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...dobbiamo continuare ad esserci fisicamente come missionari – spiega Maria Soave Buscemi – e a non abbandonare la gente, soprattutto i più poveri, perché quello che verrà non sarà certamente un governo giusto per loro...

Elezioni in Brasile: "con Bolsonaro, verso una teocrazia senza fede"

Brasile

Il Brasile con l’elezione di Jair Bolsonaro ha manifestato in maniera estremamente fenomenica quello che qui viene definito “cristo-fascismo”». Ossia, un’esperienza cristiana «completamente staccata dal Gesù storico, nel suo camminare per i poveri e con i poveri, trasformata in una forma alienata e spiritualizzante legata ai poteri forti».

A parlarne con noi, dallo Stato di Santa Catarina, a Sud del Brasile, dove vive, è la biblista Maria Soave Buscemi, missionaria con esperienza trentennale nel Paese latinoamericano.

«Andiamo verso teocrazie vuote di orizzonti di fede e riempite di violenza», dice.

L’inquietante neologismo cristo-fascismo sta ad indicare proprio questo: una manipolazione della figura di Cristo, in senso ideologico, da parte di una destra  pentecostale che strumentalizza la bibbia. «A me dispiace perché in questo neologismo c’è la parola Cristo, ma non è il Gesù storico, si è svuotato completamente di senso, secondo antichissime eresie – spiega la missionaria – e ha perso la sua forza trinitaria: è diventata una parola finalizzata al potere violento».

La missionaria suggerisce invece di «tornare a Gesù, il Cristo», perché «in lui “non c’è più né giudeo né greco, né uomo né donna, né schiavo né libero“». Ovvero tornare ad un mondo «senza esclusioni, a partire dai più deboli e dalle persone impoverite». Cosa che i pentecostalismi cristiani, sia protestanti che cattolici, che già da tempo hanno fatto breccia su una parte della popolazione brasiliana, non contemplano affatto

«Il dramma del Brasile – dice la biblista – è che negli ultimi 20 anni le Chiese impegnate, la parte impegnata della Chiesa cattolica e delle chiese protestanti, hanno in qualche modo abbandonato la base delle comunità. E si sono rivolte in maggioranza verso queste forme pentecostali. Allo stesso modo in cui la sinistra ha abbandonato la sua base».

Ad approfittarne è stata la destra conservatrice e militarizzata. Ma c’è un secondo elemento da non sottovalutare: il caudillismo, il bisogno di un uomo carismatico e forte, che è tipico dei Paesi dell’America Latina.

«Bolsonaro è un uomo forte ma polarizzato sulla violenza – spiega la missionaria – non su un progetto di Paese per tutti, a partire dai poveri e basato sui diritti umani. È un progetto di pochi ad esclusione violenta delle grandi masse».

Il neo-presidente ha usato e continua a farlo essenzialmente i social media: «non è mai entrato in processi dialogici, è sempre rimasto a casa sua e ha fatto una campagna elettorale totalmente mediatica e polarizzata». Una strategia che guarda alla pancia, che ha fatto perno sulla paura e su un desiderio primario ed individualista di riscatto.

«Appena eletto Bolsonaro si è fatto filmare mentre toccava tre libri e tutti intonsi: il primo era la Bibbia, non la Costituzione».

Buscemi invita a non dimenticare che in ogni caso la vittoria di Bolsonaro è relativa: «Non scordiamo che l’hanno votato 57 mln di persone, non la stragrande maggioranza del popolo brasiliano. Dunque per le regole della democrazia lui è il Presidente eletto, ma la maggioranza del popolo ha detto no o votando a sinistra, come gli altri 47 milioni di elettori, o astenendosi».

Quindi circa 77 milioni di elettori non lo hanno votato. E «soprattutto non lo ha votato la quasi totalità del popolo impoverito del Brasile che si trova nel nordest del Paese».

L’elemento comunicazione ha avuto la sua parte: «i discorsi di Bolsonaro sono sempre semplicistici - dice – polarizzati e violenti, dai toni forti e non dialogici: dire che bisogna lottare oggi contro il comunismo è davvero anacronistico».

Per riconquistare la fiducia popolare, come Chiesa è necessario riagganciare la gente semplice, tornare a stare con i poveri«Non è possibile che le relazioni siano solo su twitter e facebook – argomenta la missionaria – i popoli indigeni dicono che le molte parole, non le poche, raffreddano la violenza. Bisogna risignificare questi nuovi messi, che altrimenti sono polarizzati».

«Perciò dobbiamo continuare ad esserci fisicamente – spiega Maria Soave Buscemi –  come missionari, a non abbandonare la gente e soprattutto i più poveri, perché quello che verrà non sarà certamente un governo giusto per loro».

Agrobusiness e Bibbia vanno a braccetto nel Brasile di Bolsonaro: «oggi dobbiamo lottare contro: banche, agro-business, grandi latifondisti e Bibbia intesa come una deformazione del testo sacro».

Eppure, dopo la stagione di Lula, incastrato in un meccanismo costruito ad arte che lo ha sostanzialmente fagocitato «sono finiti i tempi dei grandi profeti – dice la missionaria – Forse solo quando viviamo l’esilio, l’Egitto, la schiavitù, Babilonia, l’impero romano sulla Palestina, forse allora potremo riaprire il respiro della resistenza del popolo di Dio e della profezia».

I missionari come Maria Soave proprio in questo momento così delicato e difficile per un intero popolo, rilanciano una stagione fatta di resistenza, lettura popolare della Bibbia, lotta non violenta, spiritualità  e amore per il Creato.

«Pregare insieme, con la terra, con l’aria, con l’acqua. Ritornare ad essere umani», è il suo invito. «Vedo un agire profetico nel corpo dei poveri che, per nostra fede e magistero è la Carne di Cristo che ci rende sempre e di nuovo Popolo. Quel Gesù di Nazareth che abbiamo incontrato nella nostra vita, che ci fa sempre ritornare alla Galilea, il territorio dei “nessuno” coloro che Bolsonaro disprezza.  Là in Galilea lo incontriamo Risorto», dice la biblista. 

«Io vivo nell’estremo sud del Brasile, nello Stato che più ha votato a destra e che ha adesso ha un governatore che è un militare. Sono una delle missionarie in Brasile che hanno chiesto la naturalizzazione brasiliana e per questo ho votato. Chiedere la naturalizzazione significa andare in un tribunale, dopo aver dimostrato che abiti da più di un tot di anni, rinunciando alla tua natura italiana. Non è un processo semplice. Per il Brasile io sono solo brasiliana».

Ed è dal Brasile che Maria Soave vuole ripartire: per una battaglia di umanità che riguarda noi tutti e che va combattuta ad ogni latitudine. 


30 Ottobre 2018, 

Ilaria De Bonis

 

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