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Conferenza stampa PIME – Milano, 25 settembre

sr. Eugenia Bonetti, Anna Pozzi

 

 

Milano, 25 settembre 2008

Conferenza stampa
PIME – Milano


Relatori:

Gerolamo Fazzini presidente di Mondo e Missione
 
Sr.Eugenia Bonetti missionaria della consolata, responsabile della rete contro la tratta delle donne.

Rossano Breda missionario comboniano, coordinatore carovana della Pace

Anna Pozzi giornalista di Mondo e Missione e curatrice della mostra

 
G. F.: All’interno della Carovana è presentata mostra fotografica “Mai più schiave”,iniziativa per sensibilizzare sul tema della tratta. Iniziamo da un’introduzione sulla Carovana della Pace.

R. B.: La Carovana è un’esperienza che nasce dal 2000 e che ha visto tre edizioni successive (2002, 2003,2004 [ndr]). A differenza delle precedenti, coinvolge più istituti missionari; coinvolge anche maggiormente i centri missionari e le realtà presenti sul territorio. Obiettivo è di tessere reti.
Tre aree di interesse:
-    Migranti;
-    Ambiente, in particolare il discorso legato al tema dell’acqua;
-    Preparare la pace e in particolare sensibilizzare al problema delle armi.
Questo evento si concluderà a Roma.
Il protagonismo della Carovana è dei giovani: giovane evangelizza giovane.
Il tema è “Libera la parola”: dare voce a una parola che è troppo spesso rinchiusa in situazioni di ingiustizia. Dar voce il più possibile al sud del mondo e ai “vari sud”.
Riferimento alle varie campagne:
-    Imbrocchiamola: acqua è bene che non si può commercializzare. In più, quella del rubinetto  è più sicura e controllata.
-    Banche armate e parrocchie disarmate: dove finiscono i fondi della Parrocchia?
-    Campagna di sensibilizzazione sull’accoglienza del migrante

Giornalista: Partecipanti nel 2004?

R.B.: Contattate all’incirca 5000 persone

G. F.: L’iniziativa sulla tratta è nata nei mesi scorsi, e in particolare nasce da un'idea avuta l’anno scorso da Anna Pozzi, e dall'incontro con ragazze nigeriane aiutate da Eugenia e altre.
A questo progetto partecipavano varie persone, e ciò ha permesso di fare un reportage per queste ragazze.
Riguardo a questo progetto: un dossier, pubblicato da riviste della Fesmi per questo lavoro di sensibilizzazione e poi ci sarà un catalogo della mostra.

A.P.: Questa mostra è una tappa di un cammino. Mostra itinerante che è fatta per essere usata e serve per denunciare innanzitutto il traffico di esseri umani. La mostra continua questo cammino. Dice cose semplici, sostanzialmente:
- Chi sono queste ragazze: non prostitute ma prostituite;
- Cosa: traffico di armi;
- Dove e quando: in Nigeria, un anno fa (2007);
- Perché: povertà, fame, ingiustizia, in particolare ingiustizia distributiva. Quando si va in Nigeria si capisce perché queste ragazze diventano vittime di questa schiavitù.
  
 

Sr Eugenia: Ho vissuto giovinezza nella bassa milanese; nel ‘59 sono diventata missionaria della consolata. Il nome è preso dal nome di una suora uccisa in Kenya dai Mao Mao.
La reazione è stata di prendere il suo posto.
La mia vita missionaria è cambiata dopo l’incontro con una ragazza nigeriana, Maria; non sapevo niente di lei, ma quella ragazza è diventata la mia catechista.
Missione non è solo geografia ma è nelle realtà delle persone che chiedono aiuto. C’è il desiderio di diventare la loro voce, le uniche a non guadagnare.
Dal 2000 sono a Roma, 9 anni di lavoro per coordinare il lavoro di tante suore.
Il problema era invisibile. La mentalità e la cultura era diversa, è stato difficile.
Non si trattava di prostitute, né di prostituzione: bensì di una forma di schiavitù nuova, la schiavitù del XX secolo.
Ho capito che le congregazioni devono lavorare insieme perché è in gioco la persona umana. C’è stata pressione sul governo, incontro con la Caritas ambrosiana e italiana con invito alle ministre donna.
Perché si poteva dare loro aiuto, ma mancavano carte e documenti.
Denunciare ed annunciare con forza, questo era quello che dovevamo fare.
Dare legalità a queste donne. Tornare a casa a mani vuote per loro è umiliazione, perché vengono in Italia per aiutare la famiglia. Si sacrificano per la famiglia.
E’ uscita poi legge, articolo 18, che si trova sul libro di Sr Rita
(R. Giaretta, Non più schiave. Casa Rut, il coraggio di una comunità, ed. Marlin [ndr]).
A.P. Sr Rita ha scritto lettera a Carfagna.

Sr. Eugenia: Non sono più persone, si devono riappropriare della loro vita della loro dignità.
Grazie all’articolo 18, ci sono molte persone che lavorano per il recupero di queste donne.
Questo si è basato essenzialmente sulla fiducia, sulla parola. Queste donne non arrivano più per aereo ma attraverso il deserto: è una tragedia, soprattutto quando arrivano a Lampedusa, che vedono come terra promessa; ma da cui poi vengono vendute, dopo una  permanenza nel CPT. Durante il viaggio le usano tutti, molti bambini nascono nel deserto.
Ruolo di una chiesa che ha il coraggio di denunciare: Sr. Rita ha un gruppo di nigeriane in carico,cui deve restituire la voglia di vivere.
Si sono riunite molte suore: 110 istituzioni, di cui 70 si sono impegnate perché nel 2000, anno santo, non si  potevano chiudere le porte, bisogna spezzare le catene della schiavitù.
Ma si voleva incidere anche nei Paesi di origine per prevenire.
Le suore non sapevano niente: ne sono venute alcune in Italia, le hanno portate sulla strada e sono rimaste esterrefatte.
Si è chiesto aiuto ai Vescovi, e hanno scritto lettera nel 2002 per ripristinare la dignità di queste donne.
Riferimento a maman e a riti voodoo: lo stregone ha tanto potere in terra africana. E’ ancora forte la paura nei confronti degli spiriti, e le fanno giurare di non scappare, di non denunciare, altrimenti…
  
Ragazze dell’est sono avvinghiate affettivamente da finti fidanzati; le donne nigeriane sono controllate da violenza psicologica, dagli spiriti. Questa ossessione, a volte, le porta alla pazzia.
Sono perse, non raccontano cosa è loro successo: a casa pertanto non sanno perché tornano e non le accettano. 

(Sr. Eugenia aveva bisogno si fondi, è andata alla CEI a presentare il progetto.
Hanno così ottenuto finanziamenti e si è costruita casa d’accoglienza in Nigeria. Hanno così fatto esperienza vera di queste ragazze, di questa povertà.)

Ci sono 2 poli in questo dramma e va denunciato. C’è problema socio-politico. C’è povertà nell’Occidente: povertà di valori. Queste donne ci danno fastidio danno fastidio a nostro pudore, ma non ci chiediamo perché sono qui. Dobbiamo lavorare sulla domanda, far riscoprire il valore della persona. Siamo abituati a comprare tutto, anche le minorenni. Ingenuità di chi pensa che usandole, fa’ loro bene dando dei soldi.
La Carovana della pace aiuta a portare avanti  anche questo messaggio.
In Africa era bella la visione della donna, considerata palo della capanna rotonda: se togli il palo la capanna crolla. Per l’Africa la donna è ancora questo palo, se lo togliamo crolla.
Aiutiamo la donna africana a riappropriarsi della sua dignità, della voglia di vivere e di essere donna, piena di solidarietà, pace e desiderio di costruire il futuro.

F: Il fatto è che questa rete italiana è parte di una rete più grande: sr Eugenia ha avuto anche contatti con la conferenza americana in una colazione con la moglie di Bush.
E.B.: Nel 2007 si è tenuto un convegno, cui ha partecipato anche l’America, per creare una rete: “Costruire rete è il ruolo profetico delle religiose contro la tratta degli esseri umani”. La rete serve per salvare queste ragazze,a mandandole via dai luoghi più pericolosi.
(Rif a discorso tenuto per il funerale di Tina, una ragazza rumena, uccisa da un cliente. Una morte del genere non deve più avvenire.
Cosa possiamo fare? Centriamo tutti, in un modo e nell’altro abbiamo tutti le nostre responsabilità.
Perché dobbiamo inveire contro di loro quando sappiamo che in Italia ci sono milioni di clienti.
Aiutare i giovani a capire dignità umana, uomo immagine e somiglianza di Dio.
Non solo in Nigeria bisogna lavorare sulla prevenzione, anche qui, in particolare sulla prevenzione della richiesta. Formare menti nuove e coscienze nuove.
Domanda Giornalista: Bisogna aspettare che loro scappino o serve anche il dialogo?
E: Può servire ma bisogna rispettare il loro tempo. Loro dovrebbero fare anche una denuncia per bloccare i trafficanti, ma ci vuole tempo per farle ambientare, per farle sperare in un futuro.
Le famiglie non sanno cosa fanno le figlie ma sanno che devono pagare il debito e per questo chiedono loro di continuare a lavorare.
Ci sono suore che con avvocati si occupano di proteggere la famiglia dalle minacce delle maman.
Si cercano di instaurare relazioni di fiducia con queste; è comunque importante far vedere loro anche figure maschili, perché la loro visione di uomo è purtroppo unica.
Domanda Giornalista: Cosa si fa in Italia? Sta usando strumento giusti?
E: Sono misure per nascondere il problema, ma non lo risolvono: è sbagliato mettere sullo stesso piano vittima e cliente. Perché non parliamo di trafficanti e maman? Perchè loro hanno già  permesso di soggiorno, ma non si sa come li ottengano: c’è molta corruzione.
Ma cosa ne sanno quelli che fanno leggi su questo? Almeno avvaletevi di chi conosce la situazione. Per questo, insieme ad altre ho fatto molte proposte per modificare l’articolo 18 e salvare davvero queste donne.
Il metodo migliore è la formazione dei giovani.
Ieri incontro con la regione Lazio, covo di queste situazioni.
Il problema non è risolto, ma nascosto.
Voi media dovete porre attenzione su questo problema, che è un problema maschile, un problema di richiesta, non è problema per le donne.
Dove sono i clienti?
Il problema va risolto con metodi diversi.

( rif. a www.missionline.org  dove c’è lettera di Sr. Rita a Ministro delle pari opportunità, Carfagna).

Fazzini: contributi mostra sono di Famiglia Cristiana, Fondazione Cariplo e regione Lombardia.   

A. Pozzi: presentazione nuovo formato di Mondo e missione. Con Dossier tutto sulla Nigeria.

E.B. ha conosciuto ambasciatori e potenti della Nigeria.

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