GV 1, 35-42: Il primo incontro
Catechesi GIM2 Padova - Ottobre 2013
IL PRIMO INCONTRO (GV 1, 35-42)
“Il giorno dopo Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: ‘Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!... Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: ‘Ecco l'agnello di Dio!’. E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: ‘Che cercate?’. Gli risposero: ‘Rabbì (che significa maestro), dove vivi?’. Disse loro: ‘Venite e vedrete’. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: ‘Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)’ e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: ‘Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)’ ” (Gv 1.29.35-42).
IL
CONTESTO STORICO
Il Messia è colui che toglie il ‘peccato del
mondo’, cioè colui che mette fine a questa situazione di oppressione e di
ingiustizia, a tutti i livelli, che si stava vivendo.
Uno dei
requisiti per mettersi alla sequela di Gesù, dunque, è la coscienza del
‘peccato del mondo’, è l’indignazione di fronte al peccato del mondo, che va al di là
del peccato personale. Adesso si direbbe ‘peccato strutturale’: c’è tutto un
sistema, tutto un mondo, tutta una società che si basa su valori falsi
(egoismo, ricchezza, potere, disprezzo per i più deboli, etc.). Chi non si
indigna di fronte a queste strutture di peccato non può essere discepolo di
Cristo.
Andrea esprime così l’incontro con Gesù: ‘Abbiamo
trovato il Messia, Cristo’.
Cristiani significa messianici: ‘Cristo’ è la traduzione greca dell’ebreo
‘Messia’; l’elemento essenziale del messianismo biblico era che Dio avrebbe
mandato il suo inviato per liberare il suo popolo e cambiare la situazione
degli oppressi, instaurando un Regno di pace e di giustizia. Noi siamo
messianici perché crediamo in questo sogno che Dio ha voluto far nascere in
mezzo al suo popolo. Purtroppo, a volte abbiamo trasformato il titolo ‘Messia’
– con tutte le sue implicazioni escatologiche e politiche – in un innocuo nome
proprio, come se ‘Cristo’ fosse semplicemente il cognome di Gesù: Gesucristo. Così
abbiamo de-messianizzato il cristianesimo. Dobbiamo risvegliare questo sogno, e
recuperare tutto il senso del nostro essere ‘cristiani’.
Il Messia incontrato da questi
discepoli è colui che toglie il peccato del mondo, la situazione di violenza e
di ingiustizia, e ricrea l’umanità. E’ questo che intendeva Andrea: ‘Ho
incontrato colui che ricrea l’umanità, che darà un nuovo inizio alla storia’.
E’ un sogno grande. Dobbiamo ri-messianizzare il cristianesimo, risvegliare il sogno di
Dio, sognare anche noi questo sogno per riproporlo a tutta la società.
Così dovrebbero essere i cristiani: sognatori,
entusiasti propulsori dei tempi messianici, e invece… “Oh, se tanti sacerdoti bravi della Diocesi di Brescia, che ora
stan neghittosi ed oziando fra le
domestiche mura, vedessero milioni di anime che siedono nelle tenebre; se
potessero con un volo trasportarsi qui nelle regioni incognite, sarei sicuro
che diverrebbero tanti apostoli dell’Africa!... Ma per far questo ci vorrebbe una scintilla!” (D. Comboni). I cristiani
– che dovrebbero essere sognatori - si riducono ad una vita ‘neghittosa ed
oziosa’. C’è bisogno di una scintilla per risvegliare i cristiani, e per
risvegliare i giovani, anche oggi!
INCONTRARE CRISTO:
UN’ESPERIENZA CHE TRASFORMA
Di fronte a tutto questo Andrea e Pietro erano alla ricerca di
qualcosa, di un incontro: i discepoli di Giovanni erano insofferenti verso la
realtà politica, sociale e religiosa del loro tempo, erano grandi sognatori,
aspettavano grandi cambiamenti.
Dunque l’incontro di questi discepoli
con Gesù non è del tutto ‘casuale’: ci sono delle inquietudini e degli atteggiamenti
interiori che ci propiziano l’incontro con Gesù. Per cercare il Regno il primo requisito è preoccuparci per il
‘mondo’: interrogarci sullo stato attuale del mondo, e sul peccato del mondo.
I due discepoli seguono Gesù perché il Battista dice loro che è colui che
toglie questa situazione di ingiustizia.
L’incontro con Gesù passa attraverso
la mediazione di un testimone che ha già conosciuto Gesù, in questo caso il
Battista. La testimonianza personale e autentica di un amico può portarci
all'incontro personale con Cristo. Si convincono a seguire Gesù sentendo il Battista parlare così, cioè
con amore, di Lui: non contano tante parole, ma la testimonianza. Li tocca la
parola e lo sguardo di Giovanni: da come guarda e parla di Gesù, si convincono
a seguirlo. Giovanni evangelizza attraverso lo sguardo. I due discepoli si fidano di uno sguardo: lo sguardo del Battista e lo
sguardo di Gesù che si volta.
Gesù
si volge: mostra il suo volto, vuole incontrarci. Quando lo cerchiamo con
cuore sincero Gesù volge verso di noi il suo volto. Gesù desidera incontrarci.
Cosa significa ‘incontrare’? Durante la giornata incrociamo tante persone, ma
quante persone incontriamo davvero? L’incontro autentico ti trasforma: uno esce
sempre trasformato da un incontro autentico. L’incontro autentico ha bisogno di
tempo, di restare, di approfondire, di fissare lo sguardo. Facebook non potrà
mai sostituire la bellezza di un incontro autentico. Il computer ci disabitua
allo sguardo. E’ solo l’incontro autentico che può dare spessore e pienezza e
alla nostra vita.
Cosa
cercate? Quando sente che lo cerchiamo, Gesù suscita delle domande: Cosa
cercate? E’ lui che suscita domande nel nostro cuore. Non vuole insegnarci una
dottrina, ma ci invita ad entrare in comunione con Lui.
Cercare: la meta non
è chiara sin dall'inizio. I discepoli non cercavano Gesù, cercavano Bellezza,
Vita, pienezza di Vita, e trovano Gesù in questa ricerca. Altro requisito per cercare il Regno e per incontrarci con Gesù: essere
assetati di Bellezza e di Vita.
Cercare significa che
non troviamo le cose già fatte e già pronte. Cercare implica camminare,
scavare, lavorare, lottare, riflettere, faticare. Due requisiti del
‘ricercatore’: la disponibilità a
faticare e la disponibilità a lasciarsi sorprendere (la capacità di stupore). Diceva don
Milani: “Finché c’è fatica c’è speranza”.
Uno è disposto a faticare solo per ciò che ha valore.
Uno cerca perché respira forte nel suo cuore il desiderio di una vita piena. “Che
il mondo finisca oppure no, oggi noi
siamo qui, e la cosa grave non sarà scomparire ma non essere mai stati”
(S. Perotti). Noi non siamo ogni volta che facciamo cadere gli aneliti e i
desideri più profondi del nostro cuore, ogni volta che cediamo alle lusinghe
dell’ideologia dominante che ti dice: “Non credere ai sogni del tuo cuore. Sii
realista... La vita non è un sogno...”. Non essere mai stati: anche questi due
discepoli devono aver sentito questa inquietudine, e così si misero in cammino
e ‘andarono’.
Dove vivi? Nel quarto Vangelo il verbo menein più che indicare l’ambiente materiale indica l’ambiente
esistenziale e personale in cui uno abita. Dove abiti? Come dire: ci interessi
tu, ci interessa stare con te, vederti da vicino, ci interessa dove abiti con
le tue emozioni, il tuo cuore, i tuoi sogni. I
discepoli cercano un rapporto personale col Maestro. “Vogliamo vivere con te”.
Tutti cerchiamo
uno spazio dove poter vivere una vita piena: questo
è messo in discussione oggigiorno. Ma di fronte alle ideologie che vogliono
convincerci che l’essere umano deve rinunciare al sogno di vivere una vita
piena, Gesù continua a invitarci a cercarla.
Venite
e vedrete: non è una vera risposta, è invito alla ricerca, a metterci in
moto. Gesù non ha una risposta pre-confezionata, ma ti invita ad essere un
cercatore. Ti indica un cammino, ma poi il cammino sarà ogni volta nuovo,
diverso e unico per ciascuno di noi.
Vedete: Non è un vedere che si riferisca solo
alle cose esteriori, è un vedere in profondità: vedere la presenza divina
nascosta nell'Altro, è entrare nel mistero di una persona.
Andarono: E’ già una
prima decisione. Noi spesso cerchiamo e poi non decidiamo niente. La nostra
vita potrebbe convertirsi in un cercare affannato e superficiale che non prende
mai nessuna decisione. I due discepoli, invece, decidono: vanno, cioè lasciano
il posto dov'erano prima, lasciano il loro lavoro, ed entrano in una nuova
casa, la casa di Gesù, si lasciano ‘scollocare’. L’agenzia
di collocamento ti fa trovare un lavoro ‘accettabile’ per il mondo. Gesù invece
apre una agenzia di scollocamento: ‘‘Lascia quel lavoro che altri hanno pensato
per te, ascolta il tuo cuore...’. Solo l’incontro con una persona bella
può scombussolare il tuo mondo interiore, e spingerti a cambiare la tua scala
di priorità e “cercare prima di tutto il
regno di Dio” (Mt 6,33), cioè mettere questa ricerca e quest’incontro con
Gesù al primo posto nella tua vita.
Andarono e videro. Per vedere bisogna scollocarsi
Gesù ha il potere di scollocarti, perché ti ama: è
una persona affascinante che ti trascina: ti dà la forza di ‘scollocarti’ e di lasciare il tuo
lavoro. Anche Gesù si era lasciato ‘scollocare’ dalla voce d’amore del Padre,
quando fu battezzato nel Giordano. Fu quella dichiarazione d’amore che gli
dette la forza di lasciare il suo lavoro di falegname. Perché solo l’amore ti
dà la forza e la motivazione per ‘scollocarti’. “Dovremmo fondare una ‘agenzia di scollocamento’. Occorre fondare
un’agenzia che aiuti le persone a scollocarsi, cioè a uscire dalla collocazione
che hanno, sia sul lavoro sia nella società” (S. Perotti). Scollocarsi è
mettere in discussione quello che sei stato e hai fatto finora.
Andarono, videro e rimasero con Lui: Dopo
l’invito di Gesù c’è la risposta dei due discepoli: andarono, cioè lasciarono la loro casa per andare a vivere con Gesù;
videro, con gli occhi e il cuore,
cioè sperimentarono la presenza e l’amore del Maestro, e rimasero, rimasero con Gesù anche in mezzo alle difficoltà. Esodo,
esperienza del Mistero (incontro) e fedeltà nelle difficoltà: sono i tre
elementi indispensabili del discepolato e della realizzazione del Regno.
Rimasero
con Lui: dobbiamo rimanere in questo spazio di incontro così ricco e
bello. L’incontro con la Bellezza ci scalda il cuore: non possiamo tenerla per
noi.
Lo
condusse a Gesù: Andrea
non si limita a raccontare la sua scoperta, ma quasi spinge suo fratello da
Gesù, desidera che anche lui dimori con il Maestro, come dirgli: “Non ti
potrebbe capitare niente di più bello che conoscerlo!”. L’incontro autentico con la Bellezza ci rende automaticamente missionari,
vogliamo che anche altri la sperimentino.
L’importanza
dello sguardo
Emblepein è usato due volte: per il
Battista e per Gesù. E’ un guardare con intensità. Che differenza enorme c’è
fra il sentirci guardati superficialmente e sbrigativamente, e invece sentirci
guardati intensamente, appassionatamente! A volte ci sono saluti formali: ti
danno la mano e quasi neanche ti guardano. E poi invece ci sono occasioni di
grazia in cui ti è dato sentire gli occhi dell’altro che ti penetrano e ti
accarezzano!
Il Signore passa per tutte le strade. Ma se il
nostro sguardo è superficiale non ce ne accorgiamo. Se non abbiamo occhi
penetranti verso la vita non avremo occhi penetranti neanche con Dio: non
illudiamoci!
Sentendosi guardato così intensamente da Gesù,
Pietro ha poi imparato anche lui quest’arte di fissare lo sguardo, come
espressione d’amore. Un episodio degli Atti: “Pietro fissò lo sguardo
verso di lui [lo storpio]… e disse: -
Guarda verso di noi-“ (Atti
3,4). Poco dopo lo storpio “si mise a
camminare” (Atti 3,8).
Zamagni afferma: “Lo sguardo e il tempo ‘perso’ è uno spazio di relazione, dono e
guarigione… reciproca”. Lo sguardo d’amore del fratello ti rialza, ti dà la
gioia e la forza di rimetterti in piedi. Quando un nostro fratello ci guarda,
si accorge del nostro dolore e ‘perde’ tempo con noi, riceviamo un dono
grandissimo. Tutti sentiamo bisogno di questo sguardo fraterno ed amico.
Cristo comunicava molto attraverso lo sguardo: “Gesù, fissato
lo sguardo su di lui, lo amò”
(Mc 10,21). E lamentava l’assenza di questo contatto umano:“Tu non mi hai dato un bacio”,
dice con tono di rimprovero a Simone il fariseo (Lc 7,45). Insomma, essere
umani alla maniera di Gesù significa saper fermare il nostro sguardo, saper
perdere tempo per abbracciare, baciare, e ‘co-spirare’, cioè soffiare insieme,
soffiarci reciprocamente addosso il nostro spirito, la nostra umanità, i nostri
sogni, i nostri sguardi, etc.
Il bacio, lo sguardo, il soffio, la stretta di
mano, sono tutti spazi di umanizzazione oggi più preziosi che mai. Quando
rinunciamo a questi spazi, l’uomo si
mette contro l’umano, come diceva un filosofo tanto tempo fa.
Dio ha creato un’umanità capace di fissare lo
sguardo e capace di tenere sempre accesa la brace nel cuore. Il nostro Dio è un
Dio che lotta e chiede anche a noi di lottare fino in fondo perché la carezza,
il bacio e lo sguardo continuino a far parte della vita dei suoi figli, e
perché l’uomo non si metta mai contro l’umano.
Erano le quattro del pomeriggio: i discepoli ricordano l’ora esatta dell’avvenimento: l’incontro con
Gesù, la bellezza e la forza di quello sguardo li ha segnati per sempre, non
dimenticheranno nessun dettaglio. Il discepolato (e il Regno) nasce da
un’esperienza forte, da uno sguardo d’amore che rimane impresso nel nostro cuore.
Ricordare, portare nel cuore è parte importante della realizzazione del Regno.
Giovanni
ricorda l’ora
precisa: quali miracoli e azioni mirabolanti sono avvenute in quell’ora?
Nessuna, solo si dice che videro dove dimorava e rimasero con lui. Quale miracolo
più bello che poter stare insieme all'Amico e poterlo ascoltare, stare accanto
a Lui, sentire il suo sguardo d’amore fisso su di noi!
Qualcuno potrebbe chiedere: ma cosa avete fatto,
cosa avete prodotto in quell'ora per voi tanto importante? “Ci siamo fermati insieme e ci siamo guardati!”. E’ il primato della persona, del volto di Dio e
del volto del fratello. Nessun miracolo può uguagliare questo: guardare e
contemplare la bellezza del volto del fratelllo!!!! Sentirsi oggetto di uno
sguardo d’amore: c’è miracolo più bello???
Uno sguardo
che trasforma: Mutare il nome a una persona significa prenderne possesso totale,
dare un cammino nuovo ad una vita. Con uno sguardo Gesù penetra nel cuore di
Pietro e lo trasforma in uomo nuovo, al servizio dei fratelli. Chi si mette in
ricerca è disposto a lasciarsi ‘mutare’.
E’ lo sguardo di Gesù che trasforma: trasforma
Simone in Pietro, trasforma un pescatore di pesci in un pescatore di uomini.
Pietro è un pescatore ignorante, nessuno scommetterebbe una lira su di lui, ma
invece Gesù vede in lui una roccia, nientemeno che la roccia della Chiesa. Che
cambiamento! E’ un potere umano: anche noi, potenzialmente, abbiamo questo
potere: di ‘fissare lo sguardo’, e di trasmettere amore ed energia attraverso
il nostro sguardo.
Lo sguardo che dà vita
Lo sguardo che dà vita è lo sguardo dell’amico che ti dice: ‘Sono contento che tu ci sei. Sono contento che tu esista! Ringrazio il Signore per il dono della tua vita!’. Prego perché ogni uomo e ogni donna – anche la più disprezzata – possano essere raggiunti da questo sguardo. Dipende anche da noi!
Domande:
- Ho incontrato davvero Gesù nella mia vita? Quando? Grazie a quali esperienze? Mi sono lasciato/a trasformare da questo incontro?
- Dio mi invita a dare un colpo di scintilla alla mia vita: cosa vuole dire per me, in questo momento?
- Qual è la priorità della mia vita? Che cosa sto cercando davvero in questo momento della mia vita?
- So fissare lo sguardo? Vedere i segni del passaggio di Gesù?