Josè Comblin:
IL PROGETTO DI APARECIDA - fonte Adital
Il progetto di Aparecida
09.08.07
Fonte: Adital
Riportiamo
una traduzione dell’interessante articolo di José Comblin sull’ultima
conferenza di tutti i vescovi latinoamericani, dopo Medellin, Puebla e Santo
Domingo. Ci sembra una provocazione forte sul modello di Chiese che possiamo
costruire.
Un
grazie all’equipe dei giovani traduttori che ha collaborato e un invito a non
lasciar cadere questa parole profetiche. Buona lettura!
(corsivi e grassetti sono della nostra traduzione)
Il progetto della conferenza di
Aparecida è ambizioso. Si tratta, di fatto, di un’inversione radicale del
sistema ecclesiale.
Da secoli, la pastorale della chiesa
è concentrata nella conservazione dell’eredità del passato. Tutte le
istituzioni sono state adattate a questa finalità.
Questo sistema è stato installato nel
XII secolo e da quel momento sostanzialmente non è cambiato. In accordo con il
progetto proposto in Aparecida, tutto sarà orientato in funzione della
missione. La realizzazione pratica di questo progetto avrà bisogno di tutto
il secolo XXI.
In realtà, i vescovi hanno lanciato
questo progetto, ma ora il primo problema consiste nel convincere il clero.
L’attuale generazione non è preparata per questa prospettiva di dare una
direzione nuova alle proprie attività. Sarà necessario cambiare radicalmente la
formazione e preparare le nuove generazioni sacerdotali ben differenti dalle
attuali.
Fare in modo che tutta la chiesa sia
missionaria è un’impresa gigantesca.
Durante il primo millennio la missione è stata assunta dai monaci. Molti sono diventati vescovi e ebbero la fama di essere fondatori di chiese. La chiesa era principalmente rurale.
Nei secoli XI e XII s’instaurò il
sistema delle parrocchie. Ma il clero parrocchiale era ignorante non avendo
ricevuto nessuna formazione.
Già nel secolo XIII s. Tommaso
d’Aquino si lamentava del fatto che il clero non evangelizzava, non era
missionario. Al contrario, egli dimostrava che erano gli ordini mendicanti ad
evangelizzare.
La stessa lamentela fu ripetuta durante
i secoli fino ad oggi. La missione fu assunta dai mendicanti a partire dal
secolo XIII, e successivamente dalle società di sacerdoti missionari, come la
Congregazione della missione di s. Vincenzo de Paoli, la Congregazione
del SS. Redentore di s. Alfonso de Liguori, e altri.
Nell’America Latina, la missione fu
assunta in primo luogo dai francescani, che fornirono più della metà dei
missionari. I Domenicani fecero il lavoro più grande durante il secolo XVI. I
Carmelitani e gli Agostiniani arrivarono con un numero inferiore di missionari,
allo stesso modo dei Benedettini. Successivamente vennero altre congregazioni.
Nel secolo XX, questi Ordini e
Congregazioni assunsero principalmente le parrocchie e a causa di questa scelta
solo una piccola minoranza si dedicò alla missione. Nello stesso tempo,
assunsero metodi adatti ai secoli XVII e XVIII, ma praticamente inadeguati al
secolo XX. Si dedicarono al mondo rurale, mentre l’80% della popolazione
latino-americana migrava verso le città.
Ora si presenta il progetto
episcopale, che esigerà un cambiamento di mentalità e una variazione di
comportamento. La missione sarà la priorità e lascerà in secondo piano
l’amministrazione della piccola minoranza che frequenta le parrocchie. Sarà
necessario cambiare la formazione sacerdotale in modo radicale. I religiosi
dovranno tornare alla vocazione originaria e lasciare di essere amministratori
di parrocchie o di opere.
Alcuni anni fa, scrissi che dom Helder Camara era il modello di vescovo del XX secolo. Dom Helder è stato missionario e aveva un ottimo collaboratore per tutte le faccende amministrative. Soprattutto dopo la sua conversione nel 1955 e la nuova conversione con l’arrivo a Recife, dom Helder fu un uomo di contatto personale, un uomo capace di attrarre, capace di trasformare le persone con le quali entrava in comunicazione, in modo che queste sentivano il bisogno di un cambiamento della loro vita. Aveva il dono di suscitare vocazioni missionarie.
1. I temi più significativi
del documento conclusivo.
In primo luogo, dobbiamo sottolineare
il tema generale di tutta la Conferenza. Fino a 30 anni fa, in AL non si
parlava di missione. Nella mentalità popolare, i missionari erano i padri e i
religiosi e religiose che venivano dall’Europa o dall’America del Nord per rinforzare
i quadri della chiesa locale. Oppure, erano i predicatori delle “Sante Missioni”.
Era un’eredità delle colonie. La missionologia non si trovava nemmeno
nei programmi della formazione sacerdotale. Era soltanto la specializzazione di
alcuni che si dedicavano alle regioni più desolate o dimenticate come quelle
dell’Amazzonia. Missionari erano gli evangelizzatori degli indigeni e la
maggioranza era straniera.
Questo non vuol dire che non ci
fossero cattolici, sacerdoti, religiosi e religiose, e soprattutto laici
missionari. Non si sapeva che erano missionari perché non avevano “visibilità”,
e non avevano uno status definito. Erano missionari anonimi.
Nel frattempo, si presentarono varie esperienze definibili come missionarie. La stessa parola ‘missionario’ entrò nell’uso comune della gente che identifica già alcune persone come missionari e missionarie. Molti gruppi adottarono il nome di missionari. Oggi sicuramente la consapevolezza di una urgenza missionaria nel mezzo di una società sempre più secolarizzata è cresciuta molto.
La V Conferenza del CELAM ha raccolto
ciò che è stato seminato in questi 30 anni.
Come secondo aspetto, sottolineiamo che la Conferenza ha deciso di tornare al metodo di Medellin e Puebla, cioè, allo schema vedere-giudicare-agire dell’Azione cattolica (n. 19).
C’è un’insistenza molto forte nel dare questa continuità (n. 391-398). È difficile non vedere in questa sottolineatura una certa forma di pentimento e confessione.
È innegabile, che negli ultimi anni
l’influenza di Medellin e Puebla è diminuita molto. C’erano sacerdoti che
semplicemente sostenevano come Medellin era superata ormai e di fatto non
serviva più per la chiesa attuale. È per questo, che è importante sottolineare
l’insistenza della Conferenza di Aparecida.
Questa continuità con Medellin e
Puebla si manifesta, soprattutto, nei due temi fondamentali: l’opzione
per i poveri e le comunità ecclesiali di base. Sono giustamente due
temi che sono stati molto attaccati o trattati con indifferenza, giudicate come
cose del passato. Erano completamente scomparsi dal sinodo romano del 1997 Ecclesia
in America.
Nonostante nei
testi ufficiali di alcuni paesi ancora si ricordavano le comunità di base e
l´opzione preferenziale per i poveri (soprattutto in Brasile), la situazione generale
era ben differente. Basta ricordare il documento pubblicato dal padre José
Martins, apostolo instancabile delle CEBs in tutta l´America Latina. Era di una
triste amarezza: é difficile immaginare fino a che punto sia scomparsa
l´opzione per i poveri e per le piccole comunitá in buona parte dell´America
Latina.
La Conferenza
di Aparecida rinnova l´opzione per i poveri (397, 398, 399). Non si tratta di
una formula convenzionale. Il testo é insistente: “Assumendo con nuova forza
questa opzione per i poveri” (399). Anche qui c´e´ una certa dose di pentimento
e quasi la coscienza che si sia persa
questa urgenza nella pastorale della chiesa, come se giá non fosse piú prioritaria.
Inoltre il testo riconosce che i poveri sono soggetti della evangelizzazione e
della promozione umana. (391 - 398).
Il testo si
spinge a usare per ben due volte la parola “liberazione”, considerata una
parola proibita. Anche se fusa con la parola “autentica” (399) o “integrale” ,
adesso si puó nuovamente usare (385).
Il documento
conclusivo parla esplicitamente delle Comunitá Ecclesiali di Base (178-179).
Questa parte
del documento é stata quella piú corretta da Roma, infatti il testo dei
vescovi era molto piú incisivo. Nonostante ció, il testo enuncia tutti i
frutti positivi delle CEBs, riconoscendole come segno di opzione per i poveri.
I vescovi
avevano scritto: “Vogliamo decisamente riaffermare e dare nuovo impulso
alla vita e missione profetica e
santificatrice delle CEBs nella sequela missionaria di Gesú.
Sono state una delle grandi manifestazioni dello Spirito nella Chiesa dell´America Latina e del Caribe dopo il Vaticano II” (194).
Queste frasi
sono state censurate e il testo risulta piú debole. Le altre correzioni vanno
nello stesso senso, ma il testo dei vescovi esiste e puó essere consultato. Per
la coscienza latino-americana risulta piú significativo rispetto a quello
censurato.
Nel testo dei
vescovi si riconosce che le CEBs non potettero svilupparsi nonostante il loro
valore, e alcuni vescovi posero delle restrizioni. Adesso i vescovi vogliono rimuovere queste
barriere e dare nuova vita a queste piccole comunitá.
Nonostante i condizionamenti del testo finale, vale la pena leggere attentamente i n. 178 e 179.
I migliori
capitoli del documento sono i capitoli 7 e 8 riguardando la missione, dove troviamo le affermazioni piú forti.
§ “
§ “La conversione
pastorale delle nostre comunitá esige che si passi da una pastorale di pura
conservazione a una pastorale decisamente missionária” (370)
§ “ La
pastorale della Chiesa non puó prescindere dal contesto storico” (367)
Vedere
soprattutto i numeri 362-370.
Il cambio deve
attingere tutte le istituzioni della Chiesa. Comincia con la riforma della
parrocchia che dovrá essere suddivisa in unitá minori. (372),
piccoli gruppi caratterizzati da migliori relazioni. Massima attenzione per
evitare che questi piccoli gruppi non riproducano la struttura e l´attivitá
della parrocchia. É interessante che
Il capitolo 8 elabora una pastorale sociale che
verrà riaffermata e rinforzata (401-404). Il documento enumera le nuove
categorie di poveri che sono sorti e si sono sviluppate negli ultimi tempi.
Infine, il documento si fa carico di sfide contemporanee: l'ecologia
e i problemi dell'ambiente, e la pastorale urbana. Il programma
della pastorale urbana è molto completo e definisce dei compiti che
richiederanno la collaborazione di migliaia di persone che hanno avuto una
formazione. La sfida della pastorale urbana è stata già definita dai sociologi
cattolici alla fine del XIX secolo. Passati 100 anni, la gerarchia assume tale
sfida.
La Chiesa cattolica ha ancora strutture rurali e una
mentalità rurale. Nella società rurale la parrocchia si identifica con la
società. Adesso le cose sono cambiate,
al punto che la grande maggioranza dei cittadini vive ai margini della Chiesa,
rivolgendosi ad essa soltanto nei casi di nascita o di morte, oppure
rivolgendosi ai Santi nei casi di malattia.
Nel secondo capitolo si trova un’estesa presentazione della
realtà dell'America latina. Tale presentazione costituisce un esempio di collaborazione tra
la gerarchia e i laici, visto che è stato necessario ricorrere all'aiuto di
esperti e scienziati al fine di offrire informazioni complete e dettagliate.
Tuttavia il documento non arriva a condannare il capitalismo e il sistema
attuale di globalizzazione, nonostante faccia vedere tutti i suoi vizi. Non
poteva andare più lontano della cosiddetta “dottrina sociale della chiesa”,
così silenziosa negli ultimi anni.
E’ chiaro che negli altri capitoli ci sono molte cose importanti che offrono
degli orientamenti per l'applicazione del progetto globale. Però un articolo
non offre spazio sufficiente per poter commentare tutte queste dottrine.
Sicuramente dovranno essere pubblicati estesi commenti circa il documento dell'
Aparecida per poterlo analizzare in modo integrale.
2. Alcuni dubbi
Il progetto di Aparecida è talmente radicale che sorge un
dubbio: chi realizzerà tale programma nella pratica? La storia mostra
che tutti i cambiamenti profondi all’interno della Chiesa sono stati realizzati
da persone nuove, formando gruppi nuovi e creando un nuovo stile di vita,
sempre a partire da una scelta di vita nella povertà.
Non sono mai stati realizzati dai ruoli di comando
stabiliti, neppure dalle strutture già instaurate. Questi ultimi non riescono
ad uscire dai propri ruoli tradizionali. Ciò fa pensare che il clero attuale
non ha le condizioni per applicare tale programma.
Non dimenticherò mai ciò che è successo nel passaggio dal
XII al XIII secolo. Ci fu una valanga di fenomeni religiosi simili
all’espansione pentecostale odierna. Apparvero nuovi animatori religiosi che in
breve tempo riuscirono ad attrarre e a convertire folle di cattolici. Nacque in
pochi anni un mondo di comunità che ricevettero vari nomi, dei quali il nome di
Albigesi fu il più utilizzato. Nessuno riusciva a frenare il movimento. Il Papa
Innocenzo III chiese all’Ordine Cistercense, che era il più potente in quel
momento, di assumere la missione di convertire gli eretici, o, per lo meno, di
frenarne il movimento di espansione. Fu un fallimento totale. I cistercensi
venivano da monasteri molto ricchi e non sapevano parlare ai poveri. Erano
missionari ricchi, senza capacità missionaria.
All’epoca apparvero contemporaneamente Francesco
d’Assisi in Italia e Domenico di Guzman in Spagna. Scelsero la via
della povertà, vivendo una vita realmente evangelica. Evangelizzarono le masse
popolari del mondo rurale e delle città. E riuscirono laddove gli Ordini
potenti non erano riusciti.
Da essi nacquero in pochi anni i cosiddetti francescani
(fratelli minori) e i domenicani (fratelli predicatori) che divennero migliaia
in poco tempo. Essi si stabilirono fra il popolo e furono missionari
itineranti, sempre in cerca del popolo, dei poveri.
Diedero alla
Chiesa una fisionomia diversa. Costituirono un’altra struttura, nella quale il
popolo dei poveri si riconosceva, una struttura diversa da quella degli ordini
monastici. Il clero parrocchiale raccolse le innovazioni dei Mendicanti ma non
potè portare a termine quel cambiamento necessario.
Nella Chiesa
di oggi ci sono già cristiani simili che convivono con il mondo dei poveri, ma
questi sono poco conosciuti e poco valorizzati, più tollerati che appoggiati,
poiché non corrispondono allo schema ufficiale: non trovano posto nel diritto
canonico. Di solito si tratta di laici, nonostante ci siano anche vescovi o
presbiteri che si sono convertiti emergendo dalla struttura in cui si trovavano.
Personalmente
credo che i futuri missionari capaci di cambiare la fisionomia della Chiesa
saranno laici, missionari laici.
Ma come si comincerà ad applicare il programma di Aparecida?
Non si potrà realizzarlo dall’alto verso il basso. Non si potrà cominciare con un’impostazione teorica.
Comincerà
con persone volontarie disposte ad entrare in una nuova avventura, questa
volta con l’appoggio delle gerarchie. Non verrà dato loro nessun programma
previo perché lo Spirito mostrerà loro ciò che possono fare. Se la loro azione
missionaria non verrà da loro stessi non avrà nessun effetto, perché non sarà
una testimonianza viva e umana, l’unica che possa far breccia nel cuore di chi
li ascolta.
Non serve
pianificare. Nessuno ha pianificato la nascita o la vita di San Francesco. Lui
apparve e il papa lo confermò.
In molti luoghi, negli ultimi anni, le diocesi hanno proposto anni missionari o missioni popolari senza nessun risultato. Tutto è rimasto sulla carta, perché le missioni non sono partite da volontari, poco valorizzati, più tollerati che appoggiati nella loro vocazione missionaria; furono invece consegnate agli agenti della pastorale interni alla struttura diocesana o parrocchiale.
La missione
non può concentrarsi sulla Chiesa parrocchiale perché i poveri non la
frequentano, non la sentono parte della loro cultura.
Non serve fare corsi per insegnare una dottrina, perché lo Spirito mostrerà ai missionari ciò che dovranno dire e fare. Quello che si può fare è accompagnare l’attesa della voce dello Spirito.
Le gerarchie
hanno un ruolo fondamentale: quello del discernimento dello Spirito a
partire dalla tradizione cristiana e stimolare una spiritualità di attesa e
fedeltà a ciò che dice lo Spirito.
In America
latina l’appoggio di vescovi e sacerdoti è fondamentale perché, soprattutto nel
mondo dei poveri, i cattolici sono timidi, insicuri, non hanno fiducia nelle
loro stesse qualità. E’ necessario appoggiare, accettare errori e fallimenti
temporanei. Non si può riuscire al primo tentativo. Le gerarchie dovranno
organizzare l’armonia tra tutti i carismi.
Come dovrà essere la formazione? Cosa si intende per formazione dei missionari?
L’attuale formazione nei seminari o nelle università di teologia è esattamente l’opposto di quanto detto. Il sistema attuale offre una formazione accademica o con pretese accademiche.
In Brasile è
stato dato molto valore al riconoscimento degli studi seminaristici da parte
del Ministero dell’Educazione, ma oggi il Ministero dell’Educazione non ha
certamente progetti missionari.
I certificati
ufficiali sembrano dare garanzie proprio a quelli che non sentono una
particolare vocazione missionaria. Non che abbia nulla contro tali certificati
accademici, ma questi non hanno nulla a che vedere con la missione. La
formazione accademica rende la predicazione vuota, senza contatto con il
popolo. I sacerdoti vengono educati per essere piccoli professori di teologia.
Questo fatto in sé spiega molto sui problemi della Chiesa denunciati nel
documento di Aparecida.
L’educazione
missionaria si fonda principalmente su di una spiritualità forte e radicata,
concentrata sulla Bibbia in generale, ma soprattutto sui vangeli, sulla
sostanza, sulla vita terrena di Gesù.
In secondo luogo, la formazione consiste nel moltiplicare gli incontri con persone, famiglie, gruppi. Il missionario deve imparare ad essere presente in tutti i luoghi della vita sociale, come un segnale di vita rinnovata, animata dalla fede, dalla speranza e dalla carità.
Non si tratta
di mostrarsi durante gli eventi sociali, ma piuttosto conoscere e scoprire le
persone che sono sensibili agli appelli dello Spirito e saper dire le parole
che lasciano il segno.
L’esposizione
della dottrina non ha mai convertito nessuno. Gesù si manifesta attraverso la vita di certe
persone, non attraverso la dottrina. Non si formano missionari con corsi,
seminari o discussioni astratte. Si deve imparare a parlare come il popolo.
Alcuni sacerdoti o vescovi lo sanno fare perfettamente: sono missionari che
sono arrivati a questo risultato attraverso la grazia di Dio superando gli
schemi della formazione accademica ricevuta. Un esempio tra questi è frei
Carlos Mesters.
La formazione
dottrinaria venne dopo
Non posso
tralasciare di segnalare un problema che non è soltanto di Aparecida ma di
tutta
La Chiesa occidentale ignora lo Spirito Santo. E’ chiaro che lo Spirito Santo viene citato molto spesso, anche nello stesso documento di Aparecida, ma sempre più per rinforzare la pianificazione delle gerarchie o del clero in generale. Le gerarchie definiscono la condotta della Chiesa e poi chiedono allo Spirito Santo di realizzare quanto è già stato deciso, o, in altre parole ma con la stessa sostanza, si suppone che tutto quanto procede dalle stesse proceda dallo Spirito Santo.
Non serve
pregare che lo Spirito venga ad illuminare la mia mente se Lui è presente nel
mondo e mostra con chiari segni ciò che vuole. Gli orientali sono molto più
sensibili a questo aspetto rispetto alla Chiesa di occidente. In America latina
L’insegnamento
del Nuovo Testamento è diverso, tanto nella teologia di Paolo quanto in quella
di Giovanni. Per San Paolo
Questi doni
appaiono in modo disperso, improvviso e imprevisto. Nessuno formò Paolo come
missionario. Lui ricevette un dono dallo Spirito Santo e mostrò un cammino vero
e sicuro per il popolo di discepoli che riuscì a riunire.
Lo Spirito
Santo è presente nella Chiesa oggi come sempre. Lui mostra le vie per seguire
Gesù. La teologia di Giovanni afferma che lo Spirito insegnerà come raggiungere
Gesù nelle più diverse circostanze.
Gesù non
lasciò nessun programma di apostolato, ma promise che lo Spirito sarebbe stato
presente per mostrarci in che modo possiamo attualizzare
Ma non
conviene accusare
3. I problemi
La parte più debole del documento è, secondo me, la cristologia. Bisognava aspettarselo. Non
è stato un caso che la “Nota inviata a
Jon Sobrino” sia stata pubblicata appena prima della Conferenza di
Aparecida. Di
certo siamo di fronte al più grande problema teologico di oggi e cioè: Che cosa significa l'umanità di Gesù? Qual è il significato delle parole e
delle azioni di Gesù così come ce le racconta il vangelo? In cosa consiste
l'umanità di Gesù? Cos'è l'essere uomo?
Il testo richiama molte cose buone prese dal vangelo, che
mostrano Gesù come un maestro di saggezza e rivelatore di uno stile di vita che
dev'essere imitato dai suoi discepoli. E' un elenco di azioni e belle parole
della vita di Gesù. Manca però la sintesi che riunisce tutte queste parole
e azioni in una vita umana.
L'elenco non ci spiega il senso della vita umana di Gesù,
ovvero il suo ministero missionario. La vita degli esseri umani si deve
interpretare a partire dal contesto storico in cui si trova.
Qui non si parla di un contesto storico, come se Gesù fosse
fuori dalla storia, come un maestro che aleggia sopra i secoli. Ciascun essere
umano costruisce la sua vita a partire dal contesto storico che lo provoca e
legge il contesto per definire le sue scelte in relazione agli scopi e ai mezzi
a sua disposizione; ha un suo progetto e attribuisce un senso, un obiettivo
alla sua vita. Se Gesù è stato uomo, anche per lui dev'essere stato così.
Cominciamo con l'annuncio di Gesù: il regno di Dio
(101-128). Cosa capivano i contadini della Galilea quando Gesù parlava loro del
regno di Dio? Loro soffrivano il giogo pesante del regno di Roma, del regno
dell'Imperatore, e all'improvviso arriva Gesù ad annunciare che questo regno
cadrà. Era esattamente quello che tutti si aspettavano, soprattutto i poveri, oppressi
dal potere durissimo dei Romani. La maggior parte pensava che ciò sarebbe
successo soltanto in un mondo nuovo, successivo alla distruzione di questo,
secondo le previsioni apocalittiche.
Gesù annuncia che tutto ciò accadrà in questo mondo. Il regno
di Satana incarnato nel potere romano cadrà e arriverà un altro regno. Gesù
conosceva bene tutti i discorsi, tutte le attese e le speranze del suo
popolo. Parlava per quella gente. Si capisce che sia stato accolto e acclamato
dal popolo semplice della Galilea con entusiasmo.
Dopo questo annuncio Gesù ha dovuto spiegare come sarebbe
stato il regno di Dio e la differenza con il regno di Cesare; perfino i dodici
apostoli hanno fatto molta fatica nell'accettare le spiegazioni di Gesù.
Quello che non risulta nel documento è che il vangelo di
Gesù è stata una buona notizia per alcuni e una cattiva notizia per altri.
Gesù non ha trattato tutti allo stesso modo. La buona notizia si rivolge ai
poveri e la cattiva notizia ai ricchi (Lc 6,20-26). il vangelo di Maria è stato
lo stesso: “Ha deposto i potenti dai troni e ha innalzato gli umili. Ha colmato
di beni gli affamati e ha mandato i ricchi a mani vuote”. (Lc 1,52-53)
Alla base della psicologia di Gesù c'era la compassione per
i poveri e l'indignazione contro gli oppressori. Perché tutto questo
non appare in un documento che pretende di rinnovare l'opzione per i poveri?
C'è una contraddizione tra la seconda e la terza parte del documento.
In secondo luogo, non compare il conflitto con i capi
dello stato, che Gesù denuncia come usurpatori e oppressori. Quello che
occupa un posto fondamentale nei vangeli non appare nel testo di Aparecida: il
conflitto di Gesù con i sacerdoti, i dottori della legge, i farisei, i potenti di
quel tempo.
La morte di Gesù è stata la conseguenza della sua azione. É
stata come la conclusione finale del suo ministero. Il documento parla di Gesù
che ha fatto dono della sua vita. (139).
Gesù fu ucciso perché ha voluto essere fedele alla sua
missione di denunciare la corruzione dei capi del suo popolo, che imponevano
sul popolo semplice un peso insopportabile.
Gesù era un giudeo e come giudeo era rimasto scandalizzato
dall'uso che i capi facevano della legge. Desiderava liberare il suo popolo
dalla menzogna e dalla dominazione delle élites. Con la loro interpretazione
della legge le élites opprimevano il popolo dei poveri.
Questo è stato il progetto di Gesù. Quello che lui offre ai suoi seguaci è di ripetere lo stesso cammino in tutte le epoche della storia.
Ora, al
centro della missione c'è la persecuzione, la morte e la morte di croce, cioè
una morte infamante.
Il documento fa appena alcune allusioni molto discrete alla
morte di Gesù senza dire perché sia morto e quale fosse il significato di
questa morte.
Il testo allude ai martiri dell'america Latina, ma senza
spiegare in cosa consista questo martirio, come se il martirio fosse un valore
in sé, un esempio di vita eroica. Non colloca i martiri nel suo contesto
storico e per questo anche la morte di Gesù non è nel suo contesto storico. E'
come se fosse un esempio di virtù senza ragione, senza un legame con il suo
ministero di profeta.
Il documento dice semplicemente che Gesù offre la sua vita.
Questo può voler dire molte cose, ma non richiama il contesto storico e il
luogo di questa morte nella vita umana di Gesù.
Nei vangeli la croce è nel centro della cristologia della
vita umana di Gesù. Non è però al centro della cristologia del documento.
L'impressione è che il testo voglia evitare qualunque riferimento al
conflitto con i romani e con le autorità di Israele.
E' un vangelo senza conflitto, di pura bontà. Perché
un vangelo senza conflitto? Per non dove riconoscere il senso del martirio di
tanti latino-americani crocifissi nella seconda parte del secolo? Le élites
vogliono nascondere la responsabilità storica che hanno in questi martiri del XX secolo. La memoria di questi martiri
offende le classi dirigenti di molti paesi.
Per questo motivo le allusioni ai martiri sono molto
discrete. I martiri sono presentati come eroi, ma non si dice perchè sono
morti.
Ora, un vangelo senza conflitti: chi lo può volere un
vangelo così?
E' esattamente il vangelo che fa contenta la borghesia.
Questa cristologia è borghese nella sua ispirazione; non esprime ciò che
sentono i poveri e come essi intendano la vita e la morte di Gesù. Ci troviamo
nella situazione di un conflitto tra due cristologie, una quella borghese e
l'altra quella dei poveri. E' un conflitto che esiste fin dall'inizio della
chiesa.
La stessa mancanza di storicità si pensa nella descrizione
della realtà ecclesiale nella prima parte. Il testo fa un elenco degli aspetti
positivi della chiesa latino-americana (98-100) Nè gli aspetti positivi nè
quelli negativi vengono collocati nel loro contesto storico. E' come se tutto
avesse lo stesso significato.
Non si fa alcuna analisi delle strutture. Il testo
attribuisce la responsabilità e la colpa ad “alcuni cattolici che si sono
allontanati dal vangelo” (100 h). Gli aspetti negativi sono dovuti a “mancanze
e ambiguità” di alcuni membri (della chiesa). Se il problema fosse questo non
sarebbe stato necessario riunire un'intera Conferenza Continentale. Sarebbe
stato sufficiente mandare a questi pochi cattolici un buon confessore.
In generale, i documenti della chiesa non mettono in
discussione le strutture. Ora, di sicuro i membri della chiesa non sono
peggiori ora di allora. I problemi non sono le persone, ma le strutture. Di questo compare implicitamente qualcosa
nella terza parte, ad esempio, quando si parla della parrocchia. Ma un'analisi
più approfondita sarebbe molto utile. E un giorno bisognerà farla.
E' sorprendente il silenzio quasi totale sui movimenti
pentecostali!
Vi si trovano appena alcune brevi allusioni (100 g). Un
giorno Harvey Cox ha scritto che si trattava del fenomeno religioso più importante
del XX secolo e quasi importante come la Riforma del XVI secolo. Non si fa
nessuna analisi di questa realtà, come se si trattasse di una cosa senza
importanza, che non crea problemi.
E intanto il pentecostalismo è in piena espansione in tutti
i continenti, anche in America Latina. Sono molti i cattolici che lasciano la
chiesa per entrare in una comunità pentecostale. I pastori sono innumerevoli.
In molti luoghi del mondo dei poveri, i pentecostali sono già più numerosi dei
cattolici.
Sarebbe necessario analizzare le ragioni di questo risultato. Senza dubbio il movimento pentecostale risponde alle aspirazioni di una gran parte del mondo popolare.
Vale la pena
di studiare il messaggio, la metodologia, le forme di organizzazione. Chiudere
gli occhi come se il fenomeno non esistesse può essere una politica da struzzi.
Quando si fa la descrizione della società attuale,
principalmente della cultura contemporanea, molti dimenticano che ci sono due
società molto divise e due culture molto diverse. C'è una cultura esaminata da
scienziati e filosofi, che è la cultura di quelli che sono inclusi nella nuova
società, e la cultura degli esclusi.
E così,
la Conferenza di Aparecida ha costituito un avvenimento imprevisto. E' nata una
nuova coscienza. I vescovi hanno raccolto le aspirazioni di una minoranza più
sensibile ai segni dei tempi.
Il documento
finale ha costituito un motivo di rinnovata speranza per i vecchi e offre
alcuni orientamenti ben definiti ai giovani.
*Articolo
inviato da P. José Comblin, al Movimiento ‘También Somos Iglesia’ -Chile, il 03 Agosto del 2007.
Sótero del Río 475, oficina 203, Fono- fax 696 4491, Santiago- Chile
** (N.T.) Trascritto e pubblicato
da Enrique A. Orellana F.