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Aprile 2006

Quante volte ti sei scoraggiato-a perché i sogni che ti pulsavano dentro non trovavano spazio nei fatti? Quante volte ti sei sentit@ isolat@, troppo fragile davanti al muro di una realtà che non si scalfisce?

E ti sei chiest@: come si può vivere da risorti?

Solo in comunità, luogo in cui ci si organizza per resistere e si condivide per scoprire i segni di resurrezione. I giovani che camminano al GIM lo stanno capendo, a poco a poco.

E la Pasqua viene per gridarcelo forte nel cuore: solo insieme!

Si aprono le ultime tappe del cammino GIM; celebrare la Pasqua è chiedersi cosa sto imparando, cosa si trasforma piano piano dentro di me perché io viva da risort@.

Celebrarla in comunità è chiedersi come si può “organizzare la speranza”, condividerla come un patrimonio da costruire insieme, preparare l’esplosione della fiducia e della vita!

Questo mese di aprile si apre con la memoria di un grande testimone di speranza: Martin Luther King (il 4 ricordiamo la sua uccisione a Menphis, nel 1968). Le comunità di resistenza afro ci insegnino l’ostinazione, la pazienza e la nonviolenza, ingredienti base per ogni resurrezione popolare.

Anche il nostro Paese in questo mese è chiamato a riorganizzarsi come comunità, attraverso le elezioni. A volte viene la nostalgia di una politica che sia a servizio della gente, particolarmente dei più fragili. Ma dipende anche da noi: il voto è un processo comunitario! Non lo eserciti da sol@, ti impegni come comunità ad interagire con chi ti rappresenta.

Se non vogliamo che i politici si stacchino dalla realtà, non permettiamoglielo: scegliamo chi ha dimostrato di dare ascolto alle priorità della società civile organizzata e all’urgenza dei poveri (una politica estera di cooperazione reale, l’urgenza del disarmo, il rispetto della vita, la sobrietà e il controllo popolare dell’ambiente e delle risorse, la tutela dei più deboli: hai chiaro chi e come si sta impegnando su questi punti?)

Le polemiche tra partiti e gli equilibrati calcoli di questi mesi sono morte e sterilità. Ma conosciamo anche donne e uomini vivi, coraggiosi e seri che scelgono la politica come “forma più alta di amare” (Paolo VI). Con loro possiamo credere nella resurrezione!

Infine il mese di aprile vede per la decima volta alzarsi un grido soffocato di gente sotto il peso dell’atomica: la via crucis Pordenone-Aviano, dove nella base militare statunitense in territorio italiano sono custodite, pronte all’uso, varie bombe atomiche. Se la croce era l’obbrobrio del tempo di Gesù (“Maledetto chi pende dal legno”), tocca a noi oggi dire “maledetta ogni bomba”: camminiamo, preghiamo, ci impegnamo a disertare ogni strumento e logica di morte.

Con Gesù al nostro fianco, possiamo vivere da risorti!

p. Dàrio, fr. Claudio, sr. Expedita

La comunità si organizza per resistere.  
Lc. 24,13-35

La fine ed il ricominciare.

In questo racconto dell’esperienza della presenza del risorto troviamo un interessante percorso di comunità. All’inizio vediamo una comunità dispersa: “Due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme”. Dopo aver accompagnato Gesù nella sua vita e nella sua morte, non vedendo più la presenza di Colui che aveva dato senso alla loro vita aprendo nuove e grandi speranze, tornano, probabilmente, al loro villaggio, sconsolati. Un atteggiamento simile a quello di Pietro, che torna a pescare, senza successo.

Torneranno a Gerusalemme di corsa solo dopo aver ritrovato la presenza del Risorto ed averla percepita in un modo diverso da quando Gesù era presente in carne ed ossa in mezzo a loro: “E partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme”. Allo spezzare del pane: nel ritrovarsi, nella condivisione, trovano la presenza di Gesù, che li spinge poi a tornare dagli apostoli, per condividere la loro esperienza. La comunità, che era dispersa, si riorganizza: “Trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro”.

Vivere da risorto è sapere che la presenza del Risorto la si trova nella comunità e che senza vivere questa presenza andiamo verso cammini che ci allontanano dalla Vita.

Per questo mi sembra interessante rivedere il cammino dei due verso Emmaus e riscoprire alcuni punti, alcune domande che poi costituiscono anche il nostro cammino di giovani che vogliono vivere da risorti.

Cosa abbiamo dentro e fuori di noi.

I due discepoli camminano a testa bassa, parlando tra di loro col volto triste. Gesù si avvicina loro e domanda prima: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi?”. E, dopo la risposta dei discepoli, chiede: “Che cosa è accaduto?”. Sono due domande chiave, che è bene porci anche noi. Gesù chiede ai discepoli che cosa hanno dentro di loro, che cosa sentono, perché evidentemente qualcosa li aveva lasciati tristi. E poi chiede che cosa hanno fuori di loro, cosa era successo. Nessun cammino è possibile se non sono chiare queste due cose, che sono strettamente legate una all’altra. Se vogliamo camminare anche noi e vivere da risorti, facciamocele ogni tanto. Cosa ci succede intorno? In che realtà stiamo vivendo? E questa realtà cosa crea in noi? Cosa ci suscita? Siamo indifferenti? E’ infatti nella storia, della società e nostra, che il risorto opera. Con Gesù, Dio si è incarnato e ha chiarito che fa parte integrante della nostra storia sociale e personale ed in essa è presente ed opera.

Il Regno.

Dopo le risposte smarrite dei discepoli, Gesù “Cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”. Gesù rilegge la storia del popolo do Israele, che era anche la storia di quei due discepoli e fa riscoprire loro la sua presenza. Gesù indica ai due camminanti la presenza di una piccola semente: il Regno di Dio. Mostra loro quello che dà senso alla vita, mostra il Progetto di Dio. Ed i discepoli, ritrovandolo presente, ritrovano anche la gioia e la speranza: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mente conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le scritture?”. Meglio non dimenticarsi di questo ed, ogni tanto, fermarci un po’ e cercare i segni del Regno in noi e nella nostra storia.

Celebrare.

Manca l’ultimo passo, il più importante: celebrare. Dopo essersi guardati dentro e fuori, dopo aver riscoperto la presenza di Dio ed il suo progetto nella storia, si siedono con Gesù e nel ritrovarsi insieme, nella condivisione vivono la Sua presenza. “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi”. Celebrare non può essere semplicemente compiere un dovere o un rito o, peggio, assistere ad uno spettacolo. Celebrare è mettersi alla presenza di Dio, insieme agli altri, condividendo la nostra vita e lasciandola illuminare dalle sua Parola. In questa celebrazione riusciamo a trovare la presenza di Dio e a vedere il Regno crescere. E questa presenza immediatamente suscita l’esigenza di ritrovarsi, riorganizzarsi con gli/le altri/e, per aiutare tutti a fare la stessa significativa ed indispensabile esperienza del Risorto. E noi celebriamo? Cosa? Come?

Vivere da risorti è fare sempre, costantemente, questo cammino, che comincia dal guardarsi dentro e finisce nella missione. E, per vederlo nella pratica, vorrei condividere l’esperienza fatta con il gruppo della Recuper-Lixo in Brasile.

I piccoli in Brasile.

La Recuper-Lixo è un’associazione di raccoglitori di materiali riciclabili. È sorta nel municipio di Serra, nel quartiere di Jardim Tropical (uno dei più poveri e violenti della città) da un gruppo della Pastorale Operaia che, stanco di lamentarsi della disoccupazione ha deciso di organizzarsi ed aprire questa associazione, approfittando della grande quantità di carta, cartone, plastica e metalli buttati via. Con l’aiuto di varie organizzazioni, l’associazione ha cominciato le attività, con entusiasmo e determinazione. Ma dopo un anno e mezzo cominciavano a presentarsi i primi problemi, dovuti alla caduta dei prezzi dei materiali ed all’uscita di alcune persone.

Si è pensato ad una convenzione con il comune per incentivare la raccolta differenziata, ma la proposta è stata bloccata dagli interessi di alcuni consiglieri comunali che volevano approfittare dell’opportunità per tirarsi fuori uno “stipendio extra”! Ci sono voluti 16 mesi per approvare questa convenzione, che adesso garantisce stabilità all’associazione.

In tutto questo processo più di una volta si è arrivati al punto di pensare di chiudere tutto. Non si è ceduto a questa tentazione grazie alle innumerevoli riunioni, anche informali, in cui si cominciava sempre con la lista delle lamentele sulle difficoltà, ma si finiva sempre con la convinzione che si stava facendo la cosa giusta e che gli sforzi sarebbero stati premiati, perché si sentiva che Dio era con presente e che il suo Regno, attraverso questo lavoro, cresceva. E le riunioni finivano così non per caso, ma (ne sono assolutamente convinto) perché si cominciava sempre con una lettura della Bibbia e una condivisione in cui si lasciava la Parola di Dio illuminare la realtà personale e sociale.

Questo piccolo gruppo, attraverso l’organizzazione e la fede, è riuscito a superare la situazione di morte, di esclusione e marginalità in cui viveva. Solo così chi non ha forza e potere può riuscire a vivere e camminare e solo così il Regno, che è vita in abbondanza per tutti, può crescere.

Vivere da Risorti è vivere camminando e trovare nell’organizzazione la forza per resistere.

fr. Fabio


ALFRED KUNZ

"Pregate perchè il Signore ci dia forza

e illumini i nostri occhi e si possa vivere

all'ombra di Nabucodonosor..."

 (Bar 1,11-12)

E' l'incontro con il profeta Baruc che fa intuire a Frédy Kunz ("Alfredinho", come lo chiamano affettuosamente in Brasile) che la vocazione dei cristiani, stranieri e pellegrini in questo mondo, pur senza smettere di lottare con amore e di proporre nuovi stili di vita per dare un futuro all'umanità, è di vivere all'ombra di Nabucodonosor: questo potere che opprime, questo avversario che ostacola il cammino ma che non è destinato a scomparire. Ed infatti anche oggi noi continuiamo a vivere all'ombra della fame di tante famiglie, dei campi di rifugiati, della disoccupazione, della distruzione della natura... e la lista è ancora lunga!

Alfredinho conosce Nabucodonosor nei campi di concentramento nazisti durante la seconda guerra mondiale. Era nato il 9 febbraio 1920 a Berna, da una famiglia povera ed a 11 anni dovette anch'egli mettersi a lavorare in una cucina di un hotel. L'ancora di salvezza per Frédy fu l'incontro con la JOC (Jeunesse Ouvriére Catholique de France), di cui divenne ben presto un fervente animatore. Nel 1939 sente la chiamata a diventare prete, prete per gli operai, prete per i giovani. Il padre, critico verso i preti, è fortemente contrario ma c'è la guerra ed il discorso viene rimandato. Frédy parte per il fronte in Alsazia e qui cominciò il lungo periodo di prigionia. L'esperienza del campo di concentramento fu anche tempo di preghiera, di più profonda riflessione sul senso della vita, di una grande amicizia con Maurice, uno scout ventunenne, anch'egli desideroso di diventare prete, ma ucciso dall'aviazione americana durante i bombardamenti per la liberazione. Erano davvero necessarie tutte quelle bombe? E' questo uno dei tanti interrogativi di Alfredinho.

Dopo 5 anni Frédy torna a casa, ed il padre è così contento di ritrovare il figlio che non si oppone più al suo desiderio di essere prete.

Dopo il primo anno trascorso come cappellano in quartiere operaio di Parigi, partì per il Canada, a Montréal. Nel 1958 lanciò la campagna "Seven Up", che poi si consolidò nel "Circolo Massimiliano Kolbe". Questa operazione era basata sul numero sette, che è sempre stato un numero chiave per me. E' la misura di un gruppo nè troppo piccolo nè troppo grande. Quando veniva una famiglia bisognosa, io la affidavo ad uno dei membri del Circolo, che formava un gruppo di sette, inclusa quella famiglia. A turno, ogni membro del gruppo portava alla famiglia chi del latte, chi del pane, e così via. Anche la famiglia stessa assumeva un servizio per gli altri, ad esempio andare a segare la legna.

Nel 1968 lasciò il Canada e, nonostante la sua forte intenzione di andare in India, dovette ripiegare sul Brasile, precisamente a Crateùs, nello stato del Cearà, in pieno Nord-Est, immenso serbatoio di poveri, contadini senza terra che sopravvivono ai margini di sterminate fazendas. Questa diocesi era già famosa perché considerata una spina nel fianco della dittatura militare, al potere ormai da 4 anni. Il primo campo di lavoro e condivisione furono le vittime della prostituzione: una scuola straordinaria, è da lì che ho cominciato a condividere l'esistenza dei più poveri, è da lì che ho scoperto che per vivere con i poveri non bisogna avere soldi.

E da quel momento infatti sarà sempre il povero tra i poveri, non prenderà mai più uno stipendio, portando così a compimento la sua spiritualità del Servo Sofferente. La Fraternità del Servo Sofferente è nata dalla contemplazione, dalla preghiera, dal digiuno, dall'amore della Santa Vergine, dalla condivisione della sorte dei più poveri e dal loro desiderio di liberazione. Gesù è il Servo Sofferente per eccellenza, continua oggi la sua passione nella vita dei poveri, perché come non mai oggi esiste un popolo di massacrati. Questa Fraternità per me è la mèta finale; non sogno altro, non vivo più che di essa.

Imparare a vivere all'ombra di Nabucodonosor, conquistando spazi di resistenza e di libertà, in cui esprimere il diritto alla vita, alla dignità, alla giustizia, alla pace, è il percorso di spiritualità testimoniato da Frédy Kunz.

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