godete di loro, io sono con voi… Dovunque c’è una cosa bella, ditevi che ci sono anch’io" (S. Weil).
Quella di Gesù è una promessa che supera gli interessi utilitaristici dei suoi paesani (v. 23). E Gesù con la sua pretesa va fuori dalla norma, apre una prospettiva rovesciata.
Ma quali sono le garanzie di credibilità (v. 22)? Del resto è uno di loro, il figlio di Giuseppe… come sempre lo stereotipo sociale non permette innovazioni di sorta. E forse è proprio vero ciò che diceva don L. Milani: "La grandezza di un uomo non si misura dalla grandezza del luogo in cui è vissuto".
Luca non ci racconta il processo psicologico che hanno dovuto fare gli ascoltatori di Nazaret per dare credibilità a Gesù, ma concentra le reazioni di accoglienza e di rifiuto che accompagnano tutta la vicenda di Gesù. Su questo sfondo si comprende il cambiamento brusco dei compaesani nei confronti di Gesù. Del resto aveva proprio ragione Michel De Certeau "Ogni cristiano è tentato di diventare un inquisitore, come quello di Dostoevskij, e di eliminare l’estraneo". L’oggi della salvezza, per quelli di Nazaret, vuol dire: miracoli, attività guaritrici a favore dei malati, ecc. e Gesù farebbe bene, sembrano quasi suggerire, ad aprire a Nazaret una clinica taumaturgica negli interessi della sua causa: "Medico cura te stesso".
Gesù risponde che un profeta non è amato da Dio se si limita a lavorare solo per i suoi… anzi lo stile di Dio è contro queste limitazioni del clan religioso o familiare e pretese monopolistiche. Egli sceglie quelli di fuori, supera i limiti imposti dalla religione, ridona la soggettività a coloro che sono sempre stati esclusi dalla "religione pura" e lo dimostra citando il caso di Elia ed Eliseo inviati ad una vedova e a un Sirio (vv. 25-27). Tutto ciò crea scandalo tra i suoi uditori, a tal punto da volerlo giustiziare… ma il suo cammino non può essere interrotto perché un profeta non può morire fuori di Gerusalemme (13,33).
La strada del vangelo di Gesù è chiaramente segnata: la Buona Notizia della liberazione integrale dei poveri passa attraverso l’assunzione delle antiche profezie "assurde", la fedeltà nella relazione con gli esclusi e la costruzione del giubileo perenne. Il Nazareno assunse il conflitto di "religione" (quale nuovo nome dare a Dio?) e venne ucciso fuori Gerusalemme come un mascalzone… e noi troppe volte ci fermiamo lì come se non ci fosse stata la Resurrezione.
E "passando in mezzo a loro, se ne andò", (vs. 30) a Cafarnao, sulla costa nordovest del lago di Tiberiade. Per la strada di Cafarnao si collegano altre vie verso i porti della costa mediterranea… e sappiamo come le rotte commerciali hanno invaso i sogni di molti poveracci alla ricerca del proprio "El Dorado". E così Gesù vuole conoscere come "gira" il mondo, uscendo dal circolo autoreferenziale di una religione che aveva perso Dio e per primo, ancora una volta, si fa prossimo. E tutto nasce da lì.

p.Mosè Mora


Padre Giancarlo e il giardino della speranza

Chi incontra mons. Bregantini avverte subito che il vigore fisico e l’alta statura di quell’uomo riflettono una fede robusta e un’anima capace di sfiorare le cime più alte della spiritualità umana.
Chi incontra mons. Bregantini incontra innanzitutto due occhi illuminati di speranza e appassionati alla vita, un sorriso rassicurante, un volto capace di accogliere il dolore e i limiti di ogni uomo per rigenerarli in un più ampio orizzonte cristiano.
Padre Giancarlo, così come affettuosamente tutti lo chiamano, è nato il 28 settembre 1948 a Denno, Provincia di Trento, nel cuore della Val di Non, da una famiglia di contadini, e dopo aver frequentato le medie, il ginnasio ed il liceo nelle scuole della Congregazione dei Padri Stimmatini – Congregazione alla quale appartiene – ha compiuto il corso teologico presso lo studentato Zenonianum di Verona, lavorando contemporaneamente come operaio a Porto Marghera. In seguito ha conseguito la Licenza in Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.
Prima ancora di concludere gli studi è inviato dal suo vescovo a Crotone dove il 01.07.1978 è stato ordinato sacerdote. Negli anni 1976-87 durante la sua permanenza nella diocesi di Crotone, è stato docente di Storia della Chiesa nel Pontificio Seminario Teologico Regionale di Catanzaro, insegnante di Religione nell’Istituto Nautico di Crotone, delegato diocesano per la Pastorale del Lavoro; cooperatore della parrocchia Santa Chiara in Crotone, cappellano del Carcere Circondariale di Crotone.
Fin dal suo arrivo in Calabria mons. Bregantini sente crescere l’interesse e la passione per il Sud e la sua gente e con profondo spirito di comunione cristiana comincia a condividerne le sofferenze e le tragedie, la quotidianità e le aspirazioni sociali di giustizia.
All’interno della congregazione di appartenenza, negli anni 1982-85, è stato consigliere provinciale della provincia stimmatina “ Santa Maria della Speranza “ e dal 1987 formatore dei chierici stimmatini. Nell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, ha insegnato Storia della Chiesa nello studentato teologico interreligioso pugliese. Nel 1990-91, è stato Parroco di san Cataldo in Bari e dal 1992, cappellano dell’Ospedale C.T.O. di Bari; membro del consiglio dei consultori e insegnante di religione in un istituto privato di religiose.
 Il 12 febbraio 1994 il Signore lo chiama ad un nuovo compito di responsabilità: viene eletto alla sede vescovile di Locri-Gerace, quell’ultimo pezzo di Calabria in cui patente è la latitanza dello Stato, una terra troppo spesso sotto i riflettori per i cruenti episodi di criminalità organizzata piuttosto che per le bellezze culturali e naturali di cui pure è ricca. La consacrazione a Vescovo avviene nella Basilica Cattedrale di Crotone, ad opera del Padre Arcivescovo Giuseppe Agostino - dal quale aveva già ricevuto l’ordinazione diaconale e presbiterale - il 7 aprile 1994.
Da allora mons. Bregantini non ha smesso di dar voce a chi non ha voce, di asciugare le lacrime con la forza del perdono, di medicare le ferite con il coraggio del Vangelo. Ad una terra che gli chiedeva di essere salvata e riscattata, il vescovo trentino ha risposto con la concretezza e l’efficacia di segni nuovi: la testimonianza che cambiare si può, che basta creare un’alternativa possibile perché i giovani preferiscano la dignità del lavoro e il rispetto della vita alla cultura mafiosa della morte. E così anche la terra brulla e arsa dell’Aspromonte è fiorita: mons. Bregantini è riuscito a dar vita a dodici cooperative riunite in un consorzio dal nome biblico, Goèl -letteralmente “colui che prende a cuore la storia dell’altro”-, che danno lavoro e speranza alla gente della locride e realizzano un progetto agricolo di coltivazione dei frutti di bosco in collaborazione con una valle del Trentino.
«Come prete e come vescovo sostengo che primo nostro compito è quello di far amare la Calabria come sposa e non come amante. Lo sposo è fedele e cambia la sua vita per amore. L’amante prende, usa e getta via senza nulla cambiare»; e l’operato di padre Giancarlo testimonia che Dio ha sogni di “vita nuova” per questa terra chiamata ad essere un giardino fiorito.

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