Maggio 2005
Giovani,
spalancate le porte a Cristo!
In questo, ci accompagni Maria, donna della missione. Buona vita!
Missione perché amando si vive
Giovanni
19,17-37
Nei Vangeli possiamo notare che gli ultimi tre giorni della
vita di Gesù sono descritti con una intensità di particolari davvero
incredibile. Addirittura le ore vengono scandite per attirare la nostra
attenzione e per aiutarci a capire che quello è il cuore del Vangelo: Gesù che
affronta la morte in maniera unica e irrepetibile. Per dirci che Gesù va alla
morte Giovanni ha bisogno di 30 versetti, mentre per il Vangelo di Marco sono
sufficienti la metà. Quale è lo scopo di Giovanni nel raccontarci questo evento
in maniera così lunga e dettagliata? Il contesto immediato per affrontare il
racconto della Passione in S. Giovanni è che questo Vangelo ci comunica la
glorificazione di Dio non solo nelle nostre vite ma anche nelle nostre
sofferenze e nella nostra morte. Il passo che stiamo prendendo in
considerazione è composto di 6 quadretti.
- Prima scena: vv. 16-18. In Giovanni non si parla di Simone
di Cirene, come invece fanno gli altri evangelisti. Gesù è solo di fronte a
tutti e di fronte alla morte, è un uomo che dice di “sì” con maestà e serenità
perché sta aderendo alla volontà del Padre e al compimento delle Scritture. È
il suo ultimo tratto di strada in salita come Gesù di Nazareth prima di “essere
innalzato” come aveva profetizzato (3,14). La prospettiva di Giovanni fa
coincidere l’innalzamento di Gesù sulla croce con l’innalzamento di Gesù nella
Gloria. È da lì che può “attirare tutti a se” (12,32). Anche qui in Karamoja,
dopo quarant’anni di evangelizzazione, tutte le alture più significative nei
dintorni di Parrocchie hanno una croce che svetta ben visibile. L’ultima di
queste fu issata nella nostra Parrocchia in occasione del Giubileo del 2.000.
Matany è un’area di savana piuttosto pianeggiante con l’eccezione di una
collinetta di appena 200 metri che però la rende visibile anche da molto
lontano. All’inizio della Quaresima fu organizzata una processione per portare
un’enorme croce in metallo che fu innalzata in cima alla collina. Fu davvero
incredibile come man mano che ci avvicinavamo alla collina la gente aumentava
sempre di più. Quando arrivammo in cima era impossibile contare tutti i fedeli;
la croce li aveva attirati tutti a sé. La gente ricorda ancora quell’evento
come una grande benedizione perché quell’anno le piogge furono abbondanti e il
raccolto fu davvero enorme per tutti. In conseguenza di ciò non ci furono
razzie di bestiame e ci fu pace.
- Secondo quadretto: vv.19-22. Pilato è l’autore
dell’iniziativa di mettere la targhetta sulla croce. Di solito una scritta
viene messa per comunicare un messaggio che si vuole rendere pubblico. È come
se Pilato mettesse la sua firma a prova di un compromesso accettato per paura,
di una beffa nei confronti degli Ebrei così indomiti, conseguenza di una
politica che lo lega e lo costringe persino ad andare contro la sua coscienza.
Ma siccome la croce è il miracolo più grande di Dio, quella scritta si
trasforma nel messaggio più universale e trasparente per le genti che afferma
ancora una volta pubblicamente e universalmente la regalità di Gesù. Qui in
Karamoja dove il livello di analfabetismo è uno dei più alti del mondo mi sono
sentito chiedere per la prima volta in vita mia da una giovane catecumena cosa
fosse il significato di quelle parole. Tutto il mio impeto missionario divampò
all’improvviso e la prima cosa che mi balenò per la testa fu di associare
quella scritta con i tatuaggi che i Karimojong si fanno sulla faccia per
identificare il clan a cui appartengono. Dissi alla ragazza: “tu ami la tua
famiglia, vero? Ne porti perfino i segni indelebili sulla tua faccia per
rivelare a tutti chi ti vuole bene; ebbene quella scritta ci aiuta a capire
l’identità di quell’uomo sulla croce, ci dice chiaramente che lui è il re che
ama tutti quanti”
- Terzo momento: vv. 23-24 Solo Giovanni ci segnala il
dettaglio delle vesti. Per gli antichi il vestito faceva parte dell’essere;
distribuito in quattro parti ai quattro soldati ci richiama i quattro punti
cardinali, indica l’universalità della salvezza di Gesù sulla Croce. I soldati
sono coloro che eseguono dei comandi. L’ordine del risorto sarà perentorio:
annunciare il Vangelo è il comando che ereditiamo ricevendo il Battesimo. La
tunica “tessuta tutta d’un pezzo” che non viene lacerata ci richiama l’unità e
l’indivisibilità del suo Regno. Il Vangelo portato alle genti ha la forza di
radunarci tutti quanti nell’unica famiglia di Dio. A volte ci sembra un
traguardo così lontano eppure se guardo nella mia esperienza missionaria non
sono poche le esperienze in cui mi sono sentito davvero a casa fra i
Karimojong. Un giorno ero andato a fare visita ai villaggi e dopo una mattinata
sotto il sole passata a salutare e a chiacchierare con la gente mi assalì la
sete e la stanchezza. L’acqua nella borraccia era terminata da tempo e il primo
pozzo era a cinque chilometri perché quello nelle vicinanze si era rotto.
Cercai invano di distrarmi quando una donna si avvicinò con un fustino di acqua
e mi disse: “Prendine, l’ho bollita per mio figlio che è ammalato. Ce n’è
ancora”.
- Quarta immagine: vv. 25-27. Si focalizza la scena, un
dettaglio tipico di Giovanni. Maria è destinata ad avere con tutta l’umanità
attraverso la Chiesa una relazione unica: non siamo più orfani perché la sua
presenza ci accompagna e riempie il nostro cuore di consolazione e di gioia. Il
flagello dell’aids ha provocato un mare di lacerazioni famigliari specialmente
nel continente africano che detiene il primato di vittime contagiate da questa
piaga. Maria è vicina alla comunità cristiana anche qui in Karamoja che ha
cambiato radicalmente la cultura in questo aspetto. In questi casi infatti gli
ammalati venivano abbandonati completamente e lasciati morire lentamente di
stenti. Non sono trascorsi molti giorni da quando Angelina, un’operatrice
sociale del posto, mi chiama perché un paziente in ospedale vuole togliersi la
vita perché affetto dalla malattia. Sono rimasto a lungo a parlare con
quell’uomo, ormai ridotto a una larva. Parlava a sussurri e spesso si
interrompeva chiudendosi in lunghi silenzi. Si chiamava Lopeyok, e i suoi occhi
comunicavano tanta voglia di vivere. Mi dissero che aveva circa 25 anni. Prima
di congedarmi gli affidai un’immaginetta di Gesù. Il giorno dopo lo trovarono
morto nel suo letto con l’immaginetta sotto il cuscino. Aveva ritrovato la
pace.
- Quinto momento: vv. 28-30. Anche Gesù ha sete sulla croce;
è una delle molte sofferenze per chi subisce tale patibolo. La sua sete è
l’ultimo appello e rimane la sintesi del suo testamento per tutti noi. Fino
alla fine del mondo non potremo sentirci a posto finché ci saranno persone a
cui manca l’essenziale per sopravvivere e a cui verrà fatta mancare l’occasione
per conoscere Colui che può dissetare fino in fondo il nostro cuore. È proprio
vero che Cristo ci disseta attraverso i poveri. Da parte nostra non deve mai
mancare l’invocazione del Salmo 42 che ci fa pregare: “L’anima mia ha sete di
Dio, del Dio vivente”.
- Scena finale: vv. 31-37. È il testimone che ci congeda con
l’ultima scena (v. 35). Mostra che chi scrive avverte tutto il peso della
scena. Lo avverte nel “sangue e acqua” che fluiscono dal costato trafitto di
Gesù e lo fa perché il dono che riceve dai simboli che ha davanti è veramente
tutto: la fede nella morte del Figlio di Dio che salva tutta l’umanità. “Chi ha
visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il
vero, PERCHÉ VOI CREDIATE”. La possibilità è così data a tutti di intraprendere
il cammino della fede. È difficile fare bilanci specialmente in campo di fede.
Limitiamoci perciò a fare nostro lo sguardo del testimone che diventa profezia
per chiunque avrà il coraggio di “volgere lo sguardo al trafitto”. Solo così potremo
ritrovarci a nostra volta travolti dall’infinito amore di Cristo per noi.
“Poiché l’amore del Cristo ci spinge”, scrive Paolo, (2Cor. 5,14) noi siamo
chiamati a diventare testimoni per amore fino agli estremi confini della terra.
Dovremmo servirci della morte di Cristo per entrare più a fondo nella vita e
diffondere la vita. Di cosa abbiamo ancora paura? Ce lo ha insegnato e
confermato per l’ennesima volta la vita e la morte di Giovanni Paolo II.
p. Damiano
La voce
di un popolo
Il 29 ottobre 1996 per Christophe Munzihirwa, Arcivescovo di
Bukavu,
si è compiuto il martirio per l'Africa, attraverso le mani di un gruppo di
militari rwandesi. Tre sono stati gli elementi che hanno contraddistinto la sua
esistenza: la profezia, lettura della situazione senza compromessi con il
potere; la fraternità, vettore di un amore indistinto, senza pregiudizi; il
martirio, volontà di rimanere a fianco delle vittime fino alle estreme conseguenze.
Non c'è che un prezzo da pagare per la libertà, il prezzo del sangue, diceva.
Nel 1994, poco prima del genocidio del Ruanda scriveva un
articolo "Les Nations veulent-elles se servir de la région des grands
lacs?", che la diceva lunga sulla sua capacità di leggere la realtà
che stava vivendo il suo paese; e la gente andava spesso ad ascoltarlo durante
le sue messe perché sapeva dare una parola vera per lo spirito, ma anche per la
vita sociale.
Come già lo denunciava la società civile, spesso scrive
lettere pastorali che denunciano la crisi che sta per arrivare in Ruanda; e già
si mobilita per cercare di salvare i tutsi in pericolo. Era andato anche a
Kinshasa per denunciare la politica sporca del governo e la vendita di armi
alle due parti in conflitto in Ruanda. Sapeva di essere in pericolo; pochi
giorni prima che la città di Bukavu fosse presa era stato sollecitato dai suoi
amici a la sciare la città e mettersi in salvo, e lui rispose che però la gente
non aveva dove scappare!
Quando ci si rese conto che il potere di Kinshasa era
dimissionario e complice e che la comunità internazionale era indifferente ai
problemi del Congo e in particolare del nord-est, la società civile, i partiti
politici, i capi villaggio dissero all’arcivescovo: “tu resti la sola autorità
morale che ci può rendere servizio. Cosa dobbiamo fare perché la città non
conosca i saccheggi, gli assassini e il regolamento di conti che hanno
conosciuto a Uvira, Sange, …?”. E mons. Munzihirwa chiede alla gente di
prendere il coraggio in mano e di restare nelle proprie case, e a non fuggire.
Si sapeva che l’arcivescovo era la 2° persona sulla lista
delle persone da eliminare. Quando i militari arrivarono a Bukavu chiesero dove
fosse la casa del governatore, dell’arcivescovo e del comandante; solo mons.
Munzihirwa era rimasto, gli altri due erano già scappati. Sono andati e l’hanno
ucciso.
Poco
prima della sua morte scriveva alla cittadinanza: “non cedete all’odio e alla
vendetta, perché i nemici di oggi domani ritorneranno nei nostri mercati, nelle
nostre strade”. Chiedere la giustizia non significa dare spazio alla vendetta e
all’odio.
Nelle sue
prediche e nei suoi messaggi scritti, denunciava la mancanza di amore, l’odio
tribale; deplorava la destabilizzazione socio-economica del Kivu. Nella sua
preoccupazione di far rispettare la giustizia e il diritto, non sopportava che
si maltrattasse un uomo, creato a immagine di Dio. Nelle sue numerose prese di
posizione interpellava i governi, le istituzioni internazionali, gli Stati e lo
stesso popolo. Non risparmiava l’ONU e le organizzazioni umanitarie davanti
alle assenza nell’assistenza e sostegno dei rifugiati. Denunciava gli arresti
arbitrari, la scomparsa di persone influenti, le condizioni di vita scandalosa
nelle prigioni, il clima di terrore.
Fu difensore dei senza voce, fu vittima dell’odio e pagò per
il suo impegno per la pace e la giustizia.
“Noi siamo tutti convocati a una creatività audace, a una
responsabilità più ampia, a una solidarietà che superi quella dei clan e si
moltiplichi nelle comunità con i vicini e nei quartieri, nelle comunità
educative e scolastiche, nelle comunità professionali, nella nazione e nella
Chiesa soprannaturale. I giovani sono il nostro avvenire, che è già in cammino
oggi.(Jeunesse et développement au Zaïre..., Zaïre-Afrique 188, 1984,
p.486)
per approfondire
http://membres.lycos.fr/apema/mort%20de%20mgr%20munzihirwa.htm
http://ospiti.peacelink.it/burundi/notiz4.html
http://www.gospelcom.net/dacb/stories/demrepcongo/f-munzihirwa.html
http://www.nkolo-mboka.com/index-3-novembre-2003.html