Ecco le parole con cui un gimmino ci racconta il weekend vissuto a Venegono il 19-20 febbraio:
<< La cultura della solidarietà e della gratuità qualifica il volontariato e contribuisce concretamente alla costruzione di una società fraterna, al cui centro vi è la persona umana... >>
Dal discorso di Papa Francesco nel Novembre 2018 all’incontro di “Sardegna solidale”. Queste parole del Papa, dopo l’esperienza svolta
Ecco le parole con cui un gimmino ci racconta il weekend vissuto a Venegono il 19-20 febbraio:
<< La cultura della solidarietà e della gratuità qualifica il volontariato e contribuisce concretamente alla costruzione di una società fraterna, al cui centro vi è la persona umana... >>
Dal discorso di Papa Francesco nel Novembre 2018 all’incontro di “Sardegna solidale”. Queste parole del Papa, dopo l’esperienza svolta sabato sera alla mensa gestita da suore e volontari in via Luini a Varese, mi ha fatto riflettere sul singolo che agisce come un insieme nella società.
Ciascuno singolarmente possiede i propri talenti o i propri punti deboli, ma in gruppo, come in un coro, le singole voci creano diverse tonalità nella melodia, così l’insieme corale dei “volontari” porta ad un rinnovo della propria persona nella società, ciascuno offre il suo contributo e chi rimane ai margini, magari perché non si sente coinvolto, è spronato dal vedere ciò che gli altri stanno compiendo attorno a lui e gli scatta la voglia di farsi avanti e contribuire, anche lui, nel supporto concreto verso il bisognoso e il fragile.
L’incontro con la Parola, Domenica mattina, attraverso la lettura del Vangelo di Lc 10,25-37, ci ha fatto riflettere su questo significato.
Un dottore della Legge (chiamato anche scriba, colui che era esperto delle regole e dei precetti per essere dei buoni Giudei), per mettere alla prova Gesù gli chiese cosa doveva fare per ereditare la vita eterna, Gesù in risposta gli pose questa domanda: << Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?>>.
Il dottore della Legge rispose <<Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te sesso>>. Gesù gli disse: <>.
Questo è il grande comandamento (o meglio la grande Parola, infatti Dio cerca il dialogo con i suoi figli, non impartisce degli ordini come un comandante).
Il dottore della Legge però, volendo giustificarsi, chiese a Gesù: <>. Gesù riprese: << Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui...>>
Di questi tre, il Samaritano è colui che è stato più prossimo all’uomo caduto nelle mani dei briganti.
Egli ha avuto MISERICORDIA (parola tradotta nel Testo con: compassione) formata dalla parola MISERERE cioè avere pietà/compassione e CORDIA cioè cuore, significa avere compassione con il cuore.
La lettura, a partire dalle persone, dalle parole, dalle situazioni del passo del Vangelo porta a scoprire che il viandante è in cammino da Gerusalemme dove c’era il Tempio (città a circa 800 metri sul livello del mare) a Gerico città sacerdotale (posta ad una quota sotto il livello del mare). I personaggi che percorrono quella strada e incontrano il moribondo sono: il sacerdote, che secondo la legge si sarebbe reso impuro se avesse toccato l’uomo che giaceva a terra ferito, come anche il levita (i leviti erano una delle 12 tribù del popolo di Israele, Dio ha promesso una terra a tutte le tribù meno che ai leviti, i quali dovevano servire Dio senza legarsi alla terra, loro conoscevano e sapevano svolgere tutti i riti cerimoniali del Tempio).
Il Samaritano, cioè l’abitante della Samaria, non viene neanche nominato dal dottore della Legge da quanto era il disprezzo per questa popolo ritenuto straniero ed eretico perché non credeva al Dio dei Giudei.
Lui è l’unico ad usare misericordia verso il bisognoso. Quante volte questo passo del Vangelo si ripete nella storia, anche ai nostri giorni.
L’incontro con Padre Franco Nascimbene domenica è stato molto bello oltre che interessantissimo, lui Comboniano che ha studiato nel Castello di Venegono Superiore negli anni ‘70 e compagno di studi di p. Ezequiel Ramin, martire in Brasile nel 1985, ha raccontato diversi episodi della sua vita e delle missioni in Ecuador, a Castel Volturno e in Colombia.
Ci raccontò che nel giugno del 2002, lui, insieme a Padre Giorgio (un altro Comboniano in missione a Castel Volturno) si incatenarono all’inferriata della finestra della Prefettura di Caserta, per interrompere le deportazioni legalizzate dalla legge Bossi-Fini delle persone senza permesso di soggiorno presenti sul territorio.
Vi erano circa 5000 africani, dei quali 4500 poveri senza il permesso di soggiorno mentre i 500 che lo avevano, erano persone pericolose perché narcotrafficanti o sfruttatori di ragazze vittime di tratta che con i proventi illeciti erano riusciti ad avere dei documenti.
Il Prefetto telefonò al Vescovo di Caserta e gli chiese se non gli sembrava che fosse una vergogna per la Chiesa e per la città che da giorni vi fossero due sacerdoti incatenati in strada e chiese al Vescovo di intervenire per convincerli a ritirarsi. Il Vescovo gli rispose raccontandogli la parabola del Buon Samaritano, spiegandogli che i due missionari gli sembravano simili a quello straniero che, avendo visto la persona ferita e sofferente, era sceso da cavallo per aiutare la vittima dei ladri e che per la Chiesa quello non era motivo di vergogna ma di orgoglio, perché avevano saputo ascoltare il grido dei poveri.
La vicenda insieme ad altri racconti delle missioni è raccontata nel nuovo libro di Padre Franco: “Son venuto a portare fuoco sulla Terra”. Un altro aspetto che ci ha fatto riflettere molto è stata la scelta di Padre Franco, dopo aver passato i primi anni di missione in Ecuador, di svolgere dal martedì al sabato l’evangelizzazione nelle comunità povere percorrendo le foreste a piedi nel fango per raggiungere villaggi sperduti, mentre la Domenica e il Lunedì ritornare alla vita di città, con auto, cuoca ed altre comodità. Si chiedeva: << quale dei due sono io? >> Il povero che cammina in foresta o il borghese del fine settimana?
Da lì la scelta di cambiare radicalmente stile di vita della missione, l’annuncio del Vangelo lo doveva fare in mezzo alle persone dei quartieri poveri vivendo insieme a loro per tutto il tempo.
Ecco invece le parole riportate da un altro gimmino:
Il weekend GIM di Febbraio, presso la sede di Venegono, ha permesso, a noi GIMMINI, di tuffarci ed assaporare la profondità della misericordia.
<<Misericordiando>>, infatti, è stato il titolo di questo incontro che ci ha guidati a Varese per vivere una breve ma intensa esperienza di servizio per la distribuzione della cena ai bisognosi insieme alle suore Riparatrici e ai volontari che quotidianamente prestano questo tipo di servizio: non bisogna andare molto lontano dalla porta di casa per porgere una mano al nostro prossimo ed avere uno sguardo amorevole che rincuora gli animi.
Siamo stati accompagnati dalla parabola del Buon Samaritano per la catechesi domenicale e grazie ad alcune parole di Papa Francesco abbiamo custodito quanto sia importante farsi carico dell’altro. Alcuni versetti dell’evangelista Luca ci hanno dato modo di porci delle domande e di riflettere su come ri-orientare la nostra vita di giovani cristiani.
Chi è il buon samaritano? Chi, davanti alla sofferenza dei fratelli non resta indifferente ma si lascia toccare e permette che la compassione trasformi il suo cuore in cui trova spazio anche la sofferenza degli altri.
Che fare per ereditare la vita eterna? O forse sarebbe meglio domandarsi come vivere la vita terrena? Come amare il nostro prossimo? Chi sono gli ultimi?
La testimonianza del missionario comboniano Padre Franco Nascimbene, che ha trascorso con noi la domenica, ci ha scosso le coscienze e ci ha dato esempio tangibile di una vita vissuta senza essere indifferenti al dolore degli altri poichè far causa comune con i fratelli poveri per alleviare la loro sofferenza diventa la nostra più grande dignità.
Tra i vari episodi della sua intensa vita missionaria che ha condiviso, ha suscitato in noi particolare attenzione il periodo da lui vissuto proprio nella nostra Italia, nella comunità comboniana di Castel Volturno. In questa città, con alta densità di abitanti di origini africane, gli era stata affidata l’attività pastorale con gli immigrati. A seguito della legge Bossi-Fini, il sindaco aveva ordinato alla polizia di espellere tutti gli stranieri senza documenti. I missionari comboniani tentarono la strada del dialogo con le autorità competenti. Fallito tale tentativo decisero di incatenarsi davanti alla questura di Caserta in segno di protesta per richiamare l’attenzione sulla vicenda finché non li avessero ascoltati e avessero bloccato l’azione di espatrio. Con la loro protesta causarono pressioni al ministro degli interni che chiese al prefetto di fare il possibile per far cessare questa insolita protesta. Il prefetto, dopo il fallimento dell’intervento della polizia, chiamò il Vescovo per chiedere di intervenire poiché era vergognoso che dei sacerdoti facessero resistenza ad una legge dello Stato. Il Vescovo rispose raccontando proprio la parabola del Buon samaritano e per questo motivo lui non provava vergogna ma orgoglio per quanto quei sacerdoti stavano cercando di fare per i loro fratelli africani.