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Rriflessione di Giuseppe Mantegazza sulle elezioni negli Stati Uniti

Trump si è fermato a Detroit, Michigan

“L'onda rossa” del “MAGA” (make America Great Again) e del più recente "keep America great" di Trump, pare essersi arrestata in Michigan, in particolare a Detroit, città non solo dell'automotive, motor city- o motown- degli headquarters di General Motors e Ford, ma anche città della cultura afroamericana, dei tanti artisti nati o vissuti lì o nelle sue vicinanze (Aretha Franklin, Iggy Pop, Eminem, Robin Williams, Francis Ford Coppola, Kid rock, tanto per citarne alcuni tra i più noti), città dello stupendo museo del Detroit Institute of Art (DIA), uno tra i più interessanti e ricchi di tutta l'America, con collezioni straordinarie di opere d'arte, tra cui il capolavoro "Martha and Mary Magdalene" del Caravaggio. Le sue strade storicamente sono diventate set cinematografici di film importanti, "Gran Torino" di Clint Eastwood su tutti; è stata la città dei riots ("Detroit" è anche il titolo di un film ispirato a quegli avvenimenti, degli abusi della polizia e dei conseguenti disordini civili nell'estate del 1967), delle rivolte degli afroamericani che da sud, dal Tennessee, dall’Alabama, dal Mississippi, fin giù dalla Louisiana, arrivarono a Detroit, percorrendo migliaia di chilometri, spesso a piedi, per lavorare nelle catene di montaggio (in downtown c'è una struggente statua , intitolata “Gateway to Freedom”, a memoria e rappresentanza di quel cammino di immigranti). A milioni arrivarono anche dall’Europa, polacchi, tedeschi, russi, italiani, dopo essere approdati a New York, si dirigevano verso l’interno del paese in cerca di lavoro ed opportunità, e lavoro ce n’era davvero tanto a Detroit e dintorni: alla Ford ed alla General Motors, nell’indotto dell’industria automobilistica, ma anche nel commercio, nel turismo, nell’arte e nella cultura. Detroit prosperò molto durante l’ultima guerra mondiale: i carri armati, le  jeep, le cammionette,  i blindati stars and stripe, venivano prodotti lì, fu grazie a quegli operai che la macchina bellica americana divenne imponente, fu grazie al loro lavoro che gli stati Uniti D’America vinsero la guerra.

Ma la città iniziò un rovinoso declino dagli anni 60, per poi riprendersi  negli anni 80, grazie alle politiche liberiste reaganiane, che spinsero l’America in grandissime contraddizioni, ma anche verso una crescita economica fortissima, e fu proprio da Detroit che partì la corsa di Reagan, che al congresso del GOP del Luglio 1980 ottenne l’investitura, per poi vincere le elezioni presidenziali pochi mesi dopo. L’ex attore divenuto presidente avrebbe governato gli stati Uniti per gli 8 anni successivi: la sua corsa sarebbe partita dalla città degli hard workers e dei potenti sindacati degli operai. Anche in quello Detroit fu paradossale e profetica.

Nel 1987 fu visitata da Papa Wojtyla, forse a ribadire la piena sintonia ed il sostegno alla visione, anche geopolitica, reaganiana. Lo stato del Michigan -  come ricorda un recentissimo post di Michael Moore, anche lui un michigander (come si definiscono gli abitanti del Michigan), nato a Flint, poche decine di km da Detroit - è anche quello di Magic Johnson, di Lily Tomlin, dei corn flakes, della middle class, di intellettuali storici come Arthur Miller che studiò alla Michigan University, delle innovazioni tecnologiche ed imprenditoriali epocali, quelle di Thomas Edison e di Henry  Ford con la sua prima catena di montaggio (i murales di Diego Rivera al museo DIA , proprio sul lavoro nelle catene di montaggio, sono un meraviglioso pugno in un occhio e valgono almeno quanti altri documenti storici). A Detroit vissero buona parte della loro vita due simboli del movimento per i diritti civili, gli attivisti Malcolm X e Rosa Parks, la cui "disobbedienza" rifiutandosi di cedere il posto ad un bianco nel 1955, diede inizio al boicottaggio dei bus a Montgomery - Alabama, che a sua volta generò un movimento di protesta civile e politica in tutta l'America, guidato da MLK (vicende narrate nel consigliato film premio Oscar "Selma, la strada per la liberta'").

Molti, tra analisti, intellettuali ed osservatori, guardando a queste elezioni raccontavano di " battle for the soul of the nation" divenuto poi slogan dalla stessa campagna di Biden, ormai presidente in pectore. E non poteva che essere a Detroit, più che altrove, il campo di battaglia ideale per conquistare l'anima del paese più ricco e potente militarmente del mondo. La città dei grandi paradossi, dove convivono meravigliosi grattacieli e palazzi in arte déco - come il  Guardian Building, il Fisher Building ed il Cadillac Place - insieme alle rovine di interi quartieri abbandonati, di case bruciate come fosse zona di guerra, dove c'è chi possiede ricchezze stratosferiche e chi muore per strada per il freddo, che in inverno picchia durissimo (migliaia sono gli homeless). Città con gli indici di violenza tra i più alti in tutto l'occidente, la prima ed unica statunitense a dichiarare fallimento nel 2013, visto che la crisi si abbattè lì particolarmente violenta ed improvvisa, proprio come una di quelle ice storm invernali, violente tempeste di neve e ghiaccio che soffiano dal Canada e che qualche volta la colpiscono, non riuscendo ad abbaterla, semmai rendendola ogni volta più resistente ed adrenalinica.

Ripresasi dalla crisi durante le amministrazioni Obama, è tornata a correre fortissima negli ultimi anni, tanto da essere tornata una delle città più cool e vive d'America, meta di immigrazione per innovatori, imprenditori, artisti ed intellettuali. Nel 2016 Trump vinse in Michigan, da sempre uno swing state insieme alla Florida ed a un manipolo di stati del midwest, chiave per arrivare alla Casa Bianca. C'è una canzone che ne racconta l'anima, è del 2015, cantata da un gruppo di rappers della città, tutti neri tranne Eminem, cresciuto nell'eight mile, il titolo è Detroit Vs Everybody (Detroit contro tutti), il testo è forte, volgare, sfrontato, ma anche eloquente e autentico, di una energia impressionante, di una intensità, anche spirituale, dirompente, rivolto al futuro, persino profetica, proprio come l'anima di Detroit.

Auguri a Biden, se eletto diventerebbe il secondo presidente cattolico nella storia statunitense dopo JFKennedy.

Giuseppe Luca Mantegazza

DETROIT VS Everybody                     

"...Welcome to Detroit, mothafucka...        

where  you get that promotion..                                

So futuristic, Comin’ from them streets where they thirsty starvin’ to eat...

Just a step away from failin’,    

that’s why they call it the Detroit...            

Cause it’s so cold in the Detroit,             

it is as days begin to tick away...            

But ain’t this what really made me into  the angry bitter blonde"

 

Traduzione  DETROIT Contro Tutti

"...Benvenuto a Detroit, stronzo

dove  tu ottieni quella promozione...

E' Così futuristico,...  Arrivando dalle strade, dove sono assettati e morti di fame...

Ad un solo passo dal fallimento,

ecco perché la chiamano Detroit

Perché fa così freddo a Detroit,

è come se i giorni cominciassero a passare,

ma non è proprio questo che mi ha trasformato, nel biondo pieno di rabbia che sono oggi?"

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