Giuseppe Impastato
1978 Dopo il “testimone di mafia”, famoso, giudice
Giovanni Falcone, eccone un altro, meno famoso, Giuseppe Impastato. Non era un
giudice. Era......uno qualunque? Queste righe non
vogliono essere la presentazione o l’impossibile riassunto della sua vita, ma
un invito ad andare a conoscere la sua storia, i suoi ideali, la sua lotta
contro la mafia, contro alcuni aspetti della sua famiglia e della sua stessa
personalità. Quindi per saperne di
più: www.centroimpastato.it Peppino
è cresciuto tra un padre mafioso, anche se prudentemente autopensionatosi, e
una madre educata a tacere, ma che di tanto in tanto esplode. Il suo rifiuto
della mafia e tutt’uno con la sua infanzia, con la sua voglia di vivere che si
scontra con l’autoritarismo del padre. Peppino
ha rotto due tabù: quello mafioso e quello democristiano. A Cinisi mafia e
Democrazia Cristiana sono la stessa cosa, e lo sono pure nella famiglia di Luigi
Impastato. Il padre lo scaccia di casa; é un gesto plateale che si ripeterà
varie volte, fino alla definitiva espulsione. Il padre, cacciandolo di casa,
dice a tutto il paese, e “manda a dire” in particolare ai suoi amici
capimafia e gregari, che lui non ha niente a che fare con quel figlio e con
quelle scelte. Questa
storia familiare, micidiale per Peppino ed emblematica di una Sicilia che uccide
prima che con la lupara e i kalashnikov con i suoi tiranni familiari, padri che
vogliono i figli a loro immagine e somiglianza e che per essere domestici
saturni non sempre hanno bisogno di essere affiliati alle “onorate società”,
ha diviso in due la personalità di Peppino e ha spaccato la sua stessa
famiglia. Dagli
appunti di Peppino abbiamo un quadro umano, oltre che politico,
dell’esperienza del ’68. (......)
“E stato forse quello il periodo più straziante e al tempo stesso più
esaltante della mia esistenza e della mia storia politica. Passavo con continuità
ininterrotta da fasi di cupa disperazione a momenti di autentica esaltazione e
capacità creativa: la costruzione di un vastissimo movimento d’opinione a
livello giovanile, il proliferare delle sedi di partito nella zona, le prime
esperienze di lotta di quartiere, stavano li a dimostrarlo. Ma io mi allontanavo
sempre più dalla realtà, diventava sempre più difficile stabilire un rapporto
lineare col mondo esterno, mi racchiudevo sempre più in me stesso. Mi
caratterizzava una grande paura di tutto e di tutti e al tempo stesso una voglia
quasi incontrollabile di aprirmi e costruire. Da un mese all’altro, da una
settimana all’altra, diventava sempre più difficile riconoscermi. Per giorni
e giorni non parlavo con nessuno, poi ritornavo a gioire, a proporre, a
riproporre: vivevo in uno stato di incontrollabile schizofrenia.” Umberto
Santino ha scritto di lui: “Io
non so, per non averlo mai visto da vicino, come Peppino sorrideva, e se
sorrideva; non so com’era quando sprofondava in una crisi di disperazione o
quando faceva un comizio o scriveva un volantino. Le immagini fotografiche che
ho di lui sono scialbe e deludenti. La voce delle registrazioni non mi dice
niente di particolare. Ma ho capito e capisco, ho rispettato e rispetto, potrei
dire anche amato, quello che mi pare nucleo e radice della sua vicenda
personale. Si chiama, senza infingimenti, solitudine. Peppino è stato, o
comunque si è sentito, solo dentro la sua famiglia, nel suo paese, nella sua
attività politica, e tutta la sua vita è lacerata da una rottura originaria e
volta a rimarginarla in un impegno di convivenza con gli altri, sempre
rinnovato, fino alla fine, anche se sempre, o quasi sempre, deluso. Queste cose
le ha scritte, senza pietà, o più verisimilmente con grandissima pietà, per
se stesso e per gli altri.” Queste vogliono
essere, come altre pagine dedicate ad altri “Testimoni”, uno spunto di
riflessione sulla nostra vita. Peppino è testimone di come “la lotta contro
la mafia” avviene a più livelli: prima di tutto e ogni giorno nella sua
persona, poi nella sua famiglia, nel suo paese e nella Sicilia intera. Così anche
noi dovremmo “lottare” a più livelli per concretizzare i nostri valori: non
ha senso, ad esempio, manifestare a Genova per ragioni “globali”, senza
coinvolgere in queste ragioni anche la nostra famiglia (si cambia....SOLOINSIEME!);
non ha senso “parlare” delle contraddizioni del mondo senza cimentarle nel
confronto con il proprio “vivere” e la propria personalità. Quest’ultima
è forse la più grande fatica: quale sofferenza nella solitudine e nelle lotte
interiori di Peppino? Quale
la nostra responsabilità nel lasciare a lottare da soli alcuni testimoni
inevidenti dei luoghi e tempi in cui viviamo?
Ai
funerali di Peppino, e dopo in tante manifestazioni, i suoi compagni, quelli che
avevano vissuto con lui l’esperienza delle lotte e delle denunce, delle
manifestazioni e di Radio Aut, gli “scazzi” e le riconciliazioni, hanno
inalberato uno striscione con scritto: “Con le idee e il coraggio di Peppino
noi continuiamo”. Si sa che certe cose è facile scriverle ma difficile, molto
difficile, attuarle. Per molte ragioni, molti non hanno continuato, e tra i suoi
compagni e tra gli altri che in quella scritta si erano riconosciuti. |
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