Giugno. "Resurrezione di strada"
Sentirsi ardere il cuore ( Lc 24, 13-35 )
Nel carcere Am-Sinene di N’Djamena Nodjmadji piange a dirotto. Le hanno appena dato 10 anni. Da vivere in spazi ristrettissimi con fogne a cielo aperto, 3 piccoli bagni indecenti per quasi mille persone, in stanze super affollate dove si paga per sdraiarsi. Altrimenti il posto é in piedi. Il caldo torrido di aprile e maggio brucia i corpi, le idee e le speranze dei tanti giovani che arrivano dai diversi angoli del paese. Come Djimtengar, 16 anni, orfano, che dopo alcuni mesi di servizio in casa di ricchi funzionari della capitale, per non esser pagato, é stato accusato di aver rubato soldi. Solo, senza difesa, aspetta da 3 anni che il magistrato si ricordi di lui. Intanto dietro le sbarre si é ammalato e ha rischiato la pelle. Ha bussato la notte mentre stava per soffocare ma le guardie non hanno aperto. “Non bisognava forse che il Cristo patisse queste cose?”
La comunità di Luca non l’avvenimento della resurrezione ma l’esperienza del Risorto come Eucarestia (ringraziamento) vissuta e celebrata sulla strada, dove Parola e Vita camminano insieme. Una liturgia itinerante in due tempi:
- Nella prima parte (liturgia della Parola) Il Risorto si avvicina ai due che ritornano a casa senza aprire gli occhi (v.16), senza speranza (v.21) e senza fiducia nel presente e nel futuro (v.19), coi volti tristi (v. 17), testoni e lenti di cuore (v.25). Gesù di Nazaret si fa incontro per riaccendere i cuori (v.32) attraverso la spiegazione di tutto cio che si riferisce a lui nelle Scritture (v.27). Finché non si sperimenta sulla pelle la Parola é ancora lettera e idea e non carne e vita vissuta. Ecco la svolta! Le nostre piccole comunità ecclesiali di base (CEBs) in Ciad, fragili e divise, cambiano davvero rotta quando alcuni membri sperimentano nella loro vita la presenza del Risorto che cammina a fianco, non più forestiero (v. 18). Come Etienne, della comunità della Loumia, appassionato catechista, che arriva dappertutto con la sua bici scassata e senza freni e soprattutto con il cuore che arde per il Risorto e per il Regno di Pace e Giustizia. In lingua araba, sara e ngambay condivide con la gente il sogno del Vangelo che lo abita. Molti ascoltano e si lasciano accendere dalla speranza. Nel Ciad delle oltre 200 etnie e lingue, con problemi endemici di coabitazione pacifica, la Buona Novella si diffonde e aiuta a sentirci un po più un cuor solo e un anima sola (At 4,32). Le nostre Eucarestie sulla strada, sotto il grande albero, nei villaggi a sud della capitale, si trasformano cosi in momenti fortissimi di condivisione, memoria sovversiva e festa. Polenta e pesce mangiati insieme con le mani nel piatto unico coronano al meglio la comunione eucaristica.
- Nella seconda parte (liturgia Eucaristica) Gesù entra nel vivo della celebrazione e nel profondo del suo progetto e sogno, per dimorare con i due discepoli (v.29). Ripete il gesto del pane e del vino (v.30), quello che aveva fatto pochi giorni prima nella cena con i suoi (Lc 22,19-20). Gesto della tradizione ebraica che diventa ora memoria vivente, presente e continua della sua persona e vita. Passione, morte e resurrezione palpitano dentro il segno più grande dell’Amore. “Non abbiate paura della tenerezza” ha annunciato Papa Francesco nell’Eucarestia di inizio del suo servizio. Torna la memoria e si aprono gli occhi quando quel pane é spezzato (v.35). Si riconosce Gesù quando le nostre vite si spezzano con e per gli altri. Si sperimenta il Risorto quando diventiamo noi stessi pane mangiato. Senza aspattare che lo siano gli altri per noi! Come le sorelle Asuncion et Marceline, che nel carcere di N’Djamena non si risparmiano un attimo per ascoltare i prigionieri e le loro storie, portare sapone e qualcosa da mangiare, cercare avvocati, pregare con loro, visitarli nelle celle. Come Abakar Walar, imam della capitale, che fatica a trovare il tempo per sé e la sua famiglia, preso dall’insegnamento del Corano e della via sufi all’Islam che vuole la pace e la fratellanza universale.
Ecco il nocciolo della Missione! Gesti, speranze e vite cosi intensi non possono restare muti e sconosciuti. Vanno raccontati, condivisi, rivissuti (v.33-35). E allora la festa e la danza si scatenano per testimoniare che la gioia non sta più nella pelle. Come i nostri catecumeni che la notte di Pasqua hanno ricevuto il battesimo. Come i bimbi al ritiro di quaresima sotto gli alberi del villaggio di Miskin Sara che, al ritmo dei tam-tam, ballano tutta notte. Come nel carcere di N’Djamena dove al termine della giornata di ritiro, di ascolto e condivisione della Parola i nostri fratelli e sorelle ci preparano un gran pranzo (come se fossimo fuori!) e poi scoppiano in canti e danze irrefrenabili. Anche le guardie arrivano e guardano increduli lo spettacolo. Per Dio loro sono volti, i figli e le figlie per cui continua a spezzarsi. Non prigionieri. “Questo é il Regno...” irrompe Bob, dalla Nigeria, con un francese stentato. “...e ci ritroveremo cosi, tutti assieme, un giorno”.