Riflessione di don Marco Cappellari, cappellano presso la Casa Circondariale di Padova, sulle rivolte nelle carceri al tempo del Coronavirus
In questi giorni particolarmente difficili per l’emergenza sanitaria del Coronavirus, le restrizioni imposte per il contenimento del contagio hanno avuto presso la popolazione detenuta un impatto fortissimo. Numerose le proteste da Nord a Sud all’interno delle carceri, alcune delle quali sfociate in gravi atti di violenza e guerriglia, portando in qualche caso diversi feriti e morti. Tali atti sono deplorevoli e vanno condannati.
Allo stesso tempo la nostra situazione italiana, 61mila detenuti rispetto a una capienza di circa 51mila posti, ci impone un discernimento e una riflessione approfondita. Nel carcere della rivolta più dura (ad oggi), a Modena, il sovraffollamento è al 152%, con 562 detenuti per 369 posti. A Foggia 608 reclusi per 365 posti, a San Vittore 1.029 a fronte di 799 posti. In concreto, da due giorni, i detenuti stanno protestando contro la decisione del governo di proibire i colloqui con i familiari per evitare il rischio di contagio da Coronavirus all’interno delle prigioni. Una misura pensata per salvaguardare la salute delle persone recluse e che invece ha dato il via alle rivolte che si stanno ormai allargando in tutti gli istituti penitenziari italiani.
Potrebbero essere pensati come pretesti per cercare di rosicchiare qualche giorno di libertà in più e forse per qualche detenuto è buona occasione, ma non dobbiamo dimenticare la situazione di disagio legata al sovraffollamento e, come nel caso della Casa Circondariale di Padova reparto ordinario, alla situazione di degrado delle stanze di pernottamento e dei servizi igienici. Talvolta sembra di essere in condizioni “quarto-mondiali”, talmente si alza il livello di degrado e di poca pulizia.
La situazione quindi è molto complessa, come è complessa l’epidemia in atto. Da parte degli operatori di Polizia Penitenziaria, e della Direzione (parlo in particolare della Circondariale di Padova) c’è molta professionalità e attenzione nei confronti della popolazione detenuta, anche in questi giorni, dove il rischio di accendere una rivolta vera e propria è molto alto e palpabile.
Nelle ultime ore ci siamo radunati in riunione più volte e ciascuno ha cercato di fare la propria parte nel migliore dei modi. Come Cappellano, ho intensificato i colloqui con i detenuti, la Diocesi di Padova ha erogato una donazione per ricaricare le schede telefoniche dei meno abbienti e dare loro quindi la possibilità di far qualche telefonata in più secondo le norme stabilite dalla Direzione. Numerosi tentativi di dialogo sono stati messi in atto, oltre che dal personale di Polizia Penitenziaria, anche dall’Area Educativa e non ultimo dai Magistrati di Sorveglianza e dal Garante regionale dei diritti della persona.
Crediamo che il dialogo e il reciproco e rispettoso ascolto possano essere un mezzo importante per crescere in civiltà e democrazia. Non sappiamo se avremo un riscontro positivo e duraturo da tutto ciò, ma siamo certi che tutto quello che potevamo fare, lo abbiamo fatto con dedizione e attenzione particolare alla cura delle persone.
In conclusione credo importante che anche lo Stato possa intervenire quanto prima, soprattutto per sanare quegli ambienti degradati che spesso ci ritroviamo nelle nostre carceri italiane, perché la dignità e il rispetto delle persone parte anche da questo e, se non lo testimoniamo noi per primi, così come lo Stato, a tutte quelle persone che hanno sbagliato e che si trovano ristrette, come si può pensare che escano migliori di come sono entrate?
Forse questo tempo di emergenza ha aperto cancelli dimenticati. Forse siamo chiamati a studiare un antidoto anche per queste reali necessità.
don Marco Cappellari
Cappellano della Casa Circondariale di Padova