Maggio 2014 - UN SÍ APPASSIONATO
Mt 26,14-28,10 - p. Daniele Zarantonello
UN SÍ APPASSIONATO
Mt 26,14-28,10
Si è concluso ieri la Vía Crucis per la Vita, un'attività organizzata dalla diocesi di Tumaco che ha coinvolto tutte le parrocchie della città in una processione che ha attraversato l’isola del Morro (una delle tre isole che conformano la città di Tumaco), percorrendo le 14 tappe tradizionali della passione di Gesù. La participazione è stata positiva, creativa, vivace. Abbiamo letto la realtà di Tumaco, con le sue molteplici sfide, le sue croci che ne trafiggono il corpo sociale (estorsioni, violenza, abuso sessuale, devastazione del territorio, reclutamento di minori, mala sanità, silenzio complice, indifferenza, paura, frammentazione sociale...) alla luce della passione di Gesù, però con gli occhi lucidi e fissi alla sua Resurrezione.
Stiamo cercando di percorrere cammini che davvero appassionino il nostro popolo di Tumaco, lo coinvolgano a partire dal cuore, dalle viscere, dallo spirito, però ci accorgiamo che non è facile, o per lo meno non lo è in tempi brevi. Una delle sfide maggiori è sicuramente l’inculturazione della fede. Arrivando qui pensavo di trovare un cammino percorso di identificazione spirituale con la propria essenza di afrocolombiani, però non è cosí: passi se ne sono fatti, però siamo ancora lontani dal vivere una fede inculturata. C’è da dire che la storia recente molto ha influito in questo processo rallentato: uno dei motivi è l’allontanamento delle famiglie dalle zone rurali, o per scappare dalla violenza, o per l’assenza di strutture mediche adeguate, o per l’assenza di strutture educative per i figli, o semplicemente per l’attrazione che infonde in ognuno la possibilità di energia elettrica regolare, un internet point vicino a casa, un centro commerciale dove comprare o semplicemente dare un’occhiata per sentirsi “ricchi”. La zona rurale è, come dice p. Garrido (sacerdote carmelitano e antropologo che ha condiviso vari anni della sua vita e dei suoi studi con il popolo Tumaco) l’anima del popolo negro colombiano: se non arriviamo all’anima di questo popolo, e ad amarla con passione, non risorgeremo con questo popolo. Varie persone mi dicono di lasciar perdere la zona rurale, perché il futuro, il nuovo areopago dell’evangelizzazione è la città con le sue sfide, le sue miserie, le sue potenzialità, ed è ora di rassegnarsi perché non c'è futuro nelle periferie rurali. Forse è vero: durante tutto l’anno i villaggi sono semi deserti: solo in occasione delle feste tradizionali o delle vacanze si ripopolano, per pochi giorni.
Però non possiamo servire con competenza e profondità alla gente della città di Tumaco se non arriviamo alle radici di questo popolo, dove esso riceve la linfa vitale perché possa rimanere in piedi. Le radici si immergono, come le mangrovie, tra terra e mare, e sono essenzialmente tre: la comunità, la vita, la spiritualità. Questi tre elementi si respirano con forza nelle comunità rurali, dove c’è ancora un certo attaccamento alla comunità, la vita si manifesta come sudore, terra, figli, legna nel fuoco, e Dio si respira nei gesti familiari, nei canti tradizionali - gli arrullos, alabaos, ... -, nelle feste patronali, nei rituali funebri.
La voracità della città, sempre in crescita, sempre di corsa, sempre spietata, sta tagliando non solo le foreste pluviali della regione, ma pure le radici vitali del popolo afro: distrugge la comunità, frammentandola in tanti pezzetti, magari vicini però isolati, distrugge la vita con il mito dei soldi facili (narcotraffico, estorsioni, corruzione statale, prostituzione) e sostituisce Dio con il culto della tecnologia, di una moto, di un’arma, di una cassa di birra, e trasforma le danze e i canti tradizionali in folklore per occasioni speciali.
Se vogliamo inculturare la fede dobbiamo salvare le radici del popolo afro.
Anche Gesù voleva salvare le radici spirituali del suo popolo, la fede in un Dio liberatore, fedele ai poveri, agli ultimi, amante della vita, la fede nella giustizia che apre le porte ad un futuro di pace, ad un Regno di Dio dove ci sia per tutti vita in abbondanza. Quando arrivò alla città, i poteri forti - religioso, politico, economico - si organizzarono per farlo fuori. Tra i suoi più fedeli collaboratori ci fu chi lo tradì per 30 denari, e tutti scapparono a gambe levate davanti alla crocifissione non solo del loro amico Gesù, ma anche dei loro sogni più belli.
Mi colpisce la sofferenza di Gesù, il senso di abbandono di Dio che vive nelle ultime ore della sua vita, la frustrazione davanti a una realtà troppo dura da cambiare e il disinteresse della maggioranza. Gesù aveva negli occhi la possibilità del regno di Dio, lo vedeva arrivare, lo riconosceva nei poveri che si rimettevano in piedi, che aprivano gli occhi, che risuscitavano a una nuova vita di servizio alla comunità. Gesù vedeva il futuro a portata di mano, e gli inchiodano mani e piedi, gli strappano l’ultimo respiro.
Nel percorrere la Via Crucis per la Vita sento che come popolo stiamo vivendo quello che visse Gesù: abbiamo il futuro davanti gli occhi, però ci hanno tarpato le ali, viviamo una sofferenza grande davanti alla postrazione di questo popolo così bello e calpestato. I poteri forti di oggi vogliono crocifiggerlo, togliergli l’ultimo respiro.
Gesù risorto ci rimanda in Galilea, ci rimanda alle nostre origini, alle nostri radici, perché non vuole gente rassegnata, ma piuttosto discepoli mossi da un amore testardo, resistente, appassionato, come l’amore di Dio.
Dio ama questo popolo molto più di quanto possiamo amarlo noi, e per quanto l’uomo faccia di tutto per allontanarsi dalla vita, accecato dal peccato personale e sociale, Dio ci accompagna verso il suo Regno: con Lui, anche il nostro popolo risorgerà.