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Ottobre 2004

Missione giovane… Vita piena per tutti.
Missione è toccare la Parola di vita (1 Gv 1,1-4)
Fiducia in Dio, impegno per i più poveri

Missione giovane… Vita piena per tutti.

 

Inizia un nuovo anno, un nuovo cammino; di strada ne abbiamo già fatta in questo inizio d’anno GIM, percorrendo le strade d’Italia con la carovana della pace che per dodici giorni ha viaggiato per alcune città d’Italia per incontrare e conoscere, per parlare ed ascoltare, per annunciare e denunciare. Un cammino incontro e per la vita, per proporre la pace; una pace che è assenza di guerra, ma anche dignità della persona, libertà di parola, possibilità di istruzione e di cure mediche, possibilità di vita piena, e questa per tutti; perché fino a che la vita sarà piena solo per pochi non ci potrà essere pace.

Allora quello che ci si apre davanti è un cammino che parte non dalla linea di partenza, ma è già in marcia e ti invita a tua volta a metterti in strada; è un cammino per te giovane, a vivere la missione, ad incamminarti sulle strade di casa tua, ma anche quelle del mondo, per vivere la missione. Una missione giovane perché fatta da giovani, come i giovani che hanno partecipato direttamente alla carovana, o quelli incontrati nelle piazze e nelle strade; ma giovane anche perché rende “giovane”, capace di stupirsi, di entusiasmarsi, di giocarsi la vita per le cose che valgono veramente.

Ed è su queste cose che siamo chiamati a impegnare la nostra vita, impegnarla per Gesù Cristo, sull’esempio di tanti testimoni che ci hanno accompagnato nella carovana, o altri che abbiamo conosciuto personalmente e altri che incontreremo lungo tutto l’arco dell’anno, dai quali ci faremo accompagnare, provocare, per poter trovare il nostro posto in questa missione giovane dove impegnare la nostra vita perché “vinca la vita”!

Buon cammino!

p. Bakanja, p. Rossano e sr. Bruna

 

 

Missione è toccare la Parola di vita (1 Gv 1,1-4)

 

Dopo anni in Karamoja è sempre impressionante vedere come vivono le tribù di pastori che vi abitano. I Karimojong passano la loro vita in prevalenza all'aperto pascolando il loro bestiame nella savana semi arida. L'immensità del cielo sopra di essi stuzzica la loro immaginazione. Il firmamento è per loro, come un grande cerchio che copre la terra. Anch'esso è piatto e assomiglia ad una grande savana. La via lattea rappresenta la irregolarità della savana e le nuvole sono le mucche al pascolo; la luna con la sua aureola è la stalla dove ogni sera fanno ritorno. C'è poi il grande villaggio ben visibile alla sera dai fuochi accesi (le stelle) dove abitano i defunti. Quello che impressiona, non è tanto che il cielo è per loro come una seconda terra ma che in esso risiede la "Forza" che ha dato origine a tutto ciò che esiste e che influenza la vita qui in terra. Non c'è assolutamente confusione tra il cielo e Dio. A differenza del cielo che può essere visto la "Forza" nessuno l'ha mai vista.

"Ciò che era fin da principio" scrive Giovanni nella sua prima lettera; "ciò, quello, la cosa..", potremmo parafrasare. Mi ha sempre impressionato questo modo strano di sottintendere Dio. L'espressione incapsula in una preposizione tutto ciò che appartiene al mondo di Dio e che noi conosciamo solo di riflesso. La sua immensità, la sua bontà, la sua potenza e onnipotenza, universalmente riconosciute da tutta l'umanità. È questo il punto di partenza di ogni esperienza di Dio: percepirlo come "la Forza" inafferrabile che ha dato origine ad ogni cosa e non confonderlo con quello che i nostri sensi possono percepirlo proprio come i Karimojong. Ma questo non basta. La prima Bella Notizia che Giovanni ci comunica è che i nostri sensi sono capaci di un rapporto unico con Lui. La grande sfida è che dobbiamo scoprirlo per trovare il potenziale racchiuso in noi. "Ciò che noi abbiamo udito, veduto, contemplato,toccato,ossia il Verbo della vita, noi rendiamo testimonianza e vi annunciamo". È davvero incredibile notare come Giovanni ci indica i passi per arrivare a gustare e condividere in pienezza la vita che Dio ci ha donato (Gv. 10,10); è dove cammina la missione.

- Primo passo: impara ad ascoltare. La missione nasce sempre dall'ascolto e dalla contemplazione. È vero che l'uomo è la parola che ascolta e che dice. Se impariamo a fare silenzio la Parola del Vangelo è capace di riscaldare il nostro cuore e di iniziarlo al mistero di Dio. Ascoltare Dio non vuol dire capirlo ci dice Giovanni, il "ciò" del suo mistero rimane e tuttavia questo può essere sentito, può essere ascoltato, può penetrare il mio intimo in maniera unica e irrepetibile: "Dio parla, Dio mi parla!" è bello qui in missione approfittare delle primissime ore della giornata per accogliere la luce del nuovo giorno nel silenzio e nella contemplazione della Parola affidando tutta la giornata, le persone e le attività a Lui chiedendo la sua benedizione e la sua protezione.

- Secondo passo: impara a vedere. La vista è il secondo senso che Giovanni ci indica. Nel profondo del nostro cuore alberga un desiderio più o meno cosciente: tutti vorremmo vedere Dio. Giacobbe lo vede nell'angelo (Gen. 32,31), Mosè lo vede di spalle (Es. 33,23), Giobbe lo vede con i suoi occhi (Gb. 42,5); Gesù ci invita a vederlo nel fratello sofferente e abbandonato (Lc. 10:25-37). Gli occhi possono guardare e non vedere o vedere solo quello che a loro fa più comodo. Giovanni ci dice invece che si inizia a vedere veramente con gli occhiali del Vangelo. Si inizia a vedere veramente solo dopo avere imparato ad ascoltare la Parola. Da un costante esercizio di ascolto anche in Karamoja si arriva a vedere nello sguardo sinistro del razziatore assassino, il volto dell'uomo sofferente in attesa della libertà di Cristo.

- Terzo passo: impara a contemplare. Chi impara ad ascoltare, inizia a vedere, e vedere bene è soffermarsi, è superare la fase della curiosità per sfociare nella meraviglia della contemplazione che non è fuga dalla realtà ma profonda immersione in essa per percepirne tutte le sue dimensioni e il suo mistero. Molte volte mi capita di fermarmi e scambiare due chiacchiere con i pastorelli bambini che passano intere giornate da soli a pascolare il bestiame sotto il sole cocente. Nei loro sguardi vispi si rivela tutto l'orgoglio e il vigore della vita. Chissà cosa succede in loro mentre tutto il giorno guidano e contemplano il loro gregge?

- Quarto passo: impara a costruire comunione. Toccare Cristo è entrare in piena comunione con Lui. Vera contemplazione porta sempre all'intimità, alla comunione, all'unione, alla condivisione di gioie e sofferenze. È dove la missione raggiunge la sua meta: superare le barriere che ci dividono da Dio e dalla fraternità. Toccare Cristo in Karamoja vuol dire impegnarsi per riconciliare le varie tribù che si osteggiano nelle razzie di bestiame. È successo il mese scorso. Dopo anni di lavoro due tribù si sono trovate e si sono riconciliate. Speriamo e lavoriamo perché la pace si diffonda a macchia d'olio. Non possiamo arrenderci anche se la settimana scorsa hanno ucciso ancora tre autisti sulle strade del Karamoja. La pace di Cristo non è un'utopia ma il frutto della fede e della perseveranza nella testimonianza e nell'annuncio del Vangelo.

Il percorso è segnato. Giovanni ce lo indica. Ora sta a noi nella libertà dello spirito abbracciare la fatica di percorrerlo ogni giorno con fedeltà nell'annuncio di Cristo.

Dice un antico racconto che Dio ha essenzialmente dato all'uomo tre grandi doni: il primo è il mondo come scintilla del suo amore per noi; il secondo è la Sua Parola come anello nuziale per esprimere il suo impegno con noi; da ultimo Dio ci da se stesso, ci comunica se stesso.

La missione, che inizia dal Padre che manda prima il Figlio e poi lo Spirito Santo sta prendendo atto nella storia attraverso persone capaci di non rifiutare la testimonianza e l'annuncio di amore e di dono di Dio per noi. Giovanni non ci dice che annuncia e poi testimonia ma che la testimonianza fonda l'annuncio. Giovanni non è il missionario solitario ma annuncia con e attraverso una comunità perché una testimonianza vera può essere data solo da più testimoni insieme: "noi abbiamo udito, . noi abbiamo contemplato, noi rendiamo testimonianza e annunciamo". È dalla potenza della comunione che c'è in Dio che nasce la missione ed è nella forza della comunità che si realizza nella storia.

Andando per le strade del Karamoja la segnaletica che incontriamo è diversa. Non ci sono i soliti cartelli stradali, ma tante croci e tutte appartengono a qualcuno. C'e quella di Suor Liliana, quella di Padre William, quella di Padre Lokolimoe, quella di P. Decland, quella di Fratel Godfrey e Padre Mario gli ultimi trucidati anche loro come tutti gli altri sulla strada la vigilia dell'Assunta dello scorso anno. Quest'ultima croce ha un dettaglio non indifferente: è fatta con due tubi paralleli per indicare che i due missionari sono stati uccisi insieme. Con loro molti altri innocenti sono morti così sulle strade del Karamoja. Eppure il messaggio di Cristo è più tenace di ogni resistenza culturale. Tutte queste croci fondano la testimonianza del trionfo della Sua vita Risorta.

È questa la vita che ha accolto tanta gente di buona volontà anche qui in Karamoja dall'arrivo del Vangelo come Paolo, Pia, Alice, Peter, Maddalena e tanti altri. Loro hanno detto di no al fucile, alle razzie, agli stregoni, alla poligamia e hanno iniziato a seguire Cristo. Umiliati, derisi, castigati dalla loro stessa gente sono i poveri e i testimoni veri di Cristo in questa terra. È vero sono pochi, ma anche loro brillano nella notte del Karamoja e mi aiutano a contemplare il Regno che viene. Per loro, i fuochi che si vedono in cielo di sera hanno assunto un nuovo significato: veramente non solo cuociono il solo pasto serale e quotidiano di questa gente ma sono il simbolo del fuoco e della luce di Cristo che offre il suo pane, memoria e forza per andare avanti a testimoniare la sua pace e il suo amore. Più fuochi di Cristo riusciremo a contemplare nel cielo del Karamoja e più la vera festa diventerà realtà.

 

Provocazioni:

1) Giovane che stai iniziando il cammino, sei pronto ad accettare il percorso che Giovanni ti indica?

2) La testimonianza costa! Con quale spirito desideri impegnare di più la tua vita?

 

p. Damiano Guzzetti

 

Fiducia in Dio, impegno per i più poveri

 

 

Padre Luís Lintner era nato il 25 maggio del 1940 ad Aldino (Bolzano). Nel 1952 entra nel seminario minore della diocesi di Bolzano. Diventa sacerdote il 29 giugno 1966. Il 24 maggio del 1980 arriva in Brasile come fidei donum; lavora nella diocesi di Barreuras, all'interno di Bahia; nell'agosto dello stesso anno diventa parroco di Tabocas do Brejo Velho, fino al maggio del 1991. Nel 1992 è assistente nella parrocchia di Santa Monica a Cajazeiras (Salvadorde Bahia). Il 7 marzo 1993 diventa parroco della Santissima Vergine di Nazareth, a Cajazeiras 5.

Il 16 maggio 2002 viene ucciso sulla soglia di casa.

La violenza nella favela di Cajazeiras, uno dei quartieri-ghetto di Salvador de Bahia, stava per scoppiare come un bubbone pericoloso. In vent’anni di missione nella Bahia, con il sogno di aiutare i poveri a liberarsi dalle catene dell’oppressione, non aveva mai avvertito tanta paura, sembrava quasi di sentire l’odore acre della morte, la precarietà della vita sua, dei suoi collaboratori e dei poveri Cristi costretti a sopportare giorno dopo giorno la prepotenza l’arroganza delle bande che si contendono il mercato della droga e la furia di alcuni reparti di polizia abituati a risolvere i problemi con le pallottole. Tutto era come precipitato da qualche mese, da quando si era fatto convincere a malincuore a denunciare Claudio, un ragazzo abituato ad assalire la sua casa senza finestre, senza inferriate, senza porte. Ma un bel giorno la polizia entrò nella favela con i soliti metodi repressivi e cominciò a sparare e Claudio venne colpito a morte. Da allora Luis era terribilmente affranto e preoccupato anche se manteneva quel sorriso inerme e disarmante. Quell’azione repressiva l’aveva condannata con forza, addirittura facendo scendere sulle strade i poveri conducendoli davanti al commissariato di polizia per dire “basta, fuori la violenza dalla favela!”.

Mattina del 16 maggio. Luis Lintner aveva appena concluso la messa ordinaria con i collaboratori della Casa do Sol – da lui stesso fondata per dare un futuro ai bambini emarginati del quartiere – e si stava preparando per andare a tenere una lezione biblica. Esce di casa per salire in macchina. Improvvisamente due o tre uomini spuntano dagli imbocchi della strada con delle pistole. Sparano. Gli assalitori fuggono, due in moto e un altro con la macchina di Lintner. Un uomo, che abita di fronte alla casa di Lintner, l’ex poliziotto Sisińo, si getta insieme alla moglie e ad un’altra donna per soccorrere il sacerdote e intanto tenta di riconoscere i killer. Ma per Luis Lintner non c’è più nulla da fare. Una pallottola gli era esplosa nel cervello.

La comunità di Cajazeiras si dispera. Il sacerdote della povera gente, il profeta degli semplici, il nonno dei pescatori come viene definito dalle comunità durante il funerale, avevano perso il loro punto di riferimento. Ancora una volta la violenza aveva tolto la speranza dalle baracche degli oppressi.

Da quel momento parte l’inchiesta sul “caso Lintner”. Alcuni parlamentari chiedono una commissione per capire le cause dell’uccisione, il cardinale Geraldo Majella Agnelo condanna l’attentato e parla subito di possibili legami con i cartelli del narcotraffico. Sisińo e altri testimoni aiutano i poliziotti a ricostruire l’identikit dei malviventi. La polizia apre la pista della rapina, una pista rigettata da tutti dato che la macchina verrà recuperata il giorno dopo l’assassinio con ancora i soldi del sacerdote all’interno. Intanto si fa largo il sospetto che Lintner negli ultimi tempi – con le sue denunce e le sue critiche nei confronti della violenza del sistema – abbia potuto arrecare fastidio ai potenti della zona e in particolar modo ai gruppi del narcotraffico e alle squadre di sterminio dove di confondono alcuni poliziotti della zona. La polizia intanto arresta tre giovani considerati gli esecutori materiali dell’attentato, ma in tre anni il processo non mai stato formalmente aperto, mentre i tre rimangono in carcere.

Il 6 di agosto 2004, Sisińo, è stato terribilmente assassinato con quattro colpi di pistola alla testa mentre usciva dal lavoro. L’esecuzione è l’ultimo atto che accompagna una vicenda destinata, per molti, a rimanere oscura.

In questi anni molti gruppi sia in Brasile sia in Europa hanno voluto ricordare Luis Lintner, come un uomo di grande semplicità ma anche di grande coraggio civile. A Salvador de Bahia il suo impegno era rivolto soprattutto ai ragazzi di strada e ai piccoli per i quali aveva investito moltissimo mettendo in piedi uno dei progetti più all’avanguardia di tutto il Brasile (Casa do Sol).

È uscito in tedesco (ed. Athesia) un libro che ricostruisce tutta la storia di padre Luis e con la pubblicazione delle numerosissime lettere che egli ha inviato dal Brasile. Il libro uscirà anche in italiano per le edizioni EMI.

 

Francesco Comina

 

 

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