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Giugno 2006

UNA VITA DA BALLO … E NON DA SBALLO

“La vita è così grande che quando sarai sul punto di morire,
pianterai un ulivo, convinto ancora di vederlo fiorire”.
 
Queste parole tratte dalla canzone ‘Sogna ragazzo, sogna’ di Roberto Vecchioni ci introducono nel periodo estivo: le vacanze sono un’occasione d’oro per riposare e divertirci, ma siamo chiamati a farlo senza mai staccarci dalla Vita.

Il GIM di questo mese ci invita a riflettere sulle ‘Nuove schiavitù’, realtà, economiche, sociali, interiori che troppo spesso ingabbiano molti uomini e donne, noi compresi. Sulle spiagge spesso s’incontrano tanti di queste persone: i venditori ambulanti, le prostituite, i bambini che chiedono l’elemosina, … Ma anche quelle persone che non avendo problemi finanziari, vivono situazioni di schiavitù a causa del voler apparire, del volere vivere qualche ‘sballo’, dell’andare chiusi in se stessi senza vedere gli altri, …

“VIVI DA RISORTO!”, è il grido che ha accompagnato il cammino GIM di quest’anno: sarebbe un peccato ora tirare i remi in barca, l’invito rimane sempre quello di andare al largo e di gettare le reti. E al largo troviamo la vita, una vita che sa risorgere nonostante le tante morti, una vita che è veramente grande e che non si lascia ingabbiare da nessuna schiavitù.

A ciascuno di noi il compito di abbracciarla e di testimoniare che la VITA è possibile. Viviamo allora l’estate con gioia, con responsabilità approfittando delle tante occasioni che ci vengono offerte: nel sito www.giovaniemissione.it trovi le proposte per i nostri campi.

Uniamoci quindi a tutti quei popoli che, pur soffrendo a causa di tante schiavitù, hanno ancora la forza e il desiderio di danzare la Vita: quel ballo che in tante culture diventa preghiera perché avvicina a Dio possa coinvolgere l’umanità intera in una grande festa che profumi di Vita!!!

p. Roberto e p. Manuel

Vivi da Risorto!

Sii segno del Regno

 Gesù disse loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno.

Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio.

Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano. (Mt. 16,15-20)

 
Se veramente credessimo…, se veramente prestassimo ascolto alle Parole di Gesù, se veramente il nostro cuore fosse pieno di fede…. saremmo le persone più felici del mondo…. Quello che Gesù ci dice in questo passo del Vangelo di Marco è potente, è una bomba, è una marcia supersonica che Lui ci dà. 

Gesù ci manda a nome Suo, con fiducia. “Andate e predicate il Vangelo ad ogni creatura”, ci dice. Ci pone tra le nostre mani qualcosa che gli sta veramente a cuore, il suo messaggio e la sua missione e ci dice “Continuate voi”. Crede in noi e ci chiede di fare quello che Lui ha fatto, proprio come Lui l’ha fatto.

Nessuno, credo, ci ha mai dato tanta fiducia quanto ce ne da Gesù; nessuno ci ha dato tutto, pur sapendo chi siamo. Nessuno ha mai creduto tanto in noi.

E la fiducia trasforma, fa crescere, da coraggio, rende nuovi…. Ci rende capaci di osare, di fare cose grandi, di fare miracoli. Sì, miracoli.

Infatti l’avventura con Gesù non finisce qui, ma ci porta a far miracoli: nel Suo nome scacceremo i demoni, parleremo lingue nuove…., non temeremo né serpenti né veleni e poi ancora, e ancora più bello, doneremo la guarigione ai malati…. la vita ai moribondi, la forza agli esausti, la voglia di lottare e di vivere a chi è stanco e di forza non ne ha più…… Se crederemo in Lui saremo trasformati e trasformeremo il mondo. Saremo una centrale elettrica che elettrizzerà l’umanità. Ma ci abbiamo mai pensato?

Non so voi, ma qui a Kalabo c’è gente che ci ha pensato, perché quello che vedo ogni giorno mi conferma che Dio è qui e che opera miracoli attraverso la gente, e che la Sua Resurrezione ha vinto la morte.

 Parleranno lingue nuove….” ci dice Gesù, e così è successo con Nasilele, una donna di circa quarant’anni, ma che ne dimostra sessanta. Le hanno incendiato la casa. La sera dell’incendio ha fatto appena in tempo a venire fuori dalla capanna e poi è rimasta a guardare la “sua casa” trasformata in una sola fiamma. Il buio della notte è stato rischiarato a lungo da quella luce che le ha portato via tutto. Tutto il poco che possedeva.

Lei non sa perché è successo. Non sa chi l’abbia fatto. Sa solo che è rimasta senza casa. E allora, dopo il primo giorno di lacrime, di sbigottimento e dolore, si è messa subito a raccogliere paglia e legna e fango e ha ricostruito la capanna. Come prima. E sorride felice, con la sua larga bocca sdentata …, beata.

Ma il miracolo non è questo: è qualcosa di più bello. Un giorno le hanno portato un uomo legato e imbrigliato come un animale pronto per il macello. E infatti proprio al macello volevano mandarlo. Era l’uomo che aveva appiccato il fuoco alla capanna di Nasilele e, per paura che facesse altrettanto con altri, volevano “bruciarlo vivo”… come la capanna.

“Non è lui” ha detto Nasilele. “Lo so perché ara andato al villaggio con mio fratello”. E così lo hanno rilasciato.

“Il Signore mi perdonerà questa bugia?” mi ha chiesto Nasilele qualche giorno dopo con un sorriso un po’ furbetto e un po’ timoroso. “Non è vero che lui era al villaggio con mio fratello. Ma se non dicevo così lo uccidevano… Io ho pianto per la capanna, ma ne ho costruita un’altra. Ma i suoi bambini? Se lui muore… non si può costruire un altro papà….”.

Cara Nasilele. Tu hai imparato a parlare la lingua di Gesù, la lingua dell’Amore e del perdono. Non parli più di vendetta, di perdite, di rabbia…, di morte. Tu parli di perdono, di rispetto dei piccoli, di amore, di perdono. E lo vivi.

Un problema grande in Kalabo è la stregoneria. E’ una delle schiavitù di questo posto. E’ radicata potentemente nella cultura, nella loro credenza, nella loro azioni di ogni giorno, nei loro pensieri e poi ancora nelle loro parole, paure, piani, difese…. Nella loro vita.

La gente ha paura: ha paura del vicino perché potrebbe andare dallo stregone e mandargli malattie, disastri, anche la morte. Ha paura della gelosia degli altri, dell’invidia, di quello che gli altri pensano o potrebbero pensare… e allora si nasconde e nasconde quello che ha perché “se gli mandano gli spiriti….” è la fine.

Sì, hanno paura qua. La paura è di casa. Ma credo che con Muchatanta e gente come lei la “paura dovrà presto fare le valige e traslocare da Kalabo”. Un giorno è venuta da me di corsa, come se avesse scoperto un mondo nuovo e, in realtà, lo aveva proprio scoperto. “Ascolta”, mi ha detto, “ma se Dio è il più potente di tutti, allora è più potente degli spiriti! Ma allora sono salva!!!”. E poi mi travolta con tutta la bellezza della sua scoperta. “Anche se tutti gli uomini e le donne di Kalabo diventassero stregoni, tutti - tutti, ma proprio tutti, e cercassero d farmi del male, non posso avere paura. Non possono farmi niente perché Dio è con me!!! Sono libera, sono finalmente libera”. Così, semplicemente.

Mi vengono in mente le parole di Gesù: “E se berranno qualche veleno, non recherà loro danno. Cosi bello e così vero. Muchatanta l’ha capito. Spero che a poco a poco tutti lo sperimentino…. e possano godere la libertà di figli e figlie di Dio.

 “Kalabo” significa “risposta”. Non so perché originariamente abbiano scelto questo nome per questo villaggio. Quello che so è che sicuramente questo nome è una sfida per tutti noi: che risposta do? Che risposta diamo di fronte a certe realtà, problemi, necessità, di fronte a tutte le situazioni di ingiustizia e di povertà?

Non ci ha pensato due volte una mia amica kalabina (= di Kalabo J ). Avevamo appena partecipato alla Preghiera di Riconciliazione Quaresimale. “Quest’anno vogliamo fare di più dell’anno scorso” ha sottolineato il sacerdote durante l’incontro di Preghiera e lei ha pensato al disaccordo tra lei e la vicina di capanna che l’aveva accusata di stregoneria. E’ successo sette anni fa, e da sette anni lei si porta questo marchio. Ma lei è andata e ha cercato di ricostruire. Le ha portato un po’ del suo granoturco raccolto e ha chiesto “ku eza kozo hape” (di fare la pace di nuovo). Non ha ricevuto un “sì”; sette anni di astio ed anche di paura forse sono un po’ tanti da inghiottire in un boccone solo, ma la vicina ha detto che ci penserà.

La mia amica Mukelabai, questo è il suo nome, comunque è contenta “Mi sento meglio”, mi ha detto. “Mi sembra di essere rinata. Mi sento nuova, una nuova vita sta cominciando per me.” Mukelabai, donna - testimone del Risorto.

E potrei raccontare ancora di Sanana e Likando e del loro coraggio; della figlia di Bukolo e Changocho; di quella volta che rischiarono di essere rifiutati dal clan per sempre…. E poi ancora e ancora… Ma mi fermo qui e do la parola a te, giovane che leggi.

A che punto stai? Che miracoli stanno succedendo nella tua vita? Cosa stai facendo insieme con il Signore?

L’anno GIM è terminato e così anche il mio appuntamento trimestrale su Orme Giovani. Continuiamo a camminare…, tu lì, noi qui…, ricordando e credendo, che Lui cammina con noi. Questa è il nostro tesoro..

Se veramente ci credi, la tua vita cambierà. Se veramente ci credi la tua quotidianità si trasformerà in novità, il tuo dubbio in azione, la tua debolezza in forza, e sarai testimone di Coraggio, di Giustizia, di Risurrezione, di Vita….

Ti auguro di crederci. Ti auguro di essere un’esplosione di Vita. Con Lui. 

 Sr. Enza Carini    cmskalabo@zamtel.zm

 

TESTIMONE: Fr. Roger

L’anno scorso, il 16 agosto, una mano sconsiderata ha posto termine alla vita di fr. Roger. Ne vogliamo ricordare la testimonianza, come segno di speranza, accoglienza e attenzione ai giovani.

Tutto è iniziato in gran solitudine. Nel 1940, a 25 anni, frère Roger lasciava la sua nativa Svizzera per andare a vivere in Francia, il paese di sua madre. Da molti anni portava in sé la chiamata a creare una comunità dove si concretizzasse tutti i giorni una riconciliazione tra i cristiani, “dove la bontà del cuore fosse vissuta molto concretamente, e dove l’amore fosse al cuore di tutto”. Fu così che in piena guerra mondiale si stabilì nel piccolo villaggio di Taizé, in Borgogna. Nascondeva allora dei rifugiati (specialmente ebrei), i quali sapevano che, fuggendo dalla zona occupata, potevano trovare rifugio nella sua casa. Più tardi dei fratelli lo raggiunsero, ed il giorno di Pasqua del 1949 i primi fratelli si impegnarono per tutta la vita nel celibato, nella vita comune e in una grande semplicità di vita. Nel corso dell’inverno del 1952-1953, il fondatore della comunità scrisse la Regola di Taizé, che esprimeva per i suoi fratelli “l’essenziale che permette la vita comune”. Dalla fine degli anni cinquanta, il numero di giovani che si recavano a Taizé cresce sensibilmente. A partire dal 1962, dei fratelli e dei giovani, inviati da Taizé, non smettono di andare e venire dai paesi dell’Europa dell’Est, con la più grande discrezione, per non compromettere quelli che li sostenevano. Tra il 1962 e il 1989, lo stesso frère Roger ha visitato la maggior parte dei paesi dell’Europa dell’Est, (“Sarò in silenzio con voi”, diceva ai cristiani di questi paesi). La Comunità di Taizé riunisce oggi un centinaio di fratelli, cattolici e di diverse origini evangeliche, da più di 25 nazioni. In uno dei suoi ultimi libri, intitolato “Dio non può che amare” (Elledici), frère Roger descriveva così il suo percorso ecumenico: “Posso qui ricordare che mia nonna materna ha con intuito scoperto come una chiave della vocazione ecumenica, e che mi ha aperto una via verso la concretizzazione? Segnato dalla testimonianza della sua vita, e ancora molto giovane, seguendola ho trovato la mia propria identità di cristiano riconciliando in me stesso la fede delle mie origini con il mistero della fede cattolica, senza rottura di comunione con nessuno”. Alcune piccole fraternità si trovano oggi inserite nei quartieri più poveri in Asia, in Africa, in Sud America. I fratelli tentano di condividere le condizioni di vita di quelli che li circondano, si sforzano di essere una presenza d’amore presso i più poveri, i bambini di strada, i prigionieri, i moribondi, quelli che sono feriti in profondità dalla rottura degli affetti e dagli abbandoni umani. Ogni settimana da inizio primavera a tardo autunno, giovani dai diversi continenti arrivano sulla collina di Taizé. Andando alle sorgenti della fiducia in Dio, sono invitati a un pellegrinaggio interiore che li incoraggia a costruire rapporti di fiducia fra gli esseri umani. Vengono a Taizé anche i leaders delle chiese. La Comunità ha accolto il Papa Giovanni Paolo II, tre Arcivescovi di Canterbury, metropoliti ortodossi, i quattordici Vescovi luterani della Svezia e numerosi pastori da tutto il mondo. Per sostenere i giovani la Comunità anima "un pellegrinaggio di fiducia sulla terra". Ogni persona è invitata, dopo il suo soggiorno a Taizé, a vivere nella propria realtà quello che ha scoperto, con una più grande consapevolezza della propria vita interiore così come dei legami con molti altri che sono coinvolti in una simile ricerca di ciò che realmente importa. Alla fine di ogni anno, Taizé anima un grande incontro in una delle principali città dell’Europa, dell’est o dell’ovest. Partecipano decina di migliaia di giovani, da tutta Europa e da altri continenti. In occasione di questi incontri europei, frère Roger scriveva ogni anno una “lettera”. Queste lettere sono state tradotte in oltre cinquanta lingue e usate come testo per la riflessione da molti giovani, sia a casa che nel corso degli incontri a Taizé. Frère Roger ha scritto spesso queste lettere durante i lunghi soggiorni nei luoghi di povertà (a Calcutta, nel Cile, ad Haiti, in Etiopia, nelle Filippine, in Sudafrica). Oggi, nel mondo intero, il nome di Taizé evoca la pace, la riconciliazione, la comunione e l’ardente attesa di una primavera della chiesa: "quando la chiesa ascolta, guarisce, riconcilia, allora si trasforma in ciò che è nel suo aspetto più luminoso: riflesso limpido di un amore." (Frère Roger)

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