Marzo 2005
“Se mi uccideranno, risorgerò nel popolo salvadoregno”
Non è uno slogan, ma
il testamento di speranza che monsignor Oscar Romero diede al suo segretario
quando le minacce di morte lo incalzavano da più parti!
Vogliamo fare memoria
di un pastore coraggioso, che si lasciò convertire dal dramma della sua gente,
condividendone completamente
Ti chiediamo, padre dei poveri, vescovo martire, di parlare
alla tua e nostra chiesa: provocala, accompagnala in questo cammino di
conversione fino alla Pasqua.
Già: il 24 marzo, quest'anno, sarà anche giovedì santo. Come
non collegare la sua passione con quella di Gesù? Cosa significa per noi essere
cristiani e mangiare la Pasqua, in un tempo di violenza che ci deve convertire
ogni giorno?
Chiediti anche tu senza tante metafore: per chi e cosa vivi
la tua passione più profonda?
La Pasqua è proprio così, il trionfo della Vita. Da una
parte va preparata e dall'altra va accolta.
Giocati fino in fondo, allora: trova il tempo e i modi per
far posto all'irruzione del Dio della Vita; che non ci capiti di rimanere
bloccati sul Calvario mentre il Risorto ci aspetta con trepidazione nella
“Galilea delle genti”, nelle periferie della storia di oggi, marzo 2005.
Buona conversione a tutti, senza esclusi.
p.
Missione perché vivere è vedere la
nuova creazione
Gv. 9,1-41
Veramente
curioso Giovanni. Se vogliamo sintetizzare il messaggio generale di questo
capitolo, due sono le cose fondamentali: un cieco dalla nascita acquista la
capacità di vedere e presunti vedenti invece restano ciechi. Ciò che è
importante in questo racconto per noi è cercare di identificarci con i vari
personaggi e accettare, come il cieco, di essere processati quasi all’infinito.
Credere è diventare un tutt’uno con questo cieco nato per fare la sua stessa
esperienza di luce. Non credere è continuare ad essere tra quelli che vogliono
restare ciechi perché presumono di non esserlo. Si dice spesso che la fede è
cieca, facendo confusione con l’irrazionalità della creduloneria, ma qui in
ballo c’è un cammino di illuminazione che ci fa uomini nuovi, nati dall’alto,
(Gv. 3,3) dal Battesimo. Non per niente i Battezzati sono chiamati “illuminati”
(cf. Eb. 6,4; 10,32).
Un aspetto
che mi impressiona sempre di questo cieco è che non si stanca né perde mai la
pazienza di lasciarsi sottoporre agli interrogatori dei suoi aguzzini, anzi,
tipica ironia giovannea, è proprio attraverso tutti questi processi che arriva
a vedere meglio. Senza la difesa nemmeno dei suoi genitori (cf. vv. 18-23) è
ormai sulla strada della libertà e della pace della fede in Cristo. La
conoscenza che egli ha di Gesù come “quell’uomo” (v. 11), diventa sempre più
chiara e profonda nella prova: è un profeta (v. 17), è da Dio (v. 33), è il
Figlio dell’uomo, è il Signore che vede e adora (vv. 35-38). Il cieco
all’inizio ?non sa dove sia? (cf. v. 12) infine lo accoglie come quello che
parla con lui per credere in lui e adorarlo (v. 37-38).
Proprio in
questi giorni qui in ospedale è passato uno specialista in oculistica il quale
ha trascorso dieci giorni quasi interamente in sala operatoria. Gli mandavamo i
pazienti al mattino molto presto dove diagnosticava e decideva sul da farsi.
Per ricordarsi li segnava tutti con delle X con pennarelli di diverso colore
nella zona dell’occhio o sulla fronte a seconda di come dovesse operare. Era
davvero impressionante vedere le lunghe code di gente in attesa fuori dalla
sala operatoria dove l’oculista entrava alle
Infatti è
come se lo accecasse di più mettendogli il fango sugli occhi. Il cieco che
accetta e si fida di Gesù che lo imbratta di fango e che lo manda a lavarsi a
Siloe, cioè inviato (v. 7), è il segno della creazione nuova che Gesù opera in
noi per essere inviati a portare la sua luce nel mondo. Il vedere che
acquistiamo con la fede in Gesù è il dono di vedere il mondo e le persone come
fratelli: è un guardare dalla posizione di Dio. È lo sguardo che ci spinge a
coinvolgerci, a rischiare e a donare la nostra vita e per collaborare con Lui a
trasformare il mondo di oggi e di sempre nel Suo Regno di giustizia e di pace.
Ma non
dimentichiamoci che troveremo sempre polemiche: Gesù è colui che non osserva il
sabato. L’impastare infatti è una delle trentanove opere vietate nel sabato
dalla Mishnah. La tradizione rabbinica vietava in giorno di sabato anche di
ungere gli occhi perché il male che li colpisce non porta alla morte e può
essere guarito il giorno dopo. Il papa, al numero 46 della lettera enciclica
Sollicitudo rei socialis parla per la prima volta di “strutture di peccato” da
smascherare e combattere per ottenere una liberazione autentica delle persone.
Sono le strutture economiche che mettono in ginocchio miliardi di persone, sono
i sabati di sempre che non vogliono che la luce nuova del vangelo spenda sulla
famiglia umana. E allora? Accetteremo la sfida di Gesù? Saremo disposti a
superare tutte le prove per caparbiamente testimoniare la sua luce che è in
noi? Basta accettare di proclamare e testimoniare fino in fondo ciò che lui ha
fatto in noi. Forse con più gente che accetta di essere cieca e in bisogno
della costante guarigione di Cristo riusciremo insieme a trovare la strada
della giustizia e della pace proprio per evitare di confondere una cosa per
un’altra come ci insegna questo racconto e liberarci dalle paure e dalle
illusioni che ci rendono schiavi di noi stessi.
Vi era in
Africa una città i cui abitanti erano tutti ciechi. Venne a passarvi un re con
il suo esercito, e vi piantò le tende. Per fare pompa del suo prestigio,
metteva in mostra un grosso e imponente elefante. Venne alla gente il desiderio
di accostare quell’elefante, di conoscere quel mostro. E molti di quei ciechi
si recarono dall’elefante, per rendersi conto, alla maniera degli orbi, della
sua forma e figura. E non potendo vederlo con gli occhi, lo palparono con le
mani. Chi gli toccò un membro e chi un altro, e così ognuno ne conobbe soltanto
una parte. E ognuno se ne formò un’idea assurda, ognuno legò la sua mente a
un’immagine fantastica. Quello a cui la mano era caduta sull’orecchio,
interrogato dagli altri intorno all’elefante, disse: “È una forma paurosa,
ruvida e larga come un tappeto”. Quello che con la mano aveva raggiunto la
proboscide, disse: “L’ho conosciuto bene. È come un tubo vuoto, una cosa
terribile, uno strumento di distruzione”. Colui infine che aveva toccato le
massicce e formidabili gambe dell’elefante, disse: “Ha precisamente la forma di
una colonna ben tornita”. Tutti avevano visto una sola parte e tutti avevano
visto male. Così è degli uomini nei confronti di Dio e della realtà che li
circonda. Si è sempre tentati dei vedere solo una parte e prenderla per il
tutto. Non illudiamoci. L’illuminazione che Gesù ci dona è il nostro costante
cammino di conversione di tutta la nostra vita per lasciare gradualmente che
solo la sua luce illumini le nostre menti e i nostri cuori.
p. Damiano
“Se vengo ucciso, risorgerò nel mio popolo"
Oscar Arnulfo Romero Galdamez nasce il 15 agosto
"Ognuno ha le sue radici. Io
sono nato in una famiglia molto povera. Ho sofferto la fame, so cosa significa
lavorare da bambino. Da quando entrai in seminario e iniziai i miei studi, fino
a quando mi mandarono a Roma a finirli, passai anni e anni tra i libri,
dimenticandomi delle mie origini. Mi costruii un altro mondo. Poi tornai in El
Salvador e mi diedero l'incarico di segretario del vescovo di San Miguel.
Ventitré anni di parroco lì, ancora immerso nelle carte. E quando mi portarono
a San Salvador come vescovo ausiliare, caddi nelle mani dell'Opus Dei e lì
rimasi... Poi mi mandarono a Santiago de Maria e lì mi scontrai di nuovo con la
miseria: con quei bambini che morivano solo per l'acqua che bevevano, con quei
contadini che faticavano duramente per ore e ore... Sa, il carbone che è stato
bragia, un piccolo soffio e prende fuoco! E non fu roba da poco quello che
successe quando arrivò all'arcivescovado Padre Grande. Lei sa quanto io lo stimassi.
Quando io vidi Rutilio morto pensai: se lo hanno ammazzato per quello che
faceva, tocca a me camminare per la sua stessa strada... Cambiai, sì, però fu
anche un ritorno."
Nel febbraio 1977 è nominato arcivescovo di San Salvador,
cosa molto gradita a tutti i quadri del potere costituito.Un mese dopo, cadde
sotto le raffiche delle armi padre Rutilio. Il presidente Molina, ritenendo di
fargli cosa gradita, gli annunziò per primo l'avvenuta esecuzione di padre
Rutilio. Gli si aprirono allora gli occhi e le orecchie e intuì tutta la
portata delle parole dell'Esodo: “Ho osservato la miseria del mio popolo... ho
udito il suo grido... e sono sceso per liberarlo”.
Seguono tre anni di lotta in difesa del “suo popolo”. Una
lotta che parte dal suo incontro con Cristo e la Parola e lo mettono sulle
strade del suo paese per far vincere la vita, di tutti, ma specialmente dei più
poveri
Un mese
prima della sua morte, sul quaderno degli esercizi spirituali, annotò: "Il
nunzio di Costa Rica mi ha messo in guardia da un pericolo imminente proprio in
questa settimana... Le circostanze impreviste si affronteranno con la grazia di
Dio. Gesù Cristo aiutò i martiri e, se ce ne sarà bisogno, lo sentirò molto
vicino quando gli affiderò il mio ultimo respiro. Ma, più dell'ultimo istante
di vita, conta dargli tutta la vita e vivere per lui... Accetto con fede la mia
morte per quanto difficile essa sia. Né voglio darle un'intenzione, come
vorrei, per la pace del mio paese e per la crescita della nostra chiesa...
Perché il cuore di Cristo saprà darle il destino che vuole… In lui è la mia
vita e la mia morte… In lui ho riposto la mia fiducia, e non resterò confuso, e
altri proseguiranno con più saggezza e santità il lavoro per la chiesa e per la
patria".
Viene
ucciso il 24 marzo 1980 mentre celebra l’eucaristia. Pochi giorni prima aveva
invitato i militari all’obbiezione di coscienza, un gesto intollerabile per la
dittatura militare.
"...Vorrei
fare un appello speciale agli uomini dell’esercito, in concreto alla base della
Guardia Nazionale, della polizia, delle caserme. Fratelli, siete del nostro
stesso popolo, perché uccidete i vostri fratelli campesinos? Davanti all’ordine
di uccidere deve prevalere la legge di Dio che dice: non uccidere. Nessun
soldato è obbligato a obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio. Una
legge immorale non ha l’obbligo di essere osservata. È tempo di recuperare la
vostra coscienza e di obbedire prima alla vostra coscienza che all’ordine del
peccato. La Chiesa, che difende i diritti di Dio, la Legge di Dio, la dignità
umana, la persona, non può restare silenziosa davanti a tanta ignominia.
Vogliamo che il Governo comprenda che non contano niente le riforme, se sono
tinte di sangue. In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente,
i cui lamenti salgono fino al cielo ogni giorno più clamorosi, vi supplico, vi
scongiuro, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!".
Per saperne di più:
Ettore Masina, L'arcivescovo deve morire:
Oscar Romero e il suo popolo, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1996.
Il film: Romero, diretto da John Duigan,
www.manitese.it/mensile/500/romero.htm