don
Luigi Ciotti
Don
Luigi Ciotti è
sacerdote dal 1972 e fondatore del Gruppo Abele,
particolarmente
attento a realtà
quali quelle della droga e dell'emarginazione

Vorrei
partire da una premessa per me fondamentale. Ringrazio per la
delicatezza con cui è stata usata la parola personaggio, si parla
di preti coraggio, di preti di frontiera, ma si è preti e basta e
cerchiamo di fare la nostra parte. Ho avuto nella mia vita la
fortuna di incontrare un grande vescovo a cui devo molto che si
faceva chiamare Padre Michele Pellegrino. Qualcuno di voi ricorda
quando alla televisione, questo vescovo piombato improvvisamente
nella Chiesa torinese spiegò, dando le giuste radici, che nella
Chiesa bisognava essere chiamati non eminenza, ma padre. Perché
non si può parlare di oppressi se poi noi come Chiesa cominciamo
a metterci le etichette che allontanano. L’esame di coscienza lo
faccio innanzitutto dentro di me, perché aveva ragione don
Milani quando diceva: “Fa strada ai poveri senza farti
strada”. Sono troppi quelli che si fanno strada sulla pelle
degli oppressi. Parlare di Giubileo degli oppressi dovrebbe essere
considerato ovvio come affermare che il pane è pane e il vino è
vino. L’oppressione è oppressione. Se occorre qui gridarlo è
perché gli oppressi continuano ad essere dimenticati, offesi, o
peggio ancora celebrati, usati e seconda delle circostanze. Ho
presente il convegno di tre anni fa a Milano sui giovani: non
c’era un giovane in sala. Non sono negativi i convegni e i
momenti di riflessione. A Milano l’ultimo giorno di questo
convegno sono piombati in sala un gruppo di giovani molto colorato
che ha distribuito a tutti un foglio di carta bianca macchiato di
sangue con scritto sopra: Questo è il nostro sangue,
analizzatelo. Sento questa inquietudine di non usare gli oppressi,
di non celebrarli, che non diventino delle facili statistiche,
perché c’è un occultamento delle vere cause. C’è quella
pagina del Vangelo che è un pugno nello stomaco, quando quel
furbacchione di Gesù ci ha detto che alla fine della vita saremo
chiamati a rendere conto delle parole inutili. E’
l’inquietudine delle parole inutili e stanche che ci sommergono
in questa società. Dite oggi chi non parla di giustizia, di
legalità, di solidarietà. Si impone il bisogno di recuperare le
parole vere, di responsabilità; troppe parole sono oggi di morte
e di abbandono che dividono.
Ricordate
quando l’anno scorso in previsione della scadenza del Giubileo
si è detto di tutto. Alcuni governi si erano fatti promotori di
una mozione che avrebbe dovuto essere votata dal massimo consenso
internazionale, l’Assemblea delle NU. L’obbiettivo positivo
era di affermare una moratoria della pena di morte nei non pochi
stati che ancora la contemplano. Non è stata neppure raggiunta la
forza numerica per portare ai voti questa iniziativa. Anche in
casa nostra assistiamo continuamente a un gran parlare di
giustizia, ma poi le politiche sono tiepide, prudenti e scadono
così nel cinismo. Ogni anno c’è l’emergenza dei senza
fissa dimora per il freddo. Quante politiche di interesse e di
immagine: è questa violenza che mi preoccupa, perché cela
ulteriore violenza. Credo che l’unica parola non inutile che si
possa dire è la parola orrore. Stati come la Cina o il Texas, così
lontani da noi, organizzano uccisioni
legali. Qualcuno si fa anche la campagna elettorale col pugno
forte. Non serve andare lontano: nel nostro paese si fa la
campagna elettorale sulla sicurezza. Il diritto alla sicurezza è
un diritto che tutti i cittadini hanno, ma c’è modo e modo di
intervenire. Non possiamo parlare solo degli esclusi, abbiamo il
dovere di parlare anche degli inclusi, di creare una situazione in
cui ci sia attenzione verso tutti con l’assunzione delle proprie
responsabilità, ma non si può semplificare. Penso a quel signore
che dormiva in un cartone alla stazione di Milano e a cui dei
ragazzi mezzi ubriachi hanno dato fuoco. Mi chiedo anche le altre
responsabilità, ma il diritto alla sicurezza è sacrosanto e quel
grido che giunge da molte persone, famiglie non può essere
oggetto di semplificazione. Con la pena di morte, oltre a morire
innocenti, ci sono tanti poveri di colpa e di libertà. Tutti
avete presente Giovanni Paolo II domenica 9 luglio che durante la
Messa a Regina Coeli per ben due volte con forza ha chiesto un
atto di clemenza e riconciliazione nei confronti dei detenuti. Il
risultato è stato il silenzio e l’indifferenza che ha
sovrastato con fastidioso rumore le morti suicide in carcere.
L’Osservatore Romano ha denunciato la distanza del potere
politico con un bell’intervento di un cappellano delle carceri
di Rebibbia. Quel politico che grida di essere cattolico ha
dichiarato testualmente: “Comprendo bene le ragioni dei
cattolici, ma non è possibile fare altrimenti”. Non è
possibile dire questo, ma lo dico a me stesso, per una coerenza al
Vangelo. Ma non si manipola il Vangelo a seconda della politica
italiana sulla pelle degli oppressi? Devo fare un nome: Maurizio
Totaro. Si è impiccato poche settimane fa a Rebibbia dove stava
scontando una pena di otto mesi per furtarelli compiuti sette anni
prima che per le leggi dello stato e non per quelle del perdono
non avrebbe dovuto espiare in carcere. Qui sta la grande
ipocrisia, perché la legge Simeoni-Saraceni che avrebbe dovuto a
parere di molti politici svuotare le carceri, ha permesso che egli
fosse rinchiuso per fatti di sette anni prima. Ci fa male dire
questo, perché Maurizio non c’è più. Nessuno vuole fuggire,
ma sono interrogativi che dobbiamo porci perché la responsabilità
è anche nostra. Non dimentichiamo di far emergere il positivo però
anche della nostra politica, del nostro Parlamento, ma non
dimentichiamo il gioco del ping pong che si sta giocando sulla
pelle dei detenuti.
Spesso
non per cattiveria, ma per l’indifferenza di qualcuno succede
tutto questo. La giustizia
non viene cercano e promossa come dovrebbe ed è di nuovo questo
il senso originario del Giubileo per ridare speranza e opportunità
ai poveri e ai prigionieri. Di emarginati ed esclusi sono gonfie
le carceri italiane, 15000 cittadini, sottolineo cittadini di
diverse nazionalità in maggior parte prigionieri di pane e per
piccoli reati; 14000 tossicodipendenti sottratti temporaneamente
alla prigionia della droga per una prigionia peggiore densa della
disperazione del presente e della mancanza di futuro.
Rappresentano quantitativamente i 2/3 dello zoccolo duro della
popolazione detenuta. Essere aiutato, essere messo in grado di
risarcire le vittime ed assumersi le proprie responsabilità. Ma
quali percorsi
alternativi alle pene e il carcere come estrema ratio e i
cinquant’anni per attendere delle riforme strutturali che avete
messo in moto adesso? Diciamo anche che la criminalità
organizzata nelle carceri, nel 15% per mafia, sequestri, gravi
reati, anche per loro il carcere sia sempre una risposta umana e
civile, ma diciamo anche che la criminalità organizzata con i
suoi sotterfugi riesce sempre a trovare un’abilità difensiva e
si giunge alle scarcerazioni. Come i signori di Tangentopoli.
L’altra sera a Bologna ero insieme a una persona che stimo molto
e che dimostra che di uomini che si impegnano e che ci credono ce
ne sono in forze politiche diverse. Quest’onorevole ha detto che
se qualcuno era disposto a dare l’amnistia era a una condizione:
doveva essere fino a cinque anni, cioè doveva contemplare quei
reati che toccano da vicino qualcuno che teme di dover rispondere
e siccome dall’altra parte giustamente non si è sbarrato su
alcuni reati, allora sulla pelle della gente, dei più fragili, si
blocca tutto. Voi capite l’abilità per guadagnare tempo, in un
paese dove i poveri disgraziati che sono in carcere, di cui il 25%
ha la difesa d’ufficio, cioè la non difesa. Siamo qui per dire:
giustizia, che a rispondere non siano solo i più fragili e non si
faccia un baratto sulla pelle dei più deboli. Io credo di poter
dire che criminali sono quelle persone che nell’arco di questi
anni, per l’alto ruolo che gestivano, non hanno fatto queste
riforme. Come criminali sono quelli che occultano i perché, chi
non si è assunto le proprie responsabilità nelle riforme.
Così
è per il problema della droga in Italia: dopo 30 anni non si è
spostato di una virgola. Questo no toglie la positività di ciò
che è stato fatto e
l’Osservatorio Europa sulle droghe ci dice oggi che le droghe
sono meno usate in Europa e così l’eroina. Ma se andiamo nei
servizi pubblici, a vedere chi va nelle comunità, la stragrande
maggioranza sono tossicodipendenti da eroina. Allora siamo noi ad
essere in abissale ritardo, perché il primo giovane morto per
ecstasi non è stato l’anno scorso a Brescia, ma nel 1991 un
ragazzo di Mestre. Molti hanno lavorato in questi anni, hanno
gridato, hanno cercato parole: realtà sparse per l’Italia che
si sono impegnate, ma anche se c’è un calo delle
tossicodipendenze, c’è un allargamento delle altre forme di
dipendenza. Sulle droghe pesanti la stima per difetto che viene
fatta è che le mafie
guadagnano 840mila miliardi l’anno, pari all’8% dell’intero
mercato commerciale mondiale. Tutti sapete che nei 35 paesi che
sono attualmente in guerra i
due traffici sono paralleli: il traffico delle armi e quello della
droga. Penso alle nuove droghe, ai 153 milioni di confezioni di
pillole antidepressive e antiansiolitiche vendute l’anno scorso
nel nostro paese. Penso all’abuso dell’alcol di cui non si
riesce ad avere una stima precisa nel nostro paese. Pochi giorni
fa in una riunione molto riservata si diceva che ormai il giro
d’affari dei videopoker è stimato in 30mila miliardi di lire e
si raddoppierà in un anno. Pensiamo allora non solo ai morti
per mafia, ma a quei tre o quattro ragazzi che ogni giorno
muoiono per droga. Quegli oltre 19mila giovani morti dal 1973 ad
oggi tutti di stragi di mafia, perché quel mercato in ultima
analisi è un mercato di mafia. Pensiamo ai morti di Otranto o a
quelli nelle celle frigorifere in Gran Bretagna: non so come nel
nostro paese si possa parlare di centri di accoglienza temporanea
per chi non ha commesso alcun reato, ma solo per prendere i dati.
E allora non hanno avuto un nome, nessuno le ha reclamate, le
hanno sepolte qui le due ragazze cinesi che nel mese di agosto
abbiamo visto tra gli ombrelloni, morte. Stavano arrivando nel
nostro paese e gli scafisti per timore di essere presi le hanno
scaricate, non sapevano nuotare e sono morte su quella spiaggia di
una terra tra l’altro molto generosa e accogliente come la
Puglia.
Qualche
parola vorrei dire a proposito del debito
estero. La colonizzazione, l’esproprio forzoso delle
risorse, le divisioni fomentate e costruite dall’esterno lo anno
ampiamente cancellato. I paesi ricchi si sono autoassolti e hanno
cancellato la memoria delle nostre responsabilità e allora deve
essere capovolto il discorso sul debito, cosa condoniamo se
abbiamo grattato tutto quello che potevamo. Penso alle persone
affette dal virus dell’AIDS: su 33 milioni di ammalati, 23 si
trovano nell’Africa subsahariana. Eppure a loro le cure
sono negate. Costa più di 6000 lire in laboratorio il farmaco
che riesce a interrompere l’infezione tra la mamma e il bambino
lei che aspetta, ma nei paesi poveri costa delle cifre
enormi. Ma l’elenco è ancora lungo: il traffico degli
esseri umani con la prostituzione. E’ un problema serio che se
ricordate ha le stesse dinamiche degli anni ’60 e ’70, quando
in Italia avevamo il raket della prostituzione e si trovavano
ragazze morte, perché non potevano uscire dal giro, quando a
Torino un quotidiano lancia la campagna per una legge di
iniziativa popolare promossa da giuristi cattolici per pulire la
città e la risposta la diede padre Michele Pellegrino che la
notte di Natale non andò alla crociata. In Duomo tutti si
aspettavano da lui una parola, da lui che partiva sempre dalla
parola di Dio. Egli dal fondo si è chiesto quali sono le cause
della prostituzione, i ruoli dei clienti, delle istituzioni e
della coscienza dei cittadini. Questo non gliel’hanno perdonato,
hanno cercato di distruggere le cose che lui costruiva. Oggi nei
paesi del Terzo Mondo l’Italia è dopo il Giappone e la Germania
per quanto riguarda il turismo sessuale. Non vuole essere un
giudizio, ma si vuole rimettere dentro di noi la riflessione,
perché cresca il nostro impegno, perché non si semplifichi. Noi
siamo chiamati ad incontrare persone, non viceversa. Voi mi
insegnate che dobbiamo ricordarci che prima di essere poveri in
tutti i sensi, si è persona. Quante volte si è tentati anche nei
nostri modi di classificare le persone in tossicodipendenti,
alcolizzati, detenuti, matti, prostitute. Per non parlare delle
condizioni che interrogano la nostra morale e che spesso sono
chiuse in categorie lontane per difendere i nostri principi:
l’omosessualità, la transessualità, i conviventi, i
divorziati, i risposati. E’ un rischio per tutti, preoccupati a
volte per la propria identità, ci si dimentica di incontrare
l’altro, quello che non può mai essere minaccia per il proprio
credo, ma solo e sempre compagno di viaggio, senza il quale il
Vangelo non ha senso, senza il quale il Vangelo non è Parola
che libera. Abbiamo perso l’occasione di imparare a tacere,
ascoltare, di imparare a parlare nel modo giusto, di imparare ad
aspettare, di esserci col mondo dei gay in questo Giubileo.
Questa
è una società che si preoccupa molto dei giovani,
ma non se ne occupa abbastanza. Non sono resi protagonisti, non si
investe su di loro al di là delle parole. E’ una società che
ha promosso un orizzonte culturale dove l’immagine,
l’apparire, il potere, il successo, la prestazione ci bombarda
tutti. I nostri ragazzi sono la fotocopia degli adulti. Ai nostri
ragazzi non dobbiamo insegnare i valori, non basta spiegarglieli,
hanno bisogno di uomini, di donne , di persone coerenti e
credibili, che oltre ad annunciarglieli, li testimonino e li
vivano in un orizzonte culturale di fronte al quale io credo che
tutti noi dobbiamo avere il coraggio di essere inadeguati rispetto
a quell’orizzonte culturale che promuove falsi valori.
Guai
se il nostro obbiettivo si ferma alla solidarietà, non a caso ho
parlato di fame e sete di giustizia, è per le giustizie che Gesù
ha pagato il prezzo della vita; la giustizia è il nostro
obbiettivo, la legalità e la solidarietà che sono i due
strumenti per raggiungere la giustizia e guarda caso in Italia è
cresciuto il volontariato di cui si è sempre parlato molto.
Luciano Terrazza, un grande uomo di questa terra e a cui la Chiesa
italiana deve molto; Monsignor
Giovanni Nervo, Don Pasini, uomini della nostra terra; si
facevano i primi incontri e per la prima volta si parlava di
volontariato. Lo dobbiamo a Nervo e Terrazza che ci hanno sempre
ricordato che non bastava parlare di carità, ma bisognava sempre
coniugarla con la giustizia. Il fiorire del volontariato è un
fatto positivo, ma vi siete chiesti come mai proprio negli anni in
cui fiorisce questa grande positività si è allargata la forbice
degli oppressi. Le nostre realtà sono state troppo tiepide e
prudenti, non solo le istituzioni hanno le responsabilità, ma
anche noi. Qualcuno ha dimenticato padre Balestrero quando un
settimanale gli ha dedicato tre pagine di insulti, perché
disturbava la nascita di un coordinamento di 741 gruppi contro la
criminalità. Quando andai a trovarlo mi disse: “Non
scoraggiarti!”. Lo dice a me come a tutti voi, perché giornate
difficili arrivano per tutti, questo essere gomito a gomito
nell’impegno con chi fa fatica, questo sporcarsi le mani, non mi
stanco ami di ripetere: “ Luigi non dimenticare che anche la
denuncia è annuncio di salvezza”.
Se
la forbice dei problemi si è allargata nel nostro paese,
dov’erano le associazioni di volontariato, i movimenti. Come è
stato possibile mettere 741 gruppi assieme, poi la legge è
passata e abbiamo venduto le prime bottiglie di olio con la
scritta: Dalle terre confiscate dallo stato alle mafie olio
extravergine di oliva Libera. Ci lavoravano 20 ragazzi nelle terre
confiscate al boss di cosanostra latitante Bernardo
Provenzali. Proprio in questi giorni si è fatto un consorzio con
un bravo prefetto di Palermo, il dott. Profili: quasi 2000000 di
metri quadri di terre confiscate a Riina
che diventano un progetto cooperativo di lavoro biologico e
vi invito a partecipare al campo nella Locride
aperto a giovani che vogliano portare dentro le proprie realtà
questa coscienza e sensibilità. In questi giorni la ‘ndrangheta
manda segnali pesanti, ma noi saremo lì non contro qualcuno, ma
per proporre, per costruire. Dobbiamo unire le forze, ritrovare
quel coraggio di denuncia e di parola, di annuncio di salvezza.
Noi siamo responsabili di molte ingiustizie che sono state portate
avanti, perché abbiamo delegato qualcuno che se ne occupasse e il
tribunale delle coscienze deve essere riproposto. I titolari di
tutto questo siamo anche noi, perché dobbiamo essere le
sentinelle dei diritti delle persone, allora prima del perdono,
del giubileo dei poveri, c’è bisogno di un incisivo percorso di
giustizia sociale, legalità, non elemosina, uguaglianza, non
concessioni, diritti, non pacche sulle spalle.
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