Riflessioni di p. Diego dalle Carbonare su Lc 4,14-30.
E "tutti ne facevano grandi lodi”. Sembra ironica questa frase di Luca, messa all’inizio della grande predicazione di Gesù. Tutti fanno le lodi di un maestro nuovo. Finché è nuovo. Finché è lontano. Finché non si prende la confidenza di fare domande, di provocare. Forse questa frasetta ironica di Luca spiega perché tante volte ci teniamo alla larga da Gesù..
Giugno 2016: I POVERI SALTANO DI GIOIA - Lc 4, 14-30
OrmeGiovani Nigrizia - padre Diego dalle Carbonare
14Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. 15Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
18Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
19a proclamare l’anno di grazia del Signore.
22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Si dice che chi ben comincia è a metà dell’opera. Sarà che forse siamo alle porte dell’estate, ed è un tempo propizio per fare bilanci dell’ultimo anno di cammino fatto. Con l’estate si chiude un anno di scuola, di lavoro, di attività. Nella nostra società post-industriale, l’estate è tempo di riposo, forse di viaggi, di esperienze nuove che crediamo ci debbano “ricaricare”, come se fosse lontano da noi quello di cui abbiamo bisogno.
La prima “esperienza” missionaria Gesù la fa fra la sua gente. Dopo il battesimo di Giovanni, torna in Galilea e comincia a parlare con la gente che incontra del Regno di Dio. E “tutti ne facevano grandi lodi”. Sembra ironica questa frase di Luca, messa all’inizio della grande predicazione di Gesù. Tutti fanno le lodi di un maestro nuovo. Finché è nuovo. Finché è lontano. Finché non si prende la confidenza di fare domande, di provocare. Forse questa frasetta ironica di Luca spiega perché tante volte ci teniamo alla larga da Gesù. Non andiamo a messa la domenica – e ne diamo colpa al parroco che fa prediche noiose o bigotte. Ma il vero motivo del nostro assenteismo spirituale è che ci fa comodo stare lontani dal Maestro. Perché a stargli vicino potrebbe accadere che ci venga chiesto di cambiare, di scomodarci, di intraprendere un cammino che non abbiamo la voglia di cominciare (e che diciamo di non conoscere, ma in realtà giace abbandonato in un angolo buio della nostra coscienza, e lo conosciamo bene).
“Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia”. Gesù non inventa, ma accoglie. Quante volte nella nostra vita spirituale vorremmo inventare, trovare cose nuove, come se la novità fosse in se stessa la soluzione. E abbiamo a portata di mano – letteralmente, non metaforicamente – quel libro che tutti abbiamo a casa, e che non leggiamo mai: la Bibbia. Se solo avessimo per la Bibbia un decimo del tempo che abbiamo per Facebook o WhatsApp. Ma – si sa – il problema è che le giornate sono troppo corte per fare tutto, no? E uno deve pur darsi delle priorità...
Ma il rotolo che Gesù apre non è solo quello fisico del libro della bibbia. È anche il rotolo della sua stessa vita. In esso Gesù non legge una fiaba per bambini, una leggenda, un libro di storia antica. Legge se stesso, la sua stessa vita. Gesù che prende in mano il rotolo del profeta ricorda Gesù che prende in mano il pane, e nel pane prende in mano il proprio corpo. Per spezzarlo, per condividerlo. Chissà se nel tempo delle vacanze non riuscissimo a trovare del tempo anche per riprendere in mano la nostra vita: da dove sto venendo, e dove sto andando? Altrimenti – per usare le parole di papa Francesco – rischiamo di ammalarci di Alzheimer spirituale: non ci ricordiamo più la strada fatta, non sappiamo ringraziare, e anche sorridere di noi stessi e dei nostri limiti. E chi non sa ringraziare è una persona triste.
“Apertolo, trovò”. È incredibile come – non importa quante volte hai letto la Parola – lei ha sempre qualcosa da dirti. Sarà che è viva, e come un’amica che viene a trovarti, ha sempre qualcosa da comunicarti – anche nel suo silenzio o nel suo sguardo. Se apriamo la parola con la convinzione “questa pagina l’ho già sentita e me la ricordo”, o se rivisitiamo il nostro cuore con il cinismo di chi crede di aver già imparato tutto, allora non ci sarà mai modo che sentiamo la Parola. Non esiste sordo peggiore di chi non vuol ascoltare, né alunno più inutile di chi si sente già un professorone. “Se non ritornerete come bambini... non entrerete nel Regno...”
“Lo Spirito del Signore è sopra di me”. Sì, non sono solo. Non sono mai solo. Queste parole non valgono solo per Gesù in quel sabato mattina di 2000 anni fa nel piccolo villaggio sperso di Nazareth. Sono parole per me e per te oggi. Lo Spirito è con noi. Il problema è che spesso siamo noi ad essere fuori sede. “Ti ho cercato tanto, fuori di me, mentre tu eri tutto il tempo dentro di me”, ricorda – anche lui con un sorriso – sant’Agostino.
“Lieto messaggio ai poveri, liberazione ai prigionieri, ai ciechi la vista, agli oppressi la libertà”. Di solito quando leggiamo questo piccolo elenco ci vien naturale pensare che si stia parlando quattro volte delle stesse persone. Ma se c’è una caratteristica del vangelo di Luca è che vuole far arrivare la buona notizia anche ai farisei, a quelli che – consapevoli o meno – hanno deciso di fare i sordi e i ciechi. La buona notizia è buona per tutti: per il lebbroso come per Lazzaro, per il pescatore come per la prostituta, per il santone come per il peccatore. Con tutta probabilità sono loro, i farisei, gli oppressi: loro che si son messi ad opprimere la gente semplice con le loro regole e i loro sofismi, sono diventati oppressi dalla loro stessa oppressione, sfigurati, disumanizzati. Anche per loro Gesù ha un messaggio. Non importa quanto disperato sei, “il Maestro è qui e ti chiama”.
“A proclamare l’anno di grazia del Signore”. C’è un salmo che i sacerdoti e i religiosi recitano spesso la mattina, prima delle lodi e che si chiama ‘invitatorio’. In questo salmo (il 95) c’è una frase che mi piace molto: “se lo ascoltaste, oggi!”. Il giubileo non è solo quest’anno, il 2016, e poi se ne va come la coppa del mondo, fino alla prossima edizione. Il giubileo è tutti gli anni, tutti i giorni. Ogni giorno ricominciamo l’avventura del cammino con Dio. Ogni giorno è un’opportunità nuova per fare cose grandi, o cose piccole con un amore grande. Ogni giorno dovremmo ripeterci “questo è il giorno fatto dal Signore”. Nei suoi anni di prigionia, il vescovo vietnamita Francois Xavier Van Thuan ha imparato a credere fortemente che il momento più felice della sua vita era il momento presente. Ogni momento presente è un’opportunità. Ogni giorno posso fare la scelta di fare il bene, il bene che forse ieri non sono riuscito a fare. Quanta saggezza nella pedagogia scout che insegna la “buona azione” giornaliera! Se la facessimo tutti, in un mese il mondo sarebbe trasformato!
Ma non la pensano con altrettanta fiducia e speranza gli ascoltatori di Gesù. Loro che – purtroppo – credono di conoscerlo non se la sentono di sentirsi chiamare ciechi e prigionieri. Non sentono, o meglio non vogliono sentire, il bisogno di essere liberati. E se Gesù il carpentiere ha tanta voglia di fare il profeta e di paragonarsi ai profeti, gli facciamo fare la fine del profeta. Nessuno è profeta in patria, perché “patria” è l’antitesi di profezia. La patria nasce dal mito così come lo raccontano i vincitori. Il profeta, invece, prende la parte dei vinti. Sono due categorie che non giocano mai assieme.
È impressionante vedere con quanta rabbia i suoi paesani lo spingono fin sopra il monte, per gettarlo. Perché ha detto due parole di troppo? Oppure lo spingono perché nessuno ha il coraggio di dargli una lezione a nome degli altri? E allora la folla spinge, anonimamente. Fanno violenza a lui, rigettandolo, ma fanno anche violenza a se stessi, nell’accettare di essere folla: anonima, senza volto, senza nome, senza cervello, senza direzione. La folla è il contrario del popolo, che invece ha una coscienza.
Ma Gesù sembra non scomporsi molto, e quasi con la stessa ironia con cui Luca aveva aperto questa pagina, vediamo Gesù camminare fra la folla e andarsene. Non si mette a negoziare, a barattare, non scende a compromessi. Non piagnucola dicendo “scusatemi, non ci siamo capiti”. No, lui se ne va per la sua strada. Chi vuole seguirlo ha le gambe: che si affretti!
I poveri in spirito fanno la ressa per stargli dietro, mentre quelli ricchi di se stessi non riescono neppure a fare un passo. Ed io? E tu? Buon cammino!