QUANDO LA CHIESA ROMPE LE PALLE
Lettera di Fr. Alberto Degan
Una Chiesa rompipalle. Finalmente, direbbe qualcuno! Finalmente la Chiesa rompe le palle! Sì, ultimamente le sta rompendo a parecchia gente. “I vescovi non rompano le palle ai sindaci!”, grida Salvini. E non si rende conto che sta facendo un complimento ai vescovi. Perché anche Gesù rompeva le palle al Potere: rompeva così tanto che l’hanno ucciso. E quindi la Chiesa fondata da un Messia che ‘rompe le palle’ non può che seguirne l’esempio.
Questa chiesa che rompe le palle è una chiesa che fa paura. Per questo contro di lei i Poteri forti hanno messo in atto due strategie. Da una parte c’è la strategia populista di un attacco diretto e volgare, affidata a Salvini e ai suoi seguaci. Dall’altra c’è una strategia ‘moderata’, che consiste nel contestualizzare e sminuire il valore delle parole del papa e dei vescovi.
Molto significativo, a questo riguardo, è stato l’intervento di Panebianco sul Corriere di qualche giorno fa: “È inevitabile che questo Papa, come tutti quelli che l’hanno preceduto, si porti dietro, oltre alla sua fede e alla sua lettura del Vangelo, anche esperienze, idee e sentimenti che sono parte della tradizione della sua terra. Tradizione che non coincide necessariamente con la nostra. E’ plausibile… che molti si rendano conto che le concezioni economiche del Papa derivano… anche da una tradizione, fortemente anticapitalista, radicata nel Paese da cui proviene”. Come dire: il papa, poverino, viene dall’Argentina: là hanno delle concezioni un po’ strane, delle tradizioni anticapitaliste, ma questi sentimenti locali non rispecchiano il pensiero tradizionale della Chiesa universale.
Insomma, il Potere vuol far passar l’idea che Francesco è un papa con concezioni un po’ eccentriche, proprie di quelle terre lontane, e che le sue idee non valgono per tutti i cattolici. In realtà, grosse critiche al sistema economico capitalista le hanno fatte tutti i papi del secolo scorso (da Leone XIII a Pio XI, da Paolo VI a Benedetto XVI). Quello che dice Francesco, dunque, si integra perfettamente nel mainstream del Magistero pontificio A titolo di esempio, citerò queste parole di PIO XI, che nell’enciclica Quadragesimo anno – del 1931 - dà questa definizione terrificante dell’economia capitalista: “Alla bramosia del lucro è seguita la sfrenata cupidigia del predominio; e tutta l'economia è così divenuta orribilmente dura, inesorabile, crudele”. L’evoluzione finale di questo processo di incrudelimento dell’economia é quello che Pio XI definisce il “funesto ed esecrabile imperialismo internazionale del denaro”. Il problema, dunque, non è papa Francesco: quando la Chiesa annuncia il Vangelo è sempre una Chiesa che rompe le palle al sistema economico e ai potentati politici!
L’assessore alla Sicurezza del Comune di Padova, Saia, in un’intervista al Corriere ha detto: “Non è possibile che le Cucine popolari diano da mangiare a chiunque. Cioè non solo a chi è davvero disperato e senza risorse, ma anche agli spacciatori, ai loro schiavi tossici e agli accattoni che quotidianamente girano per le nostre strade”.
Dar da mangiare agli affamati è una delle tradizionali opere di carità, che una volta si insegnavano a catechismo. Ebbene, qualcuno a Padova vorrebbe impedirci di compiere questa opera di carità con gli schiavi tossici e gli accattoni. Ma le vittime della droga e i mendicanti sono, prima di tutto, esseri umani, e Gesù ci chiede di dar da mangiare anche a loro, soprattutto a loro. Il papa, attraverso il Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti, ha recentemente invitato “il popolo cristiano a riflettere sulle opere di misericordia corporale e spirituale, tra cui si trova quella di accogliere i forestieri. E questo senza dimenticare che Cristo stesso è presente tra i ‘più piccoli’ “. Dunque, organizzare marce contro i profughi e gli stranieri è organizzare marce contro Gesù. Impedire di dar da mangiare agli ‘accattoni’ e ai ‘forestieri’ è impedire di dar da mangiare a Gesù. Cosa faremo noi cristiani: obbediremo all’assessore o a Cristo?
Quando l’uomo è ridotto a un puntino
Ha fatto il giro del mondo quella foto con tanti puntini neri in mezzo al mare, che alla fine si rivelano essere teste di altrettanti profughi dispersi nelle acque del Mediterraneo. Sì, visti da lontano, sembrano dei puntini. E quando l’uomo è ridotto a un puntino senza nessun diritto, si possono commettere le violenze più efferate.
Tante volte, anche nel computer fissato su una mitragliatrice o su un caccia-bombardiere, il ‘nemico’ sembra un puntino. Quando tu vedi in faccia le persone che stai per ammazzare, psicologicamente è più difficile premere il grilletto; quando invece tu vedi solo un puntino sullo schermo e ti limiti a premere un tasto di computer, tutto diventa più facile per chi sta per uccidere. Ecco, ad esempio, come si è espresso un pilota statunitense durante la prima guerra del Golfo: “E’ come quando accendi la luce in cucina di notte, e tu vedi tanti moscerini che si muovono. Anch’io al computer vedevo dei puntini verdi che si muovevano: alcuni continuavano a correre, altri sparivano o si fermavano…”.
E’ la stessa cosa che si vede in un video divulgato da wikileaks, in cui soldati americani sparano su civili iracheni disarmati attraverso l’obiettivo computerizzato: guardano e dopo un po’, con nonchalance, premono il pulsante e vedono un puntino verde che si arresta: sembra quasi un videogame…
Quando l’uomo è ridotto a un puntino può anche succedere quello che è accaduto a Torre Chianca, nel salentino, poco tempo fa: che due italiani picchiano selvaggiamente e tentano di affogare un immigrato – un diciassettenne originario della Nuova Guinea – mentre sulla spiaggia tanti bagnanti cantano cori razzisti e inveiscono contro la vittima e contro gli agenti di polizia che volevano difenderla.
Ricordo quello che scrissi il giorno della mia professione religiosa come fratello comboniano: “Andate ad annunziare ai miei fratelli!… Come sono belle queste parole di Gesù! Suscitano in me un senso di trepidazione e di tenerezza, perché so che le persone che incontrerò laddove sarò mandato sono fratelli e sorelle di Gesù”. Ebbene, quei puntini che noi uccidiamo con nonchalance con il tasto di un computer, quei puntini che uomini senza cuore buttano nel mare sono “fratelli e sorelle di Gesù”.
Che faremo con questi fratelli e queste sorelle di Cristo? Li accoglieremo o li respingeremo? Respingerli è un crimine, un atto di guerra, dice il papa. “Respingere i clandestini un crimine?”, ribatte Salvini. “No, è un dovere”. Per Salvini, dunque, noi abbiamo il dovere di commettere ciò che per il Vangelo è un crimine: è un dovere rinunciare all’umanità e alla solidarietà.
Mi sono domandato: ma perché Salvini attacca così violentemente il papa? E mi sono dato questa risposta: di fronte a una cultura liberale e democratica che balbetta e sembra aver perso il fondamento delle proprie convinzioni il papa è rimasto l’unico in grado di smontare la propaganda razzista e xenofoba. Sta a noi scegliere tra la pratica del Vangelo e un cristianesimo di facciata che abbraccia la xenofobia e non ha nulla a che fare con Gesù di Nazaret.
La globalizzazione della fraternità
Qualche giorno fa mons. Bagnasco si è domandato cosa sta facendo l’ONU per affrontare il fenomeno di questa immigrazione ‘biblica’ che ovviamente nessuna nazione può affrontare da sola. E’ giusto chiedercelo, ma di quale ONU stiamo parlando? L’ONU com’è adesso o l’Onu che sognamo? L’ONU che auspichiamo è un’entità che affronta e governa le sfide sociali e politiche a livello mondiale per il bene di tutta l’umanità.
Ma purtroppo questa ONU ancora non c’è, bisogna costruirla: ecco un impegno e una meta politica grande!!! La politica non deve inseguire piccoli interessi, ha affermato recentemente mons. Galantino, ma deve porsi dei progetti, delle mete alte. Questa è una delle mete politiche più alte e più urgenti: costruire una ONU dei popoli che operi per il bene di tutta l’umanità. “In un pianeta vittima della globalizzazione negativa, tutti i problemi di fondo sono globali”, afferma Bauman, e quindi devono essere risolti a livello globale, planetario. Come scrive Barber, “nessun bambino americano potrà sentirsi al sicuro nel suo letto se i bambini di Karachi o di Baghdad non si sentiranno sicuri nel loro. Gli europei non potranno vantarsi a lungo della loro libertà se i popoli di altre parti del mondo rimarranno poveri e umiliati”.
Molto significativa, a questo rispetto, è quella foto scattata sull’isola di Kos in cui dei turisti placidamente sdraiati sulla spiaggia vengono sorpresi dallo sbarco di profughi siriani. Quindi non potremo neanche più prendere tranquillamente il sole su uno sdraio? Proprio così! Non potremo più distenderci tranquillamente sulle nostre sabbie, se anche i siriani non potranno farlo sulle loro. Come si combatte, dunque, questa ‘globalizzazione negativa’? Con una globalizzazione positiva, quella che Francesco chiama “globalizzazione della fraternità”, che significa che “il futuro della democrazia e della libertà o sarà garantito su scala planetaria o non lo sarà affatto” (Bauman). Non c’è alternativa: anche se tanti politici populisti vogliano farci credere che basta urlare o bombardare la costa libica per fermare l’ ‘invasione’, l’unica soluzione realista a questo stato di cose è la globalizzazione della fraternità. Certamente, è una soluzione che esige creatività e la costruzione di nuovi strumenti di governo a livello mondiale. In questa situazione i politici seri, come dice mons. Galantino, aiutano la gente a capire la complessità del problema e a cercare insieme cammini di fraternità. La “Chiesa che rompe la palle” è pronta ad accompagnare l’umanità del XXI° secolo in questo faticoso ma affascinante cammino.
fratel Alberto Degan