Gv 2, 1-11: Le nozze di Cana: abbondanza di vita!
Catechesi GIM 2 Padova
“LE NOZZE DI CANA: abbondanza di vita!”
(Gv 2,1-11)
Introduzione al brano
Prendendo le mosse da un fatto reale, una festa di nozze nel paesino di Cana, Giovanni costruisce la sua narrazione: rivisitandolo e rimeditandolo, scopre un significato più profondo in quell’evento. Le nozze erano il simbolo dell'Alleanza, in cui Dio appariva come lo sposo del popolo (Os 2,16-25; Is 1,21-23; Ger 2,1-2; Ez 16,8-15).
Queste nozze sono ‘anonime’, nel senso che la sposa non è mai nominata neanche come parola, lo sposo è nominato ma non si vede né si ascolta. Il vero sposo messianico è Gesù.
Questo è l’inizio dei segni, è il prototipo, darà l’impronta a tutti gli altri segni che seguiranno. Segno, in Giovanni, equivale sempre a un prodigio visibile a cui si è assistito in prima persona, ma oltre a ciò racchiude in sè un proprio messaggio particolare, è un intervento della trascendenza che come tale richiede un atteggiamento di gratitudine e una presa di coscienza. Ogni miracolo è custode di un messaggio profondo da cogliere.
Gesù pone la sua divinità al servizio dell’uomo, al servizio della gioia piena dell’uomo e del rapporto completo tra Dio e l’umanità, non compie mai alcunchè per motivi di prestigio o potere personale.
La nuzialità pervade tutto il Quarto
vangelo. Dio vuole essere lo sposo del suo popolo: anela a un amore ardente,
appassionato: si è stancato di essere il Dio legalista della Legge, quello di
cui si ha timore, aspira a una vera reciprocità con ognuno di noi: desidera
stare insieme agli uomini in un rapporto d’amore, desidera essere amato come
una sposa ama il suo sposo. L’amore coniugale, è un amore paritetico: Dio sa
che l’uomo è potenzialmente capace di corrispondere al suo amore; crede che
noi, suoi figli, siamo potenzialmente capaci di amare come Lui.
Questo è il primo segno, che orienta
tutti gli altri, indicando questo anelo
profondo di Dio ad amare e ad essere amato. Ma oggigiorno molti hanno paura dell’amore:
noi preferiamo essere sicuri, sedentari, camminare sulla terraferma,
assicurati. Invece l’amore è insicuro perché trasforma, mette in movimento, non
sai dove ti porta. Spesso rifiutiamo l’offerta di alleanza da parte di Dio. “Volete andarvene anche voi?” (Gv 6,67).
“Nella voce di Gesù ci sono lacrime.
Quando ci chiede di accoglierlo per una comunione di vita ci spaventiamo. Lo
lasciamo lì solo con la sua domanda di amicizia profonda, di abitazione
reciproca, di comunione esistenziale” (Jean Vanier).
Il quarto vangelo si apre con un invito a nozze
come primo luogo dell’esperienza del Dio di Gesù. Siamo fatti per le nozze, per
l’incontro, per l’intimità, cioè per amare ed essere amati. Ed è proprio la
dimensione più umana nella vita che diventa segno del divino.
‘Resurrezione’ e ‘alleanza’
Alleanza
Questo passo inizia con
una specificazione: “il terzo giorno”. “Il terzo giorno” è un riferimento al
giorno dell’Alleanza tra Yavè e il
suo popolo sul Sinai (“Al terzo mese
dall’uscita degli israeliti dalla terra d’Egitto… essi arrivarono al deserto
del Sinai”, Es 19,1) ma anche alla resurrezione.
Nel versetto
immediatamente precedente a questo brano Gesù si definisce come figlio
dell’uomo: “Vedrete il cielo aperto e gli
angeli di Dio salire e scendere sopra il figlio dell’Uomo” (1,51). Una
caratteristica fondamentale del Figlio dell’uomo – dell’essere umano - è vivere
queste due dimensioni: l’alleanza e la resurrezione.
La dimensione
dell’alleanza sembra fuori moda in questa epoca, in cui si esalta “L’uomo senza
legami”, il titolo di un libro: è questo l’ideale dell’uomo postmoderno. Nel
cuore di Dio, invece, c’è questo impulso all’alleanza: il matrimonio è
un’alleanza, comunione di vita tra uomo e donna. La vita di Dio non avrebbe
senso senza alleati: “La gloria che tu mi
hai dato io l’ho data a loro… Io in loro e tu in me” (Gv 17,23).
Io in loro”: é un desiderio di
alleanza, di interconnessione: Gesú vuole essere alleato con noi, abbracciarci,
sentirsi parte di noi, interconnesso con noi. E vuole essere connesso al Padre.
Per Gesù essere è essere alleati, interconnessi. Gesù è quello che è grazie al
suo essere interconnesso con Dio e con noi. Dio o è interconnesso o non è.
Questo stesso desiderio di interconnessione é
l’anelo piú grande del cuore dell’essere umano: Gesú in me, ed io con i
fratelli e sorelle; alleato con Dio e alleato coi miei fratelli. La
realizzazione piena della nostra umanità (e divinità) è essere interconnessi.
L’uomo o è interconnesso ai suoi fratelli o non è, almeno non realizza
pienamente la umanità, non dà consistenza e valore pieno alla sua vita.
Una vita è davvero
umana quando ci intrecciamo – e ci alleiamo - con Dio e con i fratelli. Con chi sei intrecciato, con chi sei
interconnesso tu? Il successo o il fallimento della nostra vita dipende da
questo.
Resurrezione
La resurrezione è una
forza che agisce in maniera permanente nella nostra vita, sia a livello
personale che a livello sociale: la resurrezione è sempre in agguato. Ma noi ci
crediamo?
Che il Padre
della gloria... illumini gli occhi della mente, perché comprendiate... con
quale straordinaria potenza attua Dio
con i credenti, cioé con quella stessa forza
irresistibile che operó in Cristo quando fu resuscitato dai morti” (Ef 1,17-20). Nella vita dei credenti attua la
stessa straordinaria forza con cui il Padre resuscitó Gesú. Il cristiano è
colui che crede che la forza della Resurrezione abita e attua in noi, una forza
capace di sconfiggere la morte, capace di vincere la nostra stanchezza e la
nostra mediocrità, capace di entrare in maniera irresistibile nel nostro cuore
e di trasformare la nostra vita, dare vita a ció che ancora non esiste (Rm
4,17), sia a livello personale che a livello sociale.
Domandiamoci: il mondo, contemplando la comunitá
cristiana, percepisce che in noi sta attuando questa “straordinaria potenza di
Dio”?
La grazia e
il ‘vino bello’
Nel capitolo precedente si diceva: “La legge è venuta da Mosè, ma la grazia venne per mezzo di Gesù”
(Gv1,17). ‘Grazia’ in greco si dice ‘charis’, da cui deriva la parola italiana
carezza. E allora questo versetto lo possiamo tradurre così: “La legge è venuta
da Mosè, ma la carezza è venuta per mezzo di Gesù”, “Mosè ci ha dato la legge,
ma Gesù ci ha dato la carezza”. “La tua
carezza vale più della vita” dice il Salmo 61. Una vita basata unicamente
sulla rigidità della legge, o sul rispetto delle norme, e sulla ricerca del
‘successo’ e della sicurezza che danno quelle norme, una vita senza carezza,
sarebbe una vita disumana. E’ la carezza di Gesù che dà senso e pienezza alla
nostra vita.
A questa grazia l’uomo risponde con un grazie: “E’ nella capacità di rispondere alla grazia
con il grazie il superamento dell’animale e l’apparizione dell’umano . Anche
l’animale vive in forza della grazia, come osserva Gesù nel discorso della
montagna: ‘Guardate gli uccelli del cielo. Non seminano e non mietono… eppure
il Padre vostro celeste li nutre’. Anche l’animale, come l’uomo, vive in forza
della grazia, perché tutto gli è dato; ma a differenza dell’uomo egli non sa di
questa grazia ed è incapace di trasformarla in grazie” (Carmine di Sante).
Il ‘vino bello’ è il regno
di Dio, la bellezza del regno della carezza inaugurato da Gesù, al quale noi
rispondiamo con un ‘grazie’.
Lo sposo
Gesù è il “figlio
dell’uomo” (1,51). Queste parole di Giovanni ci ricordano, per
contrapposizione, un versetto di Ezechiele: “Hanno orecchi e non ascoltano...
Dunque, figlio dell’uomo... uscirai
dal luogo in cui ti trovi per andare in un altro
luogo” (Ez 12,2-3).
A cosa servono le
orecchie? Per ascoltare, ma a Gerusalemme la gente non sa più ascoltare: non ha
tempo, non ha pazienza, non ha l’amore necessario per farlo. E senza ascolto
non è possibile vivere umanamente. Allora il figlio dell’uomo, cioè colui che
vuole continuare ad essere umano, deve uscire da questo luogo in cui tutti
hanno le orecchie tappate, e deve cercare un
altro luogo, uno spazio d’ascolto.
In Giovanni Gesù
trovò un amico non solo capace di ascoltare le parole che uscivano dalla sua
bocca, ma addirittura un amico capace di chinarsi
sul suo petto, cioè capace di ascoltare i battiti, le inquietudini e le
speranze del suo cuore.
Giovanni evangelista
sta parlando del Battista, ma la gioia con cui parla di Gesù esce direttamente
dal suo cuore: è la gioia che Lui sentiva quando ascoltava la voce dello Sposo.
“L’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo”.
“Essere presente” e
“ascoltare”: sono due atteggiamenti fondamentali per la nostra vita e per
realizzare la nostra umanità. Noi realizziamo pienamente la nostra umanità
quando siamo presenti al loro dolore
e alla speranza dei nostri fratelli, quando siamo una presenza reale su cui
possono contare, e siamo persone desiderose di ascoltarli, perché la loro vita
ci sta a cuore.
L’amico dello sposo esulta di gioia alla sua voce. Quando
Giovanni, già vecchio, scriveva questo versetto, avrà sentito una grande
nostalgia e al tempo stesso una grande gratitudine per aver trovato quello
spazio di ascolto autentico.
E noi, io, esulto alla
voce dello sposo? I servitori sanno ascoltare Gesù, colgono il suo desiderio di
pienezza: riempiono le giare fino all’orlo. E noi?
La madre di Gesù
Gesù si rivolge a sua
madre chiamandola 'donna’. Chi è
questa madre di Gesù? Non viene nominata, non chiama Gesù
'figlio', nemmeno lui la chiama 'mamma', ma 'donna'. La madre che appartiene
all'alleanza antica, ma che riconosce il Messia e spera in lui, personifica gli
israeliti che hanno mantenuto la fedeltà a Dio e la speranza nelle sue
promesse, rappresentante del “resto di Israele”; la madre, come figura
femminile, serve a denotare l'origine del Messia, il germoglio che nasce dal
vero Israele e nel quale stanno per adempiersi le promesse. Ha riconosciuto il
Messia e la sua speranza si ravviva. Il suo primo passo consiste nel
mostrargli la carenza: non hanno vino. “La madre di Gesù”, rappresenta dunque tutto
il popolo d’Israele che implora gioia per il popolo che non ha vino. Maria
costata che non c’è vino. Noi dobbiamo avere queste viscere di madre che si
preoccupano della situazione di sofferenza del popolo.
“Donna, che c’è tra me e te?”. Gesù pone un
problema, forse esprime anche una perplessità, ma alla fine ascolta ed
esaudisce. Gesù vive sempre di comunione: con il Padre, con Maria, con noi. La
comunione implica in ogni caso piccolezza, obbedienza d’amore, disponibilità a
cambiare. Chi cerca è aperto all’accoglienza del desiderio dell’altro. Gesù
ascolta sua madre.
Ma anche Maria ascolta; questa è la
relazione tra Gesù e Maria: un ascolto reciproco, un influenzarsi vicendevole.
Maria, accettando questa relazione vicendevole (anche problematica) con suo
figlio, e facendogli domande, cresce nella comprensione del figlio, è quella
che lo conosce di più. Maria intuisce che manca il vino e sa che Gesù
interverrà, sa che il cuore di Gesù è toccato da questa situazione. Maria ha
una comprensione particolarmente sensibile dell’attività e delle esigenze del
figlio ed è consapevole di voler mantenere per se stessa un atteggiamento di
nascondimento e di discepolato autentico. Maria dice: fate qualsiasi cosa vi
dica, anche lei non sa bene cosa dirà, ha l’atteggiamento di una discepola.
Non è ancora giunta la mia
ora: mostrare la grandezza del suo amore. Qui c’è solo un assaggio. Letteralmente il testo dice: “Non hanno vino”, e non “non
hanno più vino”. E’ Gesù che dà la grazia, che dà la carezza, il vino è quel
prezioso contributo d’amore che solo Gesù sa dare.
Le giare
Giare “collocate”, “giacenti”: erano
inutilizzate, la purificazione dei Giudei, per cui erano state usate, non aveva
più luogo. La vera purificazione subentrerà con Gesù.
Le sei giare di pietra contenevano 600
litri di vino: è una quantità sproporzionata. Sia la quantità che la qualità
del vino supera di gran lunga la richiesta della circostanza. Tutto ciò fa
intuire la presenza di un di più. Gesù
non crea mai qualcosa dal nulla, altra caratteristica comune dei segni: usa
sempre quello che ha l’uomo (pani, acqua) e lo trasforma. La resurrezione è
iscritta nel nostro DNA. La resur-rezione è sempre in agguato nella nostra vita
quotidia-na, anche nella nostra vita personale. Oggi sono pescatore di pesci,
domani pescatore di uomini: oggi so-no portatore d’acqua, domani distributore
di vino bello!!
Paura del vino?
Il vino è la grazia. Certo, si può vivere
biologicamente anche senza grazia, ma è un sopravvivere, che in realtà è un
sottovivere, un vivere al di sotto della pienezza e della felicità che Dio
prevede e sogna per noi. Noi siamo invece chiamati a vita piena.
Dalla poesia “Dammi, Signore, un’ala di riserva”
“Per questo mi hai dato la vita: perché io fossi Tuo compagno di
volo.
Insegnami, allora, a librarmi con te.
Perché vivere non è trascinare la
vita, non è strappare la vita, non è rosicchiare la vita”
La spiritualità comboniana della ‘rigenerazione
Anche la spiritualità
comboniana si basa sulla rigenerazione-resurrezione dell’Africa, anche a
livello sociale, politico: rigenerazione di un continente.
[1425] “Il Piano è basato su questo principio: Rigenerare l'Africa per
mezzo dell'Africa stessa”.
E' da molti anni che io mi sono consacrato a quest'opera difficile e quasi disperata.
Per salvare gli Africani dalla schiavitù ho deciso, con i miei valorosi
compagni di fatiche, di affrontare la fame, la sete, il caldo e i pericoli
della vita. Ora, Padri Eminentissimi e Reverendissimi... raccomandando a voi la
causa gravissima dei neri e scongiurando la vostra protezione e misericordia in
favore dei popoli dell'Africa i quali sono i più infelici di tutti e da tutti
abbandonati. Si deve fare ogni sforzo perché la Nigrizia si unisca alla Chiesa…
Questo lo esige la promessa fatta
dallo stesso Signore Nostro: ‘Si fará un solo ovile e un solo pastore’. A
questo infine mira la speranza di questo popolo, al quale è stato detto per
mezzo di Sofonia: ‘Da oltre i fiumi dell’Etiopia verranno i miei adoratori’
(Sof3,10)”.
Un’impresa quasi disperata: è un cambiamento, una
trasformazione impossibile da realizzare in una prospettiva puramente umana.
Comboni ha fede in questa forza irresistibile della resurrezione; quella stessa
forza che attuò in Gesù adesso agisce nei suoi discepoli.
Ad occhi umani può sembrare un’impresa
quasi disperata, ma si tratta di credere nel potere della resurrezione, di
quista forza di Dio che attua nei credenti, in noi. Comboni ci credeva.
Comboni si sente chiamato a una
missione storica: realizzare questo antico desiderio, sogno di Dio di abbracciare
i popoli africani. Molte volte noi abbiamo ridotto le profezie bibliche a
‘bella poesia’; Comboni, invece, crede in queste profezie, in questo sogno, e
sente che il Signore vuol servirsi di lui per portarle a termine. Ed è
interessante che - a questo scopo - il nostro Fondatore cita le parole di un
profeta africano, Sofonia, “figlio
dell’Etiope” (Sof1,1). Dio, 2600 anni fa, si era servito di un africano per
esprimere il suo sogno di poter abbracciare quelle terre lontane, ma poi la
Chiesa - timorosa - non aveva saputo
raccogliere questo appello. Quello di cui c’era bisogno adesso era un profeta
coraggioso, che credesse nel sogno di Dio.
A volte diciamo: nella Bibbia ci sono
scritte tante cose, è bella poesia, come se poesia e sogni volesse dire cose
senza senso, cui non dare importanza. Invece la poesia e la follia di Dio è più
sapiente della saggezza degli uomini, dice Paolo. Comboni è un gran sognatore.
Crede nella poesia di Dio, prende sul serio la sua parola e i suoi sogni.
Domande:
1.“Ogni miracolo è custode di un messaggio profondo da
cogliere”. Ricorda un segno della tua vita particolarmente significativo:
che messaggio e che grazia hai colto in questo segno?
3. In questo momento della mia vita con chi sono alleato? chi è il mio ‘sposo’?
4. Nella
mia vita c’è il vino, c’è la grazia? O mi accontento dell’acqua, mi
accontento di rosicchiare la vita?
5. Come vivi il tempo dell’attesa, e dei ‘non so’?
6. Sento
‘gratitudine per la carezza di Gesù? Sto dicendo ‘grazie’ al Signore?
come?