Rachele e Francesca raccontano quanto sia stato bello, arricchente ed entusiasmante il campo Gim di Verona e Limone sul Garda.
Tu conosci mica qualcuno. Che è disposto a chiamarmi fratello?
Di ritorno dal campo Verona - Limone sul Garda
Sono Rachele e Lunedì 1 agosto 2022 sono salita sul treno regionale in partenza da Mori, un piccolo comune in provincia di Trento, in Trentino Alto-Adige, diretto verso la stazione di Verona Porta Nuova. E io sono Francesca, vengo da Cassano delle Murge, un paesino tra le colline in provincia di Bari, la città da cui Martedì 2 agosto 2022 ho preso un aereo per intraprendere questa travolgente avventura. Siamo arrivate con i nostri zaini da pellegrine presso la Casa madre dei Missionari Comboniani a Verona dove abbiamo conosciuto gli altri compagni del nostro viaggio e dove abbiamo soggiornato per qualche giorno. La composizione del gruppo, con il quale avremmo condiviso quest’incredibile esperienza, era davvero variegata: c’erano otto giovani Spagnoli e una ragazza dall’Egitto che con risate contagiose e vivo entusiasmo hanno illuminato la strada di questo cammino. Tra coloro che costituivano l’equipe, responsabile di questa iniziativa, c’erano: tre suore Missionarie Comboniane rispettivamente dall’Etiopia, dall’Equador e dall’Italia; quattro padri Missionari Comboniani rispettivamente dal Benin, dal Kenya, dal Congo e dal Sud Sudan e infine un Laico Comboniano Italiano. Eppure malgrado la lontananza delle nostre radici, abbiamo accorciato le distanze culturali e linguistiche che ci separavano trasformando quella diversità nella più grande ricchezza di questa avventura. Mercoledì 3 agosto abbiamo iniziato il nostro cammino, passando per Cerro Veronese, Erbezzo, Peri, arrivando fino al santuario di Madonna della Corona, abbiamo proseguito per Caprino Veronese e Castelletto, sino all’arrivo a Malcesine sul Lago di Garda, dove abbiamo preso il traghetto verso Limone, in provincia di Brescia, e siamo arrivati alla Casa natale di San Daniele Comboni il giorno 8 agosto, dopo 6 giorni di cammino.In ciascuna delle tappe che abbiamo raggiunto ci hanno accolto in maniera calorosa e solidale, infatti dalle donne e dagli uomini che ci aspettavano non abbiamo avuto soltanto quanto fosse necessario per riposare e recuperare abbastanza forze, ma abbiamo anche ricevuto sorrisi incoraggianti, gesti premurosi, sguardi rasserenanti e racconti intensi ed onesti sulle loro storie di vita.
Nei nostri cuori e nelle nostre coscienze risuonano ancora le loro voci, in particolare le parole di Eliseo, un padre Comboniano che ha vissuto per trent’anni presso la Repubblica Democratica del Congo. Dalla sua testimonianza emergeva tutto il peso delle profonde ingiustizie sociali di cui é vittima il nostro sistema, Eliseo infatti, ha esposto con forza la storia dei tanti minori, costretti in Congo a lavorare in condizioni di schiavitù nelle miniere pericolose ed anguste per ottenere il Coltan. Il Coltan é una miscela complessa composta da due minerali, la Columbite e la Tantalite, di cui la terra del Congo é ricca, ed é oggi utilizzato per la fabbricazione di telecamere, cellulari e molti altri apparecchi elettronici. Perciò da una parte del mondo ci sono delle vite umane usate come meri ingranaggi di una grande macchina produttiva, tossica ed irragionevole, e dall’altra parte ci siamo noi, che attraverso un uso sconsiderato e distratto delle risorse di cui disponiamo siamo costantemente ed inevitabilmente complici di una realtà malata ed aberrante.
Quando ci hanno chiesto di scrivere un breve testo relativo alla nostra esperienza con il campo GIM, Giovani Impegno Missionario di Verona, ammettiamo di essere rimaste un po’ sorprese: riuscire a rielaborare le emozioni ed i pensieri vissuti durante questo nostro cammino e racchiuderli in una testimonianza scritta sapevamo sarebbe stato complesso. Non eravamo sicure di come raccontare la nostra avventura, ma sfogliando le pagine del nostro piccolo diario di viaggio abbiamo trovato delle parole che avevamo scritto in maniera frettolosa durante uno dei nostri incontri di gruppo.
Abbiamo deciso quindi di riportare questo discorso che, attraverso la semplicità e l’impulsività di quel momento, pensiamo possa racchiudere l’essenza del campo GIM.“Tu conosci mica qualcuno. Che è disposto a chiamarmi fratello?” Questa frase proviene da una delle mie canzoni preferite di Francesco De Gregori dal titolo “Informazioni di Vincent”, in cui l’artista canta la condizione di emarginazione sociale di “quel che è”, o di “chi è”, diverso. Durante il campo ci siamo imbattuti più volte nella parola “fratello”, alcune volte pronunciata in maniera anche un po’ superficiale, nonostante il peso della qualità di questo termine sia estremamente rilevante. La definizione estensiva di questo sta per “persona legata ad altri per comunanza di un vincolo di affetto, di amicizia, oppure perché condivide la stessa patria, gli stessi ideali e principi etici, sociali, politici etc. Nella concezione della religione cristiana, fratello è ogni cosa rispetto agli altri, in quanto condivide la condizione di figlio di Dio.In merito a questo aspetto è molto affascinante il concetto di essere “rispetto ad altro”, la condizione di fratello infatti presuppone di esserlo in relazione ad altro: io sono fratello di qualcun altro perché l’altro è fratello mio. Io sono fratello tuo perché tu sei fratello mio. Io sono perché tu sei. Pablo Neruda sintetizza questo concetto ideale nella sua poesia sull’amore, citando “E da allora sono perché tu sei”, a dimostrare che l’affetto condiviso ci rende completi a vicenda.Padre Alex Zanotelli, durante una conferenza da lui tenuta, ha detto: “Quando mi chiedono chi sono io rispondo che sono fatto degli incontri che ho fatto.” Questa frase ci è rimasta molto impressa ed è stata ritrovata anche durante questa esperienza di cammino in cui abbiamo avuto l’opportunità di conoscere, e riconoscere, noi stessi, attraverso il riconoscimento degli altri.In merito al tema della condivisione di fratellanza con persone altre, Papa Francesco, nella sua terza lettera enciclica Fratelli Tutti riporta: “L’amore crea legami e allarga l’esistenza quando fa uscire la persona da sé stessa verso l’altro. [...] c’è in ognuno di noi una specie di estasi: uscire da se stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere.” (FT, 8).