Ma all’impegno che abbiamo con Gesù e con il suo messaggio, almeno noi cristiani, non ci pensiamo proprio?
Pace a voi!
Lettera dall'Equador di fratel Alberto Degan
Spazi di umanitá in un contesto di violenza
A Guayaquil, nel quartiere Trinipuerto, hanno messo bombe davanti alla casa di coloro che non hanno pagato il ‘pizzo’ ai trafficanti di droga. Queste bombe inesplose sono un avvertimento. E cosí, molti rinunciano alla piccole attività informali che avevano iniziato ad intraprendere (ad esempio, la vendita di ‘almuercitos’), perché dovendo pagare il ‘pizzo’, non ne avrebbero quasi nessun guadagno.
Nel quartiere Nigeria è stato distribuito alla popolazione un volantino intimidatorio, che avverte che tutti coloro che daranno informazioni alla banda avversaria saranno uccisi. Nel Guasmo Sur, che comprende anche il territorio della nostra nuova parrocchia, due mesi fa sono morte 9 persone in un tiroteo, fra cui anche due bambini. In quella zona dall’inizio dell’anno si contano già 30 morti. E spesso, quando uccidono un membro di una banda di spacciatori, non si rispettano neanche i defunti. E così, in una veglia funebre, gli assassini del morto sono entrati con armi e hanno derubato tutti i partecipanti che stavano pregando per il loro caro, e addirittura hanno cercato di portare via la salma.
Nel Guasmo Norte hanno ucciso un ragazzo perché ha superato la cosiddetta ‘barriera invisibile’. C’è un tacito accordo per cui quelli che vivono da questo lato della strada non possono andare all’altro lato. Tutti rispettano questo patto. Perciò, se uno va dall’altra parte dev’essere per forza un informante, una spia, così pensarono quelli della banda choneros. Ma in realtà questo ragazzo attraversava la strada solo per andare a trovare la sua fidanzata. E ha pagato con la vita questa sua ‘audacia’. E poi, a Durán, che possiamo considerare un sobborgo di Guayaquil, per la prima volta in Ecuador hanno appeso due cadaveri a un ponte pedonale, come fanno da tanti anni in Messico.
Potrei continuare la lista, ma mi fermo qui. Gli omicidi nella nostra cittá sono triplicati rispetto ai primi tre mesi dell’anno scorso, e Guayaquil è entrata nel numero delle 50 città più violente del mondo. E poi c’é il problema del lavoro che manca, per cui tanti vivono di lavoretti informali, ma il guadagno non è assolutamente sufficiente a mantenere la famiglia.
E quindi, in mezzo a tutto questo, la signora Katia, che ha a suo carico sette nipoti, e non dorme la notte perché la banda avversaria sta cercando suo figlio per ucciderlo, da un po’ di tempo soffre di vuoti di memoria e di pressione bassa. Ogni tanto sviene, o non sa più che bus deve prendere per tornare a casa.
Noi continuiamo con le nostre attività pastorali, prima di tutto con i nostri palenkes infantili: vari gruppi di bambini afro si riuniscono in diversi quartieri della città, e diamo loro formazione umana, cristiana e culturale. Sono spazi alternativi in cui speriamo di educare i costruttori di un futuro diverso. Nel gruppo del quartiere Malvinas, l’animatore ha presentato ai bambini il progetto del buen vivir, che promuove il rispetto della Natura e una convivenza pacifica fra tutti gli esseri umani. Durante la riunione, i bambini commentarono quello ch’era successo due giorni prima a pochi isolati dalle loro case: in uno scontro a fuoco tra bande avversarie una pallottola ha raggiunto una bambina che passava per di lì.
Ci siamo dunque resi conto che al progetto del buen vivir si contrappone quello del mal vivir: c’è una lotta fra questi due modelli, e dipende anche da noi creare le condizioni perché trionfi il modello del ‘buon vivere’.
Abbiamo anche iniziato gli incontri settimanali della Pastorale Giovanile Afro, cui stanno assistendo una trentina di ragazzi: é un altro spazio ‘sano’ che può preparare un futuro diverso. A questi incontri stanno partecipando anche Kenya e Cristian. Avevo parlato di loro in alcune lettere precedenti. Il loro papà, Kenny, è stato ucciso un anno e mezzo fa, mentre la loro mamma era rimasta vittima di un incidente; per fortuna, adesso si è ripresa. Io avevo conosciuto Kenny quando era adolescente, e il fatto che i suoi figli frequentino le nostre riunioni mi riempie di gioia. Inoltre, adesso che le restrizioni per la pandemia si sono allentate, in vari quartieri stiamo ricostituendo gruppi di adulti e di giovani: é necessario aprire spazi di umanità in mezzo a contesti in cui la povertà e la violenza rischiano di chiudere la porta alla speranza. Tutto questo succede in un continente (l’America Latina) che, secondo dati ufficiali, è quello con le disuguaglianze più grandi.
A questo proposito, padre Francisco de Roux, gesuita colombiano, ha recentemente affermato:
“In America Latina sta crescendo l’ateismo, non militante, ma l’ateismo causato da una disillusione completa sul nostro modo di vivere la fede, totalmente indifferente alle profonde e scandalose disuguaglianze della nostra società. Il 40 % dei latinoamericani è escluso dalla mensa della condivisione. Se non lottiamo perché la mensa sia per tutti, e perché tutti abbiamo il pane quotidiano, non possiamo recitare il ‘Padre nostro’. Se il popolo non ci vede impegnati in questa causa, per favore, non parliamo più di Gesù Cristo nostro Signore. Perché la gente non capirebbe di cosa stiamo parlando. Se non stiamo al fianco dei poveri, degli esclusi, degli afrodiscendenti, degli indios e delle donne del popolo, è meglio che facciamo silenzio”.
La sconfitta dell’umanitá
Come tutti voi, anch’io sono sconvolto dalle notizie che giungono dall’Ucraina, e dall’efferata crudeltà usata nei confronti dei civili. I soldati russi, evidentemente in base a ordini ricevuti dai loro superiori e, in ultima istanza, dal loro presidente, si sono resi colpevoli di crimini di guerra e di lesa umanità. La guerra è davvero la morte e la sconfitta dell’essere umano. Come dice Francesco:
“quando si usa violenza non si sa più nulla su Dio, che è Padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli. Si dimentica perché si sta al mondo e si arriva a compiere crudeltà assurde. Lo vediamo oggi nella follia della guerra, dove si torna a crocifiggere Cristo".
Mi ha colpito, ad esempio, questa notizia che ha dato Repubblica il 9 aprile scorso: "A Mariupol, gli occupanti russi hanno organizzato un’operazione di ‘pulizia’ tra i civili. Vogliono ripulire l’Ucraina da tutti i nazisti. Per i russi, un nazista è chiunque ama l’Ucraina e non si sottomette all'occupante. A questo scopo i russi hanno istituito diversi posti di blocco a Mariupol. Nel processo di ‘pulizia’, gli occupanti non esitano a uccidere i civili per strada, poi scattano una foto, la inviano agli amici e si vantano della 'vittoria'". Nel settembre del 2010 Repubblica aveva dato un’altra notizia di crimini di guerra, informandoci sulle crudeltà commesse da alcuni soldati statunitensi in Afghanistan: “Diversi soldati americani della quinta brigata di combattimento Stryker sono sotto inchiesta per aver costituito un vero e proprio ‘squadrone della morte’ che uccideva civili per divertirsi. Questi militari hanno meditato per settimane sull'idea, e poi hanno messo in atto il loro progetto nella provincia meridionale di Kandahar, togliendo la vita a decine di civili inermi. Ma togliere la vita non era abbastanza. Quei soldati smembravano i cadaveri delle loro vittime, li fotografavano, e poi ne conservano delle parti come souvenir”.
La Storia ci dimostra che, a tutte le latitudini, e al di là delle differenze di sistemi politici, la guerra è sempre un mostro che ci disumanizza. Di fronte a tutto questo, un amico mi ha chiesto di dire una parola di speranza.
Un annuncio scandaloso
Io credo che l’unica parola di speranza è quella ci dà il Risorto:
“Pace a voi!”
(Lc 24,36).
Purtroppo, però, sembra che i dirigenti di alcune Chiese abbiano vergogna di pronunciare questa parola. Kyril, il patriarca ortodosso di Mosca, ha detto che “nostro dovere è difendere la patria, come solo i soldati russi sanno farlo” (e abbiamo visto quello che i soldati russi hanno saputo fare a Bucha e in altre città ucraine, commettendo crimini contro l’umanità!). La pace è diventata così una parola proibita nel linguaggio di vescovi e politici russi. E’ quello che è successo anche in Colombia, dove i vescovi, nel loro messaggio in cui delineavano i criteri su cui orientare il voto dei cattolici, non hanno avuto il coraggio - pur vivendo in un contesto fortemente segnato dalla violenza - di pronunciare la parola ‘pace’, perché temevano che questa parola avrebbe dato fastidio a una certa parte politica. Ma anche se noi cerchiamo di proibirglielo, Gesù continua ad annunciare questa parola scandalosa: “Pace a voi!”. Kyril dice che è suo dovere mantenere l’impegno con la patria russa, e così appoggia la politica bellicista di Putin; in Italia, molti politici che promuovono il riarmo dicono che abbiamo un impegno con la Nato in tal senso.
Ma all’impegno che abbiamo con Gesù e con il suo messaggio, almeno noi cristiani, non ci pensiamo proprio? Ricordiamo le parole di Tonino Bello:
Quando la Maddalena annunciò di aver visto il Risorto, gli apostoli ”pensarono che si trattasse di un delirio e non le credettero>” (Lc 24,11). “Ma tu, Chiesa di Dio!”, diceva don Tonino, “figlia primogenita della Pasqua di Gesù… non aver paura di cadere in certi deliri. Se credi nella Resurrezione devi credere anche nell’annuncio del Risorto. Non puoi accendere il video e spegnere l’audio. Non puoi accogliere solamente la visione di Gesù e dimenticare quello che ti sta dicendo, non devi relegare la pace nel mondo delle favole”.
Anche oggi i poteri dominanti vogliono relegare la pace nel mondo delle favole e delle belle utopie, ma come cristiani, il nostro primo impegno è credere e lottare per la pace che ci annuncia il Risorto. Sono perfettamente cosciente della complessità della situazione, e credo che nessuno abbia la ricetta per risolverla, ma voglio sottolineare un pericolo estremo cui siamo esposti come umanità. Mentre il papa, recentemente, ha ribadito la necessità di eliminare la guerra dalla Storia, alcuni autorevoli politologi e politici sostengono la inevitabilità di eliminare la pace dal nostro orizzonte ‘filosofico’ e politico. Ma se la pace fosse ufficialmente cacciata fuori dalla Storia, quello che succede in Ucraina si ripeterebbe in varie parti del mondo che in questo momento non sono in guerra. Lo stesso presidente Zelensky, in un’occasione, ha affermato:
"Noi dobbiamo combattere, ma combattere per la vita. Non puoi combattere per la polvere quando non ci sono più persone. Per questo è importante mettere fine a questa guerra".
In questo modo riecheggiava le parole di Francesco:
“Si ripongano le armi, si inizi una tregua pasquale. Ma non per ricaricare le armi e riprendere a combattere, no. Chiedo una tregua per arrivare alla pace, attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente. Infatti che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?”
La fine della pace?
Recentemente una scrittrice nordamericana, autorevole rappresentante dell’Establishment, ha affermato: “Dobbiamo aiutare l’Ucraina a vincere”, e il presidente Biden ha ripetuto le sue parole. Aiutare l’Ucraina a vincere, concretamente, significa: ‘Nessun accordo per un cessate il fuoco e naturalmente nessun accordo di pace. Andiamo avanti con la guerra, fino alla vittoria dell’Ucraina!’.
Tutto questo a spese del martoriato popolo ucraino. Davvero pensiamo che questa guerra si possa ‘vincere’? In realtà, come dice Francesco, in questa guerra stiamo perdendo tutti: perdiamo vite umane e perdiamo la nostra umanità. Mi viene in mente quello che diceva Wilfred Owen, poeta inglese della Prima Guerra Mondiale, che più o meno si esprimeva in questi termini contro la retorica della propaganda:
‘Ci dicono che dobbiamo difendere la patria, ma la patria è un pezzo di terra o sono le persone, i nostri compatrioti? Che cosa mi interessa difendere il suolo inglese, se poi tutta la gioventù d’Inghilterra sta morendo qui in Francia?’.
E di fatto, nella ‘Grande’ Guerra morirono un milione di britannici. Vogliamo vincere la guerra! Nessun politico europeo osa affermare: ‘Tentiamo un serio dialogo di pace, sforziamoci per elaborare un piano di pace!’. Ovvio che non sarà facile! Ma non vale la pena fare questo sforzo per salvare la vita di tanti innocenti? La ‘pace’ è ormai uscita dal dibattito politico, non é più presa in considerazione come possibilità reale. E questo, ormai, è esplicitamente teorizzato: “La fine della pace”, è il titolo del numero 3/22 della rivista Limes. Lucio Caracciolo afferma:
“Noi italiani dobbiamo cambiare atteggiamento mentale: le tre generazioni italiane che hanno vissuto fortunosamente in pace hanno appartenuto ad un’eccezione storica, e non a una norma. Noi siamo portati a considerare questa guerra in Europa come un fatto eccezionale. Ma in realtà, l’eccezione non è questa guerra, l’eccezione sono stati questi 75 anni di pace”. La nostra vacanza è finita, conclude Caracciolo. Adesso dobbiamo “adeguarci alla realtà che sta cambiando, per poter dire la nostra, e non essere semplicemente sopraffatti dai fatti”.
In altre parole, la pace che abbiamo vissuto in Italia in questi 75 anni è un’eccezione storica, non è la norma. La norma della vita dell’uomo è la guerra. Dobbiamo ‘convertirci’, cambiare mentalità. Ma si tratta, dal mio punto di vista, di una ‘conversione’ diabolica, antievangelica; ci chiedono di convincerci che finora abbiamo vissuto una vita anormale, perché la pace è anormale. Dobbiamo adesso convertirci e adeguarci alla realtà, e insegnare ai nostri figli che la normalità della vita dell’uomo è la guerra. Quindi anche noi dobbiamo riarmarci, se non vogliamo che gli altri ci possano sopraffare con il loro riarmo.
Si tratta, dunque, di ritornare al vecchio adagio: Si vis pacem para bellum, Se vuoi la pace prepara la guerra. Come non vedere in tutto questo le pressioni della lobby dell’industria militare? ‘Ma no’, ci dicono, ‘é solo questione di realismo: dobbiamo riarmarci, ed è quello che ci chiede anche la Nato’. E’ vero, ma ci siamo mai chiesti che cosa ci chiede Dio?
Pace a voi!
”Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, follia per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, siano Giudei o Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è follia di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,23-25). >
Un Messia che si lascia crocifiggere, e non risponde al male con il male, è follia per il mondo. Eppure questa follia si rivela più sapiente della sapienza degli uomini. Il Vangelo ci presenta la follia dell’amore pasquale come fondamento della convivenza umana. Se uno cerca una ragione ‘umana’ per negoziare con l’oppressore, forse non la troverà mai, perché nessuna ragione può cancellare il dolore e l’orrore del tradimento, del massacro e dello stupro.
Gesù sulla croce, torturato in maniera disumana, continua ad amare. ‘Metti nel fodero la spada’, aveva detto poco prima (Mt 26,52): Elimina la spada e la guerra dalla Storia; esci dalla logica della violenza e dell’orrore e sogna la follia di un mondo dove sia possibile recuperare il senso della nostra fraternità universale, dove sia possibile tornare a dialogare, a commuoverci per il dolore e la speranza dei nostri fratelli.
Ricordo la famosa marcia dei 500 disarmati che volevano entrare a Sarajevo, per portare la loro solidarietà agli abitanti di quella martoriata città. Per entrare, bisognava chiedere il permesso ai serbi, che stavano assediando la città bosniaca. ‘E´ una follia, non succederà mai’, gridava qualcuno: ‘Come potete chiedere agli oppressori che vi permettano di portare sollievo agli oppressi?’. Ebbene, questo è esattamente quello che successe: i serbi lasciarono che i 500 Beati Costruttori di pace, guidati da Tonino Bello e Albino Bizzotto, entrassero a Sarajevo. Questo dimostra, commentava Giulio Battistella, che il limite dello ‘storicamente possibile’ va molto al di là dei paletti che gli pone la nostra limitata ragione. Così la follia di Dio si dimostra più realista della ‘ragione’ umana, che invece ci porterebbe tutti all’abisso dell’odio e della guerra infinita. Riascoltiamo dunque la parola che ci rivolge Gesù:
‘Pace!’.
‘Ma è solo una bella poesia, una bella fantasia!’, grida qualcuno.
E a questa obiezione cosí ribatteva Angelo Casati:
“No, non è poesia, é la parola del Signore, è la parola del Risorto. La bellezza di un lieto annuncio trascina la vita. A volte si dice: Non fare della poesia, e si dimentica che forse poche cose sono così concrete come la poesia, perché la poesia accende i sogni. E’ la bellezza a trascinare la vita. Senza sogni ci spegnamo”.
Se non crediamo nella bellezza e nella poesia della pace che ci annuncia il Risorto, saremo destinati all’abisso.
E’ questo il futuro, o meglio, il presente che vogliamo offrire ai nostri figli? un mondo senza poesia, un mondo dove la parola pace sarà derisa o proibita? Ma quando rinunciamo ai sogni di Gesù e ci conformiamo alla mentalità dominante, diventiamo cristiani comatosi, come li chiama don Ciotti.
Quest’anno, dunque, più che mai, l’annuncio del Risorto interpella la nostra coerenza di credenti. Il mondo ci dice: ‘E’ la fine della pace. Adeguati!’. Il Risorto, invece, ostinatamente continua a ripeterci: ‘Pace a voi!’. Sarà ancora possibile vivere umanamente nella Storia? Dipenderà da noi, da quale sapienza decideremo di ascoltare e seguire.
A me confortano le parole del Vangelo, che ci dicono che Gesù è venuto “per dirigere i nostri passi sulla via della pace” (Lc 1,79). Che Dio ci aiuti a credere, a vivere, a lottare, e camminare sul sentiero della pace!
Buona Pasqua!,
fr. Alberto.