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Lettere dalla Missione

 

Testimoni

 

Pubblichiamo il riassunto del Documento Finale dei vescovi d'America Latina riunitisi ad Aparecida (Brasile) in maggio 2007.
In seguito, ecco altri approfondimenti:

- riflessione di José Comblin a pochi mesi dalla Conferenza
- una risposta dei popoli indigeni kichwa dell'Ecuador al discorso del Papa
- una lettera di Jon Sobrino poco prima della Conferenza di Aparecida
- una rilettura critica della Conferenza di Puebla (1979)

Per una lettura e interpretazione più ampia di Aparecida, consultare il sito www.adital.org.br

 


RIASSUNTO DEL DOCUMENTO FINALE

Aparecida, 30/5/2007


1. I Vescovi, riuniti nella V Conferenza Generale dell’America Latina e del Caribe, desiderano promuovere, con l’avvenimento celebrato insieme a Nostra Signora Aparecida nello spirito di una nuova Pentecoste e con il documento finale che riassume le conclusioni del loro dialogo, un rinnovamento dell’azione della Chiesa. Tutti i suoi membri sono chiamati a essere discepoli e missionari di Gesù Cristo, Via, Verità e Vita, perché i nostri popoli in Lui abbiano vita. Nel cammino aperto dal Concilio Vaticano II e in continuità creativa con le precedenti Conferenze di Rio de Janeiro, 1955; Medellín, 1968; Puebla, 1979 e Santo Domingo, 1992, hanno riflettuto sul tema “Discepoli e missionari di Gesù Cristo perché in Lui i popoli abbiano vita. Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), e hanno cercato di tracciare in comunione linee comuni per portare avanti la nuova evangelizzazione a livello regionale.

2. Essi esprimono insieme a Papa Benedetto XVI il fatto che il patrimonio più prezioso della cultura dei nostri popoli è “la fede in Dio amore”. Riconoscono con umiltà le luci e le ombre esistenti nella vita cristiana e nell’azione ecclesiale. Vogliono iniziare una nuova tappa pastorale, nelle circostanze storiche attuali, caratterizzata da un forte ardore apostolico e un maggiore impegno missionario per proporre il Vangelo di Cristo come cammino verso la vera vita che Dio offre agli uomini. In dialogo con tutti i cristiani e al servizio di tutti gli uomini, assumono “il grande compito di custodire ed alimentare la fede del Popolo di Dio, e ricordare anche ai fedeli di questo Continente che, in virtù del loro Battesimo, sono chiamati ad essere discepoli e missionari di Gesù Cristo” (Benedetto XVI, discorso inaugurale, 3). Essi si sono proposti di rinnovare le comunità ecclesiali e le strutture pastorali per trovare le mediazioni della trasmissione della fede in Cristo come fonte di una vita piena e degna per tutti, perché la fede, la speranza e l’amore rinnovino l’esistenza delle persone e trasformino le culture dei popoli.

3. In questo contesto e con questo spirito, offrono le loro aperte conclusioni nel Documento Finale. Il testo ha tre grandi parti che seguono il metodo di riflessione teologico-pastorale “vedere, giudicare, agire”. In questo modo, si guarda alla realtà con gli occhi illuminati dalla fede e un cuore pieno d’amore, si proclama con gioia il Vangelo di Gesù Cristo per illuminare la meta e il cammino della vita umana e si cercano, con un discernimento comunitario aperto al soffio dello Spirito Santo, linee comuni per un’azione realmente missionaria, che ponga tutto il Popolo di Dio in uno stato permanente di missione. Questo schema tripartito è delineato da un filo conduttore intorno alla vita, in particolare alla vita in Cristo, ed è tessuto trasversalmente dalle parole di Gesù, il Buon Pastore: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10).

4. La prima parte si intitola La vita dei nostri popoli. In essa si considera, brevemente, il soggetto che guarda la realtà e che benedice Dio per tutti i doni ricevuti, in particolare, per la grazia, la fede che lo ha reso seguace di Gesù e per la gioia di partecipare alla missione ecclesiale. Questo primo capitolo, che ha il tono di un inno di lode e azione di grazie, è chiamato “I discepoli missionari”. Segue il secondo capitolo, il più grande di questa parte, intitolato “Prospettiva dei discepoli missionari sulla realtà”. Con un approccio teologale e pastorale, considera acutamente i grandi mutamenti che si stanno verificando nel nostro continente e nel mondo, e che interpellano l’evangelizzazione. Si analizzano vari processi storici complessi e in corso nei campi socio-culturale, socio-politico, etnico ed ecologico,e si discernono grandi sfide come la globalizzazione, l’ingiustizia strutturale, la crisi nella trasmissione della fede e altre. Si postulano molte realtà che interessano la vita quotidiana dei nostri popoli. In questo contesto, si considera la difficile situazione della nostra Chiesa in questa epoca di sfide, compiendo un bilancio di segnali positivi e negativi.

5. La seconda parte, a partire dalla visione dell’oggi dell’America Latina e del Caribe, entra nel nucleo del tema. Il suo titolo è “La vita di Gesù Cristo nei discepoli missionari”. Indica la bellezza della fede in Gesù Cristo come fonte di vita per gli uomini e le donne che si uniscono a Lui e percorrono il cammino del discepolato missionario. Qui, prendendo come asse la vita che Cristo ci ha donato, sono trattate, in quattro capitoli successivi, le grandi dimensioni interconnesse che riguardano i cristiani come discepoli missionari di Gesù Cristo. La gioia di essere chiamati per annunciare il Vangelo con tutte le sue ripercussioni come “Buona novella” sulla persona e sulla società (cap 3); la vocazione alla santità che riceviamo noi che seguiamo Gesù essendo configurati in base a Lui e animati dallo Spirito Santo (cap 4); la comunione di tutto il Popolo di Dio e di tutti nel Popolo di Dio, contemplando a partire dalla prospettiva di discepola e missionaria i vari membri della Chiesa con le loro vocazioni specifiche, e il dialogo ecumenico, il legame con l’Ebraismo e il dialogo interreligioso (cap 5); si affronta infine un itinerario per i discepoli missionari che considera la ricchezza spirituale della pietà popolare cattolica, una spiritualità trinitaria, cristocentrica e Mariana di stile comunitario e missionario, e vari processi formativi, con i loro criteri e i loro luoghi in base ai diversi fedeli cristiani, prestando particolare attenzione all’iniziazione cristiana, alla catechesi permanente e alla formazione pastorale (cap 6). Qui si ritrova una delle novità del documento che cerca di rivitalizzare la vita dei battezzati perché rimangano e camminino alla sequela di Gesù.

6. La terza parte entra pienamente nella missione attuale della Chiesa latinoamericana e caraibica. In base al tema, è formulata con il titolo La vita di Gesù Cristo per i nostri popoli. Senza perdere il discernimento della realtà né le basi teologiche, qui si considerano le principali azioni pastorali con un dinamismo missionario. In un nucleo decisivo del documento, si presenta la missione dei discepoli missionari a servizio della vita piena, considerando la vita nuova che Cristo ci comunica nel discepolato e ci chiama a comunicare nella missione, perché il discepolato e la missione sono come le due facce di una stesa medaglia. Qui si attua una grande opzione della Conferenza: trasformare la Chiesa in una comunità più missionaria. A questo scopo, si promuovono la conversione pastorale e il rinnovamento missionario delle Chiese particolari, delle comunità ecclesiali e degli organismi pastorali. Qui si promuove una missione continentale che dovrebbe avere per agenti le diocesi e gli episcopati (cap. 7). In seguito, si analizzano alcuni ambiti e alcune priorità che si vogliono promuovere nella missione dei discepoli tra i nostri popoli all’alba del terzo millennio. Ne Il Regno di Dio e la promozione della dignità umana si conferma l’opzione preferenziale per i poveri e gli esclusi che risale a Medellín, a partire dal fatto che, in Cristo, Dio si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà, si riconoscono nuovi volti dei poveri (ad esempio i disoccupati, i migranti, gli abbandonati, i malati e altri) e si promuovono la giustizia e la solidarietà internazionale (cap 8). Con il titolo Famiglia, persone e vita, a partire dall’annuncio della Buona Novella della dignità infinita di ogni essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio e ricreato come figlio di Dio, si promuove una cultura dell’amore nel matrimonio e nella famiglia, e una cultura del rispetto per la vita nella società; allo stesso tempo, si desidera accompagnare pastoralmente le persone nelle loro varie condizioni di bambini, giovani e anziani, donne e uomini, e si promuove la cura dell’ambiente come casa comune (cap 9). Nell’ultimo capitolo, intitolato I nostri popoli e la cultura, portando avanti e aggiornando le opzioni di Puebla e di Santo Domingo per l’evangelizzazione della cultura e l’evangelizzazione inculturata, si affrontano le sfide pastorali dell’educazione e della comunicazione, i nuovi areopaghi e i centri decisionali, la pastorale delle grandi città, la presenza dei cristiani nella vita pubblica, soprattutto l’impegno politico dei laici per una cittadinanza piena nella società democratica, la solidarietà con i popoli indigeni e di origine africana, e un’azione evangelizzatrice che indichi cammini di riconciliazione, fraternità e integrazione tra i nostri popoli, per formare una comunità regionale di Nazioni in America Latina e nel Caribe (cap 10).

7. Con un tono evangelico e pastorale, un linguaggio diretto e propositivo, uno spirito interpellante e incoraggiante, un entusiasmo missionario e speranzoso, una ricerca creativa e realista, il Documento vuole rinnovare in tutti i membri della Chiesa, convocati a essere discepoli missionari di Cristo, “la dolce e confortante gioia di evangelizzare” (EN 80). Guidando la barca e gettando le reti in mare, desidera comunicare l’amore del Padre che è nei cieli e la gioia di essere cristiani a tutti i battezzati e a tutte le battezzate perché proclamino con audacia Gesù Cristo a servizio di una vita in pienezza per i nostri popoli. Con le parole dei discepoli di Emmaus e con la preghiera del Papa nel suo discorso inaugurale, il Documento si conclude con una supplica rivolta a Gesù Cristo: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino” (Lc 24,29).

8. Con tutti i membri del Popolo di Dio che peregrina per l’America Latina e il Caribe, i discepoli missionari trovano la tenerezza dell’amore di Dio riflessa nel volto della Vergine Maria. La nostra amata Madre, a partire dal Santuario di Guadalupe, fa sentire ai suoi piccoli figli, che sono sotto il suo manto, e a partire da qui, Aparecida, ci invita a lanciare le reti per avvicinare tutti a suo Figlio, Gesù, perché Egli è “la Via, la Verità e la Vita” (Gv 14, 6), solo Lui ha “parola di vita eterna” (Gv 6, 68) ed è venuto perché tutti “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10).

 

L'ALBERO SI CONOSCE DAI SUOI FRUTTI

risposta all'intervento di papa Benedetto XVI ad Aparecida

di Confederazione dei popoli di nazionalità kichwa dell'Ecuador

I popoli e le nazionalità indigene di Abya Yala (America) respingiamo energicamente le dichiarazioni emesse dal Sommo Pontefice riguardo alla nostra spiritualità ancestrale e i commenti politici rilasciati in relazione ad alcuni presidenti dell’America Latina e dei Caraibi, tanto più in quanto realizzati in un continente in cui aumenta il divario tra poveri e ricchi e in cui si trova gran parte dei fedeli cattolici del mondo, frutto di un’“evangelizzazione” secolare che non è riuscita a produrre una vita giusta e degna per i suoi abitanti. Queste dichiarazioni arrivano proprio quando la Vita Planetaria è minacciata di morte, cosa di cui non sono responsabili i presidenti che il papa cita nelle sue allocuzioni, ma quelli che, come il presidente George W. Bush, sventolano la bandiera del vorace sistema capitalista di taglio neoliberista. È dunque inconcepibile che, per chi si considera il rappresentante di Cristo in questa terra, siano i presidenti latinoamericani di linea umanista a causare preoccupazione. È ora di capire che il nostro continente ha il diritto di esercitare la sua libera autodeterminazione. Non è l’ora di nuove e rinnovate conquiste in nome di nessuno.

Se analizziamo con una elementare sensibilità umana, senza fanatismo di alcun tipo, la storia dell’invasione di Abya Yala, realizzata dagli spagnoli con la complicità della Chiesa cattolica, non possiamo che indignarci. Sicuramente il papa disconosce che i rappresentanti della Chiesa cattolica di quel tempo, con onorevoli eccezioni, furono complici, insabbiatori e beneficiari di uno dei genocidi più orrendi a cui l’umanità abbia potuto assistere. Più di 70 milioni di indigeni sono morti in miniera e ai lavori forzati; nazioni e popoli interi sono stati spazzati via e, in sostituzione dei morti, sono stati portati qui i popoli neri, che hanno subìto un infelice destino; hanno usurpato le ricchezze dei nostri territori per salvare economicamente il loro sistema feudale; le donne sono state violentate e migliaia di bambini sono morti di denutrizione e di malattie sconosciute. Il tutto dietro il presupposto filosofico e teologico che i nostri antenati “non avevano l’anima”. Insieme agli assassini dei nostri eroici dirigenti c’era sempre un sacerdote e un vescovo ad indottrinare i condannati a morte, perché fossero battezzati prima di morire e naturalmente rinunciassero alle proprie concezioni filosofiche e teologiche. (...). Ricordiamo che molti dei nostri fratelli e sorelle preferirono morire sul rogo che rinunciare a propri principi, come nel caso del nostro fratello Hatuey nell’isola di Cuba, che, rispondendo all’indottrinamento del sacerdote che benediceva il suo assassinio, a proposito dell’importanza del battesimo per andare in “cielo” con i cristiani, disse che avrebbe preferito andare all’inferno piuttosto che trovarsi nell’altra vita con gli oppressori, i ladroni e gli assassini (...). In quello che oggi è l’Ecuador, il grande dirigente Calicuchima, di fronte al sacerdote che intendeva battezzarlo e benedire la sua morte, andò al rogo gridando tra le fiamme, con tutto il suo spirito, Pachakamak! (Grande Spirito che si prende cura dell’uni-verso). Bisognerebbe domandare al papa se Cristo, che dice di rappresentare, sarebbe d’accordo con questi crimini di lesa umanità, e ricordare al Sommo Pontefice e al governo spagnolo che questo tipo di crimini non cade in prescrizione, né per le leggi terrene né per quelle divine.

Le Chiese cristiane, e in particolare quella cattolica, hanno un immenso debito con Cristo, i poveri del mondo e i Popoli e le Nazionalità Indigene che hanno resistito a tanta barbarie. Se lo Stato spagnolo e il Vaticano non possono risarcirli per il mostruoso genocidio, il capo della Chiesa cattolica dovrebbe almeno riconoscere l’errore commesso (...).

Non è concepibile che in pieno XXI secolo ancora si creda che possa essere concepito come Dio solo un essere definito come tale in Europa. Il papa deve sapere che prima che i sacerdoti cattolici giungessero nei nostri territori con la Bibbia, nei nostri popoli già esisteva Dio, e la sua Parola ha sempre sostenuto la loro Vita e quella della Madre Terra. La Parola di Dio non può essere contenuta solo in un libro e meno ancora si può credere che una religione possa privatizzare Dio. I Popoli Originari erano civiltà con governi e organizzazioni sociali strutturate secondo i loro principi e avevano naturalmente le loro religioni, con libri sacri, riti, sacerdoti e sacerdotesse, i primi ad essere assassinati da coloro che svolgevano il ruolo di servitori del “dio denaro” e non del Dio Amore di cui parla Gesù Cristo. (...). Come potevano quelli che erano pieni di avidità rappresentare colui che ha consacrato tutta la sua vita al servizio dell’uma-nità, fino alla morte cruenta, per rivelare la verità ai poveri di tutti i tempi? Non erano rappresentanti del Dio di Gesù: il loro “dio” era un divoratore di vite umane e di ricchezze usurpate con il sangue, crimini abominevoli che tutti i profeti della Bibbia aborriscono!

La Giustizia richiede di riscattare ed evidenziare le vite esemplari dei sacerdoti che di fronte a tanta barbarie si posero al fianco di quelli che chiamarono “indios”, come Bartolomé de las Casas e altri domenicani che esercitarono la difesa dei diritti dei nostri antenati vilmente oltraggiati. E occorre anche riconoscere ed esprimere il nostro più profondo rispetto per tutte le religioni, i sacerdoti, i vescovi e i pastori che hanno dato la vita per servire i più poveri nel nostro continente e in ogni parte del mondo: riconosciamo in maniera speciale l’ammirevole lavoro realizzato in Ecuador da mons. Leonidas Proaño che per più di 30 anni ha servito con onestà i poveri dell’Ecuador, consacrandosi particolarmente alla causa di liberazione dei Popoli e delle Nazionalità Indigene. (...)

Non si può predicare il messaggio di Gesù Cristo nell’opulenza, al fianco di coloro che profanano la Vita creata da Dio, dei massimi distruttori della Vita Planetaria. Rifiutiamo le coincidenze politiche e religiose che esistono tra Bush e il papa nella criminalizzazione delle lotte dei popoli oppressi. Esigiamo coerenza! È l’incoerenza di molti che dicono di essere rappresentanti di Cristo a provocare la diserzione nelle Chiese, in particolare quella cattolica, che tanto preoccupa il papa. (...).

Il Pontefice ha assicurato che “L’utopia di tornare a dare vita alle religioni precolombiane, separandole da Cristo e dalla Chiesa universale, non sarebbe un progresso ma un regresso” per i “popoli originari” che hanno realizzato “una sintesi tra le loro culture e la fede cristiana che i missionari offrivano loro”. Per noi la Vita di Gesù è una Grande Luce proveniente dall’Inti Yaya (Luce paterna e materna che sostiene tutto), giunta a scacciare tutto quello che non ci lascia vivere con giustizia e fraternità tra esseri umani e in armonia con la Madre natura. Noi rispettiamo i suoi autentici seguaci. La vita ci ha insegnato che “l’albero si conosce dai suoi frutti”, come ha detto Cristo, e sappiamo distinguere tra chi serve i poveri e chi si serve di loro. Occorre comunicare al Pontefice che le nostre religioni non sono mai morte, che imparammo a sincretizzare le nostre credenze e i nostri simboli con quelli degli invasori e degli oppressori. (...).

Esprimiamo la nostra totale solidarietà al presidente Evo Morales, nostro fratello, servitore dei poveri, che ha consacrato tutta la sua vita al servizio della verità, della giustizia, della libertà, della fraternità tra i popoli, sicuri che Gesù Cristo lo considera suo amico. E la nostra solidarietà va ai presidenti Hugo Chávez e Fidel Castro, umanisti consacrati a lottare per la vita degna dei popoli (...).

In nome dei nostri antenati oltraggiati e dei milioni di poveri che in Abya Yala hanno la speranza di una vita degna per tutte e tutti, rinnoviamo la nostra ferma determinazione a recuperare i nostri diritti e non permetteremo a nessuno di perpetuare il genocidio iniziato 514 anni fa.

(approfondisci la missione in Ecuador con una Lettera di fr. Alberto Degan)

 

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