IL FRATELLO COMBONIANO IN AFRICA
Una grande eredità reinterpretata per il 2000: il ministero sociale del fratello
Guardando all’Africa di oggi non possiamo dimenticare l’eredità lasciataci da tanti fratelli comboniani che hanno offerto la loro vita per la missione. Nello stesso tempo non possiamo rimanere paralizzati dal passato, ma proprio perché arricchiti dall’esperienza di questi nostri fratelli era urgente offrire una continuità proiettandoci verso il futuro dell’Africa in continua trasformazione.
La ragione principale che ha catalizzato il nostro interesse a studiare i Ministeri Missionari nel Piano del Comboni germina dal fatto che negli ultimi dodici anni siamo stati coinvolti nella fondazione (1994) e conduzione, a Nairobi, presso il Tangaza College, dell’Istituto del Social Ministry per la Formazione di Agenti Pastorali nel Sociale (Fratelli, Suore, Laici). Di pari passo, alcuni anni più tardi, la fondazione (1999) e conduzione del SOMIRENEC (Social Ministry Research Network Centre) un centro il cui obiettivo è quello di accompagnare iniziative ministeriali concrete che applicano la teoria dello sviluppo umano integrale, insegnata nell’Istituto, alle situazioni concrete della gente nel contesto africano. Si tratta di rispondere a bisogni umani concreti, in aree come: la promozione della pace tra gruppi etnici tradizionalmente ostili, la incentivazione della imprenditoria locale attraverso il microcredito, la salvaguardia dell’ambiente con la raccolta e il riciclaggio dei rifiuti, la incentivazione dell’agricoltura, l’educazione popolare attraverso il teatro e la musica, la diffusione e la inculturazione dell’insegnamento sociale della Chiesa.
Metodologia per la trasformazione sociale orientata allo sviluppo dei popoli, alla giustizia pace e salvaguardia del creato
Alla base della formazione degli agenti pastorale nel sociale viene presentato il metodo apostolico che si è venuto affermando soprattutto dopo il Vaticano II, chiamato Ciclo (o Circolo) Pastorale. Il processo si sviluppa secondo 4 momenti:
• L’Inserzione: è l’esperienza del contatto con la gente e con la situazione storica, momento iniziale di ogni Ministero;
• L’Analisi Sociale e Culturale delle situazioni di vita e dei problemi che reclamano una soluzione. Analisi che il Ministro deve fare con la gente per aiutarla a prendere coscienza critica della propria situazione, a individuare le cause sociali, economiche, politiche, religiose, ecc. dei propri mali, come pure le potenzialità e le risorse per iniziative adeguate. È il momento importante della collaborazione tra Fede e Scienza, dovendosi fare ricorso a scienze come sociologia, antropologia, economia, statistica, ecc.
• Riflessione Teologica e Ministeriale sui dati dell’analisi sociale, per aiutare il popolo a vedere la presenza di Dio nella vita e a contare sul potenziale della fede e dell’etica per la rigenerazione.
• Piano di Azione: intendiamo non un’azione improvvisata e reattiva, per assicurare un po’ di aiuto immediato a qualcuno in difficoltà, bensì una iniziativa che vuole innescare la Rigenerazione del Continente rimuovendo le cause dei mali con gli Africani come attori principali. Un tale approccio operativo esige volontà e capacità di collaborazione fra tutti i ministeri, fra chiesa, società civile e stato, fra religioni e scienze, superando la tentazione del clericalismo, della contrapposizione, della competizione e della concorrenza.
La Missione del domani si concretizza pienamente attraverso una profonda rigenerazione e valorizzazione di tutti i ministeri nella Chiesa. Il fratello diventa così protagonista di una scommessa sul futuro, dovunque nel mondo esistano situazioni di povertà materiale e spirituale, dunque nell’Africa come nelle Americhe o nelle baraccopoli dei grandi centri urbani dove milioni di esseri umani vivono la tragedia della miseria. In questa prospettiva, appare più chiara la vocazione del fratello comboniano, che è missionaria a tutti gli effetti e si traduce nell’esigenza primaria di portare la testimonianza evangelica la dove ci sono uomini e donne che soffrono a qualsiasi titolo: per l’arretratezza tecnologica che impedisce lo sviluppo, per la scarsità delle risorse o l’incapacità di sfruttarle, l’inclemenza del clima, la situazione politica e tutti quei fattori che condizionano la crescita civile di vasti strati di popolazione cui è negato il soddisfacimento dei più elementari dei sogni quali il cibo, il vestiario, la casa, il lavoro la libertà.
La mia esperienza in Kenya
A distanza di anni dopo la conclusione dei primi tre anni di programma presso l’Istituto del Social Ministry e dopo aver terminato un periodo di 10 anni nella missione comboniana del Kenya, ho accettato di mettere per scritto la mia testimonianza missionaria.
Terminata la formazione di base sono stato assegnato in Kenya dai miei superiori dove su mandato del capito generale dei missionari comboniani del 1997, ho iniziato l’animazione missionaria in Africa proiettandomi con entusiasmo e coraggio in un campo completamente nuovo e tutto da inventare. In questo periodo durato poco più di tre anni si è lavorato bene in compagnia di p. Paolino Twesigye amico e confratello, creando i presupposti per un servizio serio di animazione per tutta la chiesa del Kenya. Infatti una delle sfide più importanti era proprio quello di non limitarci ad una animazione puramente comboniana rischiando di essere scambiati per promotori vocazionali ma bensì mettere in luce la chiamata al servizio missionario in forza del proprio battesimo; ciò comporta che anche i cristiani del Kenya sono per natura missionari.
Dopo una ricerca mirata, ci siamo accorti e meravigliati di quanti missionari originari dal Kenya (allora erano circa 100) si trovavano in altre chiese del mondo per un servizio missionario. Non solo noi siamo rimarti sorpresi ma tanti cristiani ci hanno ringraziato perché fino ad allora non conoscevano che dei loro concittadini preti, suore e fratelli erano sparsi nel mondo per un servizio alla missione. Successivamente, ci siamo impegnati a mantenere una corrispondenza regolare inviando gli auguri da parte di un vescovo keniano almeno nelle occasioni più importanti dell’anno: Natale e Pasqua. Abbiamo ricevuto dai missionari molti messaggi di ringraziamento e testimonianze dove ci raccontavano la vita missionaria fatta di tante gioie per le meraviglie che il Signore compie in ciascuno di noi ma anche delle difficoltà che non mancano mai. Ecco allora un altro momento significativo dell’animazione missionaria: creare solidarietà tra i popoli usando la mediazione del missionario. Anche i cristiani del Kenya, pur nella difficoltà economica hanno contribuito a sostenere concretamente il lavoro missionario di qualcuno dei tanti missionari sparsi nel mondo. Sono testimone della generosità di tante persone! Sono felice che ancora oggi in Kenya altri comboniani continuano il lavoro iniziato, ovviamente ciascuno arricchisce contribuendo con nuove idee l’attività missionaria ma sempre orientati verso l’unico obiettivo: sensibilizzare i cristiani del Kenya alla missione della chiesa.
La seconda parte della mia testimonianza, mi porta a mettere in luce un altro periodo trascorso in Kenya tra il popolo Pokot nella missione di Kacheliba e interrotto dai miei superiori per un servizio particolare alla provincia italiana. Ambiente completamente diverso da quello da cui provenivo; lontano dalla città di Nairobi di circa 500 km, paesaggio semi-arido, strade impraticabili soprattutto nel periodo delle piogge, nuova lingua, popolazione di pastori nomadi dove il bestiame ha la priorità su tutto e per ultimo ma non per questo meno importante la mia nuova comunità comboniana che nutriva aspettative nei miei confronti. Devo confessare che all’inizio non è stato facile e non è mancato qualche scontro di chiarimento circa lo stile di fare missione. A distanza di tempo sono ancora una volta felice di aver offerto il mio contributo alla missione di Kacheliba. Ricordo che quando sono stato contattato dai miei superiori per rientrare in Italia ho fatto presente che ero contento di essere a Kacheliba e desideravo rimanerci!
Per descrivere brevemente l’impegno dei comboniani a Kacheliba, dove anch’io ho offerto il mio contributo, presento le priorità che hanno accompagnato molti missionari fin dagli inizi della missione.
Educazione: all’inizio della missione, non è stato facile convincere i genitori a lasciare che i loro figli/e ricevessero l’educazione scolastica dall’uomo bianco perché non capivano l’utilità. Solo dopo anni di duro lavoro anche i Pokot si sono accorti del valore di educare i propri figli/e.
Catecumenato: I missionari sapevano bene che solo attraverso l’educazione poteva avvenire il passo successivo e cioè l’evangelizzazione. Attraverso la lettura della Parola di Dio si preparavano i presupposti per una vera iniziazione cristiana.
Salute: Con l’aiuto delle suore comboniane infermiere, si è potuto offrire alla gente un luogo di primo soccorso dove ricevere con competenza e professionalità le cure necessarie, nello specifico si è riusciti a programmare l’accompagnamento di molte donne in gravidanza e relativi vaccinazioni dei figli.
Acqua potabile: Tutti siamo d’accordo nell’affermare che una delle cause principali per la diffusione di malattie è la mancanza di acqua potabile. L’impegno dei comboniani è stato decisivo nel realizzare la trivellazione di pozzi sparsi in gran parte dei territorio della missione e l’altro aspetto non di poco conto la regolare manutenzione delle pompe.
Molti episodi accaduti e relazioni vissute con tante persone incontrate per tratti di strada più o meno lunghi sono tesori che ognuno porta nel cuore e non sempre è facile esprimere in poco tempo. Sono tentativi, alcuni riusciti altri falliti, di riscaldarci il cuore e vivere insieme la fratellanza come ci ha indicato Gesù Cristo. Prima di concludere vorrei sottolineare alcuni punti che ritengo importanti.
Sia nella prima che nella seconda parte della mia esperienza missionaria, ho potuto constatare che la missione si realizza come gruppo e non da soli. Nel gruppo si deve creare un clima di fiducia reciproca con la convinzione comune dell’obiettivo da perseguire e a questo punto ognuno metterà a disposizione il proprio contributo piccolo o grande che sia, non importata. L’importante è mettersi in gioco!
Confesso che la preparazione ricevuta attraverso il Social Ministry è stata utile ma non esaustiva, c’era ancora molto da fare. Ogni corso scolastico offre al candidato strumenti, indicazioni per il lavoro che deve svolgere, ma il lavoro più faticoso lo deve fare la persona stessa sul posto di lavoro. Elaborare dati teorici che a prima vista possono sembrare di poca utilità ricevuti durante il corso e trasformarli e adattarli alla realtà dove uno si trova è una esperienza faticosa che richiede capacità di studio e di metodo. Ho sperimentato sulla mia pelle, il peccato di presunzione. Giovane pieno di energia con tanta voglia di fare, mi sono reso conto che se non ci si ferma per riflettere, si corre il rischio di spazzare via un lavoro lungo e faticoso di tanti missionari che sono passati prima di te. Tempi di riflessione e di studio prima di agire non è tempo sprecato ma evita di fare danni irreparabili e di creare tensioni inutili in comunità.
Un'altra considerazione frutto di quasi 20 anni di vita missionaria, che può essere vissuta in negativo oppure in positivo, è l’esercizio di ricominciare da capo con persone nuove e realtà diverse tra loro e campi d’azione impegnativi. Ricordo che durante il noviziato il padre maestro ci faceva cambiare di stanza per abituarci a rimanere provvisori e pronti a lasciare le nostre radici più o meno solide. Ho iniziato come animatore, ho continuato come economo di comunità e logistico, ora mi trovo direttore di una casa di riposo; altre sorprese future sono al momento nascoste. Se faccio una lettura in negativo posso concludere che non mi sono specializzato in nulla mentre se la faccio in positivo concludo e ringrazio il Signore della ricchezza di persone incontrate e della opportunità che mi offre per imparare e arricchire il mio bagaglio di conoscenza.
(Fr. Claudio Bozza)