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La ricchezza in Africa cresce in media del 4,9% l’anno, ma in modo estremamente diseguale. Le prime sei città del Sudafrica hanno il 31% della popolazione ma producono il 55% del reddito nazionale. Vi sono Paesi come l’Uganda dove la crescita urbana è stata del 32810% dal 1950

Senza sviluppo né democrazia: le megalopoli africane nella lente del Covid

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In Africa il Covid, come altre pandemie, portano a puntare il dito sul Sacro: «È una punizione divina». «Ma se il divino puntasse il dito verso di noi?», si chiede un missionario. Che cosa potremmo dirgli? Se ci domandasse: chi ha costruito baraccopoli con 80 mila persone per chilometro quadrato? Chi ha prodotto città con 10-20 milioni di abitanti? Chi non ha portato acqua nelle case, il sistema fognario e la luce elettrica? Chi ha reso gli abitanti profughi, mendicanti, nel proprio Paese? Chi ha trasformato ammassi di fango e lamiere in una parte consistente del mercato immobiliare di città come Nairobi?

Il Covid porta prepotentemente all’attenzione il tema delle città, di un sistema urbano inarticolato fatto di poche grandi città che da sole hanno più della metà della popolazione urbana di un Paese. Questa concentrazione pone problemi formidabili che il cambiamento di scala modifica anche da un punto di vista qualitativo: un conto è raccogliere rifiuti in 20 città da un milione di abitanti, un altro è raccoglierli in una megalopoli da venti milioni come Lagos. Ma poi questa urbanizzazione di cosa è fatta? Essenzialmente è una «crescita urbana senza città» perché il 70% dei nuovi abitanti finisce in baraccopoli. Tutte questioni di cui sapevamo già, ma che il virus ha reso drammaticamente evidenti.

Il problema nell'Africa a sud del Sahara è che queste città mettono in crisi anche le più consolidate teorie economiche. Infatti, la solida correlazione tra urbanizzazione e sviluppo economico viene meno: le città continuano ad avere sempre più abitanti senza che vi sia una corrispondente crescita del reddito pro-capite. Da notare che all’inizio del secolo scorso solo il 5% della popolazione del Continente africano viveva nelle città; nel 1950 era già il 14% (27 milioni di persone), adesso secondo le stime più recenti della Banca Mondiale è pari al 42%, oltre 600 milioni di persone. (Vi sono alcuni Paesi, come l’Uganda dove la crescita urbana è stata del 32810% rispetto al 1950).

Permane, al contempo, una sproporzione positiva tra crescita della città e sviluppo economico. Le prime sei città del Sudafrica hanno, secondo UN-Habitat, il 31% della popolazione ma producono il 55% del reddito nazionale. Johannesburg da sola contiene il 6,3% della popolazione e contribuisce al 15% della ricchezza nazionale occupando solo lo 0,14% del territorio. «Non esistono – spiegano i ricercatori di UN-Habitat – esempi di Paesi che raggiungono livelli soddisfacenti di crescita economica senza urbanizzazione perché sono le città che possono rendere ricchi i Paesi. Un’elevata concentrazione di popolazione consente alle industrie di produrre merci a costi più bassi; l’alta densità riduce poi i costi di transazione e rende la spesa pubblica per infrastrutture e servizi meno costosa. Infine, è più semplice favorire la diffusione della conoscenza».

Questa crescita, tuttavia, non arriva alle classi più basse della popolazione, non attraversa le frontiere che stanno dentro la città: confini fisici, economici e morali che rendono le baraccopoli luoghi dove si riproduce la medesima marginalità. La crescita della ricchezza in Africa è stata costante negli ultimi anni (in media 4,9%), ma è distribuita in modo estremante ineguale sia in termini di classi sociali, sia geograficamente. L’effetto è un’assenza endemica di investimenti nelle zone rurali – assenza di sostegno all’economia familiare, mancanza di politiche di protezione dei suoli –, ma anche carenza di investimenti per l’ edilizia popolare nelle città. A rompersi non è semplicemente l’estetica dei luoghi ma il nesso tra urbanizzazione e democrazia: la natura della città si allontana dalla sua funzione storica di espansione dei diritti.

Se a fine giornata mama Naomi si addormenta in una stanza di 3 metri per 2, nel popolare quartiere di Kariobangi a Nairobi, insieme ai suoi 4 figli sopra una coperta lasciata nel pavimento, non è responsabilità del Covid. Il virus ci mostra, solo, quante frontiere dobbiamo ancora varcare nei nostri quartieri, nelle nostre politiche e nelle nostre economie per ricongiungerci agli altri e a noi stessi: il distanziamento c’era già e non era solo sociale.  

NB L'articolo è stato pubblicato dal Manifesto il 14 luglio del 2020; l'autore è l'economista Fabrizio Floris che ci ha autorizzati a pubblicarlo sulla nostra pagina web di giovaniemissione.

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