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Trasformare i conflitti in modo nonviolento: il metodo dell’equivalenza

La gimmina Elena Ovidi ci parla del metodo dell'equivalenza di cui si è parlato nella serata dedicata a questo tema e presentata da Cristina Banzato che si è tenuta il 22 febbraio 2018 nella Casa dei Missionari Comboniani di Padova.

In famiglia, a lavoro, con gli amici… sono tanti i contesti della vita quotidiana in cui capita di vivere piccoli e grandi conflitti. Ognuno sperimenta, quindi, l’esigenza di risolverli, senza alimentare atteggiamenti conflittuali e rivendicativi. Il metodo dell’equivalenza, elaborato dall’antropologa belga Pat Patfoort, propone delle strategie concrete ed efficaci per affrontare queste situazioni. È un metodo nonviolento, che richiede innanzitutto la disponibilità a non pensare la propria posizione come giusta in assoluto e la capacità di sospendere il giudizio.

L’analisi da cui parte questo metodo è semplice e facilmente riscontrabile: siamo immersi in una mentalità che opera continuamente giudizi di valore, classificando alcune posizioni come “giuste/vincenti” (chiamate nel metodo dell’equivalenza posizioni di Maggiore) e altre come “sbagliate/perdenti” (chiamate nel metodo dell’equivalenza posizioni di minore).

Ognuno di noi, quando subisce una critica o un conflitto, vede in qualche modo schiacciato il proprio istinto di conservazione, che porterebbe a esprimersi ed espandere il proprio punto di vista. È possibile reagire a questo in diversi modi, per uscire dalla posizione di minore. A volte ci si pone in posizione di maggiore con la persona con cui si è creato il conflitto e ciò porta a un’escalation di violenza, perché il conflitto si autoalimenta (nessuno accetta di essere “scavalcato”). A volte il conflitto si ripercuote su altre persone: si fa pesare su altri la propria frustrazione e queste persone a loro volta per uscire dalla posizione di minore si sfogheranno su altri, creando una catena della violenza. Un’ultima possibile reazione è l’interiorizzazione della violenza: se non si riesce a esprimere la propria aggressività, si cade nella depressione o si producono effetti psicosomatici, come l’emicrania o la gastrite.

Come uscire da tutto questo?

Il metodo dell’equivalenza si propone di insegnare a “equilibrare” le due posizioni, superando i giudizi di valore e considerando i differenti punti di vista come portatrici di eguale valore. Con quest’approccio, si propongono alcuni metodi per uscire dalla posizione di minore, nella convinzione che la soluzione non possa consistere nel subire e rassegnarsi (rischiando l’interiorizzazione della violenza).

Uno dei metodi proposti consiste nel distinguere i punti di vista dai “fondamenti”, ossia i bisogni, i valori, gli interessi, gli obiettivi e le emozioni sottesi ai punti di vista. Così facendo, si potrebbe scoprire che dietro al punto di vista “non voglio che stai sempre al computer”, potrebbe esserci fondamenti come “ho paura che ricadano su di me le incombenze della gestione della casa” o “ho paura che ti isoli”. Si scoprono, cioè, le esigenze profonde che hanno originato il conflitto e a cui è possibile provare a dare risposta, lasciando perdere il punto di vista iniziale. Questo esercizio può risultare difficile: si devono cercare i fondamenti senza attribuire giudizi di valore, cercando di scavare nelle emozioni e nei sentimenti. Per questo può essere utile farsi aiutare da un gruppo.

Non è invece necessario che anche la “controparte” conosca e sia disposta a seguire il metodo dell’equivalenza. In questo caso, forse, il conflitto non si risolverà, ma cambierà l’atteggiamento di chi esegue questo esercizio. Ciò ha degli effetti molto potenti: acquisendo una maggiore serenità rispetto alla situazione e rinunciando ad alimentare il conflitto, si potrà influenzare anche l’atteggiamento della controparte.

Una volta composta una lista di almeno una decina di fondamenti, è importante lasciare depositare quello che è emerso per poi ritornarci sopra e “verificare” se siano fondamenti validi. A quel punto si potrà capire a quali è possibile dare una risposta concreta, cercandola con creatività e disponibilità a mettersi in discussione, anche sperimentando qualcosa di nuovo e di strano.

In definitiva questo metodo offre una possibilità per allenarsi nella consapevolezza di sé e delle proprie emozioni, nello sviluppo di capacità comunicative che diano attenzione al para-verbale e al non-verbale e nel potenziamento della creatività.Si tratta, inoltre, di un metodo utilizzato anche in contesti internazionali per proteggere in maniera non violenta gli attivisti e i difensori dei diritti umani. Quest’attività è svolta dall’associazione Peace Brigades International, nata nel 1981 e riconosciuta dall’ONU. Impegnata nella trasformazione nonviolenta dei conflitti, PBI fornisce supporto fisico e morale a persone e gruppi che lavorano per la pace e la giustizia, la cui vita e attività sono minacciati dalla violenza.

Se desiderate conoscere meglio il metodo dell’equivalenza è possibile partecipare al seminario che si terrà il 20-21 ottobre 2018 presso il centro Xena - Centro scambi e dinamiche interculturali, Via Citolo da Perugia 35: https://www.effecinqueformazione.com/strumentazioni.

Per approfondire

Pat Patfoort, “Io voglio, tu non vuoi. Manuale di educazione nonviolenta”, Edizioni PLUS, Pisa University Press, 2010.

Pat Patfoort “Difendersi senza aggredire. La potenza della nonviolenza”, Edizioni PLUS, Pisa University Press, 2011.

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