Oscar Romero nasce a Ciudad Barrios di El Salvador il 15 marzo 1917 da una famiglia modesta. Avviato all'età di 12 anni come apprendista presso un falegname, a 13 entrerà nel seminario minore di S. Miguel e poi, nel 1937, nel seminario maggiore di San Salvador retto dai Gesuiti. All'età di 20 anni fa il suo ingresso all'Università Gregoriana a Roma dove si licenzierà in teologia nel 1943, un anno dopo essere stato ordinato Sacerdote. Rientrato in patria si dedicherà con passione all'attività pastorale come parroco. Diviene presto direttore della rivista ecclesiale “Chaparrastique” e, subito dopo, direttore del seminario interdiocesano di San Salvador.In seguito avrà incarichi importanti come segretario della Conferenza Episcopale dell'America Centrale e di Panama. Il 24 maggio 1967 è nominato Vescovo di Tombee e solo tre anni dopo Vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di San Salvador. Nel febbraio del '77 è Vescovo dell'arcidiocesi, proprio quando nel paese infierisce la repressione sociale e politica.
Sono, ormai, quotidiani gli omicidi di contadini poveri e oppositori del regime politico, i massacri compiuti da organizzazioni paramilitari di destra, protetti e sostenuti dal sistema politico. E' il periodo in cui il generale Carlos H. Romero è proclamato vincitore, grazie a brogli elettorali, delle elezioni presidenziali. La nomina del nuovo Vescovo non desta preoccupazione: mons. Romero, si sa, è “un uomo di studi”, non impegnato socialmente e politicamente; è un conservatore.
Il potere confida in una pastorale aliena da ogni compromesso sociale, una pastorale “spirituale” e quindi asettica, disincarnata. Mons. Romero inizia il suo lavoro con passione. Passa poco tempo che le notizie della sua inaspettata attività in favore della giustizia sociale giungono lontano e presto arrivano i primi riconoscimenti ufficiali dall'estero. Mons. Romero li accetta tutti in nome del popolo salvadoregno. Ma che cosa è accaduto nell'animo del vescovo conservatore?
Di particolare nulla. Solo una grande Fede di pastore che non può ignorare i fatti tragici e sanguinosi che interessano la gente. Disse, infatti, Romero: “Nella ricerca della salvezza dobbiamo evitare il dualismo che separa i poteri temporali dalla santificazione” e ancora: “Essendo nel mondo e perciò per il mondo (una cosa sola con la storia del mondo), la Chiesa svela il lato oscuro del mondo, il suo abisso di male, ciò che fa fallire gli esseri umani, li degrada, ciò che li disumanizza”.Forse un evento scatenante potrebbe essere stato l'assassinio del gesuita Rutilio Grande da parte dei sicari del regime; Romero apre un'inchiesta sul delitto e ordina la chiusura di scuole e collegi per tre giorni consecutivi. Nei suoi discorsi mette sotto accusa il potere politico e giuridico di El Salvador. Istituisce una commissione permanente in difesa dei diritti umani; le sue omelie, ascoltate da moltissimi parrocchiani e trasmesse dalla radio della diocesi,vengono pubblicate sul giornale “Orientaciòn”. Una certa chiesa si impaurisce allontanandosi da Romero e dipingendolo come un ”incitatore della lotta di classe e del socialismo”. In realtà Romero non invitò mai nessuno alla lotta armata, ma, piuttosto, alla riflessione, alla presa di coscienza dei propri diritti e all'azione mediata, mai gonfia d'odio. Purtroppo, il regime sfidato aveva alzato il tiro; dal 1977 al 1980 si alternano i regimi ma non cessano i massacri: il 24 marzo 1980 Oscar Romero, proprio nel momento in cui sta elevando il Calice nell'Eucarestia viene assassinato. Le sue ultime parole sono ancora per la giustizia: “In questo Calice il vino diventa sangue che è stato il prezzo della salvezza. Possa questo sacrificio di Cristo darci il coraggio di offrire il nostro corpo ed il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo.Questo momento di preghiera ci trovi saldamente uniti nella fede e nella speranza”. Da quel giorno la gente lo chiama, lo prega, lo invoca come San Romero d'America. Sì, la profezia di Romero, il vescovo fatto popolo si è realizzata: “Se mi uccideranno – aveva detto – risorgerò nel popolo salvadoregno”.
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Cari missionari, dal Sudan a Cuba, dal Brasile alla Costa d’Avorio, dal Pakistan all’Argentina, dal Per? allo Sri Lanka, dal Libano al Mozambico, dalla Svizzera all’Australia, dallo Zaire all’Indonesia…non c’è angolo della terra dove un frammento eucaristico, staccatosi dall’ostia delle nostre Chiese locali, non sia andato a depositarsi per divenire fermento di nuove comunità cristiane. Avete inteso bene: vi ho chiamati “frammento eucaristico” a ragion veduta. Non solo per le profonde motivazioni teologiche che ci mostrano come Chiesa ed eucaristia siano due realtà che si richiamano, si completano e si sovrappongono. Ma anche perché mi date l’idea di tante particole che il vento dello Spirito, soffiando sul nostro altare, ha disseminato lontano. E, nonostante tutto, la mensa non si è impoverita. Non è l’eucaristia, infatti, che diminuisce: è l’altare che si dilata. Così pure voi: portati apparentemente alla deriva dal vento di Pentecoste a approdati su spiagge remote, non avete depauperato il “recinto”, ma avete dilatato il “tabernacolo”. (…) Grazie, sacerdoti, suore e laici di ogni angolo d’Italia, che vi consumate come lampade in terra di missione. Grazie, perché ci avete imparentati col mondo. Grazie, perché, controbilanciando la nostra anima sedentaria, voi ci salvate la faccia. Grazie, perché ci provocate all’essenziale. E perché, tra i percorsi alternativi che conducono al Regno, ci indicate i rettilinei della semplicità, del coraggio, della donazione totale. Grazie, perché la leggerezza del vostro bagaglio mette in crisi l’ottusa caparbietà con cui qui trasciniamo rassegnati il “tir” delle nostre improduttive tradizioni. Grazie, soprattutto, per quello che un giorno forse ci darete. Se, infatti, continueremo a fare resistenza passiva all’urto dello Spirito, probabilmente il vento di Pentecoste comincerà a soffiare in senso contrario. Le favelas delle vostre bidonvilles o le capanne dei vostri villaggi saranno il nuovo cenacolo di Gerusalemme. E le nostre vecchie città occidentali diventeranno “gli estremi confini della terra” bisognosi di redenzione. don Tonino (novembre 1986) Leggi anche:
» La Pasqua di Oscar Arnulfo Romero
» In memoria del vescovo Romero a cura di David Maria Turoldo
» Veglia Pasquale 1978 con mons. Romero
» Dall'oppressione alla libertà
» La strada di Romero
» Omelia durante i funerali di padre Rutilio Grande
Per approfondire:
Scritti di O. A. Romero
* Diario, ed. La Meridiana, Molfetta 1990.
* Romero …y lo mataron. Scritti e discorsi di una vittima della repressione in America Latina, ed. AVE, Roma 1980.
Scritti su O.A. Romero
* AA.VV., Il vescovo Romero, martire per la sua fede per il suo popolo. Ed. EMI, Bologna 1980.
* LEVI A., Oscar Arnulfo Romero.Un vescovo fatto popolo, Ed. Morcelliana,Brescia 1981.
* J.R.Brockman, "Oscar Romero. Fedele alla parola", Cittadella Editrice, Assisi 1984.
* Ettore Masina, "L'Arcivescovo deve morire. Monsignor Romero e il suo popolo", ed. del Gruppo Abele, 1996.
* Ettore Masina, Oscar Romero, prefazione di Leonardo Boff, Edizioni Cultura della Pace - San Domenico di Fiesole (FI), 1993
* María López Vigil, Oscar Romero, Un Mosaico di Luci, Ed. Emi, Bologna 1997
WEB:
» http://servicioskoinonia.org/romero
» http://www.paginecristiane.net/romero/
» http://ospiti.peacelink.it/romero/
» estratti video in “Rai Teche” su Oscar Romero
Audiovisivi
* “ROMERO” di John Duigan distribuito in home-video da Titanus.
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TESTIMONI DA EL SALVADOR: Mons. OSCAR ROMERO e p. RUTILIO GRANDE
Omelia durante i funerali di padre Rutilio Grande (ucciso il 12 marzo 1977, assieme ad un anziano e ad un bambino)
di Oscar A. Romero
Ecc.mo rappresentante di Sua Santità il papa, cari fratelli vescovi, Sacerdoti e Fedeli,
poche volte, come questa mattina, la cattedrale mi appare come segno della Chiesa universale. Qui vi è la convergenza di tutta la ricca pastorale di una Chiesa locale che si intreccia con la pastorale di tutte le diocesi e di tutto il mondo, e allora ci rendiamo conto che la presenza non solo dei vivi, ma anche di questi tre morti, conferisce a questa figura della Chiesa, una prospettiva aperta all'assoluto, all'infinito, all'aldilà: Chiesa universale, Chiesa che va al di là della storia, Chiesa che va al di là della vita umana.
Se fosse un semplice funerale parlerei ora - cari fratelli - delle mie relazioni umane e personali con il padre Rutilio Grande, che è stato per me come un fratello. In momenti molto importanti della mia vita mi è stato molto vicino e questi gesti non si dimenticano mai; tuttavia questo non è il momento di pensare a fatti personali, ma di raccogliere da questo cadavere un messaggio per tutti noi che continuiamo il nostro pellegrinaggio. Il messaggio voglio prenderlo dalle parole stesse del papa, presente qui nella persona del suo rappresentante, il Nunzio, che ringrazio, perché dà, alla nostra figura di Chiesa, quel senso di unità che ora sento nell'arcidiocesi, in queste tragiche ore; quel senso di unità, come rapida fioritura di questi sacrifici che la Chiesa sta offrendo. Il messaggio di Paolo VI, quando ci parla dell'evangelizzazione, ci aiuta a comprendere Rutilio Grande. "Qual è l'apporto della Chiesa a questa lotta universale per la liberazione da tanta miseria?" E il papa ricorda come nel Sinodo del 1974 le voci dei vescovi di tutto il mondo, rappresentate soprattutto dai vescovi del terzo mondo, gridavano "la sofferenza di questi popoli affamati, miseri, emarginati". E la Chiesa non può rimanere assente in questa lotta di liberazione, ma la sua presenza in questa lotta, per rialzare, ridare dignità all'uomo, dev'essere un messaggio, una presenza del tutto originale; una presenza che il mondo non potrà comprendere, ma che ha in sé il germe, la potenza della vittoria, della riuscita. Dice il papa: la Chiesa offre questa lotta liberatrice del mondo, uomini liberatori, ai quali dà un'ispirazione di fede, una dottrina sociale, che è alla base della sua prudenza e della sua esistenza, per essere tradotta in impegni concreti, e soprattutto dà una motivazione di amore, di amore fraterno.
Questa è la liberazione della Chiesa. Perciò il papa dice: "Non si può confondere con altri movimenti di liberazione senza orizzonti ultraterreni, senza orizzonti spirituali". Anzitutto un'ispirazione di fede, e così è padre Rutilio Grande: un sacerdote, un cristiano che nel suo battesimo e nella sua ordinazione sacerdotale ha fatto una professione di fede: "Credo in Dio Padre rivelato da Cristo suo Figlio, che ci ama e ci invita all'amore. Credo in una Chiesa che è segno di questa presenza dell'amore di Dio nel mondo, dove gli uomini si danno la mano e si incontrano come fratelli. Un'illuminazione di fede che la fa distinguere da qualsiasi liberazione di tipo politico, economico, terreno, che non vada al di là di ideologie di interessi e di cose che restano sulla terra". Mai, fratelli, a nessuno di coloro che sono qui presenti, venga in mente che questo nostro essere riuniti intorno al padre Grande abbia un tono politico, sociologico o economico. Niente affatto: è una riunione di fede. Una fede che attraverso il suo corpo morto nella speranza, si apre verso orizzonti eterni.
La liberazione che padre Grande predicava è ispirata alla fede, una fede che ci parla di una vita eterna, una fede che ora egli, con il viso rivolto al cielo, accompagnato da due contadini, offre nella sua totalità, nella sua perfezione, la liberazione che culmina nella felicità in Dio; la liberazione che prende avvio dal pentimento del peccato, la liberazione che si appoggia a Cristo, unica forza salvatrice; questa è la liberazione che ha predicato Rutilio Grande, e per questo ha vissuto il messaggio della Chiesa. Ci dà uomini liberatori con una ispirazione di fede e, allo stesso tempo, ci dà la stessa ispirazione di fede. In secondo luogo, uomini che pongono alla base della loro prudenza e della loro esistenza, una dottrina: la dottrina sociale della Chiesa. La dottrina sociale della Chiesa che dice agli uomini che la religione cristiana non ha soltanto un senso verticale, spiritualista, che dimentica la miseria che li circonda. È un guardare Dio, e da Dio guardare il prossimo come fratello e sentire che "tutto ciò che farete a uno di questi lo avrete fatto a me". Una dottrina sociale che magari fosse conosciuta dai movimenti sensibili alle questioni sociali. Eviterebbero insuccessi, miopie, la miopia che non lascia vedere che le cose temporali, le strutture temporali. E fintanto che non si viva una conversione del cuore, una dottrina che si illumina con la fede per organizzare la vita secondo il cuore di Dio, tutto sarà debole, rivoluzionario, passeggero, violento. Nessuna di queste cose è cristiana, lo sono quelle che prendono vita dalla vera dottrina che la Chiesa propone agli uomini: come sarebbe luminoso il mondo se tutti ponessero alla base della propria esistenza, dei propri impegni concreti, anche delle proprie preferenze politiche, degli affari, la dottrina sociale della Chiesa! Questo predicava padre Rutilio Grande e poiché spesso tale dottrina non è compresa, fino a giungere all'assassinio, per questo è morto padre Rutilio Grande. Una dottrina sociale della Chiesa che è stata confusa con una dottrina politica che dà fastidio al mondo; una dottrina sociale della Chiesa che si vuol calunniare come sovversiva, con altre cose che sono molto lontane dalla prudenza che la dottrina della Chiesa pone alla base dell'esistenza.
Cari fratelli sacerdoti, questo messaggio di padre Rutilio Grande è di estrema importanza per noi. Raccogliamolo e, alla luce di questa dottrina e di questa fede, lavoriamo uniti. Non dividiamoci con ideologie progressisticamente pericolose, con ideologie non ispirate alla fede nel Vangelo. Diamo alla nostra dottrina, al nostro agire da buoni samaritani, da predicatori del comandamento di Cristo, quella luce che la Chiesa, depositaria della fede, come hanno detto ieri nel loro messaggio i vescovi del Salvador, sta cercando di attualizzare in questi momenti misteriosi, convulsi della nostra repubblica. Sono felice, cari sacerdoti, che tra i frutti di questa morte, che piangiamo, e di altre difficili circostanze del momento, il clero si stringa intorno al suo vescovo e i fedeli comprendano come la luce della fede ci guida per strade molto diverse da quelle di altre ideologie, che non sono della Chiesa, per seminare quello che la Chiesa offre: una motivazione di amore. Fratelli, qui non grida un revanscismo, come hanno già detto i vescovi ieri. I nostri interessi sono gli interessi di Dio, che ci dice di amarlo sopra ogni cosa e di amare gli altri come noi stessi. Ed è vero che abbiamo chiesto alle autorità che chiariscano questo crimine: hanno gli strumenti della giustizia e devono chiarirlo. Non accusiamo nessuno. Non anticipiamo giudizi. Attendiamo la voce di una giustizia imparziale, perché nella motivazione dell'amore non può rimanere assente la giustizia, non ci può essere vera pace e vero amore, sulle basi dell'ingiustizia, della violenza, degli intrighi. Il vero amore è quello che ha portato Rutilio Grande alla morte insieme, per mano, a due contadini. Così ama la Chiesa, muore con loro e con loro si presenta alla trascendenza del cielo. Li ama, ed è significativo il fatto che padre Grande è caduto colpito dagli spari mentre camminava portando il messaggio della messa e della salvezza. Un sacerdote coi suoi contadini, che cammina con il popolo per identificarsi con esso, per vivere con lui non un'ispirazione rivoluzionaria, ma un'ispirazione di amore e proprio perché è l'amore quello che ci ispira, fratelli, chissà... se le mani criminali che già sono incorse nella scomunica, stanno ascoltando per radio, in un loro covo, nella loro coscienza, queste parole... Vogliamo dirvi, fratelli criminali che vi amiamo e che chiediamo a Dio il pentimento per i vostri cuori, perché la Chiesa non è capace di odiare, non ha nemici. Sono nemici soltanto coloro che si dichiarano tali; ma essa li ama e muore come Cristo: perdonali, Padre, perché non sanno quello che fanno. L'amore del Signore ispirava l'azione di Rutilio Grande. Cari sacerdoti, raccogliamo questa preziosa eredità. Noi che l'abbiamo ascoltato, che abbiamo condiviso gli ideali di padre Rutilio, sappiamo che era incapace di predicare l'odio, che era incapace di aizzare la violenza.
Padre Rutilio, forse proprio per questo Dio l'ha scelto per tale martirio: perché coloro che lo conobbero, noi che l'abbiamo conosciuto, sappiamo che mai dalla sua bocca è uscito un richiamo alla violenza, all'odio, alla vendetta. Morì amando e, certamente, quando sentì i primi colpi annunciatori di morte, poté dire, come Cristo: perdonali, Padre, non sanno, non hanno capito il mio messaggio di amore. Cari fratelli, in nome dell'arcidiocesi, voglio ringraziare questi collaboratori della liberazione cristiana, padre Grande e i suoi due compagni di pellegrinaggio verso l'eternità, che stanno dando a questa riunione di Chiesa, con tutto il nostro caro presbiterio e con sacerdoti di altre diocesi, in unione con il santo Padre, alla presenza del suo Nunzio, la vera dimensione della nostra missione. Non lo dimentichiamo. Siamo una Chiesa pellegrina, esposta all'incomprensione, alla persecuzione; una Chiesa, però, che cammina serena, perché porta con sé questa forza dell'amore.
Fratelli, salvadoregni, quando in questi momenti cruciali della patria sembra che non esista una soluzione e si vorrebbero adoperare mezzi violenti, io vi dico, fratelli - sia lodato Dio - che nella morte di padre Grande la Chiesa sta dicendo: Sì, c'è una soluzione, la soluzione è l'amore, la soluzione è la fede, la soluzione è sentire la Chiesa non come nemica, la Chiesa come il punto di ritrovo di Dio con gli uomini. Capiamo questa Chiesa, ispiriamoci a questo amore, viviamo questa fede e vi assicuro che c'è la soluzione per i nostri grandi problemi sociali. Questo volevo dire, come ringraziamento, anche in quanto arcivescovo, a tutti quelli che lavorano in questa linea della Chiesa, illuminatori di fede, animatori di amore, prudenti diffusori della dottrina sociale della Chiesa. Grazie, cari fratelli, a tutti quelli che ci sono vicini in quest'ora di dolore.
San Salvador, 14 Marzo 1977
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