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Giugno 2005

COMUNITA’ DI GESU’ a servizio della Vita!

Giugno ci regala l’ultimo incontro GIM prima delle vacanze estive.
Il tema dell’anno “Missione Giovane… che vinca la Vita”, ha messo in luce le nostre aspirazioni, il sogno di Dio, le speranze di milioni di giovani, in un mondo globalizzato sempre più segnato dall’esclusione e dalla contraddizione.
La realtà della “vita” è condizionata da diverse circostanze: vivere in una casa confortevole è ben diverso dal vivere sotto un ponte, o in una favela, o su un marciapiede.
Ci sono molti modi di intendere la vita e il nostro modo di vivere dipende quasi sempre da come la intendiamo.
Per questo è essenziale porci e rispondere a questa domanda: cosa significa la vita per me? Cosa significa vivere per la maggior parte della popolazione del mondo?

Nella Bibbia la Vita è il soffio di Dio, è una benedizione, un’eredità sacra, una scelta, un dono: in Dio la vita umana trova la sua origine e il suo fine.
Il Vangelo di Giovanni che ci ha accompagnato nel nostro cammino, ci ha mostrato che Gesù si trova continuamente di fronte a situazioni di morte e di minaccia per la vita: fame, malattie, abbandono, leggi che opprimono i piccoli e i poveri; Lui non rimane mai indifferente e sa molto bene quello che vuole.
Definisce chiaramente la sua missione: “Sono venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10); la vita di Gesù è contrassegnata dalla logica dell’amore gratuito.
Essere la comunità di Gesù oggi significa lottare contro la “cultura di morte”, è decidere di mettersi al servizio di un progetto di Vita che fin d’ora è eterna e per tutti.
Anche nei campi estivi di spiritualità, lavoro e condivisione che il GIM propone a tutti i giovani, vogliamo continuare a sognare e a impegnarci insieme perché con la nostra risposta “vinca la Vita”. E-state in missione!

p. Roberto e p. Manuel

 

Missione, sprigionare la vita.
GV. 21,1-14

Deve essere stato certamente qualcuno che conosceva la vita dei pescatori del mare di Galilea a scrivere questa storia. La notte sembra essere il tempo migliore per andare a pescare. Almeno per certi tipi di pesca.

Dopo essersi mostrato ai discepoli in Gerusalemme, Gesù Risorto fa loro una terza apparizione in Galilea, sulle rive del ‘Mare di Tiberiade’: durante la pesca. Simon Pietro sta insieme a Tommaso, a Natanaele, ai due figli di Zebedeo e ad altri due discepoli; dichiarata la sua intenzione di recarsi a pescare, è seguito dagli amici: “Veniamo anche noi con te!”. Così andarono a pescare in barca, “ma quella notte non presero nulla”. Sul mare di questo mondo lavoriamo spesso duramente senza gratificazioni. Viviamo nel tempo della missione: sempre laboriosa, spesso ingrata. Può accadere che ci si affatichi tutta la vita, nella notte, senza vedere alcun risultato. Senza Gesù la pesca è infruttuosa, anche se protratta per tutta la notte.

Le mie azioni quotidiane sono trasparenza di questa Speranza che non può essere delusa e che siamo chiamati a condividere con tutti? E dalla quale nulla e nessuno ci deve distogliere? O penso dunque di star lavorando invano?

Forse proprio per il fatto di essere nata in pianura, ho sempre desiderato poter salire su un peschereccio e accompagnarne l’equipaggio quando esce in alto mare per la pesca. Ho intuito qualcosa di questo esercizio nei primi anni della mia vita missionaria. Avevano portato in ospedale dove lavoravo un uomo con un braccio maciullato: un ippopotamo lo aveva attaccato mentre pescava nelle acque del Nilo. Durante la prolungata degenza, ebbi modo di fare una cordiale conoscenza del ferito e parlando del mestiere con cui si guadagnava da vivere la mia ignoranza lo intrigò al punto tale che si impegnò a portarmi una volta a pescare perché vedessi in cosa consisteva. Uno dei pescatori, entrato in acqua gettava, a mano, la rete. Ma continuamente la rete riaffiorava vuota.. Ad un certo punto, nella pausa precedente l’ennesimo sterile lancio, Ochen dalla riva gridò al suo amico di gettare la rete a sinistra, e il pescatore nel fiume eseguì all'istante. Ebbe successo... Tirò su la rete e, noi dalla riva, vedemmo il pesce, numeroso, dibattersi tra le maglie... Succede spesso che il pescatore che usa questo metodo di pesca debba fare affidamento sulle indicazioni di un altro che dalla sponda gli dice da che parte gettare la rete, perché è talvolta più facile per quest’ultimo avvistare un banco di pesci, invisibile invece all’uomo in acqua. Sulla riva del lago di Tiberiade, Gesù verso i propri amici si comportò come Ochen. Allora, come del resto succede ancora oggi. Il Signore, per fortuna, sa dove bisogna gettare la rete; si tratta per noi di educarci a seguire le sue indicazioni,di fidarci della sua competenza e saremo sorpresi della straordinaria fecondità dei nostri sforzi.

Nella pesca prodigiosa raccontata da Giovanni è il discepolo che Gesù amava che per primo riconosce la presenza del Signore; Pietro crede alla parola dell’amico, si cinge la sopravveste e si getta in mare, raggiungendo la riva a nuoto. In questo gesto precipitoso e magnanimo, consono al carattere impetuoso dell’apostolo è mostrato l’amore di Pietro per il Signore e approntata la sua confessione di amore. L’amore per Cristo è condizione indispensabile per servire nella Chiesa. C’è bisogno di lasciarci amare da Gesù perché i nostri occhi sappiano vedere oltre le ingannevoli apparenze. I Vangeli insistono sul fatto che Gesù risorto non è nemmeno uno spirito. Ma una persona vera, reale: reca palesi i segni dei chiodi e del colpo di lancia, segnala un banco di pesci a un gruppo di pescatori, prepara un fuoco di braci sulla spiaggia o cuoce sopra un pasto e lo mangia. Il Signore Risorto non è il risultato della fantasia esaltata di qualcuno, o uno spirito o un fantasma. A quali verità ci inchiniamo in una società insidiata e sedotta dalla superstizione, negromanzia, occultismo,stregoneria, scienze occulte?

Dopo che Pietro ebbe portato a terra i pesci, Gesù invita i discepoli a mangiare, ripetendo alcuni gesti eucaristici, consueti anche alla moltiplicazione dei pani, che rivelano senza equivoci la sua identità, perciò nessuno dei discepoli osa interrogarlo sapendo bene che era il Signore: cioè Gesù, Messia e Figlio di Dio. È una tenerissima immagine questa del Signore che attende premuroso, sull’altra sponda, che i “pescatori di uomini” abbiano finito il loro duro lavoro. Sostiene la nostra speranza di trovare al nostro ritorno, preparato dal Risorto, il pasto di cui l’eucaristia è il sacramento, la caparra, la garanzia. Suscita la nostra sorpresa per lo straordinario risultato dei nostri sforzi perseveranti e apparentemente inutili. Tali sarebbero se avessimo confidato unicamente nella nostre abilità e conoscenza del mestiere. È di questa intimità con il Risorto che ciascuno di noi deve vivere e in tale comunione la comunità deve svilupparsi e prosperare. Parlano i nostri gesti, dicono le nostre parole, innegabilmente, ciò che ci anima/attira/ispira/ stimola/influenza/guida nella vita?

La rete di Simon Pietro raffigura la comunità dei credenti. L’eccezionale quantità di pesci presi da Simon Pietro e compagni indica la straordinaria fecondità dell’azione missionaria dei discepoli di Cristo. La spiegazione illustrata dai Padri della Chiesa è che nel mare ci sono 153 qualità di pesci; e che la pesca include tutti i tipi di pesce esistenti; il numero allora simboleggia il fatto che un giorno gli uomini di tutte le nazioni saranno riuniti insieme con Gesù Cristo. C’è dell’altro: nonostante il numero così elevato di grossi pesci la rete “non si spezzo”. Giovanni ci parla qui della universalità della chiesa. Anche se tutti entrassero, la chiesa è grande abbastanza da accogliere tutti. In essa non c’è discriminazione, esclusività, preferenze o barriere di sorta. Le divisioni tra i cristiani impediscono che la chiesa attui in essi l’unità e la cattolicità, che le sono proprie. Siamo impegnati seriamente a ricomporre quest’unità e cattolicità della chiesa anche in modo visibile? Quali sono i principi su cui si fondano le nostre comunità cristiane? Quali sono le espressioni della nostra tolleranza/accoglienza/comprensione/ospitalità?

È la diversità intellettuale/culturale/religiosa..una opportunità per ampliare la nostra prospettiva e stabilire ponti o piuttosto una scusa per innalzare muri? Conosciamo la passione per l’unità? Scrive Joseph Bonchaud nel libro “I cristiani del primo amore” “Sulla barca, cominciarono a sparire le uniformi... i marinai a salire, uno ad uno sul ponte. Gomito a gomito, ciascuno al proprio posto, un intero popolo cominciò a lottare per portare in salvo la barca: per condurla a destinazione. E un giorno, forse vicino, su quella barca ci saranno solo due categorie di persone: quelle che lavorano insieme, qualunque sia il posto che occupano, e quelle che rinunciano o si rassegnano, qualunque sia il motivo. Molti, ora, cominciano a ricordarsi di nuovo del primo equipaggio della vecchia barca, quando non c’erano ancora insegne: né rosse, né violacee, né bianche, né nere, né ornamenti, né uniformi; del primo equipaggio guidato dalla passione dell’unico Amore, della medesima fede, dello stesso ardore, di un identico messaggio. Chiesa di oggi, vecchia barca, che mi piace vedere in mezzo alla tempesta, non sei forse più di ieri, la Chiesa del Cristo... la Chiesa di quest’uomo che amava il mare?

 
Sr. Maria Teresa Ronchi

Comboniana


Venite con noi e capirete

Abbiamo il diritto di parlare solo di ciò che riusciamo a vivere. Come è scritto nel libro della Genesi: “Dio disse e la cosa fu”. Dobbiamo essere in grado di vivere sulla nostra pelle i messaggi che vogliamo portare agli altri. Se non si sta dalla parte dei poveri non si può parlare dei poveri!

A Firenze, se chiedi delle Piagge la gente ti guarda storto: è un quartiere di periferia, nato 18 anni fa come dormitorio. 2500 persone ammassate in casermoni senza troppi servizi; immigrati da ogni parte d’Italia e da altri paesi… è difficile parlare di ‘comunità’ in un contesto simile.

E invece, se vuoi sentire il sapore di una Comunità di Base, simile a quelle che ci insegnano tanto dall’America Latina o dall’Africa, la puoi trovare lì.

In mezzo ai palazzoni tutti uguali, c’è un capannone adibito a Centro sociale. Un grande stanzone pieno di scrivanie, librerie, tavoli, giornali e… gente. Un via vai di gente che si sente in casa, perchè quella ‘chiesa’ non ha porte, ed è luogo di incontro e confronto anche per chi non crede.

Sullo sfondo, un crocefisso, circondato da scritte di pace (“non quella che dà il mondo, ma la Sua pace!”). Poco più in là, le foto e alcune parole chiave di don Milani.

don Alessandro, cosa significa vivere come comunità cristiana in un quartiere così?

Qui ci sono credenti e non credenti; chiunque voglia dare un senso alla propria vita in questo luogo di emarginazione e profondo disagio viene coinvolto in varie attività: impegno scolastico e formazione, doposcuola, animazione, gioco, laboratori artigianali e di bricolage, riciclaggio, soggiorni estivi per ragazzi, accoglienza di persone in difficoltà, inserimenti familiari e affidamenti, scuola popolare.

Queste sono le attività che ci permettono di celebrare la vita, ogni domenica. La celebrazione è un momento fondante: io spezzo il pane e lo consacro, ma ciascuno porta la sua storia e non ha paura di condividerla, nei pianti, nelle risate, con le chiacchiere: la vita, insomma!

Alessandro: chi è Dio per te?

Non so dirti bene chi è Dio. Credo che stia nel volto delle persone che ho incontrato. Io proclamo il mio ateismo di fronte al dio onnipotente e distante dall’uomo. L’unico nome che gli si può dare è Babbo, Abbà, quello che gli diede Gesù. E’ il Dio degli ultimi, ma lo possiamo definire così soltanto se stiamo dentro a quella realtà. E io ho scelto di starci dentro.

Lavoro con la gente, sono prete operaio (raccogliamo il ferro, facciamo giardinaggio, riciclaggio di abiti, oggetti e libri). Ogni giorno stare con loro mi fa capire almeno dove sta Dio: amo la mia gente e con loro cerco di costruire liberazione.

Partiamo dal prendere coscienza della nostra condizione. La debolezza, la miseria, l’afflizione non sono più solo qualcosa da cui fuggire ma sono il punto di partenza per sconfiggere i potenti; è quella fionda di Davide per scalfire la forza d’argilla del gigante Golia. Questo anelito di libertà si sente nell’aria e si insinua nel profondo degli animi. Ora rimane da capire cosa fare, come essere per “Distruggere la sapienza dei sapienti e annullare l’intelligenza degli intelligenti” (Is. 29,14), per non farsi ancora una volta imprigionare dal pensiero degli altri e non farsi ingannare dalle parole vane degli ingannatori.

Già: cosa fare?

Qui alle Piagge la creatività e la passione non ci mancano, si impastano con le contraddizioni e i limiti di ogni giorno. E così sono nati molti progetti. Vorrei ricordare, tra gli ultimi, soprattutto i percorsi di finanza critica (anche noi poveri ci chiediamo come investire i nostri soldi!), i progetti di sostegno e formazione per giovani e adolescenti, la Bottega dell’Economia Solidale (il tentativo di estendere i gruppi d’acquisto equi e solidali in una rete che rafforzi il potere di noi piccoli consumatori critici). Ma non mi piace parlarne: venite un giorno a celebrare con noi e capirete!

Per saperne di più: Quando le parole non bastano, ed. EMI - www.emi.it

 

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