La lunga notte dei

Senza Dimora

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Il 17 ottobre è stata dichiarata Giornata Mondiale ONU contro la povertà.

 

L’ideatore di questa iniziativa fu padre Joseph Wresinki, un prete francese di origine polacca, che trovandosi di fronte a 2000 senzatetto ammassati in una discarica abbandonata fece la promessa a se stesso: "Far salire gli emarginati sulle scale dell'Eliseo, del Vaticano, dell'ONU".

Il 17 ottobre 1987 inaugurò una lapide in commemorazione di tutte le vittime della miseria e nacque la tradizione della "Giornata Mondiale" del rifiuto della miseria, riconosciuta dalle Nazioni unite nel 1992. 

Ogni anno il giornale di strada di Milano "Terre di Mezzo" lancia a livello nazionale l'iniziativa "La Notte dei Senza Dimora" per celebrare questa giornata.

La "Notte dei Senza Dimora" vuole essere un modo semplice per combattere i pregiudizi legati alla povertà. Attraverso questo momento di sensibilizzazione si propone di informare fornendo materiale e dati aggiornati. Denunciare i problemi vissuti dalle persone di strada, dalla mancanza di servizi alle difficoltà nell'assistenza ed avvicinare chi partecipa all'iniziativa alla condizione dei Senza Dimora.

 

 

1. Voglio farcela!

2. Afghanistan

3. L'Italia un posto bello...

4. Il buratto

5. Per realizzare un desiderio

6. Non mi manca nulla

 

1. Camminavo

2. Cosa si dice

3. Io solo

4. La notte

5. Sirio

6. Strada

 

  • Qui puoi leggere la testimonianza di Giulia, volontaria in centro a Torino

 

  • Qui trovi i siti delle associazioni e dei giornali che si occupano della realtà dei Senza Dimora:

 

- il giornale di strada di Milano;

- i volontari di strada di Trento;

- l' associazione romana Casa dei diritti sociali;

- l' associazione Papa Giovanni XXIII di Bologna;

 

- il giornale di strada Piazza Grande a Bologna;

 

- la Fondazione Auxilium di Genova;

 

- l' associazione torinese Opportunanda che ha anche un giornale

 

 

 

OCCHI NUOVI

Giulia

10 marzo 2004

 

Il nostro Centro è un po’ il luogo delle improvvisazioni, ed è forse questa la sua ricchezza più grande.

Ogni domenica ci si improvvisa un po’ di tutto: possiamo essere consolatori, camerieri pazienti, corridori, infermieri, burberi buttafuori (raramente…), assistenti, sportelli informativi…

Davanti a noi si apre un mondo caotico, molto odoroso, vivace, stanco, nervoso, desideroso d’essere visto a volte, altre schivo, silenzioso.

E’ un “mondo” che richiede rispetto. E capacità d’ascolto.

Non c’è uno stacco netto tra noi e loro. Questo è importante. Molti dei nostri ospiti sono solo di passaggio. Noi possiamo cogliere solo un pezzo della loro strada, che magari forse, tra qualche mese, sarà “brillante”, sarà più vicina ai nostri parametri di “normalità”.

Alcuni volti per noi sono da anni familiari. Magari qualche anziano signore, solo, un po’ troppo amante dell’alcol. Una donna dai capelli bianchi, che vive in una casa popolare del comune.

Fa invece male vedere ogni domenica i volti di giovani, giovanissimi che hanno fatto della strada la loro vita. Che non riescono più a rialzarsi, a vedere l’uscita.

Fa male vedere ragazzi addormentarsi sui piatti perché gonfi di eroina.

E’ una gioia invece a volte poter vedere i passi enormi di albanesi, romeni, marocchini, ragazzi con una grande voglia di farcela, di lavorare, di integrarsi.

Ancora oggi alcuni di loro passano a trovarci, qualcuno ogni tanto presta servizio insieme a noi.

Allora, in questi momenti, si raggiunge la consapevolezza che non c’è una barriera tra noi e gli ospiti.. che non ci deve essere nessuno sguardo o approccio “dall’alto in basso” da parte nostra. Perché ciascuna delle persone incontrate sta combattendo una battaglia personale intensissima di fronte alla quale non possiamo che ritenerci uguali, dei pari, sì, a volte solo dei privilegiati.

Certo, ci sono anche furbi, approfittatori, là in mezzo. Persone che non si fanno scrupoli e raggirano quanti stanno loro intorno, approfittando magari dell’ingenuità dei volontari.

Non ci deve essere solo giustificazione o tolleranza. Sia ben chiaro. Aiutare significa anche chiedere agli altri responsabilità e non considerare chi si ha davanti un guscio vuoto privo di coscienza. Anzi. Mai pensare questo. Significa togliere dignità alla persona.

Quindi domenica io vi chiedo una cosa.

Una cosa che io stessa mi ripromisi fermamente quando per la prima volta entrai al Centro Andrea.

Aprite bene gli occhi. Quanto più potete.

Tenete vivo il vostro sguardo sulla vita senza avere mai la presunzione d’essere “arrivati”.

Il Centro è il luogo che conferma quanto dico.

Più lo si penetra a fondo, più le “verità” si infittiscono, divengono cangianti, si sfumano le une nelle altre, ridando sempre nuovi significati alla vita.

Servire è un gesto preziosissimo, che richiede concentrazione, deve essere fatto con sincerità, alla pari. Altrimenti si perde e stempera nella nostra estraneità a questo luogo.

La prima volta si è estranei. Tutto sciocca e riempie l’anima di interrogativi. Ma non c’è nessuna fretta.

Solo tenete lo sguardo vivo sulle persone. E’ la cosa più importante.

Qui prima di tutto si impara.

Si impara davvero, e si raggiunge la certezza che si debba far parlare la vita prima di aprire bocca noi.

Questo è il luogo delle grandi contraddizioni. Qui le contraddizioni si incontrano e manifestano rilasciando dolore, incomprensione. A volte, paradossalmente, anche la più impagabile gioia.

Qui si riversano tutte le contraddizioni della nostra grande “civiltà occidentale”… così come ho visto in Africa. Che al contrario di quanto si tenda generalmente a pensare, è anch’essa affare nostro… in tutti i sensi.

Al centro si abbandona il buonismo. Ci si sente infinitamente piccoli.

Questo è, se volete, il regno dell’ironia, del grottesco, dei personaggi che vengono a mostrare la maschera della loro sopravvivenza.

Questo è anche il mondo di coloro che sono lontani da casa, dai loro paesi, e devono confrontarsi con il nostro mondo della strada, pronti ad imparare tutto. A volte proprio questi sorprendono per la loro disarmante lucidità e per una capacità d’integrazione velocissima.

Questo è un luogo cangiante, a volte infingardo, scorbutico, lunatico.

Furbo.

Niente buonismo quindi. Niente paura. Nessun “ti salverò”.

Qui c’è la vita nella sua immediatezza.

Osservatela e poi provate a scrivere cosa avete provato, cosa voi avete visto.

Io sono solo un piccolo punto di vista… e desidero quanto mai imparare ancora.. magari ascoltando altre angolazioni!!

 

 

Grazie di cuore

A presto

Giulia

 

 

Voglio farcela!

 

 

Oggi incontro una donna dell’Ucraina che viene da un’ esperienza familiare particolarmente difficile e che nella sua migrazione ha incontrato altra fatica e altro dolore che non hanno ancora trovato la parola fine.

E’ una donna di 50 anni che mi colpisce per la grande dignità che traspare dai modi e dal suo aspetto seppure un poco dimesso. Per nulla paragonabile alla maggior parte delle cinquantenni che incontriamo per le strade di Trento: quasi una donna d’altri tempi.

Poco abbiamo potuto fare per lei e quel poco non certo perché questa donna lo abbia chiesto. La sua sofferenza l’abbiamo intuita dal suo sguardo schivo, dolce e triste insieme.

Dopo tanti mesi di brevissimi incontri le ho chiesto se se la sentiva di raccontarci un pezzettino della sua storia per aiutare noi ed i lettori del giornalino a comprendere e magari sentirsi un poco più solidali con chi arriva da lontano e ci vive accanto.

 

“Avrei molte cose da raccontare ma non so da dove iniziare, perdonami perché non posso esprimere al meglio le vicissitudini della mia vita ed i miei sentimenti”.

La rassicuro che cercherò di aiutarla a trovare le parole anche se l’emozione che lei mi sta trasmettendo attraverso lo sguardo dei suoi due enormi occhi grigi sarà solamente mia.

“Vivo qui a Trento da un anno e mezzo perché dalla dissoluzione dell’U.R.S.S. la situazione economica nel mio paese è precipitata, le fabbriche hanno chiuso e nelle campagne ogni produzione è crollata.

La mia situazione familiare da molti anni è difficile, 25 anni fa mi sono separata da mio marito quando avevamo già due figli maschi, uno nato con gravi problemi cardiaci per i quali è stato operato ben due volte, l’altro ragazzo all’età di 4 anni in un incidente ha perso le dita della mano destra. Quanto dolore.

Ho sempre sgobbato per farli crescere al meglio delle mie possibilità, lavoravo la campagna ed oltre che mantenere loro aiutavo mia madre a crescere le tre bambine di una mia sorella morta giovanissima.

Tredici anni fa sono riuscita a costruire una casa per me ed i miei figli ero piena di speranze per il nostro futuro, i miei figli avevano da lavorare pur con i loro problemi fisici, uno faceva l’autista e l’altro lavorava in fabbrica. Poi 10 anni fa il disastro. In uno spazio di tempo brevissimo c’è crollato il mondo addosso. Niente più lavoro e tutto quanto comprese le cure mediche diventano a pagamento! Mia madre percepisce una piccola pensione che con il crescere del costo della vita diventa sufficiente solo per pagare l’affitto e la luce.

Io ho continuato a sgobbare in campagna ma ormai non bastava più. Ho cominciato a sentire di tante donne che partivano per i paesi occidentali: Italia, Francia, Germania, Canada, Israele. Le famiglie più fortunate erano quelle con il marito che poteva partire per l’estero per lavorare mentre la donna restava in famiglia. Per me questo non era possibile e comunque i figli grandi mi permettevano di tentare io stessa l’avventura.

Io sempre molto povera e sola non potevo che contare sulle mie forze. Decido così di partire, scelgo l’Italia perché una mia amica mi dice che qui si viene trattati bene.

Appena giunta a Trento trovo un lavoro, persone bravissime, ma l’anziana sta troppo male e viene portata al ricovero, i familiari mi aiutano e trovo un’altra famiglia. Anche questo lavoro termina, purtroppo questa volta l’anziano muore e mi dispiace molto perché sono tutte brave persone. Anche questa volta vengo aiutata per un altro posto. Qui però rimango solo 10 giorni perché mi ammalo.

Avevo sempre dolore al ventre finché una notte ho un’ emorragia; la signora mi porta subito all’ospedale, vengo ricoverata per esami. Arriva l’esito, il dottore mi dice che ho un tumore. Sono disperata, mi sento nuovamente crollare il mondo addosso, non capisco più nulla.   

La signora viene a trovarmi e cerca di consolarmi dicendomi che in fondo sono fortunata perché ammalarmi a Trento è molto meglio che in Ucraina in questo momento; aggiunge che certamente verrò curata al meglio e che guarirò.

Rimango ricoverata per tre mesi in quanto non posso essere operata ma mi vengono praticate terapie radianti e chemio. La signora che mi ha portata all’ospedale mi viene a trovare anche nei momenti più difficili e sono fortunata perché nel frattempo è giunta in Italia una mia sorella la quale trova subito lavoro e mi fa visita quando le è possibile.

Il 26 agosto terminano le terapie e vengo dimessa, mi aspettano molte visite di controllo ma i medici dicono che ho risposto bene alle cure e che le speranze di farcela sono buone. Io mi sento uno straccio, non ho forze ed il morale è a terra.

Subito dopo la dimissione dall’ospedale vengo ospitate per un po’ di giorni dalla famiglia presso la quale lavora mia sorella e poi trascorro alcuni giorni in una casa abbandonata finché finalmente a settembre non si libera per me un posto presso la Casa della Giovane.

Non ho più denaro, sono più di quattro mesi che non lavoro, sento al telefono uno dei miei figli, deve andare all’ospedale, ha uno dei suoi periodi di terribili dolori di testa, ogni anno ha un ricovero di circa un mese e poi riprende a stare bene.

Ora nel mio paese si pagano medicine e ricoveri, io cerco aiuto presso delle conoscenti qui in città, una donna mi presta 500 euro altre donne altri 300 che posso inviare a casa. Come farò a restituirli! Ora ho anche questo debito.

Una famiglia ha fatto per me la richiesta di regolarizzazione, spero vada tutto bene così da poter lavorare alcuni mesi”

Piange ed io mi sento davvero in difficoltà a continuare a scrivere il suo racconto.

“Ieri ho potuto parlare al telefono con mia madre, che ha 79 anni, lo sai io l’ ho aiutata a crescere anche le figlie di una mia sorella che è morta giovane. Ora sono tutte sposate ma la più giovane di loro è tornata a vivere con la nonna perché il marito che era emigrato in Spagna per lavoro lì è stato ucciso. Bene, mia madre al telefono piangeva perché mi ha detto che non hanno più legna e nemmeno il denaro per comprarla (con 150 euro si compra la legna per tutto l’inverno). Lì adesso le temperature arrivano anche a meno venti gradi.

Credo di essere uno di quei casi disperati che non troveranno mai delle risposte, io volevo riuscire ad aiutare tutti, con i guadagni di un lavoro in Italia se si rimane modesti si aiutano molte persone al paese.

Io ora sono ammalata, tante volte penso che non ce la farò, certe volte penso di tornare subito a casa dopo i controlli di dicembre in ospedale ma poi cambio idea pensando ai debiti ed allora prego che la regolarizzazione arrivi presto e forse almeno alcuni mesi di lavoro li potrò ancora fare.

I miei due figli abitano vicino a mia madre, fanno quello che possono, con i loro problemi di salute e con il lavoro che non c’è. Loro si arrangiano con qualche ora lavorata qua e là e se sono fortunati il lavoro c’è per due o tre giorni.

Oggi io provo tanta vergogna, non per la povertà in sé ma per il fatto di dover dipendere per tutto da altre persone, mi vergogno di dover chiedere. Io vedo altre donne che hanno faticato tanto ma ora ce l’ hanno fatta; le vedo girare in città ben vestite ed in compagnia fra loro, hanno ripreso a sorridere.

Io sempre di più cerco di stare sola, anche dove dormo fatico a stare insieme alle altre donne che cambiano continuamente ed ogni giorno ne conosco di nuove mentre io rimango sempre ancora lì!

In certi momenti mi sembra di impazzire.

Sento di essere esaurita, voglio farcela ma ho tanta paura”.

 

 

 

Afghanistan

 

 

H. e M. sono due uomini afghani, hanno 24 e 29 anni e vivono in Italia l’uno da tre, l’altro da due anni. H. ha ottenuto l’asilo politico e M. ha un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Entrambi sono fuggiti dall’Afghanistan, un paese da sempre in guerra.

Anche se non è stato facile per loro raccontarsi, hanno voluto regalarci questa testimonianza, molto forte e cruda, al fine di far conoscere ai lettori le sofferenze che hanno vissuto nel loro Paese.

 

·        H. è il primo a parlare: ha vissuto una lunga e triste vicenda personale che vuole raccontare.

 

Io ho dovuto fuggire dai talebani, che hanno portato via le nostre donne e distrutto le nostre famiglie.

Nel mio paese c’è la guerra da 30 anni: io sono nato con la guerra e ho vissuto nella guerra. Non ho mai visto una vita buona, tranquilla. Prima eravamo in guerra con la Russia, poi sono arrivati i talebani. I talebani non sono Afghani, ma provengono dal Pakistan. Erano cattivi con noi, ci obbligavano ad andare sempre alla moschea anche se noi non volevamo. Io e la mia famiglia avevamo una piccola fabbrica di pelli ma ce l’hanno bruciata. Loro vogliono la shari’a.

Mio padre era un medico; quella sera eravamo tutti in casa a cenare. Dopo la cena sono venuti due talebani hanno detto a mio padre che un militare era ammalato e che doveva andare con loro per visitarlo. Anche mio fratello è andato con lui, mentre io sono rimasto in casa con mia madre. Quando sono arrivati il militare era già morto e per questo hanno incolpato mio padre; hanno incarcerato lui e mio fratello. Due ore più tardi sono andato a vedere cosa era successo e hanno preso anche me.

Ci hanno sottoposto a torture, mi hanno fatto l’elettroshock, ci davano pochissimo da bere e da mangiare e ci picchiavano. Il mio viso porta il segno di tutto questo: mi hanno fatto delle punture sul viso, che mi hanno provocato questo gonfiore. Ho visto mio fratello morire sotto l’effetto dell’elettroshock.

Un giorno però con altre sette persone sono riuscito a fuggire, mentre mio padre è rimasto in prigione visto che a causa delle botte le sue gambe non potevano muoversi. Sono tornato da mia madre, che nel frattempo aveva dovuto vendere il negozio che teneva. Lei mi ha detto: “figlio mio vai, parti così almeno tu ti salvi.” Sono partito subito; dall’Afghanistan ho attraversato a piedi e in pullman il Pakistan, quindi sono arrivato in Iran, sono passato attraverso le montagne a cavallo, pagando per il viaggio, e così sono riuscito ad arrivare in Turchia. Purtroppo però la polizia mi ha rimandato in Iran, ma sono ritornato in Turchia dentro un camion, pagando con i soldi ricavati dalla vendita del negozio e sono arrivato in Italia. Sono stato quattro giorni e quattro notti nel camion, ma per fortuna c’era da bere e da mangiare. L’Italia mi è piaciuta molto e, anche se volevo andare più a nord, sono rimasto a Roma e lì ho fatto domanda di asilo politico. Per un anno ho dormito in un cartone alla stazione. Poi per nove mesi sono stato in un centro di accoglienza. Un padre mi ha aiutato, mi ha portato da un medico, che mi ha operato al viso.

Adesso cerco lavoro qui a Trento, spero di trovarlo. Voglio aiutare mia moglie e le mie due figlie. Quando sono fuggito dall’Afghanistan le ho portate con me fino in Pakistan, dove vivono i genitori di mia moglie. Ho molta nostalgia di loro.

 

 

  • A parlare ora è M

 

Mio fratello è morto in guerra contro i mujahidin, mentre mio padre è morto combattendo quando i talebani hanno preso Kabul.

Io due anni fa sono fuggito dal mio paese.

Sì, anch’io come H. con tanti problemi ho attraversato e lavorato in Pakistan, poi in Iran e alla fina sono finalmente arrivato in Turchia, dove vive la famiglia di mio zio. Lì ho lavorato nel settore delle calzature per un anno e con i soldi guadagnati e con l’aiuto di mio zio sono riuscito a venire in Italia, a Roma, dove ho chiesto l’asilo politico e dove ho conosciuto H..

A Trento sono arrivato da poco, ho già trovato un lavoro anche se per ora dormo fuori. Spero di trovare presto un appartamento in affitto!

 

 

 

L'Italia un posto bello...

 

 

Era il febbraio del 2000: il tempo era brutto. Era freddo e c'era molta neve; il solito inverno in Moldavia.

Ero da sola in casa: da un paio di mesi erano mancati i miei genitori e lì io mi sentivo molto triste e sola.

E' stato in quel momento che mi è venuta l'idea di cambiare la mia vita,di andarmene via, lontano.

Ho pensato per un po' di tempo e poi ho deciso di partire per l'Italia. Un paese molto bello dove speravo ci fosse lavoro e dove sapevo cerano persone disponibili ad aiutare.

Tutto è successo abbastanza velocemente: ho avuto la fortuna di trovare un gruppo sportivo che partiva per l'Italia. Mi hanno presa assieme a loro come infermiera e massaggiatrice e così mi hanno dato un passaggio.  Ho avvisato i miei parenti e sono partita.

Sono arrivata  con l'aereo a Verona, una bella città, quella famosa per Romeo e Giulietta.

Ci siamo fermati in albergo ma dopo cinque giornate nostre strade si sono separate. Loro non potevano più fare niente per aiutarmi e così io sono partita per Bressanone in cerca di lavoro. Disperata, con i soldi che stavano per finire e non conoscendo la lingua italiana, mi sono trovata molto a disagio. A Bressanone ho incontrato tanta gente disoccupata, affamata e senza tetto come me.

Dormivo dove capitava: fino a quando ho avuto soldi sono stata da quelle signore che ti affittano il posto letto per soldi, quando poi non ne avevo più, ho dovuto dormire fuori,come altre persone.

 Non sapevo cosa fare e dopo aver continuato tutti i giorni a rivolgermi alla caritas per chiedere aiuto, ho finalmente trovato una famiglia che aveva bisogno di assistenza domestica.

 La mia gioia, però, non è durata tanto, perché il signore per quale io lavoravo è morto poco tempo dopo.

 Allora sono rimasta di nuovo sola,ho girato per  Bressanone alla ricerca di altro posto di lavoro, ma non ho trovato niente, non ce la facevo più.

 Un giorno, parlando con alcune persone del mio paese di origine, ho saputo che vicino c'era un'altra città  che si chiamava  Trento e ho deciso di andare là.

 Quando sono arrivata alla stazione dei treni, ho chiesto ad una donna che passava se c'era un posto dove potevano dormire le persone straniere come me e lei mi ha detto di provare andare alla Casa della Giovane.

 Per fortuna ho trovato un posto libero,mi hanno dato da mangiare e lenzuola pulite per dormire. Finalmente dopo tanto freddo, fame e disperazione ho trovato un posto caldo e amichevole. Adesso che ci penso non l'ho mai detto a loro, ma sono molto grata per l'appoggio e l'aiuto che ho ricevuto.

 Dopo poco tempo sono riuscita a trovare un posto di lavoro,la "mia" famiglia italiana mi ha messo in regola con le carte e ora ho il permesso di soggiorno.  Mi trovo bene con loro anche se, a volte, il lavoro è un po' pesante,ma non è importante. Quello che è importante è che la mia vita oggi è cambiata e io sto molto meglio.

 Non sono ancora tornata al mio Paese, non è che i miei datori di lavoro non mi lasciano andare, è che sono un po' preoccupati e hanno paura che io non ritorno. Ho pensato, così, di aspettare ancora un po' di tempo fino a quando loro si sentono più tranquilli e poi anch'io andrò a trovare i parenti che mi sono rimasti a casa.

 

 

 

 

 Il buratto

 

H., tunisino, arriva in Italia nel 1991 a 20 anni. Lavora a Matterello, in una ditta dove fanno serramenti. Lui lavora alla pulizia dei semilavorati, deve levare le schegge di alluminio dai pezzi per ottenere il prodotto finito. Sta 5 o 6 ore al giorno ad una macchina, il buratto, e tutto il tempo ripete sempre gli stessi movimenti: si gira a destra, prende il pezzo, si china, lo appoggia nella macchina, si alza, si gira a destra.

Dopo un paio d’anni comincia a sentire dei dolori. Alla testa, alla parte destra. Sente come delle pulsazioni molto forti e un dolore lancinante.

Nonostante tutto continua a lavorare, fa anche degli straordinari ma scopre che non gli vengono pagati. Si rivolge alla CGIL. Torna a consultare la CGIL anche per i suoi problemi di salute.  Lo mettono in contatto con un medico del lavoro. Subisce due provvedimenti disciplinari, rischia il licenziamento. Viene sempre reintegrato.
Scopre che il padrone dichiara il falso ai medici del lavoro, cioè che lui passerebbe non più di dieci minuti al giorno al buratto, invece delle solite sei ore.

Nell’aprile ’95 non ce la fa più, i dolori alla testa sono troppo intensi, non muove bene la gamba sinistra, tutto quel lato del corpo è teso in maniera innaturale, sta perdendo anche la coordinazione del braccio. La sua postura è sbagliata, perde sei centimetri d’altezza.

Rischia un infortunio sul lavoro: perde il controllo del braccio, che finisce in una fresa.

La testa gli fa sempre più male. Si fa ricoverare in ospedale. Prima gli diagnosticano una sinusite e lo riempiono di medicine. Poi gli dicono senza mezzi termini che è malato di mente. Un primario lo prende da parte e gli dice a muso duro che la sua è tutta ipocondria, non ha niente.

Lo dimettono, dopo poco tempo lo ricoverano ancora. Ha due infarti.

Nel ’95, dopo il periodo in ospedale, torna per un po’ in Tunisia, e poi da luglio è di nuovo in Italia. Gira un po’ cercando lavoro e poi si stabilisce in Emilia. Nel ’97 si rivolge ad un avvocato, che gli consiglia di approfondire il più possibile la sua situazione clinica. Nel ’98 a Bologna conosce un chiropratico, americano, che finalmente scopre il suo problema. Il medico riguarda tutte le vecchie analisi, comprese le radiografie del ’95, e scopre che già allora aveva dei problemi al bacino e all’anca sinistra. Capisce che il dolore alla testa viene da un disturbo al nervo sciatico sinistro. H. fa anche una visita fisiatrica, e gli dicono che fino a 20 anni era perfettamente sano. A 20 anni aveva iniziato a lavorare in Italia.

Nel 2001 lo mettono in carcere. Implicato in un giro di droga. Lui ovviamente sostiene di essere stato incastrato. Si prende i suoi due anni, li passa tra Bologna, Modena e Parma, prende la licenza di terza media. Esce nel 2003.

Ora H. è tornato a Trento. Zoppica ancora leggermente, ha i muscoli della parte sinistra del corpo molto deboli. Non ha lavoro, viene ospitato da amici, mangia al Punto d’Incontro.  Vuole riportare a galla i fatti, è convinto di aver subito un abuso. Dice di avere tutti i documenti e tutte le analisi cliniche necessarie per far emergere le responsabilità del suo datore di lavoro.

Fa un po’ la vittima, si crogiola nella sua sfortuna, si approfitta anche un po’ del buon cuore degli altri. Fa poco per rimettersi di nuovo in piedi. Ora gli è scaduto il permesso di soggiorno, e ha un passato poco chiaro. Non sono ragioni buone per dimenticarsi che qualcuno si è approfittato di lui.

 

 

 

Per realizzare un desiderio

 

Mi chiamo T., sono moldava ho 23 anni, sono arrivata in Italia due anni fa e non conoscevo nessuno.

Sono dovuta venir via dal mio paese per aiutare la mia famiglia: mia madre aveva perso  lavoro mesi prima e mio padre lavorava la terra e i soldi non bastavano per mantenerci tutti.

Ho due fratelli più piccoli che vanno ancora a scuola e hanno il sogno di diventare due bravi avvocati. Per poter realizzare il loro desiderio ho deciso di rinunciare ai miei e di andare in un paese straniero.

Arrivata in Italia non sapevo proprio cosa fare; le prime notti ho dormito nel parco della stazione dei treni, dove ho conosciuto altre donne straniere che mi hanno dato delle informazioni importanti per andare avanti. Mi hanno portato in una casa d'accoglienza la Casa della Giovane, dove dopo pochi giorni ho potuto dormire.

Le operatrici mi hanno aiutato a trovare il mio primo lavoro in Italia.

Ho lavorato come badante presso una famiglia di Trento per un anno, poi la signora che assistevo è morta. Per mesi ho girato da amiche che avevano in affitto degli appartamenti, poi finiti i pochi soldi che non avevo mandato a casa, mi sono di nuovo appoggiata alla Casa della Giovane.

Tutti i giorni sono andata a cercare lavoro: negli uffici, alle associazioni che aiutano gli stranieri e dalle donne moldave e ucraine che si ritrovano nei parchi della città.

Con un po' di fatica finalmente sono riuscita a trovarlo..

Ora sono 4 mesi che lavoro come baby sitter  in una famiglia, mi trovo bene e sono felice del mio lavoro.

L'unica cosa che mi dispiace è che sono lontana dalla mia famiglia mi manca il loro affetto, anche se in un certo modo li sento vicini a me.

So che è difficile, ma devo cercare di resistere più possibile perché troppe persone in Moldavia dipendono da me e dal mio lavoro.

Mio fratello più grande quest'anno si è iscritto a giurisprudenza.                                                                                                        Con affetto T.

 

 

 

Non mi manca nulla

 

Vi voglio presentare una scena semplice ma nella sua semplicità c'è un bel po' di amarezza e tragicommedia...

Un mercoledì, in una splendida giornata, venni davanti alla sede del Punto d'Incontro.

C'erano già parecchie persone, piuttosto stranieri, in attesa dell'ora del pranzo. Io, invece, aspettavo la partenza per il laboratorio di falegnameria. C'era un ragazzo, anche lui straniero, con il cellulare sull'orecchio e parlava in dialetto della sua lingua originale. Io capii quasi ogni parola perché le nostre lingue sono molto simili. Il discorso durò circa un quarto d'ora e fu molto personale, però in un certo punto sono rimasto un po' sorpreso. Anzi, mi aveva sorpreso tantissimo e subito vi dico il perché in un' immagine molto abbreviata.

Lui disse:

"Ciao, amicone, come va?"

"Cosa, davvero? Anch'io sto benone. Ora ho la pausa del pranzo e poi torno al lavoro."

"Cosa? Sto dicendo che vado a mangiare."

"In un ristorante."

"Si, sto bene, non mi manca niente. Buon lavoro, buoni soldi, dormo in un albergo, mangio nei ristoranti ... non mi manca nulla!" disse con un tono di voce da figo, mentre un solo sguardo a lui diceva di tutto. Dei jeans strappati e le scarpe cinque minuti prima di buttare via ...

"No, mi dispiace. Il mio capo dice che non assume nessuno al momento, ma forse ci sarebbe qualcosa il prossimo mese. Scusa, ora devo proprio andare. Stammi bene e saluta tutti quanti. Ciao!"

"Ciao!" dopo di che entrò nella mensa del Punto d'Incontro.

Dopo il pranzo si spostò nella sala d'accoglienza del Punto e lì passò il resto del giorno. Se avesse avuto qualche soldo, probabilmente sarebbe già stato ubriaco. Dopo la giornata passata qui, andò a dormire in una delle baracche abbandonate dalla parte opposta dell'Adige. Il seguente mattino c'era di nuovo davanti al Punto per farsi la doccia e per avere almeno qualcosa per la colazione, come sempre, in attesa di un miracolo o di un lavoro occasionale.

Io credevo di conoscerlo abbastanza bene, ma non riesco a capire perché vuole fare la vita per strada e, sia per gli altri sia per se stesso, creare una mistificazione, una bugia. Non riesco a capire perché questa sua maschera. Forse ha vergogna davanti alla verità? Non so, sarà più probabile che non è ancora pronto e maturo per affrontare la vita nel modo migliore di quello attuale.

E voi?

 

 

  

  Camminavo                    

 

Camminavo sporco

sopra le derive di luci

la notte era una pioggia d'ululati

che salivano dalle strade stanche          

invecchiate dagli spari e

da verginità perdute.

Camminavo sporco

e avevo ancora il coraggio                              

di chiedere scusa

coi gesti degli esclusi

mentre il beccamorto

ci prendeva le misure 

fino a tardi.

Eppure l'Istat giù a Roma

giocando coi morti

ci avvisa che la vita

si è allungata.

Camminavo sporco

ricopiando a memoria 

la mia sigaretta

e la giornata appena passata

a fermentare nei bar

o come il pane vuoto dei poveri

davanti alle banche dove

la matematica non ha opinione.

Camminavo sporco

e la tua bellezza

mi urlava ancora negli occhi

mi spalancavi le tue mani

e io ti entravo dentro....

mentre una radio in sordina

puntigliosa ci avvisava

che i marines erano

entrati a Baghdad.

Camminavo sporco

con la mente tuonante

del mio essere niente

e la città era un altro

miracolo mancato

un atto di dolore detto

con la pancia piena.

 

                       

 

 

 

 

Cosa si dice

 

Quando Lui parlava gli altri dissero che le Sue parole erano insensate di conseguenza Lui si limitò ad esternare i Suoi pensieri gridando nei momenti in cui era solo!

Quando amava, gli altri dissero che il Suo Amore non era corrisposto, fu a quel punto che iniziò a fingere.

Quando iniziò a bucarsi, tutti si stupirono e gli diedero tanti troppi consigli.

Lui li mise in atto in parte e ne uscì egregiamente, a quel punto tutti lo lodarono ma per Lui era “indifferente”.

Quando qualche tempo dopo iniziò a bere, gli altri gli diedero dei consigli, ma per Lui erano frasi al “Vento”.

Quando un anno dopo Lui “MORI’ ” gli altri con un pizzico di disagio, buttarono il loro disagio assieme ad un mazzo di fiori nella Sua tomba!

CIAO SANDRO         

                                           

 

 

Io solo

 

Così, questa sera

Il cielo bianco

Tetti e poggioli

Non ho paura

Striscioni di nebbia

Come milioni di candele

Quassù, a mezzanotte

              Ci sono io, solo

 

 

 

La notte

 

Penso a quante volte ho passato la notte all’aperto, d’estate ed inverno, per circa venti anni. Eppure il ricordo e le difficoltà di questa esperienza mi sono state fondamentali per trovare la pace dell’anima, la tranquillità anche al buio, la pace della solitudine, le stelle, il primo bar che apre, il dire “anche per sta’ no ghe l’ho fatta”.

        Il canto degli uccelli ti dà la sveglia, ti alzi volentieri. Ti senti libero, ancora con la voglia di vivere, di esser te stesso malgrado tutto, di ricominciare.

        Penso anche a chi, non avendo salute, deve o subisce certe fredde notti che non finiscono, o non finiranno

 

 

 

Sirio

 

Di notte, quando calano le tenebre

NOI, o per scelta o per questioni obbligatorie

Ci ritroviamo in mezzo ad una strada…

L’ennesima notte sotto le stelle.

A me la più cara è Sirio,

ogni  qualvolta che mi sveglio

lei mi sorride.

Sarà anche una “triste” vita ma

C’è chi ha fatto questa scelta.

Ad ogni modo devo ricredermi,

perché non è vita, è un lento spegnersi

e il Signore di vita ce ne ha concessa una sola.

Perciò voi che leggerete codeste frasi

Pensateci

Perché la notte è buia piena di insidie

Che alle volte con l’illusione possa sembrare

Anche affascinante

Però non lo è!

Pensateci

 

 

 Strada

 

 

Strada crocevia di storie nate già malate.

Crocifissione lenta

per ladri, barboni, puttane

e non solo ...

Eppure guardiamo ancora avanti

mentre i denti si fanno aguzzi

ogni tanto ci voltiamo indietro

caso mai avessimo mancato

di veder passare la redenzione.

Ma forse siamo già tutti ciechi

sulla via di Damasco

dove stiamo perdendo

gli ultimi anticorpi

cercando quella giustizia

ormai persa

nei fazzoletti da naso

dei potenti

il pane che ci hanno negato

lo sconteranno alla resurrezione.

Se è vero che siamo

anche acqua e così è

la memoria ci cadrà

nei torrenti e nei fiumi inquinati

si confonderà fra la schiuma

dei detersivi

ma in ogni goccia d'acqua

ci sarà tutto l'amore che non ricordiamo

quello offerto invano

o quello ricevuto senza saperlo.

I miei occhi si dilatano nella sera

lei in minigonna si lascia innaffiare

dal solito lampione

un altro ondeggia in un cappotto

troppo grande e il cartone di vino

in mano

mentre io me ne vado verso la notte

senza un rosario da poter strappare.

E voi avete speso l'ultimo coraggio al supermercato

sprecato soldi in campanili che non suonano

poi tornate a casa a guardare il conflitto

d'interessi in televisione.

A noi ... lasciate un conflitto minore ...

un pugno ben piantato in mezzo ai denti

come questa notte senza stelle senza casa

è come se il verbo essere perdesse l'infinito ...

Ed io sono solo un osso seppellito

da un cane randagio senza memoria

ma se un giorno scaveranno troveranno:

il pane duro degli operai

il vento delle parole taciute

e milioni di nomi in lingue sconosciute.