L'arrivo di p. Maurizio Balducci: le emozioni di un nuovo inizio nel giorno delle Ceneri
Abbraccio dell'Uganda
Atterrato!!! E pure in anticipo.
Viaggiare ai tempi del Covid non è certamente facile anche se, quando tutto va liscio, è molto più facile districarsi per aeroporti semivuoti. Almeno questo è stato il caso per Fiumicino: mi ha fatto impressione e male vedere un aeroporto fantasma lungi da ciò che siamo abituati a conoscere…
Tutto sommato i grandi negozi di profumi, dolciumi, alcool e gioielli erano tutti aperti, però…desolati.
Sapendo di arrivare in Uganda come un potenziale untore, avevo il dovere di proteggermi anche per proteggere tanti e così, visto che mangiare e bere si doveva, ho fatto degli esercizi interessanti su aerei per fortuna vuoti per più di metà. Per chi sa quanto sia difficile mangiare in aereo, può immaginarmi mentre calavo la mascherina trattenendo il respiro, davo un boccone per poi tirar su la mascherina e così via. Altro che palestra…
Stranamente l’aeroporto di Doha in Qatar non sembrava d’aver invece risentito del calo di
passeggeri, busy e affollato come sempre.
Vista la situazione politica ho preferito non arrivare in Uganda nel cuore della notte ma al mattino e così con mezz’ora di anticipo siamo arrivati ad Entebbe, la prima capitale d’Uganda. Le interminabili procedure burocratiche son state più che veloci così che alle luci dell’alba ero già fuori dall’aeroporto per godermi uno splendido sorger del sole sul lago Vittoria. Non me ne ricordavo di così belli, ma forse solo perché sono stato in “esilio” in Italia per lungo tempo. L’ho sentito come un caloroso abbraccio come quelli a cui ero abituato e che al momento gli ugandesi non possono dare. O almeno non potrebbero, visto che ti trovi le braccia al collo di alcuni quando ormai è troppo tardi per obiettare. Questo abbraccio assieme alla provvidenzialità di iniziare una nuova fase di vita nel giorno delle Ceneri mi ha dato proprio la sensazione di un nuovo inizio… in un’Uganda diversa da quella conosciuta. Che fosse differente è stato evidente fin dall’inizio, i lavori di ampliamento dell’aeroporto, l’”autostrada” che porta a Kampala, la capitale, i semafori che persino funzionavano!!!! E poi gli svincoli e i viadotti. Cose inaudite che ci han fatto arrivare fino a Zzana, alla periferia di Kampala, in un batter d’occhio. Per fortuna poi, si direbbe, sono arrivato nel conosciuto. Bloccato nel traffico per gli ultimi (pochi) chilometri che han richiesto più di un’ora per percorrerli. Ma quanta vita…
Una foresta di veicoli che di catalitico non hanno niente che si muoveva in blocco compatto spostandosi di pochi metri alla volta con innumerevoli Boda Bodas, i moto taxi con 2, tre persone o intere famiglie a bordo che si esibivano in pericolosi slalom e poveri pedoni che si arrischiavano nell’avventura più micidiale di tutte: attraversare la strada! Ma cosa gli saltava in mente?
Più che ci si avvicinava al centro città più la situazione diventava drammaticamente… familiare.
“Sono a casa”, mi dicevo! Ho rivisto il mercato lungo la ferrovia dove passano pochi treni ma innumerevoli passeggeri a piedi fermandosi anche per delle compere. Ai semafori, una selva di boda bodas come non mi ricordavo nel passato che al verde sfrecciavano come Jungla impenetrabile. E senza collidere.
Come Dio volle, arrivammo nelle vicinanze di Mbuya, la nostra base a Kampala, e vidi svettare tra gli alti alberi il tetto della chiesa a forma di capanna con su l’immagine di Maria, Our Lady of Africa!
Dopo aver creato un po’ di trambusto in comunità visto che mi aspettavano molto più tardi ho iniziato ad incontrare volti conosciuti e meno conosciuti. I missionari e, nel pomeriggio, anche le comboniane, amici e amiche di una vita intera!
Chi mi accompagnava in auto (viste le valigie) era il giovane figlio di un amico recentemente scomparso con cui ho avuto un bel po' di tempo per chiacchierare. È stato interessante vedere come ricordavo ancora parole delle due lingue che lui parla, oltreché naturalmente l’inglese che è l’ABC per noi. 25 anni, Isaac, pochi per conoscere tante cose; e così è stato divertente che un veterano come me gli dicesse cose dei luoghi che attraversavamo e dell’Uganda che lui non sapeva.
Non ti dico l’emozione di ricordarsi parole non usate da anni e i nomi di persone che ti si parano davanti all’improvviso. In questo è stato provvidenziale partecipare alle 18.00 alla messa delle ceneri nella Parrocchia di Mbuya. La Chiesa era piena di gente distanziata e con la mascherina (mentre per le strade di mascherine ne avevo davvero viste poche…) e poi la folla all’esterno; e questa era solo una delle 5 celebrazioni di quel giorno. Che emozione risentire uno dei cori di Mbuya cimentarsi in canti conosciuti ma quasi dimenticati, riascoltare una delle letture in Luganda, la lingua locale, vedere Nicholas Onyait che conoscevo durante i miei anni italiani e da 40 giorni diventato ormai Padre Nicholas, un gigante buono, che conduceva questa ordinata e partecipe folla di cristiani. E poi l’applauso dopo la sua Omelia e alla consacrazione del Pane e del Vino. Quanta gioia L’imposizione delle ceneri a una folla così numerosa ha preso un bel po' di tempo, ma…nessuno aveva fretta in fondo. Dopo la Messa l’incontro con tanti amici sorpresi di avermi tra loro così all’improvviso e in questo tempo così periglioso. Mi han ringraziato per essere tornato comunque tra loro, nonostante…
Dopo una notte finalmente al calduccio dopo tanto freddo invernale, durante la preghiera al mattino si è sentito il brontolio sempre più vicino del tuono e poi il timido inizio di uno dei nostri acquazzoni tropicali che han rinfrescato (non che ne sentissi il bisogno) l’aria. Nonostante questa sia la stagione asciutta difficilmente vicino all’Equatore e al lago c’è veramente un tempo in cui la pioggia sia assente. Ciò è ben diverso da quello che troverò al nord, quando, sbrigate le formalità per il permesso di soggiorno e per il rinnovo della patente, salirò a quella che sarà la mia nuova missione, il centro di Spiritualità di Laybi, alla periferia di Gulu, la “capitale” del nord.
Mi son fatto una lunga chiacchierata col p Achilles Kiwanuka, che porta per intero il nome di uno dei nostri martiri ugandesi, il superiore dei missionari in Uganda, e che porta avanti la nostra presenza ormai pluridecennale tra i carcerati di Luzira, la prigione centrale d’Uganda anche tra i condannati a morte. Mi son stupito che ricordassi ancora alcuni dei loro nomi, visto che non li vedo più dal 2004… Il presidente non ha mai voluto abolire la pena di morte che è una potente arma politica nelle sue mani, anche se di fatto dal 1999 non sia mai stata più eseguita una pena capitale. Abbiamo parlato di questa grande ingiustizia per cui da trent’anni persone innocenti e che conosco bene siano ancora in questa gabbia nefanda, stipati all’inverosimile, anche se bisogna dire che in questa prigione costruita (e mai restaurata) dagli inglesi per 60 persone adesso non ce ne siano più di 130. Ai miei tempi erano trecentottanta (che scrivo in parole che magari dà più l’idea) dove il modo più rapido per contenere la popolazione è quella di sopprimerne un po', cosicché si viveva nel continuo terrore di un’affilata spada di Damocle appesa assai pericolosamente appena al disopra della testa! Qualche innocente è stato trasferito alla normale prigione per scontare una pena, come se quella già pagata non fosse sufficiente! Visto che la maggior parte degli “inquilini” non ha mai avuto un processo, alcuni son stati finalmente trovati innocenti e liberati, mentre alcune persone influenti e danarose son state graziate dal presidente.
Purtroppo il mondo va così, e non solo in Uganda, e il mondo fiorisce di ingiustizie abominevoli.
Questo soltanto una parte del turbinio di sentimenti della prima ora, promettendo di condividere quando potrò, altre ri-scoperte.
Grazie perché ci sei e ci siete!
P Maurizio dall’Uganda (evvaiiiii)