Anche questa volta, con sette pani e pochi pesciolini, Gesù sfama circa quattromila persone
Introduzione
Gesù aveva diverse priorità, tutte emergono nella Buona notizia. Su una in particolare vorrei soffermarmi: quella di preparare i suoi discepoli a espandere e dilatare il Vangelo dopo la sua morte, risurrezione e ascensione. Pur scelti da lui e avendo lasciato tutto per seguirlo, i discepoli non sono sempre come lui li avrebbe voluti. Più il tempo passa, più vengono messe in luce la loro mancanza di intelletto, le loro fragilità come paure, la loro poca fede… insomma le loro fratture e inadeguatezze nel discepolato.
Il racconto ci pone davanti a Gesù che chiama esseri limitati e fragili; egli però continua a fidarsi. Vediamo poi che in fondo noi lettori chiamati al discepolato non siamo tanto diversi da questi “primi” discepoli.
1- Il contesto
Il vangelo secondo Marco ha riportato una scena di moltiplicazione dei pani al capitolo 6. Quella volta Gesù aveva saziato cinquemila uomini con cinque pani e due pesci. Così lo ricorda il narratore: «tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini» (vv. 42-44).
L’inizio del brano dell’ottavo capitolo, presenta una situazione di mancanza, simile a quanto si diceva prima e presenta i discepoli preoccupati: « Come riuscire a sfamarli di pane qui, in un deserto? » (v. 4). Anche questa volta, con sette pani e pochi pesciolini, Gesù sfama circa quattromila persone, poi congedò la folla prima di salire sulla barca con i suoi discepoli verso Dalmanuta (cf. vv 5-9).
Stando al nostro capitolo 8, vediamo ancora i discepoli ansiosi, timorosi sulla barca per aver dimenticato di prendere dei pani: «discutevano fra loro perché non avevano pane» (cf. v.16).
2- Il cuore indurito
«Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate » (vv. 17.18).
Da quanto era avvenuto in precedenza, i discepoli si sarebbero dovuti aspettare un intervento da parte sua, e invece il loro atteggiamento dimostra che non hanno capito ciò che è successo prima. Non erano capaci di aprirsi alla fiducia in lui. Non sono mai stati abbandonati quando erano nel bisogno. Ma come mai queste preoccupazioni? Se ne sono forse dimenticati? Le loro risposte alle domande di Gesù dimostrano però che non si tratta di una dimenticanza. E come possono dimenticare quei fatti straordinari appena compiuti? Sembra che la diagnosi Gesù l’abbia fatta bene: i suoi discepoli hanno il cuore indurito. «Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?».
Nel linguaggio biblico, il cuore indica l’interiorità, il centro dei nostri sentimenti, passioni, pensieri… il luogo dove la realtà viene analizzata e compresa per poi prendere decisioni per o contro Dio, e di conseguenza per o contro l’uomo. Si capisce allora il richiamo di Gesù: «fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!» (v. 15). Nel linguaggio rabbinico, il lievito è quella forza interiore che predispone l’uomo al male, alla cattiveria.
Forse per questo i pani fermentati non potevano essere usati per il culto. Probabilmente Gesù allude al desiderio di dominare l’altro, sia nell’ambito politico (lievito di Erode che lo porta a bramare del potere di dominare tutti gli altri), sia nell’ambito religioso col falso zelo che si limita al rituale (lievito dei farisei che li tiene nella rigidità rituale). Appare chiara l’opacità dello sguardo interiore che ci chiude nelle preoccupazioni del mondo e della vita quotidiana, che ci fa pensare solo e solamente a noi stessi. A questo punto, Dio e l’altro vengono spinti fino ai margini del nostro cuore. Il discepolo è chiamato a preoccuparsi di non lasciarsi contagiare da questi “lieviti”. Chi ha il cuore indurito e incapace di comprendere non è infatti capace di discernere l’azione di Dio nella storia per orientare la propria vita.
3- Guarire dal cuore indurito
Ponendo le domande successive ai discepoli, sembra che Gesù volesse proprio aiutarli a rileggere la sua storia con loro. Proprio con queste domande, Gesù insegna a leggere i segni che ci sono. Questo esercizio li aiuterà poi a capire che l’unico pane che può saziarli è Gesù.
Se capire tutto questo ora è difficile per loro, la risurrezione di Gesù dai morti l’illuminerà e renderà loro comprensibile. Per guarire dal cuore indurito, la strada che indica Gesù è di fare memoria dei suoi gesti di amore.
Conclusione
Dio si manifesta nella nostra storia (comunitaria e personale). Per capire però l’orientazione che egli propone alla nostra vita, occorre fare memoria della propria vita e del proprio cammino, del cammino del popolo e del mondo. La storia di Dio con l’umanità è la storia di un Dio che cammina con noi, che ci sostiene, ci illumina e ci salva.
È una storia di un amore che non avrà mai fine.
P. Raoul, mccj
Venegono Sup.