P. Mario Pellegrino si trova tra i Nuer in Sud Sudan
Seminare speranza nel mezzo della violenza
È passato poco più di un mese da quando la vita del mio amico James è stata spezzata, l’ennesima vita stroncata dall’odio, dalla violenza e dalla vendetta in questo paese, il Sud Sudan, che anela e spera per una pace che sembra ancora tanto lontana dal realizzarsi.
Mi trovavo nella mia capanna di sera, intorno alle 19:00, scrivendo una lettera, quando sento un colpo di pistola che sembra far tremare il suolo a poche decine di metri dalla chiesa. Subito ci rendiamo conto che qualcosa di molto brutto è accaduto e nel silenzio attendiamo di capire cosa è successo. Dopo circa un minuto sentiamo grida disperate specialmente di donne che piangono il loro figlio, caduto a terra in un mare di sangue. La gente continua a piangere e a gridare mentre il corpo di James, un giovane di 29 anni appena sposato con un figlio appena nato, viene avvolto in un lenzuolo e viene portato nella casa di suo padre dove secondo la tradizione viene immediatamente seppellito.
Piove a dirotto questa notte, notte di lacrime e di angoscia.
Il giorno dopo le strade sono deserte e le poche persone che vanno al mercato camminano in silenzio, nessuno parla con un’altra persona, nessuno sa cosa accadrà adesso. Le scuole rimangono chiuse. La casa del padre di James viene circondata da soldati, per cercare di garantire sicurezza nell’area. Al mattino seguente vado a trovare il padre di James, John, nella sua casa, assieme ad un catechista. La casa è piena di donne che piangono e che tentano di consolarsi a vicenda. Il padre di James è a letto, sconsolato. James è l’unico figlio di John che lavorava, l’unico che poteva aiutare la famiglia a comprare il cibo e a mantenere la famiglia, adesso non c’è più. Cerchiamo di portare speranza nel mezzo della violenza con la ferma fede in quel Dio della Vita che è il solo che ci dà la forza di lottare e seminare pace nel mezzo della violenza.
I soldati mi chiedono di andare in un villaggio lì vicino perché la famiglia di James vuole preparare la vendetta, subito. La vendetta è una pratica davvero (troppo!) comune nella cultura dei Nuer; “se ti viene fatto un torto e non ti vendichi non sei un uomo”, si dice da queste parti. Ascoltiamo questi familiari di James. Il loro cuore è un misto di tristezza e rabbia, sono armati fino ai denti. Mi colpisce davvero tanto vedere un giovane di 25 anni col rosario al collo e un fucile tra le mani: non credo che dimenticherò mai questo giovane. Uno zio di James dice che bisogna colpire un familiare dell’assassino immediatamente, a sangue freddo. Gli altri non sono d’accordo. Dicono che istruiranno i loro figli sin da bambini e che quando cresceranno uno di loro farà fuori uno dei figli di chi ha colpito James. Il desiderio di vendetta viene tramandato da una generazione all’altra. La fede in Gesù sembra essere offuscata dalla cultura della vendetta, il sangue della cultura sembra essere più forte dell’acqua del battesimo.
Noi predichiamo la pace, con tutto il cuore e con tutte le energie; quella pace che solo Gesù può darci. Al funerale di James grido alla gente il vangelo del perdono e della giustizia. Assolutamente no all’occhio per occhio e dente per dente! Mai farsi giustizia da sé, mai impugnare il fucile ed uccidere, ma dare spazio alle autorità locali affinché giustizia venga fatta. La vendetta non porta niente di buono, soltanto aumenta il dolore e la sofferenza.
In questo paese che ha appena celebrato il suo 10° anniversario di indipendenza speriamo in un futuro migliore, per il bene della nostra gente, per una vita vera per i nostri giovani e bambini. Non siamo soli. Siamo convinti che Gesù di Nazareth è con noi, lotta con noi, e chiediamo che il suo Spirito trasformi e converta il cuore dei signori della guerra. Senza Gesù non sarebbe possibile vivere in questo contesto. Solo con Gesù un altro mondo è davvero possibile.
P. Mario Pellegrino, mccj