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"Tu non uccidere"

di Mons. Loris Capovilla

     
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 TU NON UCCIDERE

 

Tutti conoscono Monsignor Loris Capovilla, arcinoto segretario di Papa Giovanni XXIII. Pubblichiamo un suo pensiero sul libro di don Primo Mazzolari "Tu non uccidere".


<<Il cristiano è un “uomo di pace”,

non un “uomo in pace”:

fare la pace

è la sua vocazione>>.

(don P. Mazzolari, “Tu non uccidere”)

 

Non c’è pace senza disarmo. Non c’è disarmo se non tacciono i cannoni, se non si smontano, oltre alle rampe missilistiche, anche gli spiriti. La pace non si regge sull’equilibrio degli armamenti, ma solo sulla vicendevole fiducia, sul disarmo dei cuori (cfr. Giovanni XXIII, Pacem in Terris, n. 113).

Oggi, a più di cento anni dalla nascita di don Primo Mazzolari, innanzi alla sua tomba di testimone e costruttore di «pace con giustizia», nell’amore, risen­to nel profondo dell’animo l’interrogativo di Hans Fallada: « Kleiner Mann, was nun? » (« E adesso, pover’uomo? »). I protagonisti dell’idillio sognato da Fallada trovano la forza liberatrice da umilianti condizionamenti e dall’emarginazione nell’amore semplice e purificatore. È ciò cui aspirano gli onesti di tutto il mondo, i poveri e gli emarginati: riconoscimento della propria dignità, rispetto dei diritti inalienabili della persona, solidarietà universale.

È passato poco tempo dal giorno in cui, nelle terre in cui si consumava il dramma del Medio Oriente, le luci della ribalta si sono spente. La guerra ha vinto. La pace ferita attende il taumaturgo che la rimetta in piedi.

Ha detto, quel giorno, l’arcivescovo di Ravenna, mons. Tonini: «Sono felice che tutto finisca finalmente, non solo perché cesserà il massacro di vite umane, ma perché la si smetterà anche con questa estasi dell’arrivano i nostri ». Egli vorrebbe che la fantasia della gente fosse ripulita da tutte le visioni guerresche, vorrebbe che ne rimanesse una sola: «Quel soldato iracheno prigioniero, inginocchiato e impaurito sotto la minaccia del mitra, visto in televisione, perché quella immagine suscita fratellanza e partecipazione

Noi abbiamo appreso dal messaggio cristiano come camminare, dove andare, cosa portare con noi. Cristo ci ha autorizzati ad operare esclusivamente con la forza della Parola e dell’Amore.

Preoccupati di non soffiare ora sul fuoco di un più esteso conflitto che ci terrorizza: Nord-Sud, e, Dio non voglia: Mondo cristiano-Mondo musulmano, abbandonati idoli ed illusioni, menzogne e compromessi, denunciati interessi inconfessabili, siamo persuasi che solo dinanzi ai testimoni, come i papi di questo secolo, come i Gandhi, i La Pira, i Mazzolari, i Martin Luther King, « la morte ha paura » (David Turoldo), la guerra ha paura, la prepotenza ha paura.

Nelle giornate più dure della crisi e della guerra nel Golfo, taluni hanno riesumato il complimento « utili idioti», talaltri avrebbero voluto relegarci in sagrestia e proibirci addirittura di citare Newman, il maestro della «libertà di coscienza».

«Nostro Signore non ci proibì di difenderci, ma ci proibì certi modi di difesa. Inutile dire che ci proibì tutti i mezzi peccaminosi. Ci proibì di restituire schiaffo per schiaffa Avete sentito dire: Occhio per occhio, dente per dente; ma io vi dico di non resistere al male.

Così ai servi di Cristo è proibito difendersi con la violenza».

Commentava Mazzolari: «Non si rinuncia a resistere, si sceglie un altro modo di resistere, che può parere estremamente folle, qualora si dimentichi, o non si tenga abbastanza conto, dell’orrendo costo della guerra, la quale non garantisce neppure la difesa di ciò che vogliamo con essa difendere» (Tu non uccidere, 1955).

In quelle lunghe settimane di passione, eco fedele e sollecita della voce del Papa, L’Osservatore romano, come già nelle buie ore degli anni quaranta, si è dissociato « dal coro di consensi bellici » (20 gennaio 1991), ha compiuto un’eccellente catechesi, ha spronato all’audacia dell’amore, ha protestato contro « la cultura bellica, germe di morte», ha scongiurato i responsabili delle nazioni ad intraprendere « la via del negoziato, certo più difficile della via delle anni».

A suo tempo, in vista della pace sociale e tra le nazioni, Mazzolari conchiudeva il suo lucido carme Tu non uccidere con appassionato appello alla ragione e alla fede

«Di fronte alla criminale resistenza di molti benpensanti, non è facile persuadere la povera gente che la giustizia possa arrivare senza violenza. Se vogliamo ristabilire la fiducia degli oppressi e dei diseredati nella pace cristiana, dobbiamo, prima che sia troppo tardi, dimostrare che non è necessario far saltare con la dinamite la corteccia degli egoismi, i quali impediscono ai poveri di vivere e di far valere democraticamente i loro diritti. La pace non sarà mai sicura e tranquilla fino a quando i poveri, per fare un passo in difesa del loro pane e della loro dignità, saranno lasciati nella diabolica tentazione di dover rigare di sangue la loro strada. Senza giustizia non c’è pace. Frutto della giustizia è la pace: “Opus justitiae pax».

Lo riaffermava Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio. L’ha ripetuto l’8 febbraio scorso Giovanni Paolo II: « La società ritroverà la pace, tanto auspicata, solo se si eliminano le cause del disagio e dell’ingiustizia».

Suona l’ora dell’obiezione di coscienza, individuata come servizio e profezia. Essa invita i cristiani più sensibili alle urgenze evangeliche e gli scienziati ad entrare nell’area del dialogo e delle trattative. Tutti gli onesti sono spaventati innanzi ai progressi compiuti dalla microelettronica piegata alle esigenze e alle pretese della guerra. Torna attuale il severo monito di Giovanni Paolo II agli scienziati:

«Verità, libertà, giustizia, amore (cfr. Pacem in terris) siano i fondamentali capisaldi della vostra generosa scelta di una scienza che edifica la pace. Questi quattro valori, capisaldi della scienza e della civile convivenza, devono essere alla base di quell’universale appello di scienziati, uomini di cultura, cittadini del mondo, che la Pontificia Accademia delle Scienze, con la mia piena e convinta approvazione, vuole lanciare al mondo per la riconciliazione dei popoli, per il successo dell’unica guerra che deve essere combattuta, quella contro la fame, la malattia, la morte di milioni di esseri umani che potrebbero essere salvati... Assumetevi anche voi le vostre responsabilità, consapevolmente» (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI-2, 1983).

Ancora un ricorda Ho letto, nei «giorni del Golfo», ritrasmessa da un’antenna non sospetta di arrendevolezze al Vaticano, un’intervista concessa da Massimo Cacciari a Marco Sappini: « Ha ragione il Papa e solo il Papa - diceva Cacciari -. Io sento che l’appello di Wojtyla parla alla mia coscienza e alla mia intelligenza. Mi interroga e mi sfida di più. Rimanda tutti alla comprensione dell’altro alla costruzione di una cultura davvero ecumenica » (L’Unità, 27 febbraio 1991, p. 8).

La «fontana del villaggio» (Giovanni XXIII), postosi decisamente a servizio delle nazioni, ha dato acqua refrigerante lungo tutto il corso di questo secolo XX. A questa sorgente vogliamo dissetarci. Vogliamo rinunciare all’arroganza ed agli egoismi per entrare nell’area della settima beatitudine, pur consapevoli di non essere sovente costruttori di pace, perché non siamo in pace né con Dio, né con noi stessi, né col nostro prossimo.

Senza la riconsiderazione e la confessione delle colpe, dei silenzi, delle connivenze di ieri, il deserto non tornerà a fiorire, l’Onu non sarà mai la casa di tutti: «La via della pace richiede un cammino meno glorioso, ma sostanzialmente più eroico ed efficace del cammino tracciato dalla via della guerra » (LOsservatore romano, 25/26 febbraio 1991).

Andiamo, dunque, a rileggere assieme, nelle pagine che seguono, la « lezione » di Mazzolari:
« Se la colpa di un mondo senza pace è di tutti, e dei cristiani in modo particolare, l’opera della pace non può essere che un’opera comune, nella quale i cristiani devono avere un compito precipuo, come precipua è la loro responsabilità. Ogni sforzo verso la pace ha una sua validità: chiunque vi si provi dev’essere guardato con fiducia e benevolenza. Il politico può far delle cernite, porre delle pregiudiziali: il cristiano mai.

Il cristiano non può rifiutare che il male, per comporre cattolicamente ogni cosa buona».


†Loris FRANCESCO Capovilla

arcivescovo di Mesembria

 

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