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Il discorso dell'odio

Il ritorno degli atteggiamenti xenofobi

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IL DISCORSO DELL'ODIO

Ognuno ha il suo feticcio dell'odio: la donna, gli immigrati, gli omosessuali, gli ebrei. Perché l'odio è la risposta perfetta, un discorso che soddisfa tutte le domande, che ignora i fatti, e vede in ogni ostacolo l'effetto di un complotto. L'odio accusa senza sapere, giudica senza capire, condanna in base al proprio piacere; non rispetta nulla. Al termine del proprio percorso, corazzato nel suo risentimento, taglia corto con un colpo netto e arbitrario.  Odio, dunque sono.  (André Glucksmann)

 

Nell'uso comune, e soprattutto nel linguaggio giornalistico, si è orami consolidata la coincidenza fra due termini  che come vedremo in realtà sono diversi, cioè il termine xenofobia e il termine razzismo. Vengono abitualmente impiegati come termini intercambiabili, quasi che abbiano lo stesso significato; in realtà non è così, e se vi è una patologia linguistica, è probabile anche che ci sia una patologia concettuale. Diventa allora importante chiarire bene le differenze che intercorrono tra questi due termini, ma anche il loro rapporto, dal momento che la xenofobia è il presupposto o la condizione affinché si sviluppi il razzismo. La parola xenofobia  è costituita dalla connessione tra due parole greche: fobia, che vuol dire principalmente paura, ma anche rifiuto, opposizione, ostilità, ecc.; xenos, che vuol dire senza dubbio straniero, l'altro.

Quindi la xenofobia non è semplicemente una disposizione ostile nei confronti dello straniero, ma anche la paura dell'altro. Questa realtà è molto vicina alla nostra esperienza quotidiana, perché il nostro vivere in società ci pone continuamente in rapporto con l'altro in tutti i suoi aspetti.

E allora, se io ho paura dell'altro entra in crisi il meccanismo stesso su cui è fondata la società, che presuppone invece la convivenza, la compresenza di una molteplicità di soggetti disposti ad entrare in relazione positiva con l'altro. La xenofobia quindi è la base, il presupposto su cui nasce e si alimenta il razzismo.

Se io rifiuto l'altro da me è evidente che rifiuterò in maniera, ancora più radicale, chi non parla la mia lingua, non ha lo stesso colore della mia pelle, non condivide la mia religione e appartiene ad un'altra cultura.

In riferimento ai nostri tempi così travagliati, faccio un passo indietro, riferendomi a quanto accadde nel 1949. Nella primavera di quell'anno giungeva in Australia, provenendo dall'Ungheria Egon Kunts, studente di scienze politiche che aveva abbandonato il suo Paese per allontanarsi dal regime comunista instaurato in Ungheria.

Completa i suoi studi in scienze politiche, acquisisce una specializzazione in demografia, la scienza che studia le popolazioni, la composizione, i tassi di crescita  o decrescita delle diverse popolazioni, e diventa uno specialista in questa materia, e nel 1973 pubblica un saggio che avrà conseguenze sorprendentemente rilevanti. Che cosa scrive Kunts in quel saggio? Kunts ritiene necessario introdurre dei criteri per classificare i flussi migratori cioè ritiene necessario individuare delle categorie che ci permettano di stabilire delle differenze tra la composizione dei flussi migratori. A questo scopo introduce 2 categorie che dovrebbero servire a comprendere meglio il fenomeno della migrazione quale si verificava alla fine degli anni 60, quindi in un periodo lontano e diverso da quello che è in corso in tutto il mondo, ma in maniera particolare in Europa, negli ultimi 20 anni.

Per classificare i flussi migratori Kunts distingue tra pulled e pushed. I pulled sono quei migrandi che sono attirati dalla prospettiva di un miglioramento delle loro condizioni economiche, e i pushed che sono spinti, costretti ad emigrare per l'esistenza di condizioni politiche che impediscono loro di restare nei Paesi di origine, come persecuzioni di tipo religioso, regimi politici dispotici e autoritari che spingono alla emigrazione.

Questo saggio di Kunts in realtà era stato dimenticato, ma a partire dai primi anni 2000, quando l'UE ha cominciato ad affrontare il problema delle immigrazioni, è stato ripreso ma interpretato in modo fortemente escludente; così, mentre i pushed sono stati riconosciuti come titolari del diritto ad essere accolti, i migranti economici vengono considerati clandestini, delinquenti e potenziali terroristi.

E' come dire che ci sono i migranti 'buoni', quelli che fuggono da Paesi in cui sarebbero altrimenti perseguitati, e i migranti 'cattivi' ai quali si nega ogni diritto soltanto perché cercano di fuggire da condizioni di miseria assoluta e di sottosviluppo.

La metafora evangelica è quella del ricco epulone, col povero che cerca di cibarsi delle briciole che cadono dalle tavole riccamente imbandite del ricco epulone.

Questi  emigranti economici vengono considerati privi di ogni diritto all'accoglienza e identificati immediatamente con la figura dei clandestini e potenzialmente dei delinquenti.

A questo punto ci chiediamo: quale implicazioni vi sono dall'assunzione della classificazione di Kunts come criterio di interpretazione e di risposta al fenomeno delle migrazioni?

Punto primo: la classificazione di Kunts è puramente descrittiva, mentre il modo in cui essa è assunta dai Paesi dell'UE è valutativa, nel senso che i richiedenti asilo sono 'buoni' e gli economici sono 'cattivi';

Seconda considerazione: le pratiche concrete delle migrazioni sfuggono allo schema di Kunts, perché è stato dimostrato che la stragrande maggioranza dei migranti o hanno entrambi i motivi - politici ed economici - oppure addirittura rientrano in una categoria che non è né quella dei richiedenti asilo né quella dei migranti economici. E' stato stimato che circa due terzi dei migranti non sono strettamente né pull né push, perché o sono entrambe le cose assieme  o fuggono per altre motivazioni. Per esempio, stanno diventando sempre più frequenti le migrazioni dovute a motivi climatici, ambientali, ai mutamenti di clima che hanno desertificato intere regioni dell'Africa rendendo impossibile la sopravvivenza.

terza considerazione: nel riconoscimento del diritto d'asilo, in linea di principio, colui che fugge da un Paese in cui non è possibile la sua sopravvivenza perché perseguitato politicamente, dovrebbe vedersi riconosciuto questo diritto a qualunque Paese chieda asilo. Ebbene, nel corso del 2007, quando vi erano in particolare in Iraq condizioni che rendevano quasi impossibile alla minoranza religiosa della popolazione di restare in Iraq, 18.559 iracheni fecero domanda di asilo alla Svezia; di questi la Svezia ne ha accolti l'82%; contemporaneamente 5474 richiedenti asilo hanno fatto domanda di accoglienza in Grecia, ma nessuno è stato riconosciuto titolare del diritto di asilo.

Quindi i casi sono due: o quello dell'asilo è un diritto e allora vale erga homnes - in qualunque situazione - oppure non è un diritto, e allora spetta alla discrezionalità dei governi di riconoscere il diritto o di non riconoscerlo.

Questo dualismo persistente ha prodotto delle distorsioni inconcepibili, tra le quali per esempio quella che lo stesso migrante fa domanda di riconoscimento di diritto d'asilo a più di un Paese e poi sceglie quello che gli piace di più. Questo è un fenomeno che i sociologi hanno chiamato asilum shopping, cioè è come andare al supermercato e scegliere il prodotto che piace di più.

Ma ci sono soprattutto 2 argomenti che sono fondamentali; il primo richiede una disposizione autocritica da parte di tutti noi. Nel modo in cui vengono stigmatizzati gli economici; non c'è soltanto l'affermazione della mancanza da parte loro di un diritto, c'è qualcosa di più, cioè vi è di fondo un presupposto tacito secondo il quale il tentativo di migliorare le proprie condizioni economiche è di per sé una cosa censurabile. Che questa censura venga da una società come la nostra che è costruita sull'idolatria del denaro, della crescita economica illimitata, sulla grande valorizzazione dell' homo economicus come modello antropologico è una cosa che grida vendetta; cioè si nega agli altri ciò che da più di 3 secoli facciamo senza avere scrupoli di coscienza, cioè facciamo di tutto per migliorare le nostre condizioni economiche. A noi questo è riconosciuto come lecito, ma viene non solo negato ma gravemente stigmatizzato perché dei poveracci cercano di accedere alle famose briciole della tavola del ricco epulone.

Poi c'è un altro argomento importante: per quale ragione coloro che cercano di sopravvivere fuggendo da condizioni politiche di imposizioni dispotica, sono più degni di aiuto di coloro che cercano di sopravvivere rispetto a fame, carestie, miseria e mancanza assoluta di beni per sopravvivere?

Non è concepibile che questa distinzione continui a essere riproposta come criterio fondamentale di approccio al problema delle migrazioni.

Quelli che non riconoscono alcun diritto anzi stigmatizzano negativamente i migranti economici, dovrebbero tentare di avere presente da dove provengono questi migranti economici: da quali condizioni fuggono? Lo fanno davvero perché vogliono l'ultima marca del telefonino o la situazione è leggermente diversa?

Vediamo allora alcuni numeri

Anzitutto, attualmente la terra è abitata da più di 7 miliardi di persone; di questi:

·         1/5 detengono i 4/5 delle risorse  di qualunque tipo - energetiche, alimentari, monetarie; invece i 4/5 dell'umanità ha appena 1/5 delle risorse:

·         1 miliardo di esseri umani sopravvive con l'equivalente di 1 euro al giorno;

·         1 miliardo e duecento milioni di persone vivono senza acqua corrente, con le implicazioni di carattere sanitario e alimentare che possiamo immaginare;

·         11 milioni di bambini sotto i 5 anni ogni anno muoiono di fame; è stato stimato che un bambino statunitense ha a disposizione quanto hanno a disposizione 424 bambini etiopi, disposizione di risorse di qualunque tipo.

·         Ancora oggi, ogni minuto una donna muore di parto; le morti nel 99% dei casi si collocano in una zona del mondo che è l'Africa subsahariana, tale per cui, mentre la donna occidentale ha quasi azzerato il rischio di morire di parto, il 14% delle donne che vivono in Africa subsahariana ha la probabilità di morire di parto.

Altra cosa da considerare riguarda gli aiuti economici. Una delle ragioni pretestuose con le quali si negano gli aiuti economici ai Paesi poveri e si respingono i migranti è che non ci sono risorse per tutti; le risorse sono limitate. In realtà la FAO ha potuto accertare che attualmente il mondo sarebbe in grado di produrre 2200 calorie al giorno per 14 miliardi di individui. cioè per il doppio della popolazione mondiale.

Qual è il problema? Che la produzione viene distribuita in maniera disuguale, asimmetrica, squilibrata, e c'è chi ha troppo, ma troppo davvero, e chi troppo poco, tanto da morire di fame.

A proposito del troppo, c'è una cifra di mortalità in aumento costante che in questo caso riguarda i Paesi occidentali, in maniera particolare gli Stati Uniti e il Canada. Sono i morti per sovralimentazione; le cifre sono impressionanti: nel 2009 negli Stati Uniti sono morti di sovralimentazione 300 mila persone, ed è un trend che aumenta e si consolida sempre di più. Inoltre è interessante sapere che negli Stati Uniti il 53% delle persone è tecnicamente obesa, cosi il 51% dei britannici e il 49% dei tedeschi. Insomma ci sono quelli che muoiono perché non hanno da mangiare e quelli che muoiono perché mangiano troppo

Rispetto a questo quadro viene da chiedersi: ma possibile che l'Occidente assista passivamente senza fare nulla a queste drammatiche sperequazioni? Ma come si può andare a dormire sapendo che ci sono 11 milioni di fame?

 Di fronte a questo dato drammatico, la FAO ha lanciato un programma di 15 anni che avrebbe dovuto servire a individuare 8 obiettivi, come riduzione della mortalità infantile, riduzione della mortalità delle donne che hanno partorito, riduzioni del numero degli abitanti privi di acqua corrente, ecc. Il programma è stato formulato nell'anno 2000 e i risultati si sarebbero dovuti vedere nel 2015.

Bene, nel 2015 si svolse una riunione della FAO dalla quale risulta che nessuno degli 8 obiettivi è stato raggiunto, che in qualche caso c'è stato un miglioramento della condizione, in particolare per quanto riguarda la realtà dei bambini si è passati da 11 milioni a 6 milioni l'anno, ma nessuno degli obiettivi è stato raggiunto.

La verità è che ancora l'altro ci inquieta, ci fa paura! L'invito evangelico dell'amore verso il prossimo è ancora utopia. Gli avvenimenti razzisti di queste ultime settimane dovrebbero preoccuparci enormemente; ritornano simboli di intolleranza culturale che tanta morte hanno mietuto soprattutto in Europa, come le svastiche, le stelle ebraiche, accompagnate da frasi inquietanti e offensive.

E allora contro ogni deriva razzista e xenofoba oscurantista, resistiamo e ancora resistiamo, mantenendo accesa la fiaccola dell'amore universale, lo stesso che ci ha creati e che è capace di cambiare i nostri cuori induriti in cuori accoglienti.

 

Quando un mendicante si accorse che tutti gli uomini e le cose avevano un nome ed egli no, si sentì infelice e provò a darsene uno. Ma nessun nome gli stava bene.
Un giorno, chinatosi a bere ad un torrente, dall’altra sponda qualcuno chiamò:
– Fratello, hai del pane?

Egli buttò un pane al di là dall’acqua; poi, incamminatosi, ripeté tra sé quel nome: fratello!
Quando vennero le stelle e i lumi brillarono alle finestre delle case, il mendicante bussò ad una porta.
– Chi sei? – gli fu chiesto.

– Il Fratello – rispose.

E la porta fu aperta.

Aveva finalmente trovato il proprio nome.

(Una storia di Renzo Pezzani).

 

 

Shalom

P. Antonio D'Agostino, mccj

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