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Josè Comblin:

IL PROGETTO DI APARECIDA - fonte Adital

Il progetto di Aparecida

José Comblin *

09.08.07
Fonte: Adital

Riportiamo una traduzione dell’interessante articolo di José Comblin sull’ultima conferenza di tutti i vescovi latinoamericani, dopo Medellin, Puebla e Santo Domingo. Ci sembra una provocazione forte sul modello di Chiese che possiamo costruire.

Un grazie all’equipe dei giovani traduttori che ha collaborato e un invito a non lasciar cadere questa parole profetiche. Buona lettura!

(corsivi e grassetti sono della nostra traduzione)

 


Il progetto della conferenza di Aparecida è ambizioso. Si tratta, di fatto, di un’inversione radicale del sistema ecclesiale.

Da secoli, la pastorale della chiesa è concentrata nella conservazione dell’eredità del passato. Tutte le istituzioni sono state adattate a questa finalità.

Questo sistema è stato installato nel XII secolo e da quel momento sostanzialmente non è cambiato. In accordo con il progetto proposto in Aparecida, tutto sarà orientato in funzione della missione. La realizzazione pratica di questo progetto avrà bisogno di tutto il secolo XXI.

In realtà, i vescovi hanno lanciato questo progetto, ma ora il primo problema consiste nel convincere il clero. L’attuale generazione non è preparata per questa prospettiva di dare una direzione nuova alle proprie attività. Sarà necessario cambiare radicalmente la formazione e preparare le nuove generazioni sacerdotali ben differenti dalle attuali.

Fare in modo che tutta la chiesa sia missionaria è un’impresa gigantesca.

 

Durante il primo millennio la missione è stata assunta dai monaci. Molti sono diventati vescovi e ebbero la fama di essere fondatori di chiese. La chiesa era principalmente rurale.

Nei secoli XI e XII s’instaurò il sistema delle parrocchie. Ma il clero parrocchiale era ignorante non avendo ricevuto nessuna formazione.

Già nel secolo XIII s. Tommaso d’Aquino si lamentava del fatto che il clero non evangelizzava, non era missionario. Al contrario, egli dimostrava che erano gli ordini mendicanti ad evangelizzare.

La stessa lamentela fu ripetuta durante i secoli fino ad oggi. La missione fu assunta dai mendicanti a partire dal secolo XIII, e successivamente dalle società di sacerdoti missionari, come la Congregazione della missione di s. Vincenzo de Paoli, la Congregazione   del SS. Redentore di s. Alfonso de Liguori, e altri.

Nell’America Latina, la missione fu assunta in primo luogo dai francescani, che fornirono più della metà dei missionari. I Domenicani fecero il lavoro più grande durante il secolo XVI. I Carmelitani e gli Agostiniani arrivarono con un numero inferiore di missionari, allo stesso modo dei Benedettini. Successivamente vennero altre congregazioni.

Nel secolo XX, questi Ordini e Congregazioni assunsero principalmente le parrocchie e a causa di questa scelta solo una piccola minoranza si dedicò alla missione. Nello stesso tempo, assunsero metodi adatti ai secoli XVII e XVIII, ma praticamente inadeguati al secolo XX. Si dedicarono al mondo rurale, mentre l’80% della popolazione latino-americana migrava verso le città.

Ora si presenta il progetto episcopale, che esigerà un cambiamento di mentalità e una variazione di comportamento. La missione sarà la priorità e lascerà in secondo piano l’amministrazione della piccola minoranza che frequenta le parrocchie. Sarà necessario cambiare la formazione sacerdotale in modo radicale. I religiosi dovranno tornare alla vocazione originaria e lasciare di essere amministratori di parrocchie o di opere.

Alcuni anni fa, scrissi che dom Helder Camara era il modello di vescovo del XX secolo. Dom Helder è stato missionario e aveva un ottimo collaboratore per tutte le faccende amministrative. Soprattutto dopo la sua conversione nel 1955 e la nuova conversione con l’arrivo a Recife, dom Helder fu un uomo di contatto personale, un uomo capace di attrarre, capace di trasformare le persone con le quali entrava in comunicazione, in modo che queste sentivano il bisogno di un cambiamento della loro vita. Aveva il dono di suscitare vocazioni missionarie.

 

 

1. I temi più significativi del documento conclusivo.

 

In primo luogo, dobbiamo sottolineare il tema generale di tutta la Conferenza. Fino a 30 anni fa, in AL non si parlava di missione. Nella mentalità popolare, i missionari erano i padri e i religiosi e religiose che venivano dall’Europa o dall’America del Nord per rinforzare i quadri della chiesa locale. Oppure, erano i predicatori delle “Sante Missioni”.

Era un’eredità delle colonie. La missionologia non si trovava nemmeno nei programmi della formazione sacerdotale. Era soltanto la specializzazione di alcuni che si dedicavano alle regioni più desolate o dimenticate come quelle dell’Amazzonia. Missionari erano gli evangelizzatori degli indigeni e la maggioranza era straniera.

Questo non vuol dire che non ci fossero cattolici, sacerdoti, religiosi e religiose, e soprattutto laici missionari. Non si sapeva che erano missionari perché non avevano “visibilità”, e non avevano uno status definito. Erano missionari anonimi.

Nel frattempo, si presentarono varie esperienze definibili come missionarie. La stessa parola ‘missionario’ entrò nell’uso comune della gente che identifica già alcune persone come missionari e missionarie. Molti gruppi adottarono il nome di missionari. Oggi sicuramente la consapevolezza di una urgenza missionaria nel mezzo di una società sempre più secolarizzata è cresciuta molto.

La V Conferenza del CELAM ha raccolto ciò che è stato seminato in questi 30 anni.

 

Come secondo aspetto, sottolineiamo che la Conferenza ha deciso di tornare al metodo di Medellin e Puebla, cioè, allo schema vedere-giudicare-agire dell’Azione cattolica (n. 19).

C’è un’insistenza molto forte nel dare questa continuità (n. 391-398).  È difficile non vedere in questa sottolineatura una certa forma di pentimento e confessione.

È innegabile, che negli ultimi anni l’influenza di Medellin e Puebla è diminuita molto. C’erano sacerdoti che semplicemente sostenevano come Medellin era superata ormai e di fatto non serviva più per la chiesa attuale. È per questo, che è importante sottolineare l’insistenza della Conferenza di Aparecida.

Questa continuità con Medellin e Puebla si manifesta, soprattutto, nei due temi fondamentali: l’opzione per i poveri e le comunità ecclesiali di base. Sono giustamente due temi che sono stati molto attaccati o trattati con indifferenza, giudicate come cose del passato. Erano completamente scomparsi dal sinodo romano del 1997 Ecclesia in America.

Nonostante nei testi ufficiali di alcuni paesi ancora si ricordavano le comunità di base e l´opzione preferenziale per i poveri (soprattutto in Brasile), la situazione generale era ben differente. Basta ricordare il documento pubblicato dal padre José Martins, apostolo instancabile delle CEBs in tutta l´America Latina. Era di una triste amarezza: é difficile immaginare fino a che punto sia scomparsa l´opzione per i poveri e per le piccole comunitá in buona parte dell´America Latina.

La Conferenza di Aparecida rinnova l´opzione per i poveri (397, 398, 399). Non si tratta di una formula convenzionale. Il testo é insistente: “Assumendo con nuova forza questa opzione per i poveri” (399). Anche qui c´e´ una certa dose di pentimento e quasi la coscienza che si sia persa questa urgenza nella pastorale della chiesa, come se giá non fosse piú prioritaria. Inoltre il testo riconosce che i poveri sono soggetti della evangelizzazione e della promozione umana. (391 - 398).

Il testo si spinge a usare per ben due volte la parola “liberazione”, considerata una parola proibita. Anche se fusa con la parola “autentica” (399) o “integrale” , adesso si puó nuovamente usare (385).

 
Il documento conclusivo parla esplicitamente delle Comunitá Ecclesiali di Base (178-179).

Questa parte del documento é stata quella piú corretta da Roma, infatti il testo dei vescovi era molto piú incisivo. Nonostante ció, il testo enuncia tutti i frutti positivi delle CEBs, riconoscendole come segno di opzione per i poveri.

I vescovi avevano scritto: “Vogliamo decisamente riaffermare e dare nuovo impulso alla vita e missione profetica e santificatrice delle CEBs nella sequela missionaria di Gesú.

Sono state una delle grandi manifestazioni dello Spirito nella Chiesa dell´America Latina e del Caribe dopo il Vaticano II” (194).

Queste frasi sono state censurate e il testo risulta piú debole. Le altre correzioni vanno nello stesso senso, ma il testo dei vescovi esiste e puó essere consultato. Per la coscienza latino-americana risulta piú significativo rispetto a quello censurato.

Nel testo dei vescovi si riconosce che le CEBs non potettero svilupparsi nonostante il loro valore, e alcuni vescovi posero delle restrizioni. Adesso i vescovi vogliono rimuovere queste barriere e dare nuova vita a queste piccole comunitá.

Nonostante i condizionamenti del testo finale, vale la pena leggere attentamente i n. 178 e 179.

I migliori capitoli del documento sono i capitoli 7 e 8 riguardando la missione, dove troviamo le affermazioni piú forti.

§ “ La Chiesa ha bisogno di una forte trasformazione che impedisca di installarsi nella comoditá, nell´immobilismo e nella fragilitá, emarginando i poveri del Continente” (362).

§ “La conversione pastorale delle nostre comunitá esige che si passi da una pastorale di pura conservazione a una pastorale decisamente missionária” (370)

§ “ La pastorale della Chiesa non puó prescindere dal contesto storico” (367)

Vedere soprattutto i numeri 362-370. 

 

Il cambio deve attingere tutte le istituzioni della Chiesa. Comincia con la riforma della parrocchia che dovrá essere suddivisa in unitá minori. (372), piccoli gruppi caratterizzati da migliori relazioni. Massima attenzione per evitare che questi piccoli gruppi non riproducano la struttura e l´attivitá della parrocchia. É interessante che la Conferenza alluda al cattivo funzionamento della parrocchia come istituzione inadeguata per i nostri tempi marcati dalla urbanizzazione e secolarizzazione crescente.

Il capitolo 8 elabora una pastorale sociale che verrà riaffermata e rinforzata (401-404). Il documento enumera le nuove categorie di poveri che sono sorti e si sono sviluppate negli ultimi tempi.

Infine, il documento si fa carico di sfide contemporanee: l'ecologia e i problemi dell'ambiente, e la pastorale urbana. Il programma della pastorale urbana è molto completo e definisce dei compiti che richiederanno la collaborazione di migliaia di persone che hanno avuto una formazione. La sfida della pastorale urbana è stata già definita dai sociologi cattolici alla fine del XIX secolo. Passati 100 anni, la gerarchia assume tale sfida.

La Chiesa cattolica ha ancora strutture rurali e una mentalità rurale. Nella società rurale la parrocchia si identifica con la società. Adesso le cose sono cambiate, al punto che la grande maggioranza dei cittadini vive ai margini della Chiesa, rivolgendosi ad essa soltanto nei casi di nascita o di morte, oppure rivolgendosi ai Santi nei casi di malattia.

 

Nel secondo capitolo si trova un’estesa presentazione della realtà dell'America latina. Tale presentazione costituisce un esempio di collaborazione tra la gerarchia e i laici, visto che è stato necessario ricorrere all'aiuto di esperti e scienziati al fine di offrire informazioni complete e dettagliate. Tuttavia il documento non arriva a condannare il capitalismo e il sistema attuale di globalizzazione, nonostante faccia vedere tutti i suoi vizi. Non poteva andare più lontano della cosiddetta “dottrina sociale della chiesa”, così silenziosa negli ultimi anni. 

E’ chiaro che negli altri capitoli ci sono molte cose importanti che offrono degli orientamenti per l'applicazione del progetto globale. Però un articolo non offre spazio sufficiente per poter commentare tutte queste dottrine. Sicuramente dovranno essere pubblicati estesi commenti circa il documento dell' Aparecida per poterlo analizzare in modo integrale.

 

 

2. Alcuni dubbi

 

Il progetto di Aparecida è talmente radicale che sorge un dubbio: chi realizzerà tale programma nella pratica? La storia mostra che tutti i cambiamenti profondi all’interno della Chiesa sono stati realizzati da persone nuove, formando gruppi nuovi e creando un nuovo stile di vita, sempre a partire da una scelta di vita nella povertà.

Non sono mai stati realizzati dai ruoli di comando stabiliti, neppure dalle strutture già instaurate. Questi ultimi non riescono ad uscire dai propri ruoli tradizionali. Ciò fa pensare che il clero attuale non ha le condizioni per applicare tale programma.

Non dimenticherò mai ciò che è successo nel passaggio dal XII al XIII secolo. Ci fu una valanga di fenomeni religiosi simili all’espansione pentecostale odierna. Apparvero nuovi animatori religiosi che in breve tempo riuscirono ad attrarre e a convertire folle di cattolici. Nacque in pochi anni un mondo di comunità che ricevettero vari nomi, dei quali il nome di Albigesi fu il più utilizzato. Nessuno riusciva a frenare il movimento. Il Papa Innocenzo III chiese all’Ordine Cistercense, che era il più potente in quel momento, di assumere la missione di convertire gli eretici, o, per lo meno, di frenarne il movimento di espansione. Fu un fallimento totale. I cistercensi venivano da monasteri molto ricchi e non sapevano parlare ai poveri. Erano missionari ricchi, senza capacità missionaria.

All’epoca apparvero contemporaneamente Francesco d’Assisi in Italia e Domenico di Guzman in Spagna. Scelsero la via della povertà, vivendo una vita realmente evangelica. Evangelizzarono le masse popolari del mondo rurale e delle città. E riuscirono laddove gli Ordini potenti non erano riusciti.

Da essi nacquero in pochi anni i cosiddetti francescani (fratelli minori) e i domenicani (fratelli predicatori) che divennero migliaia in poco tempo. Essi si stabilirono fra il popolo e furono missionari itineranti, sempre in cerca del popolo, dei poveri.

Diedero alla Chiesa una fisionomia diversa. Costituirono un’altra struttura, nella quale il popolo dei poveri si riconosceva, una struttura diversa da quella degli ordini monastici. Il clero parrocchiale raccolse le innovazioni dei Mendicanti ma non potè portare a termine quel cambiamento necessario.

Nella Chiesa di oggi ci sono già cristiani simili che convivono con il mondo dei poveri, ma questi sono poco conosciuti e poco valorizzati, più tollerati che appoggiati, poiché non corrispondono allo schema ufficiale: non trovano posto nel diritto canonico. Di solito si tratta di laici, nonostante ci siano anche vescovi o presbiteri che si sono convertiti emergendo dalla struttura in cui si trovavano.

Personalmente credo che i futuri missionari capaci di cambiare la fisionomia della Chiesa saranno laici, missionari laici.

 

Ma come si comincerà ad applicare il programma di Aparecida?

Non si potrà realizzarlo dall’alto verso il basso. Non si potrà cominciare con un’impostazione teorica.

Comincerà con persone volontarie disposte ad entrare in una nuova avventura, questa volta con l’appoggio delle gerarchie. Non verrà dato loro nessun programma previo perché lo Spirito mostrerà loro ciò che possono fare. Se la loro azione missionaria non verrà da loro stessi non avrà nessun effetto, perché non sarà una testimonianza viva e umana, l’unica che possa far breccia nel cuore di chi li ascolta.

Non serve pianificare. Nessuno ha pianificato la nascita o la vita di San Francesco. Lui apparve e il papa lo confermò.

In molti luoghi, negli ultimi anni, le diocesi hanno proposto anni missionari o missioni popolari senza nessun risultato. Tutto è rimasto sulla carta, perché le missioni non sono partite da volontari, poco valorizzati, più tollerati che appoggiati nella loro vocazione missionaria; furono invece consegnate agli agenti della pastorale interni alla struttura diocesana o parrocchiale.

La missione non può concentrarsi sulla Chiesa parrocchiale perché i poveri non la frequentano, non la sentono parte della loro cultura.

Non serve fare corsi per insegnare una dottrina, perché lo Spirito mostrerà ai missionari ciò che dovranno dire e fare. Quello che si può fare è accompagnare l’attesa della voce dello Spirito.

Le gerarchie hanno un ruolo fondamentale: quello del discernimento dello Spirito a partire dalla tradizione cristiana e stimolare una spiritualità di attesa e fedeltà a ciò che dice lo Spirito.

In America latina l’appoggio di vescovi e sacerdoti è fondamentale perché, soprattutto nel mondo dei poveri, i cattolici sono timidi, insicuri, non hanno fiducia nelle loro stesse qualità. E’ necessario appoggiare, accettare errori e fallimenti temporanei. Non si può riuscire al primo tentativo. Le gerarchie dovranno organizzare l’armonia tra tutti i carismi.

 

Come dovrà essere la formazione? Cosa si intende per formazione dei missionari?

L’attuale formazione nei seminari o nelle università di teologia è esattamente l’opposto di quanto detto. Il sistema attuale offre una formazione accademica o con pretese accademiche.

In Brasile è stato dato molto valore al riconoscimento degli studi seminaristici da parte del Ministero dell’Educazione, ma oggi il Ministero dell’Educazione non ha certamente progetti missionari.

I certificati ufficiali sembrano dare garanzie proprio a quelli che non sentono una particolare vocazione missionaria. Non che abbia nulla contro tali certificati accademici, ma questi non hanno nulla a che vedere con la missione. La formazione accademica rende la predicazione vuota, senza contatto con il popolo. I sacerdoti vengono educati per essere piccoli professori di teologia. Questo fatto in sé spiega molto sui problemi della Chiesa denunciati nel documento di Aparecida.

L’educazione missionaria si fonda principalmente su di una spiritualità forte e radicata, concentrata sulla Bibbia in generale, ma soprattutto sui vangeli, sulla sostanza, sulla vita terrena di Gesù.

 

In secondo luogo, la formazione consiste nel moltiplicare gli incontri con persone, famiglie, gruppi. Il missionario deve imparare ad essere presente in tutti i luoghi della vita sociale, come un segnale di vita rinnovata, animata dalla fede, dalla speranza e dalla carità.

Non si tratta di mostrarsi durante gli eventi sociali, ma piuttosto conoscere e scoprire le persone che sono sensibili agli appelli dello Spirito e saper dire le parole che lasciano il segno.

L’esposizione della dottrina non ha mai convertito nessuno. Gesù si manifesta attraverso la vita di certe persone, non attraverso la dottrina. Non si formano missionari con corsi, seminari o discussioni astratte. Si deve imparare a parlare come il popolo. Alcuni sacerdoti o vescovi lo sanno fare perfettamente: sono missionari che sono arrivati a questo risultato attraverso la grazia di Dio superando gli schemi della formazione accademica ricevuta. Un esempio tra questi è frei Carlos Mesters.

La formazione dottrinaria venne dopo la Rivoluzione francese con lo scopo di rafforzare la fede dei sacerdoti che dovevano resistere alle eresie dell’epoca. Tale resistenza non è più un’urgenza.

 

Non posso tralasciare di segnalare un problema che non è soltanto di Aparecida ma di tutta la Chiesa occidentale, i Concili occidentali, i documenti del Magistero, incluso del Vaticano II.

La Chiesa occidentale ignora lo Spirito Santo. E’ chiaro che lo Spirito Santo viene citato molto spesso, anche nello stesso documento di Aparecida, ma sempre più per rinforzare la pianificazione delle gerarchie o del clero in generale. Le gerarchie definiscono la condotta della Chiesa e poi chiedono allo Spirito Santo di realizzare quanto è già stato deciso, o, in altre parole ma con la stessa sostanza, si suppone che tutto quanto procede dalle stesse proceda dallo Spirito Santo.

Non serve pregare che lo Spirito venga ad illuminare la mia mente se Lui è presente nel mondo e mostra con chiari segni ciò che vuole. Gli orientali sono molto più sensibili a questo aspetto rispetto alla Chiesa di occidente. In America latina la Chiesa orientale non vanta una grande presenza ed esercita quasi nessuna influenza. La Chiesa latino-americana è figlia dell’occidente in modo quasi esclusivo.

L’insegnamento del Nuovo Testamento è diverso, tanto nella teologia di Paolo quanto in quella di Giovanni. Per San Paolo la Chiesa è diretta dai doni dello Spirito Santo (1Cor 12,4-11;27-30). Il primo dono è quello “dell’apostolato” (1Cor 12,28). Quando Paolo parla degli apostoli non si riferisce ai Dodici ma a quei discepoli che, come lui, si fecero missionari perché furono inviati dallo Spirito Santo. Il dono del governo è al settimo posto, al secondo appaiono invece i profeti, considerati con molta insistenza (1Cor 14).

Questi doni appaiono in modo disperso, improvviso e imprevisto. Nessuno formò Paolo come missionario. Lui ricevette un dono dallo Spirito Santo e mostrò un cammino vero e sicuro per il popolo di discepoli che riuscì a riunire.

Lo Spirito Santo è presente nella Chiesa oggi come sempre. Lui mostra le vie per seguire Gesù. La teologia di Giovanni afferma che lo Spirito insegnerà come raggiungere Gesù nelle più diverse circostanze.

Gesù non lasciò nessun programma di apostolato, ma promise che lo Spirito sarebbe stato presente per mostrarci in che modo possiamo attualizzare la Sua vita nelle più diverse circostanze della storia. Gesù non volle chiudere la storia in un quadro stabile ma promise che lo Spirito sarebbe stato presente in ogni situazione per insegnare il senso delle parole che disse e delle opere che realizzò in un determinato e delimitato contesto, la Galilea (Gv 14,26; 16,13-15).

Ma non conviene accusare la Conferenza di Aparecida perché la storia della Chiesa occidentale è stata cosi. Una conversione ancor più radicale sarebbe necessaria per tornare all’insegnamento sullo Spirito del Nuovo Testamento.

 

 

3. I problemi

 

La parte più debole del documento è, secondo me, la cristologia. Bisognava aspettarselo. Non è stato un caso che la “Nota inviata a Jon Sobrino” sia stata pubblicata appena prima della Conferenza di Aparecida. Di certo siamo di fronte al più grande problema teologico di oggi e cioè: Che cosa significa l'umanità di Gesù? Qual è il significato delle parole e delle azioni di Gesù così come ce le racconta il vangelo? In cosa consiste l'umanità di Gesù? Cos'è l'essere uomo?

Il testo richiama molte cose buone prese dal vangelo, che mostrano Gesù come un maestro di saggezza e rivelatore di uno stile di vita che dev'essere imitato dai suoi discepoli. E' un elenco di azioni e belle parole della vita di Gesù. Manca però la sintesi che riunisce tutte queste parole e azioni in una vita umana.

L'elenco non ci spiega il senso della vita umana di Gesù, ovvero il suo ministero missionario. La vita degli esseri umani si deve interpretare a partire dal contesto storico in cui si trova.

Qui non si parla di un contesto storico, come se Gesù fosse fuori dalla storia, come un maestro che aleggia sopra i secoli. Ciascun essere umano costruisce la sua vita a partire dal contesto storico che lo provoca e legge il contesto per definire le sue scelte in relazione agli scopi e ai mezzi a sua disposizione; ha un suo progetto e attribuisce un senso, un obiettivo alla sua vita. Se Gesù è stato uomo, anche per lui dev'essere stato così.

Cominciamo con l'annuncio di Gesù: il regno di Dio (101-128). Cosa capivano i contadini della Galilea quando Gesù parlava loro del regno di Dio? Loro soffrivano il giogo pesante del regno di Roma, del regno dell'Imperatore, e all'improvviso arriva Gesù ad annunciare che questo regno cadrà. Era esattamente quello che tutti si aspettavano, soprattutto i poveri, oppressi dal potere durissimo dei Romani. La maggior parte pensava che ciò sarebbe successo soltanto in un mondo nuovo, successivo alla distruzione di questo, secondo le previsioni apocalittiche.

Gesù annuncia che tutto ciò accadrà in questo mondo. Il regno di Satana incarnato nel potere romano cadrà e arriverà un altro regno. Gesù conosceva bene tutti i discorsi, tutte le attese e le speranze del suo popolo. Parlava per quella gente. Si capisce che sia stato accolto e acclamato dal popolo semplice della Galilea con entusiasmo.

Dopo questo annuncio Gesù ha dovuto spiegare come sarebbe stato il regno di Dio e la differenza con il regno di Cesare; perfino i dodici apostoli hanno fatto molta fatica nell'accettare le spiegazioni di Gesù.

 

Quello che non risulta nel documento è che il vangelo di Gesù è stata una buona notizia per alcuni e una cattiva notizia per altri. Gesù non ha trattato tutti allo stesso modo. La buona notizia si rivolge ai poveri e la cattiva notizia ai ricchi (Lc 6,20-26). il vangelo di Maria è stato lo stesso: “Ha deposto i potenti dai troni e ha innalzato gli umili. Ha colmato di beni gli affamati e ha mandato i ricchi a mani vuote”. (Lc 1,52-53)

Alla base della psicologia di Gesù c'era la compassione per i poveri e l'indignazione contro gli oppressori. Perché tutto questo non appare in un documento che pretende di rinnovare l'opzione per i poveri? C'è una contraddizione tra la seconda e la terza parte del documento.

 

In secondo luogo, non compare il conflitto con i capi dello stato, che Gesù denuncia come usurpatori e oppressori. Quello che occupa un posto fondamentale nei vangeli non appare nel testo di Aparecida: il conflitto di Gesù con i sacerdoti, i dottori della legge, i farisei, i potenti di quel tempo.

La morte di Gesù è stata la conseguenza della sua azione. É stata come la conclusione finale del suo ministero. Il documento parla di Gesù che ha fatto dono della sua vita. (139).

Gesù fu ucciso perché ha voluto essere fedele alla sua missione di denunciare la corruzione dei capi del suo popolo, che imponevano sul popolo semplice un peso insopportabile.

Gesù era un giudeo e come giudeo era rimasto scandalizzato dall'uso che i capi facevano della legge. Desiderava liberare il suo popolo dalla menzogna e dalla dominazione delle élites. Con la loro interpretazione della legge le élites opprimevano il popolo dei poveri.

Questo è stato il progetto di Gesù. Quello che lui offre ai suoi seguaci è di ripetere lo stesso cammino in tutte le epoche della storia.

Ora, al centro della missione c'è la persecuzione, la morte e la morte di croce, cioè una morte infamante.

Il documento fa appena alcune allusioni molto discrete alla morte di Gesù senza dire perché sia morto e quale fosse il significato di questa morte.

Il testo allude ai martiri dell'america Latina, ma senza spiegare in cosa consista questo martirio, come se il martirio fosse un valore in sé, un esempio di vita eroica. Non colloca i martiri nel suo contesto storico e per questo anche la morte di Gesù non è nel suo contesto storico. E' come se fosse un esempio di virtù senza ragione, senza un legame con il suo ministero di profeta.

Il documento dice semplicemente che Gesù offre la sua vita. Questo può voler dire molte cose, ma non richiama il contesto storico e il luogo di questa morte nella vita umana di Gesù.

Nei vangeli la croce è nel centro della cristologia della vita umana di Gesù. Non è però al centro della cristologia del documento. L'impressione è che il testo voglia evitare qualunque riferimento al conflitto con i romani e con le autorità di Israele.

E' un vangelo senza conflitto, di pura bontà. Perché un vangelo senza conflitto? Per non dove riconoscere il senso del martirio di tanti latino-americani crocifissi nella seconda parte del secolo? Le élites vogliono nascondere la responsabilità storica che hanno in questi martiri del XX secolo. La memoria di questi martiri offende le classi dirigenti di molti paesi.

Per questo motivo le allusioni ai martiri sono molto discrete. I martiri sono presentati come eroi, ma non si dice perchè sono morti.

Ora, un vangelo senza conflitti: chi lo può volere un vangelo così?

E' esattamente il vangelo che fa contenta la borghesia. Questa cristologia è borghese nella sua ispirazione; non esprime ciò che sentono i poveri e come essi intendano la vita e la morte di Gesù. Ci troviamo nella situazione di un conflitto tra due cristologie, una quella borghese e l'altra quella dei poveri. E' un conflitto che esiste fin dall'inizio della chiesa.

 

La stessa mancanza di storicità si pensa nella descrizione della realtà ecclesiale nella prima parte. Il testo fa un elenco degli aspetti positivi della chiesa latino-americana (98-100) Nè gli aspetti positivi nè quelli negativi vengono collocati nel loro contesto storico. E' come se tutto avesse lo stesso significato.

Non si fa alcuna analisi delle strutture. Il testo attribuisce la responsabilità e la colpa ad “alcuni cattolici che si sono allontanati dal vangelo” (100 h). Gli aspetti negativi sono dovuti a “mancanze e ambiguità” di alcuni membri (della chiesa). Se il problema fosse questo non sarebbe stato necessario riunire un'intera Conferenza Continentale. Sarebbe stato sufficiente mandare a questi pochi cattolici un buon confessore.

In generale, i documenti della chiesa non mettono in discussione le strutture. Ora, di sicuro i membri della chiesa non sono peggiori ora di allora. I problemi non sono le persone, ma le strutture. Di questo compare implicitamente qualcosa nella terza parte, ad esempio, quando si parla della parrocchia. Ma un'analisi più approfondita sarebbe molto utile. E un giorno bisognerà farla.

 

E' sorprendente il silenzio quasi totale sui movimenti pentecostali!

Vi si trovano appena alcune brevi allusioni (100 g). Un giorno Harvey Cox ha scritto che si trattava del fenomeno religioso più importante del XX secolo e quasi importante come la Riforma del XVI secolo. Non si fa nessuna analisi di questa realtà, come se si trattasse di una cosa senza importanza, che non crea problemi.

E intanto il pentecostalismo è in piena espansione in tutti i continenti, anche in America Latina. Sono molti i cattolici che lasciano la chiesa per entrare in una comunità pentecostale. I pastori sono innumerevoli. In molti luoghi del mondo dei poveri, i pentecostali sono già più numerosi dei cattolici.

Sarebbe necessario analizzare le ragioni di questo risultato. Senza dubbio il movimento pentecostale risponde alle aspirazioni di una gran parte del mondo popolare.

Vale la pena di studiare il messaggio, la metodologia, le forme di organizzazione. Chiudere gli occhi come se il fenomeno non esistesse può essere una politica da struzzi.

 

Quando si fa la descrizione della società attuale, principalmente della cultura contemporanea, molti dimenticano che ci sono due società molto divise e due culture molto diverse. C'è una cultura esaminata da scienziati e filosofi, che è la cultura di quelli che sono inclusi nella nuova società, e la cultura degli esclusi.

E così, la Conferenza di Aparecida ha costituito un avvenimento imprevisto. E' nata una nuova coscienza. I vescovi hanno raccolto le aspirazioni di una minoranza più sensibile ai segni dei tempi.

Il documento finale ha costituito un motivo di rinnovata speranza per i vecchi e offre alcuni orientamenti ben definiti ai giovani.

 

 

*Articolo inviato da P. José Comblin, al Movimiento ‘También Somos Iglesia’ -Chile, il 03 Agosto del 2007.
Sótero del Río 475, oficina 203, Fono- fax 696 4491, Santiago- Chile

** (N.T.) Trascritto e pubblicato da Enrique A. Orellana F.

 

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