La Pace nelle nostre mani

 

Diario 

della carovana per 

Osare un tempo nuovo

 

Carovana della Pace 2003 

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In questa pagina riportiamo il "Diario di bordo" scritto dai giovani della  Carovana della Pace  2003 durante il viaggio:

4 settembre

5-7 settembre 

8-11 settembre 12 settembre 13 settembre 14 settembre 15 settembre

Assisi

Napoli

Roma Montesole Marzabotto Barbiana Quarrata Brescia Limone s/G

 

Prima di partire 2 e 3 settembre

La carovana della Pace inizia ufficialmente il 4 settembre da Assisi. In realtà è iniziata parecchi mesi prima: anzi dallo scorso anno non si è mai fermata.

Era sorta dall’iniziativa del Giubileo degli Oppressi nel 2002: “La pace è nelle nostre mani: non solo utopia!”; dal 5 al 15 settembre di quell’anno aveva percorso migliaia di chilometri da nord a sud della penisola, toccando dieci città italiane (Verona, Trento, Mestre, Milano, Genova, Firenze, Terracina, Molfetta, Pesaro e Bologna) … e non ha mai smesso di camminare.

Non sono scesi dalla carovana i testimoni: hanno continuato a fare sentire il loro grido, dando voce alle innumerevoli situazioni ignorate dalla stampa e cercando di essere voce dei “senza voce”; non sono scesi i giovani, provando a “trasformare” quell’esperienza intensa in stile di vita, in scelte concrete; non sono mai scese nemmeno le tante persone che hanno accompagnato il “pellegrinaggio”, ciascuna tornando a vivere le sue sfide locali.

Ecco, questi sono i semi di speranza che finora non hanno cessato di germinare, ma che ci hanno fatto anche tornare la voglia di viaggiare…

 Diario della Carovana: perché?

Dodici giorni di carovana.

Dodici giorni di vita passata insieme, non solo tra di noi, a stretto contatto l’uno con l’altro, ma anche condivisa con i luoghi e con la gente che ci ha accolti. Giorni di “immersione” totale nelle profondità umane delle persone incontrate. Sorrisi, strette di mano, sguardi. Dodici giorni che per noi hanno significato “respirare” un’aria nuova, fresca e pulita, nonostante i quartieri abbandonati, le periferie dimenticate, la difficoltà della gente.

Un  profondo contatto spirituale con noi stessi e con il Dio della Vita, fortemente presente in ogni momento, Speranza seminata e nello stesso tempo raccolta.

Dodici giorni nel corso dei quali il Vangelo ci è apparso chiaro, nitido, limpido: momenti che non possono e non devono essere tenuti per noi, ma offerti a tutti, a chiunque sceglie di OSARE UN TEMPO NUOVO. E una nuova occasione di testimoniare la pace e annunciare per tutti un mondo diverso possibile.

E’ proprio con questo spirito che noi, giovani della Carovana, abbiamo provato a scrivere questo diario, mettendo insieme quanto ASCOLTATO.

Martedì 2 settembre: Padova

Al mattino la comunità comboniana che ci ospita nei giorni precedenti la partenza (giorni frenetici, giorni in cui fare gli ultimi preparativi) celebra l’Eucarestia, dove i protagonisti, oltre a Gesù, siamo noi della carovana: riceviamo l’invio e la benedizione della comunità.

Non è da tutti i giorni cominciare proprio con una benedizione di invio e con una celebrazione eucaristica. Che bello iniziare così, in maniera insolita ed inusuale: questo segno ci accompagna per tutta la giornata, mentre si corre e si lavora per arrivare pronti alla partenza.

Molti di noi erano presenti a Padova anche nei giorni precedenti: si avverte che l’intera responsabilità della Carovana cade su di noi, su ciascuno di noi; quest’anno non ci sono grandi testimoni che ci accompagnano per tutto il viaggio. Ogni tappa, ogni particolare, ogni contatto è stato preparato da noi. Ne sentiamo forte il peso e il limite. Nel cuore sorgono parecchi dubbi: andrà bene? ce la faremo? arriveremo alla fine? tutto è a posto?

Vogliamo iniziare questa ennesima avventura recuperando il senso della fragilità: per non sentirsi onnipotenti ma umili, non per portare ma per essere portatori, perché non siamo arrivati ma dobbiamo arrivare insieme alle persone di buona volontà.

Vogliamo partire semplicemente AFFIDANDOCI.

Alla sera, nella casa dei missionari comboniani, ultimo incontro dell’equipe che partecipa alla carovana della pace 2003, prima di partire. Si cerca di capire cosa significa per noi questa nuova partenza: vogliamo ri-metterci in strada essenzialmente per vivere la dimensione dell’ascolto. Ascoltare chi incontriamo, ascoltare le speranze della gente, ascoltare le attese delle realtà dove sosteremo. Ascoltare non per dare risposte, ma per stare con la gente comune, che nella quotidianità e molte volte nel silenzio cerca di creare situazioni di giustizia, pagando di persona.

Prima della partenza ci portiamo dentro delle provocazioni e delle domande impegnative: cosa significa vivere la missione per i giovani e per gli stessi Comboniani, oggi? Cosa significa “riscoprirsi persone responsabili”? Cosa significa essere responsabili di pace?

 Mercoledì 03 settembre: Noventa Padovana

 Incontriamo gli amici del Villaggio S. Antonio: persone speciali che, nonostante la loro disabilità, presentano abilità diverse, particolari ed incredibili; infatti durante i mesi estivi hanno lavorato per costruire uno dei segni della carovana: la Lanterna di cera. Rimaniamo estasiati e senza parole, nel vedere il frutto di tanto impegno, che ci viene offerto: trenta lanterne di cera colorata, con i colori dell’arcobaleno. Lanterna che rappresenta la luce, non una luce monocolore bianca, ma una luce intensa e colorata, da cui traspare la diversità, che condivisa costruisce la pace. Lanterna che esprime il concetto della CONVIVIALITA’ DELLE DIFFERENZE, tanto caro a don Tonino Bello. La nostra carovana parte proprio da lì, da qual luogo, dalle persone che festosamente ci hanno accolto, sospendendo le proprie attività. Persone che a loro volta sono per noi luce brillante e chiara, esempio di umanità e di gioia. Manifestano la propria diversità in maniera esemplare, lasciandoci a bocca aperta.

Ci dicono che c’è bisogno di pace, che le guerre devono finire, che troppi bambini e famiglie soffrono, che tutti devono avere la possibilità di vivere felici. Ci chiedono di portarli in Carovana: ma loro, i loro occhi, i loro stupendi sorrisi, la loro semplicità fanno già parte della carovana e sono con noi, durante tutto il tragitto.

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4 settembre - Assisi

Comunicato Stampa 

 

 Programma

marcia Assisi-Gubbio incontro con ragazzi PN missione popolare invio della Porziuncola

GIOVEDI 4 settembre

Marcia nonviolenta Assisi-Gubbio

Con la marcia “La nonviolenza è il varco attuale della storia”, promossa dagli amici del Movimento NonViolento, prende il via ufficiale la carovana della pace 2003. Con loro percorriamo una parte del sentiero francescano della pace, da Assisi fino a Gubbio, tragitto lungo il quale S. Francesco incontrò il lupo. Lupo la cui ferocia faceva paura alla gente dell’epoca e atterrisce anche ai giorni nostri; lupo che rappresenta l’aggressività: Francesco l’ha cercato ed incontrato, capendone le ragioni.

Lo chiama “fratello lupo” e l’animale trasforma la sua carica di violenza in dolcezza. Il santo parla, dialoga, comprende, accoglie, ama: non si rinchiude in stesso, non si rintana dentro le mura della città, non alza barriere e protezioni, non dice che l’unica risposta è investire nella sicurezza. Ma prima di tutto cerca proprio l’incontro. Lo stesso, come ha detto prima dell’avvio della marcia, Daniele Lugli, segretario nazionale del movimento, si deve fare oggi: alla violenza si devono contrapporre azioni di nonviolenza.

La carovana parte rivisitando i luoghi francescani ricchi di spiritualità ma anche di gabbie ecclesiali da dove lo Spirito Santo “sogna”, ad ogni anelito, di essere liberato… Incontriamo il movimento nonviolento in una piazzetta di una stupenda Assisi medioevale, il nostro gruppo viene accolto calorosamente e dopo le parole e le preghiere, ci apprestiamo a camminare con gli amici della nonviolenza per un pezzetto di Via, che Francesco percorse, passando proprio per quei sentieri e quei colli, diretto a Gubbio, dove incontrò un lupo feroce da convertire all’amore, che terrorizzava gli uomini …. Quel lupo è dentro di me, mentre cammino lo riconosco fra le pieghe del mio essere. Pensando ai piedi di Francesco guardo ai miei e noto le differenze… la società in cui vivo li ha resi delicati e lamentevoli, lenti ad adattarsi alla fatica. Quel lupo è nel mondo ancora libero ma ammaestrabile, si può con perseveranza e purezza raddolcirlo… ecco allora che comincio a riflettere sulle cose che la nonviolenza vuole per essere vera. Non lamentarsi e non odiare la propria fatica mi è sembrata la prima, poi ricordo l’amore di Francesco che lo portava a continuare, a stupirsi tanto da riconoscere fratelli in ogni dove, fra i viventi e le cose… vedo fratelli sassi colorati, vedo fratelli alberi accarezzati da fratel vento, vedo cielo e nubi veloci, vedo antiche case chissà da quali fratelli amate ed abitate, vedo fratelli attorno a me, accompagnarmi. Inizio a sentire il mio cuore diventare dolce, attento alla sua funzione… la nonviolenza parte da uno sguardo diverso ottenuto da un tempo nuovo rincorso…osato. D'altronde per vedere tutte queste cose devi prenderti il tempo…accettando l’eventualità inusuale di contemplarle… metafora di vita il camminare lieto, in gruppo! Avere sempre uomini e donne, bambini ed anziani da accompagnare, accettare i diversi ritmi, le diverse necessità. Senza accorgersene si arriva a Valfabbrica, luogo dove la carovana saluta gli amici del Movimento Nonviolento… quei cari fratelli ammaestrandoci ci hanno addolcito e dentro la nostra bisaccia c’è ora questo grande dono…Solo un ringraziamento profondo è proporzionale al ricevuto.    

 Incontro con gli adolescenti

Nel pomeriggio un gruppetto (Silvia e Stefano) va a fare un incontro di testimonianza con dei ragazzi di una parrocchia di Pordenone in campo ad Assisi. L’incontro è molto caldo e partecipato e si crea subito un bel clima, di condivisione, sincerità e profondità. Abbiamo ascoltato la loro esperienza: un cammino di approfondimento delle relazioni con sé stessi, con gli altri e con Dio; abbiamo portato la nostra testimonianza di carovana della pace in cammino, sottolineando soprattutto la dimensione della presenza nelle realtà di non-pace, di esclusione e sofferenza; una presenza che nella sua semplicità diventa la testimonianza più profonda di un popolo in cammino costante per la costruzione di un mondo nuovo; presenza che viene prima di noi e resta dopo di noi con coloro che la continueranno, e diventa così la presenza di Dio, la sua fedeltà, in tutta la storia umana; un punto di riferimento che va oltre le grandi tempeste che travolgono le epoche, e che rimane nonostante tutto; qualcuno direbbe “come un ometto sui sentieri di montagna”. Abbiamo consegnato una clessidra, segno del cammino che insieme a loro stiamo portando avanti per creare, ciascuno nella propria realtà e con le proprie comunità, un tempo nuovo.

 Missione Popolare

Ci dividiamo in due gruppetti per le missioni popolari ad Assisi. Armati di buona volontà, a due a due,ci muoviamo per le vie di Assisi alta e la zona intorno a S. Maria degli Angeli. Alla base di questa scelta c’è il desiderio di incontrare le numerose congregazioni presenti sul territorio per far conoscere loro l’iniziativa “Osare un tempo nuovo” e dialogare insieme sulla pace e le possibili vie per costruirla. Cominciamo a diffondere le due campagne della carovana.

Incontro con il Vescovo

Nel corso della missione popolare, abbiamo suonato al campanello della Caritas e a quello del Vescovo: mons. Goretti.

Il Vescovo ci ha accolto (Filippo, Chiara, Mosè e Gianfranco) per circa venti minuti, con fare affettuoso e attento alla nostra iniziativa. La sua maggiore preoccupazione era quella che si parlasse con responsabilità della pace, andando a fondo dei problemi. Dall’incontro sono emerse alcune osservazioni importanti:

Ø            difficoltà nella realtà di Assisi, dove ci sono tantissimi ordini religiosi, ma molti chiusi nel loro mondo. Da un lato, la città per molti è un richiamo di “spiritualità”, anche se sta sempre di più diventando una città “museo” e non quel centro di effusione del Vangelo che voleva Francesco. La città è chiusa agli immigrati, in parte per gli alti affitti e perché si punta molto sul turismo; quindi anche se mantiene il richiamo della città della pace, dall’altro è vista come una città artistica;

Ø            la pace parte dall’analizzare i casi concreti: meno teoria e più risposte ai problemi. Quindi i problemi vanno analizzati, capiti e approfonditi: la pace non è mai una cosa semplice;

Ø            è buono portare avanti delle campagne come le nostre, anche se si corre il rischio di affrontare dei problemi complessi con propositi generali (tipo il “decalogo” per gli immigrati);

Ø            andare per le strade con spirito prudente, in punta di piedi, accogliendo il rifiuto;

Ø            è un dovere accogliere gli immigrati, anche se le modalità devono tener conto della tenuta del tessuto sociale.

Il Vescovo si informa di come facciamo e cosa intendiamo per missione popolare; sembra mostrare una lieve preoccupazione; rispondiamo che alla base del nostro scendere in strada c’è e ci deve essere solo il Vangelo di Gesù.

Inoltre ha voluto sapere quale riscontro abbiamo trovato: abbiamo risposto che si incontrano diversi tipi di persone, da quelle particolarmente accoglienti a coloro che nemmeno si fermano per ascoltare. Prima di ripartire per scendere nelle piazze e nelle dell’antico borgo medioevale, consegnamo i volantini che presentano le due campagne che seguono la carovana ed il libretto della Pace in Terris.

Ci siamo salutati moto affettuosamente con un reciproco scambio di auguri.

 Venerdì 5 settembre

Speciale Benedizione di invio alla chiesetta della “Porziuncola”

Al mattino, prima di congedarci dalla comunità delle Suore francescane Alcantarine di casa Frate Jacopa che ci ha ospitati, durante le lodi consegnamo loro una clessidra e una lanterna, in ricordo del nostro passaggio, uniti nella preghiera. Prima della partenza, ci rechiamo nel cuore di tutto il movimento francescano: facciamo visita alla stupenda chiesetta della “Porziuncola”, luogo dove Francesco e Chiara andavano spesso per sostare, pregare, rimanere in silenzio.

In quel luogo sono nati gli ordini francescani e da lì gli stessi fratelli e sorelle di S. Francesco, prima di andare per le strade ad incontrare la gente, ricevevano l’invio, una speciale benedizione.

Anche noi dobbiamo essere “portatori” di Gesù: siamo chiamati a trasportarlo dalle chiese alle strade, dagli altari ai quartieri, dai tabernacoli intrisi d’oro ai marciapiedi pieni di uomini e donne lasciati ai margini della società. Padre Fulvio, prima di darci la benedizione, ci dice che alla fine il male non potrà mai prevalere sul bene; alla fine anche se in apparenza ci può sembrare l’opposto, vinceremo. Ci dice che Dio non lascia mai soli. A volte è veramente difficile credere; buoni ideali e grandi propositi non sono sufficienti, devono essere conditi con la Fede e la Preghiera. L’invio in quella piccola chiesetta rappresenta per tutta la carovana un momento di profonda spiritualità; ci dà forza, coraggio e speranza per diventare “portatori”. Dal canto nostro, ci proveremo: cercheremo di OSARE, trasportando quel Gesù dal silenzio e dalla solitudine nella quale è stato confinato, al rumore e alla confusione della vita umana.

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Crescere Insieme Missione popolare Quartieri Spagnoli Missione popolare Rione Sanità Castel Volturno

Venerdì 5 settembre

Dopo l’invio emozionante ricevuto alla Porziuncola ci mettiamo in viaggio per Napoli.

La strada è un’occasione per incrociare meglio le nostre storie di carovanieri. Appena arrivati alla Sanità, uno dei quartieri più popolari della città, incontriamo Umberto che ci aiuta a parcheggiare. Per raggiungere la comunità “Crescere insieme” dove saremo ospitati, percorriamo una viuzza in salita circondata da case ammassate le une sulle altre. I bambini giocano sull’asfalto, alcune donne chiacchierano sul ciglio della strada e tutti sono curiosi di sapere chi siamo. I ragazzi della comunità di recupero per tossicodipendenti “Crescere insieme” ci stanno aspettando da un pezzo, ormai sono le tre del pomeriggio, la tavola è apparecchiata, il pranzo è pronto. A tavola ci mescoliamo: iniziano le domande reciproche e così pian piano la Carovana della Pace e la comunità sfumano e la tenda si allarga. Il pomeriggio prosegue lavorando insieme (qualcuno spazza e lava il pavimento, altri raccolgono le foglie secche o sistemano il solaio) e termina con un momento terapeutico proprio della comunità: ognuno si racconta e condivide con gli altri le sensazioni provate durante la giornata; ognuno spiega ai compagni come sta, come ha vissuto la giornata, cerca di raccontare il proprio stato d’animo. Passiamo la giornata con questi ragazzi: parliamo, discutiamo, scherziamo. Alcuni recuperano la loro esperienza: viene a galla un passato di dolore. Chissà quante ne hanno passate: c’è una gran voglia di uscirne, di risveglio, di riscatto. Si tenta, si prova, a volte capita di ricadere e si rientra nel giro. Rimaniamo meravigliati dalla loro volontà di vivere e di come ci accolgono: sentiamo quasi la sensazione di sentirci un pochino a cosa nostra. Rosario, responsabile della comunità, ci canta delle canzoni scritte da lui: “con un pezzetto di pane e un bicchiere di vino, Dio si è fatto per noi vero cibo e cammino”.

Infine, prima di andare a dormire, nella chiesetta della via condividiamo il segno della bisaccia vuota del cercatore. La bisaccia vuota rappresenta l’atteggiamento di ascolto, che come cristiani che camminano sulle strade dell’umanità, dobbiamo tenere nei confronti di ogni persona incontrata.

 SABATO 6 settembre

Missione Popolare nei Quartieri Spagnoli

Un gruppo di giovani della carovana visita l’Associazione Quartieri Spagnoli, nelle viuzze strette e coloratissime abitate in ogni angolo. Incontriamo “Anna dei signorini”, come è conosciuta in quartiere, e insieme a due educatori di strada e due mamme del luogo ripercorriamo la storia di resistenza di questa gente. Le sfide sono immense, dai bambini e adolescenti coinvolti nella violenza della strada, alla disoccupazione e alla prostituzione. Scopriamo che è proprio nella condivisione che i problemi si risolvono: scatta la molla della collaborazione, della fiducia reciproca, della partecipazione. La gente organizzata sa chiedere e ottenere anche dalle istituzioni, capace di elaborare progetti che funzionano proprio perché nascono dal basso. Grazie, amici dei Quartieri Spagnoli: ci fate tornare la voglia di immergerci tra i poveri, senza perdere la speranza!

Missione Popolare nel Rione Sanità

L’altro gruppo di giovani si butta nelle strade del quartiere Sanità.

Partiremo disarmati, accogliendo chi incontreremo sulla strada con semplicità e disponibilità a lasciarci guidare e provocare. La sensibilità con cui ci siamo messi sulla strada è quella delicatezza di chi entra nella vita dell’altro in punta di piedi, è l’ascolto delle storie, delle sfide, e delle speranze che la gente si porta nel cuore e vive nel quotidiano.

L’impatto con questa realtà non è facile: i palazzi, le strade, l’immondizia mostrano i segni dell’abbandono e dell’ingiustizia che da alcuni secoli su questo quartiere si abbatte insieme alla sua gente. Un ponte che passa sopra le teste di tutti li ha esclusi dalla bella Napoli, li ha conficcati lì sotto.

A questo si contrappone con forza la vitalità e l’originalità della gente del quartiere che abita gli angoli delle strade con le chiacchere, con i prodotti da vendere, con il continuo via vai di motorini...Siamo in una grande città, ma sembra di vivere in un paese, tutti si conoscono, tutti si accorgono della nostra presenza “straniera” e si avvicinano con curiosità guardandoci e chiedendoci chi siamo, cosa siamo venuti a fare, dove dobbiamo andare...Insieme ad alcune associazioni locali (Mani Tese, Agorà di Portici, Rete di Lilliput, Scout, gruppo pastorale giovanile Shekinah) decidiamo insieme di essere presenti in piazza, per incontrare la gente, con del materiale che spiega le attività, il lavoro che stiamo compiendo per la pace e la giustizia, e con delle proposte concrete per continuare insieme questo lavoro.

Inoltre ci siamo divisi a due a due per andare incontro alla gente e condividere con loro un pezzetto di storia. Il parlare con loro, l’essere invitati ad entrare nelle loro case ci ha fatto sperimentare l’accoglienza gratuita, lo scambio e la fiducia di raccontarsi e di affidarci le loro storie. Rosario, Enzo, Raffaele, Assunta, Anna, Carmela, Roberto, Tati, Ciro, Antonietta, Gennaro, Giuseppe... sono i nomi che portiamo nel cuore, sono i volti e le storie di questa gente che per prima ci insegna a resistere in un quartiere abbandonato da tutti, ferito dalla camorra, invaso dalla droga, piagato dalla disoccupazione.

Queste persone semplici hanno aperto le loro vite e case per noi, ci hanno regalato i loro sorrisi e i sogni per i loro figli, i giovani di tutto il quartiere, la loro capacità di immaginare e di inventare futuro...perché la vita possa continuamente rinnovarsi e crescere.

Siamo stati testimoni di piccole, nascoste storie di pace che nel silenzio e nell’anonimato sono segni di speranza, di resistenza, sono grida di persone che vogliono essere prese in considerazione...Grazie donne e uomini di pace!

Ci ritroviamo in piazza per portare tutta questa ricca e preziosa giornata nell’Eucarestia celebrata insieme ai bordi della strada, segno profondo che Gesù scende, esce dalle chiese per incontrare la sua umanità, e di comunione con essa. Abbiamo celebrato il Volto di Dio scoperto oggi nei volti della gente, un volto di donna, di bambino, un volto segnato dalle ferite della vita ma pieno di passione per la vita. Strano celebrare una Messa per strada, ancora più strano pregare in mezzo alla quotidianità, in mezzo ai problemi effettivi delle persone, in mezzo al via vai di gente, di motorini, di chi si ferma e poi riparte. Strano fare una liturgia tra la confusione, il caos, lo smog delle automobili che scorazzano di fronte alla piazza.

Stiamo cominciando ad innamorarci di questo quartiere e della sua gente.

Ci hanno aspettato per la cena i ragazzi della comunità Crescere Insieme con una buonissima pizza napoletana. Incredibile e meraviglioso come questi ragazzi ci hanno accolto e fatto sentire parte della famiglia...Grazie!

Abbiamo continuato la serata nella cripta delle catacombe di San Gaudenzio, vescovo africano perseguitato e accolto a Napoli nel quartiere la Sanità, con la veglia di preghiera per la pace che ha assunto il titolo della carovana “Osare un tempo Nuovo”, preparata insieme con la Scuola di Pace, la Chiesa Battista e il gruppo di Portici. Ci siamo messi all’ascolto della Parola perché illuminasse oggi i nostri modi, le nostre strade per la costruzione della pace. Tre le parole per vivere questo tempo nuovo, tempo di impegno, di speranza e di nuove relazioni: Nonviolenza, come stile di vita che si deve trasformare in esperienza; formazione, come promozione della coscienza critica e di strumenti per una cultura della pace; utopia, come orizzonte che segna e guida il popolo nel cammino verso la pace.

E’ stato un momento intenso, molto bello, concluso con delle parole in napoletano che richiamano ad un impegno: “....iamme iamme...”, alziamoci e andiamo... questo è il nostro tempo...

 DOMENICA 7 settembre

Castelvolturno (Caserta)

Forse la diffidenza nasce proprio dalla violenza. Gli sguardi delle ragazze africane incontrate a Castelvolturno oggi, erano sfuggevoli, grandi, belli ed estremamente veloci…quasi sussurravano: “guardo…ma non voglio più vedere esclusione che nega, che toglie luce, che uccide l’anima”.

Uomini e donne che si fidano solo di chi è padre, di Cristo e di ciò che è caldo e vero come i loro canti. Pregando con loro l’emergenza era non disturbare, accarezzando lievemente. Esserci è stato uno spiraglio di aria. Stringere le loro mani è stato un andare dentro le loro storie. Alcuni confidavano che prima di partire guardavano alla nostra Italia come un luogo pieno di “bravi cristiani” visto che Roma è qui…da piccoli invece pensavano che Roma fosse in cielo, dove risiedono le cose di Dio. Invece con grande tristezza e profonda malinconia, vedono ora la nostra terra come un luogo dove hanno ritrovato (o incontrato) l’esclusione, lo sfruttamento, l’intimidazione e l’odio razziale…hanno incontrato uomini che forse della cristianità hanno capito meno di loro, che a noi si erano affidati!! Si è potuto solo stringere quelle mani “nere”, che all’interno sono bianche come le nostre e sperare con loro, in comunione, che l’incontro tramuti i cuori generando libertà, pace, giustizia e vera accoglienza. La comunità comboniana di Castelvolturno (p. Giorgio, p. Franco, p. Claudio e fr. Nicola) è già avanti a noi sulla strada di questa sfida…un messaggio potrebbe essere: curri curri guagliò…

impegno serio per raggiungere chi con amore ci ha ispirato, per essere in grado di rimettere i nostri debiti!!!

 

Nel tardo pomeriggio ci incontriamo con Tonino Drago, dialogando sull’esperienza della resistenza a Napoli, nel ’45, e sulle caratteristiche peculiarmente nonviolente che ha avuto.

In serata, sempre nella ‘solita’ piazza, luogo aperto, spazio dell’incontro, riflettiamo in pubblico sulle sfide attuali della Pacem in Terris, con Giuliana Martirani, Tonino Drago, don Tonino Palmese.

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ACSE S. Maria dei Monti Incontro Capitolari Comboniani Centro Astalli Libera MISNA
Immigrati alla stazione Tiburtina Quartiere Laurentino 38 Tende del Vangelo Incontro Pacem in Terris Veglia contro tutti i terrorismi

Lunedì 08 settembre

Incontro all’ACSE

Nel tardo pomeriggio siamo stati accolti dalla comunità dell’A.C.S.E. da p. Paolo, volontari, amici, altri comboniani. In un clima molto familiare ci hanno presentato la realtà: prima accoglienza, corsi di italiano e informatica, assistenza medica, sostegno materiale. E’ stato molto bello che a presentarci le attività e lo spirito con cui vivono sono stati proprio alcuni immigrati, che ora hanno preso a cuore la realtà e svolgono un servizio attivo, dopo essere stati accolti. Anche alcuni volontari italiani e Jorge, scolastico comboniano, hanno presentato l’approccio che l’Acse si promette di portare avanti nei confronti degli immigrati e dei rifugiati. “Non è assistenzialismo”, chiarisce p. Paolo, “dare una casa, un vestito, il pane ai nostri fratelli e sorelle; è un dovere!”. Padre Mosè ha poi presentato il viaggio della carovana attraverso le strade d’Italia e l’intento di ripercorrere la profezia della Pace in Terris, per cogliere i segni dei tempi oggi, per Osare un tempo nuovo!!

Per la Carovana della pace è molto bello e importante ASCOLTARE questa realtà, vedere come diversi giovani si mettono dentro con il cuore, come alcuni immigrati trovano una strada per migliorare la propria situazione, come ci sono persone, le più diverse, che si impegnano davvero e con la loro testimonianza ci incoraggiano, rafforzano la speranza, che il nuovo è veramente possibile.

 

Incontro nella parrocchia di S. Maria dei Monti

Alla sera siamo andati alla chiesa di S. Maria dei Monti per ascoltare la testimonianza del parroco don Federico e di Suor Giuliana.

Con grande sorpresa abbiamo appreso la storia di San Benedetto Labre, che lì è morto.

E’ il santo degli spostati, dei senza fissa dimora, perché ha girato per tre congregazioni religiose, ma non si è mai trovato al suo posto. In pieno periodo dell’illuminismo, a metà ‘700 ha così vagato come barbone per le vie di Roma, come un mendicante e contemplativo. E’ bello sapere che uno che non ha trovato il suo posto qui sulla terra in qualche famiglia religiosa, è stato accolto a braccia aperte dal Padre eterno. Don Federico ci ha raccontato la realtà della sua comunità; ma soprattutto il “segno dei tempi” che abbiamo colto è stata la testimonianza di suor Giuliana, vincenziana, che ha raccontato come si è trasformata la sua comunità di suore anziane con l’arrivo di ragazze madri e dei loro bambini. Si sono messe a lungo in ascolto della volontà di Dio: per loro, il primo segno è stato l’arrivo di una bambina, Africa, accompagnata da un barbone che se n’era preso cura.

Da quel momento ne sono arrivati altri, e poi le loro mamme. La provvidenza ha fatto poi arrivare i beni materiali e gli alimenti per poter continuare il lavoro: e così è iniziato il nuovo lavoro della comunità, con i più poveri ed abbandonati. E loro hanno portato gioia, serenità e speranza verso il futuro. I poveri hanno letteralmente convertito don Federico, suor Giuliana e le sue sorelle. Ora con grande amore e fatica vanno avanti con una missione grande, bella, come quando ci si affida al Signore a braccia aperte e lo si lascia lavorare.

Essere Carovana e rileggere la Pacem in Terris significa per noi anche cogliere questi segni meravigliosi del passaggio di Dio che ci converte, ci libera, ci salva. I poveri ci convertono e ci salvano! Che meraviglie compie il Signore!!

E allora anche per noi della carovana è importante rimetterci sulla strada di Dio e dei poveri che ci fanno cambiare rotta, seguendo le orme e la profezia di quel santo dei “senza posto”, che ha trovato proprio sulla strada la via degli ultimi, via sicura e certa per approdare a Dio!

  Incontro con i Missionari Comboniani riuniti in Capitolo

Il mattino seguente, prima di dividerci in gruppetti per recarci nei luoghi di servizio, incontro e animazione, partecipiamo ad una celebrazione eucaristica nella casa generale dei Comboniani all’Eur, assieme ai comboniani riuniti nel capitolo generale dell’istituto. Il capitolo li terrà impegnati fino a fine mese e dovrà decidere le linee guida della congregazione per i prossimi anni.

Ai capitolari, prima di andare via, lasciamo un messaggio, scritto come Carovana e come giovani. Lo abbiamo preparato la notte precedente: grazie alla collaborazione di tutti e utilizzando il metodo della scrittura collettiva, siamo riusciti a “partorire” questo intenso messaggio:

 

Tre giorni di incontro con le associazioni

Centro Astalli

Mercoledì mattina come gruppo che incontra le associazioni abbiamo visitato il centro Astalli, una realtà che cerca di aiutare i rifugiati. Il centro Astalli nasce circa vent’anni fa, grazie all’intuizione di un gesuita, con l’obiettivo di aiutare i giovani eritrei che scappavano dalla guerra dando loro panini caldi. Attualmente il centro offre numerosi servizi tra cui una mensa per circa duecento persone, un laboratorio con personale medico, la cooperativa “Il tassello” (una lavanderia gestita dagli stessi rifugiati) e una scuola d’italiano per stranieri.

Il centro lavora molto sui bisogni che i rifugiati hanno in diversi momenti della loro vita, per questo comprende anche tre centri di accoglienza (uno solo per uomini, uno che ospita sessanta famiglie e la “Casa di Giorgia” che accoglie donne con bambini) e un centro d’ascolto che offre consulenza legale per ottenere asilo politico e assistenza lavorativa collaborando con alcune aziende del nord-est. Tutti i servizi portati avanti sono a tempi fissi al fine di evitare l’assistenzialismo. Da cinque anni poi esiste la fondazione Astalli che promuove cultura alternativa sul tema dei rifugiati attraverso progetti didattici nelle scuole e la pubblicazione del giornale “Servil”. Il centro cerca anche di fare rete a livello nazionale con altre associazioni per capire come tutelare meglio i rifugiati e partecipa al coordinamento del comune di Roma per iniziative di sensibilizzazione. A livello internazionale promuove scambi d’informazioni utili a capire meglio le problematiche dei rifugiati.

Il rifugiato è una persona che scappa dal paese in cui ha la cittadinanza in quanto perseguitato per motivi di razza, di religione, di nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o politico. Egli può chiedere asilo al paese in cui si rifugia, tuttavia questo sta diventando sempre più difficile dopo l’undici settembre.

Inoltre molti paesi non assumono la difesa contro le violenze subite dalle donne, e questo è un motivo più che sufficiente per scappare questi stati.

Per toccare la realtà più da vicino abbiamo ascoltato la storia di Mark, professore di matematica scappato dal Congo perché torturato a causa del suo impegno politico per la pace.

Si intuisce la necessità del lavoro di centri come questo e allo stesso tempo l’urgenza di un cambiamento delle leggi sull’immigrazione: bisogna mettere al primo posto l’uomo. In Italia manca anche una legge precisa che legiferi sul diritto d’asilo e la legge Bossi-Fini ha lasciato in sospeso la questione.

L’attesa del riconoscimento di asilo per i rifugiati è lunga e le condizioni di questa gente sono sempre più precarie. Gli immigrati (rifugiati politici e non) che raggiungono il nostro paese hanno alle spalle storie di sofferenza, violenza e sfruttamento che richiedono prima di tutto rispetto e accoglienza!

 

Associazione LIBERA

Osare la giustizia per essere liberi

Osare un tempo nuovo, un tempo di legalità e di giustizia, di diritti, di libertà … magari proprio nei luoghi resi schiavi dal potere mafioso e dalla paura: questo è quello di cui si occupa Libera.

Nata nel 1995 per volontà di uomini e donne coraggiosi come don Luigi Ciotti e Rita Borsellino, Libera riunisce numerosi gruppi, associazioni, scuole e singoli che lavorano per contrastare le organizzazioni mafiose. Gli amici di Libera ci accolgono nell’appartamento dove l’associazione ha sede in modo provvisorio, in attesa che sia completata la nuova sede: un palazzo in centro città confiscato alla criminalità organizzata romana. Libera infatti oltre ad essere stata promotrice della legge 109/96 per il riutilizzo sociale dei beni confiscati alla mafia, ha permesso concretamente la nascita in edifici e terreni confiscati di molte cooperative dove giovani hanno trovato un occupazione, per esempio coltivando la terra e producendo alimenti di qualità. Come ci racconta Davide questi progetti sono vere e proprie rinascite e liberazioni: sono rinascite per i giovani che vi lavorano, altrimenti condannati alla disoccupazione; lo sono per quei terreni sfruttati dalla malavita che invece ora donano vita; lo sono anche per tutti i cittadini testimoni di un abitare quel territorio finalmente con giustizia e per i diritti di tutti.

Ma Libera non si occupa solo di questo, sono numerosissime le sue attività: Libera Scuola studia e propone percorsi di educazione alla legalità ed ai diritti in molte scuole; Libera Sport promuove il valore educativo dello sport e combatte contro il doping; Libera internazionale è l’espressione del progetto di fare rete con tutte le realtà che nel mondo contrastano le mafie.

Libera inoltre crede fortemente nella memoria come valore e strumento per costruire il cambiamento: ogni anno, il 21 marzo, promuove la giornata della Memoria in cui ricordare le vittime delle mafie ed il loro impegno per la legalità. Vi sono poi molte altre attività (la Carovana antimafie, la corsa per la pace e per i diritti …) organizzate a livello nazionale ed internazionale.

Insomma, Libera osa la libertà di essere cittadini responsabili. Non mancano le difficoltà e le fatiche: da quella di lavorare con tanti soggetti diversi sparsi sul territorio a quella di continuare a parlare di legalità in un paese che molte volte appare politicamente insensibile. “Quelli di Libera” tengono però a sottolineare che per loro legalità non ha il significato di cieca obbedienza alle leggi, significa invece promozione di leggi giuste e del loro rispetto per la promozione della giustizia. Non vi è legalità se non è per la giustizia.

Vorrei salutarvi con parole di Antonino Caponnetto, splendido esempio di impegno e di umanità, rigirando la dedica che mi ha lasciato nella mia adolescenza “a tutti noi e alla nostra meravigliosa giovinezza”:

“… in una fase così delicata e pericolosa per il paese nessuno può tirarsi indietro,

quel poco che posso ancora fare lo farò …

Una lunga strada ci attende: dovremo percorrerla insieme, mano nella mano.”

Antonino Caponnetto

 

Agenzia MISNA

Un’agenzia di informazione dal Sud del mondo: Misna. Ad accoglierci c’era il fondatore e direttore p. Giulio Albanese che ci ha raccontato la storia di questa agenzia. Stando in Africa nel 1995 egli ha sentito la necessità di un’informazione più giusta; per questo cercò di creare un network capace di riunire tutte le comunità comboniane sparse nel continente. Inizialmente trovò diverse difficoltà; oggi Misna raccoglie le informazioni provenienti dalle missioni di diverse congregazioni religiose, lavora ventiquattro ore su ventiquattro, tutto l’anno, e passa il materiale a diverse testate soprattutto estere. Le notizie arrivano direttamente dai missionari presenti in loco e vengono elaborate in articoli nella sede dell’agenzia dai tredici giornalisti stipendiati secondo il contratto di categoria. L’agenzia è finanziata dagli istituti missionari, dalla Rai, e dalla vendita di alcuni servizi (fotografie, accesso data base…).

p. Giulio sottolinea come un’ informazione corretta sia la prima forma di solidarietà nei confronti dei poveri. Discutiamo dell’importanza di una stampa che trasmetta valori cristiani e allo stesso tempo riesca a raggiungere un gran numero di lettori: il problema della stampa cattolica e missionaria è che troppo spesso si rivolge ad una cerchia ristretta di lettori. La mobilitazione nazionale contro la guerra all’Iraq ha dimostrato che il popolo italiano con tutte le sue diverse sfaccettature è sensibile alle tematiche della pace e della giustizia, il problema è avere il coraggio di investire in una informazione tale da mettere al primo posto queste tematiche e non i pettegolezzi sui vip o le partite di calcio dimenticandosi delle quaranta guerre nel mondo che continuano ogni giorno a massacrare milioni di innocenti. La visita alla Misna si è conclusa con un breve giro nei vari uffici per salutare le giornaliste e i giornalisti al lavoro.

 

Tre giorni di incontro con I RIFUGIATI SUDANESI

 Africa a Roma…uomini, donne e bambini.

Aiutare l’Africa con l’Africa diceva il Comboni, ma l’Africa non è più solo in Africa…una fetta del continente nero è rinchiuso fra i binari della Tiburtina e le strade di Roma percorse da una frenetica tribù di bianchi che non sanno nemmeno accorgersene. Volti stanchi, disillusi che sono appartenuti a soldati in fuga dalla guerra e che ora appartengono a persone, oltre che stanche e disilluse, anche sole. I ponti e i binari non uniscono loro a noi, ma noi a noi stessi, in un circolo esasperato di egoistica esclusione.

Si entra da un buco in un muro, e per fortuna, ci si deve un po’ inchinare per passare, come richiamo ad una coscienza di rispetto. Gli occhi di tutti sono vivi, le mani aperte per un’accoglienza forte che prevede il rito del thè caldo che non si deve pagare mai, perché ha il senso di una carezza.

Simon è eritreo, 25 anni, conosce gli italiani perché i suoi nonni gli parlavano della nostra presenza nella loro terra. Parla con nostalgia, pur non avendo conosciuto quella realtà…dice che Asmara (la capitale), assomiglia urbanisticamente a Roma, ma poi, dopo un breve silenzio ci fa capire che qui comunque non riesce sentirsi a casa. Simon possiede un permesso di soggiorno temporaneo come rifugiato politico e questo documento non basta per essere legalmente assunto in nessun posto di lavoro. Carta…datagli in mano dopo ore di attesa, dopo un vero e proprio esodo da lui percorso, lungo il quale ha visto morire tanti suoi compagni, prima nel deserto del Sahara, poi nel mare che lambisce la nostra terra e la nostra indifferenza. Simon conosce la sofferenza e si difende da questa sorridendo e dicendo…”combattevo in Africa con un fucile, poi in mare combattevo con un secchio per tener fuori il mare dalla piccola e vecchia barca che mi trasportava…la vita è questo…combattere!”. Il dialogo si alleggerisce: condividiamo con lui ed altri amici un po’ di cibo, sentendoci noi a casa. Simon, Estifanos e Lia assieme a tutti gli altri che ci hanno accolto spezzando il pane delle loro vite con noi sono CAROVANIERI di pace ad honorem…sono maestri, cari maestri di vera pace…anche se stanchi e disillusi, anche se soli. Pace a loro dunque, e che ci sia almeno chi li accoglie portando nel cuore la loro storia.

Percorriamo poi un viale con altri alberi ai lati, fra baracche ed immondizia. Gli alberi assistono alle vicende umane offrendo riparo dal sole e bellezza nel silenzio e nell’immobilità, qui in Italia, come in Africa. Il viale termina di fronte all’ex magazzino dove vivono i rifugiati sudanesi. Anche qui ci accolgono con grande fraternità e passano subito a condividere. Incontriamo John, ex soldato dell’Spla, arrivato in Italia quattro anni fa. I suoi fratelli sudanesi sono qui da meno tempo e questo fa di lui un a sorta di leader. La sua esperienza lo ha portato a diffidare di chi offre loro assistenza, ci dice guardandoci con sospetto: “sono state molte le persone che sono passate qui facendo domande e promesse, ma poi come al solito non si sono viste le soluzioni, e noi ora ci preoccupiamo di come passare l’inverno senza acqua calda, senza servizi di alcun tipo e senza modo di scaldarci”. John ha imparato ad arrangiarsi, ha messo insieme una specie di Bar dentro la struttura e guadagna in questo modo qualche soldo. Ci dice anche che la sua diffidenza cresce vedendo che nessuno offre continuità di relazione con loro. La situazione comincia a comparire in tutta la sua complessità: umilmente viviamo un senso di impotenza grande…a volte risulta difficile sostenere la conversazione, ma ecco che ancora abbracciati dai volti sorridenti di Adam, Gazim, Adbul ed altri, l’imbarazzo è abbattuto ancora una volta dalla familiarità. Ci offrono il pranzo nelle loro “stanze”…una lezione di ricca essenzialità con cibo buono portato alla bocca dalle mani. Quelle stesse mani che poi chiudono l’abbraccio del saluto…quelle stesse mani che non vogliono mollare i doni ed il ricordo…che vogliono stringere l’impegno di far arrivare quegli sguardi con noi nel luogo dove osare un tempo veramente nuovo. E’ una necessaria emergenza!

 

Tre giorni di incontro nel quartiere laurentino 38

Primo giorno

Gianfranco, Isabella e Stefano, con p. Vincenzo, hanno visitato il quartiere LAURENTINO 38. Costruito circa venti anni fa dall’Istituto Autonomo Case Popolari (ed anche da cooperative) con criteri urbanistici considerati all’epoca avveniristici, consta di numerose strutture abitative con palazzi alti sedici piani uniti da ponti sormontanti la strada a due carreggiate. Sui ponti erano attivi negozi, uffici e servizi vari. Il Laurentino 38 oggi è alquanto degradato ed in uno stato di semi abbandono anche se popolato da migliaia di persone. E’ da precisare, comunque, che le situazioni di maggiore degrado interessano solo alcuni ponti, mentre negli altri le condizioni sono più normali. E’ in corrispondenza di uno di questi ponti che opera l’Associazione ANCORA 95 dove è stato aperto un centro di ascolto ed è li che il gruppo è stato ospitato. Agli associati presenti è stato spiegato che cosa è la Carovana, illustrate le finalità e lo scopo, le campagne di sensibilizzazione sui temi dell’immigrazione e dell’Organizzazione Internazionale del Commercio (WTO), il riferimento alla Pacem in Terris, all’impegno di creare condizioni di pace partendo dal basso, dalle cose più semplici e piccole. Il Presidente, che si chiama Salvatore (che coincidenza!!), persona di buona volontà, ha illustrato alla Carovana le condizioni in cui versa il quartiere, particolarmente alcune zone: appartamenti e locali sui ponti occupati abusivamente e trasformati in abitazioni, commercio degli stessi ad altri disperati, alta percentuale di abbandono scolastico, uso e spaccio di sostanze stupefacenti, persone che non hanno alcun punto di riferimento civile ed istituzionale. La parrocchia, in cui opera la Caritas con una buona organizzazione e con persone veramente dotate di buona volontà (Marta è una di queste), è troppo vasta e popolata, quindi poco incisiva nei confronti del popolo di Dio. E’ un disagio che molti sentono ed auspicano la costituzione di una seconda Parrocchia, cosa questa che depone molto a favore della gente del quartiere troppo spesso e da lungo tempo etichettata come difficile e quindi emarginata. Sono state incontrate due splendide donne: una suora di Nevers ed una delle Piccole Sorelle, molto apprezzate dalla popolazione. Dopo lo spuntino offerto dall’Associazione abbiamo effettuato un giro nel quartiere accompagnati da alcuni soci per incontrare la gente, soprattutto altri ragazzi oltre a quelli già incontrati nella mattinata. Mentre si apprestava a rientrare, abbiamo ha incontrato una sig.ra di nome Vittoria che ci ha informati di avere costituito un comitato di inquilini (un comitato spontaneo, una piccola comunità, uno spaccato di società civile) che si prefigge lo scopo di riscattare il Laurentino 38 dal degrado e dall’abbandono mobilitando quanta più gente possibile e facendo opera di sensibilizzazione. Con la sig.ra Vittoria ci siamo  impegnati per un incontro, domani presso la sede dell’Associazione per un reciproco ed approfondito scambio di informazioni.

Secondo giorno

Partiamo cercando di svuotare la bisaccia piena di domande, di dubbi, di curiosità, di entusiasmi, di schizzi di risposte alle sfide incontrate il giorno prima. Abbiamo sperimentato che solo nell’avere la bisaccia vuota possiamo incontrare le persone nel vero ascolto che non pretende, che non misura, che non semplifica, ma che accoglie e si prende cura.

Salvatore, Katia, Luciano e gli altri volontari dell’Associazione L’ancora 95 ci aspettano e ci accolgono con gran calore, pensando per noi una seconda colazione che guai rifiutare. Davvero speciali!!! Hanno aperto la loro sede mettendosi a completa disposizione per il passaggio della Carovana, facendo da riferimento per le altre associazioni che lavorano nel quartiere e per noi carovanieri...Sentono il passaggio e la presenza della Carovana come un dono per loro e il loro quartiere, come un’opportunità di scambio, di nuovo impegno e di condivisione della speranza e della vita che nasce e che vuole fortificarsi tra le vie e i palazzoni.

Per arrivare nel quartiere anche qui si scende, si lascia la strada principale dell’EUR, ci si passa solo se ci si vuole passare. E’ una caratteristica dei luoghi che si vogliono lasciare fuori...

E’ molto s-coinvolgente vedere e sentire quanta passione questi volontari e amici mettono nel lavorare e nel pensare la loro gente. Nelle loro parole si sente la preoccupazione per i giovani che fanno fatica a studiare, che vivono a stretto contatto con il mondo della droga e della violenza, per le famiglie, che vivono nei negozi occupati perché per loro non c’è posto, in condizioni che minano la dignità della persona, per gli anziani e disabili che vivono in palazzi dove non c’è l’ascensore e sono costretti a non uscire di casa....Ieri abbiamo fatto amicizia con un gruppetto di adolescenti che passano gran parte del loro tempo sotto le tettoie dei palazzi a parlare e ... Sono stati loro i primi ad accoglierci, salutandoci e togliendo subito quel muro di imbarazzi... incominciano a raccontare le loro storie, i modi in cui passano il tempo, ci domandano chi siamo e cosa siamo venuti a fare...ma quello che gli interessa di più è che stiamo con loro, che “perdiamo” del tempo con loro...ce lo chiedono più volte nei loro modi, con i loro linguaggi...ma sempre ci buttano la battutina...domani tornate??? Esperienze di vita completamente diverse che si incontrano e si provocano profondamente. Flavio, Valerio, Francesco, Vincenzo, Veronica, Viviana, Giada, Francesca, Martina, Marco...sono impressi nei nostri cuori...ci siamo affezionati a questi ragazzi...e portiamo con noi i ponti che ci hanno lanciato con coraggio: rappresentano le loro speranze, i loro sogni, il loro disagio, la loro voglia di futuro. Abbiamo voluto condividere insieme il nostro desiderio di osare un tempo nuovo nelle nostre vite e con loro, lasciandoci provocare da alcune storie di pace della videocassetta...Abbiamo provato insieme a farci delle domande, a lasciarci interrogare dalla loro esperienza di vita nel quartiere, a trovare insieme strade di speranza e di vita... Siamo stati testimoni di come la storia e la vita assumono significati diversi, i quali dipendono dal punto di vista da cui la guardi, da dove la abiti e la vivi....

Nel pomeriggio abbiamo visitato l’associazione H AMICI che lavora con i ragazzi disabili. E’ un esperienza molto bella nata dall’ascolto di alcuni giovani disabili con il desiderio di trovarsi, di stare insieme…è un vero centro diurno organizzato e portato avanti da soli volontari del quartiere. La cosa bella che abbiamo respirato è che i ragazzi sentono loro questo spazio di ritrovo, di sostegno, di incontro, di amicizia…

Questi sono i piccoli grandi segni di speranza che ci stanno accompagnando, che cercano ascolto, accoglienza e attenzione.

Durante questo secondo giorno, sono state visitate alcune famiglie nei luoghi più difficili del quartiere. Nella povertà e miseria c’è tanta umanità e voglia di riscatto specialmente morale. Le accompagnatrici hanno illustrato le finalità della loro opera che non consiste nelle mera carità (e purtroppo ce n’è tanto bisogno), ma sono vicine alle persone con il dialogo, l’ascolto, il consiglio. Alla sig.ra Vittoria, come promesso, ed anche ad altre persone convenute, sono state illustrate le finalità della Carovana, mentre lei ha voluto descrivere più dettagliatamente cosa intende adoperarsi per il quartiere con il comitato che presiede. Tutti si sono mostrati interessati ai contenuti ed alle finalità della Carovana e l’hanno incoraggiata a perseguire la strada intrapresa. I presenti sono stati invitati a partecipare alla S. Messa di domani pomeriggio con preghiera di divulgare l’invito a quante più persone possibile. Vittoria ha detto di non poter essere presente perché impegnata con il comitato degli inquilini.

Terzo giorno

Anche oggi, ultimo giorno di permanenza nel quartiere Laurentino 38, abbiamo incontrato alcuni giovani ponendoci in ascolto e dialogando con loro. E’ stata fatta visita alle Piccole Sorelle presso la loro abitazione inserita nel quartiere, tra la gente. Dopo l’accoglienza suor Bruna e suor Rosetta hanno illustrato le finalità della loro presenza fatta di testimonianza e lavoro. Un esempio di umiltà e amore. Suor Rosetta ha poi accompagnato Gianfranco a visitare una anziana signora ultranovantenne, originaria di S. Leo, che vive sola ma non abbandonata, accudita da una brava ragazza Ucraina. I familiari sono spesso presenti. E’ stato un momento di gioia per la signora che con Gianfranco ha potuto scambiare anche qualche battuta in dialetto Feretrano (Montefeltro, San Leo). Una delle socie dell’Ancora 95, la sig.ra Catia coadiuvata dalla figlia Mirella, ha mostrato alcuni lavori in ceramica eseguiti da lei in occasione di una delle tante attività che porta avanti l’associazione e che vorrebbe che fosse potenziata. Nel pomeriggio, alle ore 16.00, nelle sede della citata associazione che ospita la Carovana, P. Vincenzo ha celebrato la S. Messa cui hanno assistito anche alcuni ragazzi e ragazze. I primi, purtroppo, fuorviati ed istigati da quelli rimasti fuori sulla porta, un poco alla volta sono usciti creando anche della confusione benevolmente tollerata dai presenti come testimonianza. Era la prima volta che entravano nella sede dell’Associazione ed è stato considerato già un successo. Commovente il momento della preghiera dei fedeli quando una mamma in lacrime ha pregato ed invitato a pregare per il figlio gravemente ammalato. E’ riuscita a partecipare anche Vittoria (“visto che sono venuta a salutarvi!!”).

Al termine, dopo calorosissimi saluti e propositi di dare continuità al passaggio della Carovana indicando come punto di contatto p. Vincenzo, il Gruppo si è ricongiunto con gli altri in attesa di partecipare alla veglia di preghiera.

 

Tre giorni di incontro con lA GENTE: TENDE DEL VANGELO

Nei giorni del nostro soggiorno romano, abbiamo cercato anche di incontrare la gente più “comune” allestendo due gazebo (uno in P.zza Vittorio Emanuele per tutti e tre i giorni e l’altro nei pressi di stazione Termini per un giorno). L’obiettivo era informare e sensibilizzare la gente sulla carovana, le sue campagne e la Pacem in Terris tramite il dialogo, l’animazione e del materiale in distribuzione.

Abbiamo provato sulla nostra pelle l’indifferenza dei passanti: gente che camminava con lo sguardo basso, quasi per sfuggire a ciò che si vede camminando; gente che andava di fretta, senza nemmeno dare un brevissimo cenno di saluto; gente rinchiusa con i propri problemi quotidiani e con chissà quali punti interrogativi; gente che non ha tempo di capire, di fermarsi, di sentire palpitare il mondo attorno ad essi. Molti rispondevano “non ho tempo”, oppure “sono di fretta”: quasi sempre la solita risposta. Quante volte anche noi stessi ci comportiamo allo stesso modo: non diamo del tempo agli altri, perché non lo abbiamo per noi stessi. La società nella quale viviamo ci impone ritmi sempre più veloci e frenetici, ritmi quasi al limite dell’umanità, che viene lasciata da parte. Si corre, si va, si passa per strada senza accorgersi di niente e di nessuno, si cammina senza neppure gustare né volti di persone, né paesaggi, né niente…si va e basta.

I gazebo sono stati chiamati “Tende del Vangelo": già il nome porta in se l'importanza della nostra missione, che è quella di portare il Vangelo fuori dalle chiese e condividerlo con la gente comune. E’ stato difficile soprattutto frenare la frenesia, i ritmi vorticosi del mondo occidentale, incontrare le persone che hanno ormai perso la speranza e la voglia di farsi carico di cammini e impegni per costruire la pace.

Molti passanti non rispondono neanche ad un saluto, ad un sorriso e i pochi che lo contraccambiano fanno fatica a condividere realmente il nostro messaggio. Da ciò arriva la nostra difficoltà di fermarci, rimanere con i poveri più poveri della nostra società. Non solo i poveri che soffrono per la strada, che vanno alla ricerca di un lavoro, che "non sanno se la vita è un progetto o un inferno"; ma soprattutto quei poveri che sono stati avvolti dalla “schifosa indifferenza”.

Di fronte a questo tipo di povertà, è difficile portare anche un semplice aiuto, non basta infatti un pezzo di pane per riempire il vuoto che è in loro e nei loro cuori. E’ stato significativo per noi vivere l'indifferenza dalla parte di chi la subisce e non di chi la prova nei confronti dei propri fratelli. Il morale a terra di tante persone, le facce scocciate della gente e l'allontanarsi di coloro ai quali tentavamo di avvicinarci ci chiedono di essere ancora più sensibili nei confronti altrui.

Contemporaneamente alle tende, due di noi sono stati chiamati a parlare in diretta in un programma trasmesso da Radio Vaticana: l’emozione era forte; si credeva di non essere all’altezza; si pensava di non essere pronti; cosa vanno a fare due giovani in quella radio, nella quale parlano persone illustri, competenti e di una certa notorietà? Andiamo volentieri: il programma dura venti minuti, e oltre che a parlare della Carovana, il conduttore accenna al capitolo generale dei comboniani. Viene intervistato via radio p. Alex Zanotelli. Noi, dopo di lui, parliamo della carovana e ci soffermiamo in modo particolare negli appuntamenti di Roma.

 

Altri due di noi hanno voluto incontrare informalmente i responsabili dell’Azione Cattolica: in quei giorni è prevista l’Assemblea straordinaria dell’associazione. Incontriamo parecchia gente, al di fuori dei luoghi ufficiali degli incontri; parliamo anche con alcuni assistenti che sono sacerdoti. L’accoglienza e l’interessamento dimostrato da alcuni ci lascia sbigottiti: si fermano, chiedono ulteriori informazioni, vogliono avere dei recapiti e dei riferimenti per approfondire, sottolineano come parlare di Pace vuol dire già di per se “Osare un Tempo Nuovo”, ci fanno capire di come sia fondamentale continuare a sensibilizzare sulla Pace, quale proposta del Vangelo. Qualcuno ci offre addirittura il pranzo. Non tutti comunque sono così disponibili e felici di starci a sentire: tutti si fermano, però qualcuno va di fretta, qualcun’altro tenta di sfuggire, qualcun’altro ancora scappa via subito un pochino infastidito. Non importa: proviamo a coinvolgere più gente possibile.

Per recarci alle sedi degli incontri, proviamo a suonare qualche campanello: della CGIL, di qualche casa religiosa, andiamo alla libreria delle paoline nei pressi di S. Pietro. Anche qui alcuni ci accolgono a braccia aperte e instauriamo un dialogo, un piccolo confronto, come è accaduto con la CGIL; altri invece ci aprono, ma ci dimostrano una certa freddezza, diffidenza e indifferenza, che notiamo soprattutto quando “battiamo” alle porte delle case religiose: abitazioni grandi, buie, forse anche in parte vuote…

   

ALTRI APPUNTAMENTI ROMANI

La serata del 9 settembre invitiamo fr. Arturo Paoli perché ci aiuti a riflettere sulle sfide della missione per il terzo millennio. Lo facciamo insieme ai comboniani riuniti in capitolo. I giovani della carovana riescono quindi ad entrare direttamente e in modo approfondito nella riflessione del capitolo, facendosi essi stessi protagonisti della riflessione. Fr. Arturo va alla radice della questione, riflettendo sulla cultura occidentale e il pericolo di continuare ad esportarla acriticamente, nei suoi lati più violenti e necrofili.

La fragilità umana e la forza della preghiera, nella speranza, sono i filo rosso lungo cui ci accompagna.

 

Mercoledì 10 settembre: Parrocchia di S. Saturnino

Incontro di riflessione sulla Pacem in Terris

con testimonianza di Bienvenue (Congo) e Sr. Rachele (Uganda)

 

Cerchiamo di scendere in periferia, di stanare Dio immerso tra i poveri, ma anche di stanare l’umanità della gente che corre o che sembra lontana.

Per questo, oltre alle tende del Vangelo, ci inseriamo il 10 settembre sera in una parrocchia del centro, nello sforzo di coinvolgere le persone che anche lì cercano di essere cristiane.

Tentiamo di spiegare quale spirito guida la carovana e quale passione sta risvegliando in noi. Ci riferiamo di nuovo alla Pacem in Terris e tentiamo di scavare più a fondo, perché anche alla gente ‘venga appetito’ e tramite il lavoro “Riscoprirsi persone responsabili” si sforzi di tradurre la profezia dell’enciclica in azione fedele e dirompente per la pace oggi. E’ urgente capire quanto può essere forte il contributo delle nostre piccole comunità cristiane nella costruzione della pace.

Il cuore della serata è raccolto attorno alla vita di Bienvenue e sr. Rachele. Vengono dall’Africa entrambi (un giovane congolese e una suora comboniana che ha vissuto in Uganda): ci interessa restituire la parola all’Africa violentata dalla guerra perché sia questo il grido che ci convoca alla responsabilità.

Bienvenue racconta del suo lavoro, in un’equipe di difesa dei diritti umani. Viene dal Kivu, terra insanguinata dalla guerra dei grandi laghi. Ci ha messo troppo la comunità internazionale ad ammettere che è stata una guerra d’invasione. Sono passati quattro milioni di morti, e ancora si combatte.

Denunciare la violenza, fare i nomi dei guerriglieri, esigere giustizia è ancora troppo pericoloso e Bienvenue viene arrestato. Sottoposto a torture insieme ai suoi, perde un amico morto in carcere, riesce a fuggire, a stento esce dal Congo e scappa. Arriva in Italia senza riferimenti, anche qui viene arrestato, rilasciato in strada, dorme in stazione, orientato da un altro africano finché trova il canale che lo porta fino allo status di rifugiato politico. Sta terminando ora la facoltà di Scienze Politiche con indirizzo rivolto alla costruzione della pace nella comunità internazionale. Segue il travaglio del suo paese da lontano: nei giorni delle stragi più grandi ne cerca notizia sui nostri giornali, ma la vittoria della Lazio ha la meglio: otto pagine sulla squadra del cuore e nemmeno un trafiletto per l’ennesima strage di migliaia di morti in un giorno solo.

  Sr. Rachele è comboniana. Lo era di nome dopo i voti e molti anni passati in Uganda, lo è diventata di fatto un giorno di marzo dell’ 89, ne ricorda ancora la data.

Ci racconta del suo travaglio correndo dietro alle dieci studentesse (“mie figlie”) rapite dall’esercito di Cony (LRA) insieme ad altre decine di donne del villaggio. “In quel momento, disperata in cammino sulle loro tracce, l’ho sentito nel cuore: sto facendo causa comune”.

Sr. Rachele è madre della Nigrizia. Lo è diventata di fatto quando si è inginocchiata davanti ai ribelli e si è offerta in cambio della liberazione di più di cento ragazze. Bambini e bambine rapiti dalla Lord Resistence Army e addomesticati alla guerra, ipnotizzati dalla violenza. Storie dilanianti, di adolescenti costretti a uccidere i loro compagni. Ha sofferto sr. Rachele per raccoglierle dentro di sé e parlarcene, le taciamo qui in profondo rispetto e in un silenzio denso di dolore.

Tratteniamo solo l’immagine di questa suora dalla voce timida, che ci ha inchiodati al suo dolore. La ricordiamo con quel crocefisso davanti a sé, posato sulla bandiera della pace, perché è lui che ha agito e le ha dato in quei momenti la forza e le parole: solo in Dio è la nostra forza. A fianco un pezzettino del cranio di p. Raffaele Di Bari, bruciato vivo in Uganda, perché non c’è altra strada se non questa: amare i nostri nemici e dare la vita per chi amiamo.

Abbiamo sentito ancora un po’ di più la forza della nonviolenza, narrata e vissuta dal cuore di una donna che convoca subito tra noi i cammini di altre donne, come Valdênia e Magouws.

L’umanità di sr. Rachele, l’impotenza di chi si abbandona e la sua ostinazione: questo ha salvato tante sue figlie. Come Comboni, si è mossa al cospetto dei grandi della terra, attraverso l’Europa e l’Africa, dove tutti ascoltano, promettono ma dimenticano presto. E allora è proprio a noi, piccoli pellegrini, che consegna una responsabilità immensa: proteggere la vita dei più piccoli. Ci raccogliamo in silenzio, capaci solo di rinnovare con tutte le energie il nostro impegno personale.

Bienvenue ha osato un tempo nuovo, in un brevissimo tempo ha fatto un cammino interiore liberante, una promessa di vita.

Rachele ha incisa nella carne un’alleanza fatta di volti che continuano a scorrerle davanti.

E noi, noi cosa aspettiamo ad assumere completamente il nostro posto, a donare tutto una volta per sempre?

“…una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà posta in grembo”.  

Per leggere la testimonianza di suor Rachele clicca qui

 

Giovedì 11 settembre: Parrocchia di S. Maria in Campitelli

Veglia di preghiera contro tutti i terrorismi

  “Io sogno un giorno di entrare in una chiesa dove non si trova un crocifisso ma i nomi delle vittime dei terrorismi”. Tuonano così le parole di d. Luigi Ciotti nella chiesa di S. Maria in Campitelli, durante la veglia contro tutti i terrorismi. Affaticato e sofferente, Luigi invoca l’impegno per la giustizia e la verità, che stanno alla radice della pace. Commenta con coraggio e passione la nonviolenza di Gesù di Nazareth, che ha insegnato a mettere al primo posto sempre e comunque l’uomo. Affronta con veemenza la nostra società e i valori che ci accomodano: il possesso, l’apparire, il successo, il sesso. E rivendica l’essere inadeguati di fronte a questo sistema, riconoscere i propri limiti, accettarsi per quello che si è, sicuri di essere amati dal Padre.

Sono tre quarti d’ora di grida, di meditazione e condivisione che penetrano la Parola di Dio e ce la restituiscono applicata alla realtà di oggi per riconoscere i segni della sua incarnazione: i poveri, i derelitti, gli esclusi.

E’ poi p. Alex che ribadisce l’origine cristiana della nonviolenza e che afferma l’esigenza di “Osare un tempo nuovo” per cambiare rotta rispetto al sistema di morte che ci troviamo di fronte. Con calma e profonda coscienza che ogni parola che lo anima scaturisce dal Vangelo, Alex prega per tutte le vittime dei terrorismi e in particolare per coloro che vivono ogni giorno “l’11 settembre” a causa della fame e della guerra. Terrorismo non è infatti solo una serie di azioni violente che vogliono minare la base e la fiducia di un popolo, ma è anche una serie di politiche e decisioni economiche da parte dei “grandi” della terra, che determinano la sorte di 40 milioni di persone all’anno!

Accorrono diverse persone, molti giovani per pregare e riprendere speranza. E’ bello chiedere perdono ai popoli dei cinque continenti per gli errori e gli abusi commessi nei loro confronti. Ha un significato profondo e profetico scambiarsi qualcosa di proprio con il vicino: piccolo segno di condivisione della lotta.

Allora è possibile “Osare un tempo nuovo”, mettercela tutta e ripartire con coraggio senza mai perdere la Speranza, spendersi completamente per e con gli altri, che sono sempre una ricchezza, contro ogni terrorismo, a favore della vita, della pace, della giustizia.

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E’ stato significativo, dopo sette giorni di immersione tra le gente, salire a Montesole, per lavarsi con la memoria dalla fuliggine dell’inserzione nei bassifondi delle città. Perché comunque l’immersione ti annebbia la testa, ti rende partecipe della vita di un quartiere, ma con il pericolo di farti dimenticare perché ti sei messo in strada.

Il tempo a Montesole si è fermato, e le querce controllano che questo tempo non riparta. E’ come fosse una vasca piena d’acqua in cui immergersi, in cui sentire le sensazioni che quell’acqua ti porta; Montesole è una vasca piena di terra macchiata di sangue, che ti ricorda per che cosa sei ancora in strada. Significativa la figura di Giuseppe Dossetti, uno dei padri della costituente, uno dei teologi del Concilio, che qui ha vissuto e fondato la sua famiglia di monaci: egli vede Gesù Cristo facendosi custode di quel luogo di strage; contempla la croce ricordando, facendo memoria dei perseguitati e uccisi nel monte; seppellito in quello stesso cimitero cha sa ancora odore del sangue, diventa custode, anche nella morte, di quei luoghi sacri. Dossetti ha capito che solo facendo memoria e facendoci custodi di una storia fatta di stragi possiamo pensare, credere, osare un tempo nuovo.

Solo ricordando la paura di quelli che un attimo dopo sarebbero stati fucilati, possiamo osare la scelta di buttare via un fucile, solo facendo memoria dei morti per fame o per Aids, possiamo ricordarci che è colpa anche nostra e da qui ripartire, solo facendo memoria di tutti i perseguitati politici e martiri per la democrazia possiamo ricordarci di quanto sia importante lavorare per una democrazia effettiva e partecipativa. Solo ricordando, osiamo un tempo nuovo. Comunque non c’è pace a Montesole. Anche camminando di notte per i suoi sentieri, o pregando nella chiesetta diroccata, luogo di strage, non puoi non sentire quanto quel luogo gridi ancora la sua innocenza.

Non c’è pace a Montesole, perché hanno memoria le querce, hanno memoria.

Tutti noi ci sentiamo in comunione con quella terra, che ha visto così tanta sofferenza e dolore: vogliamo ricordare, vogliamo che non si dimentichi di ciò che è successo. Di fronte  ad assurdità come questa, non ci sono le parole giuste per esprimere quello che abbiamo dentro, ma c’è solo un doveroso e rispettoso silenzio. La chiesa diroccata rappresenta non solo un monumento, un edificio abbandonato, ma è un monito, un altolà, una segno chiaro dei tempi, che ci aiuta riflettere sulla guerra del passato, ma anche e soprattutto sulle guerre attuali.

Finiamo la giornata in raccoglimento con una Veglia di Preghiera per fare memoria della strage di Marzabotto e di tutte le vittime di ogni guerra; veglia alla quale si uniscono a noi molte persone, venute dalle zone circostanti; partecipa anche p. Alex; preghiamo per questi morti innocenti, ma anche per impegnarci a promuovere quella cultura di educazione e di promozione della pace, affinché episodi efferati e drammatici come questo, non si ripetano mai più.

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Barbiana Marcia  Agliana-Quarrata "I diritti degli altri"

Barbiana

Di buon mattino, carichi della memoria e dell’eredità dei trucidati di Montesole e del grande profeta Giuseppe Dossetti, ci mettiamo in movimento per “respirare” i luoghi di un altro scomodo profeta: don Lorenzo Milani.

Facciamo sosta a Vicchio, al “Centro Formazione e Ricerca don Lorenzo Milani”. Ci presentano la figura del “priore” un paio di interventi, del prof. Bruno Becchi e di “Nanni” Banchi, un falegname che dopo aver collaborato sporadicamente con la scuola di Barbiana scoprì veramente don Milani  tre anni dopo la morte.

Rapidamente ripartiamo per Barbiana dove ascoltiamo due testimonianze della Scuola popolare di Calenzano (prima parrocchia in cui il giovane d. Lorenzo condivise il suo ministero sacerdotale).

Carlo e la moglie Donatella, dalla provincia di Parma, ci raccontano come anche loro tentano d’incarnare lo “spirito milaniano” nella scelta di allargare la famiglia tramite affidi. Come don Milani, credono profondamente nelle potenzialità di ogni persona.

Al termine, viviamo un momento di preghiera sulla tomba di Milani. L’impegno e le scelte di don Lorenzo ci spingono anche oggi a recuperare la coscienza davanti alle pressioni di vario tipo che provengono dal sistema. Una ventata di ottimismo ci è giunta anche dal fatto che la scuola di Barbiana raccoglieva tutti ragazzi espulsi o inadatti al mondo della scuola: non è possibile dare qualcuno per spacciato!!

Condividiamo il pranzo nella cooperativa “Il Forteto”. Rodolfo, uno dei fondatori, ci ha raccontato come con una trentina di amici, nel 1976, si misero a progettare uno stile di vita che recuperasse le relazioni con l’ambiente e soprattutto tra le persone. I nuclei familiari in cui ora vivono hanno spazi propri ma un refettorio comune. Quasi tutte le famiglie si sono allargate accogliendo ragazzi e ragazze attraverso l’assegnazione del giudice dei minori, in  collocamento giudiziario.

 

Marcia per la giustizia Agliana-Quarrata: “I diritti degli altri”

Partiamo per Quarrata, per partecipare alla marcia insieme a tre ragazzi della comunità di Carlo e Donatella “Il Molino delle Assi” (Joel, Simone e Susy).

Ci siamo recati ad Agliana (PT) per partecipare alla marcia della giustizia, per lottare a favore dei diritti dell’uomo e per riflettere e manifestare preoccupazione grave per le pericolose derive della nostra politica.

Camminavano moltissime persone, di gruppi, associazioni, della società civile che cerca, a tratti con fatica, di far sentire la sua voce, nel dissenso nonviolento rispetto ad alcune decisioni presi dai “pochi”. Durante il cammino abbiamo parlato, conversato, chiacchierato, condiviso, spiegando il senso della nostra presenza. I carovanieri hanno animato la marcia denunciando la mostruosità del progetto neoliberista del WTO a Cancun: era il giorno di mobilitazione nazionale. Una serie di grandi maschere usate nel teatro di strada circolavano tra la gente sorpresa e coinvolgevano i passanti: la nonviolenza ha sete di creatività!

A Quarrata Gino Strada, p. Alex Zanotelli, Beppe Grillo, Gianni Minà, Gherardo Colombo, Gian Carlo Caselli sono i portavoce di tutto quello che nel lungo cammino ci siamo detti passo dopo passo; abbiamo bisogno di persone che catalizzano le nostre voci, ma siamo i primi a non dover tacere!

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Ore 7:30. Con gli occhi assonnati, ma con il cuore scaldato dall’utopia sulla piazza di Quarrata, in occasione della X° marcia per la giustizia, la carovana e altri amici si riunisce per la preghiera del mattino.

Dopo la lettura del vangelo del giorno, p. Alex spezza con noi la Parola di vita e la benedizione per la nuova tappa.

Il sole è tiepido e il vento pizzica in volto. Al centro del cerchio umano formatosi, viene portata una zucca con la terra del Kenya. Il segno è consegnato da due giovani del GIM che hanno condiviso il mese d’agosto 2003 con il popolo keniota. Anche un caro amico di Bergamo ci lascia il frutto del lavoro delle cooperative in cui lavora: del formaggio che sa di sudore, di riscatto… di comunità.

E sulle nostre spalle sventolano le sciarpette colorate provenienti dall’Ecuador e sempre più intrise di sudore e di incontri.

Il tempo dell’ultimo abbraccio benedicente e la carovana si rimette in marcia. Destinazione: Brescia. Vivremo la consegna dei tanti testimoni che abbiamo incontrato, una consegna che aprirà lo sguardo sul mondo: la prima professione religiosa di sei nuove sorelle comboniane.

Ci aggreghiamo alla moltitudine presente. E’ un momento forte, intenso. Durante la celebrazione si mescolano i sentimenti vissuti in questi 10 giorni, i volti incontrati riemergono, si incrociano gli sguardi e le storie ascoltate… Li portiamo con noi. Siamo in tanti e lo saremo ancor di più con queste sei nuove donne missionarie che, consacrate da Dio, sono inviate ai più poveri e abbandonati dell’Africa.

Osare un tempo nuovo è giocarci in prima persona per far esplodere il noi comunitario; è non aver paura di costruire il regno di Dio qui ed ora.

La missione di Gesù a cui ogni battezzato è chiamato, è di non aver paura a prendere una posizione determinata: l’amore di Dio è una passione continua per l’escluso che ci rimanda sempre fuori da noi.

L’incontro con tanti amici condiviso nella gioia e nel clima di festa, ci fa giungere a serata inoltrata con gli occhi stanchi ma con il cuore estremamente felice.

Grazie e buon cammino… domani “chiuderemo” il nostro inizio nella terra di Daniele Comboni.

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15 settembre- Limone sul Garda

Lunedì 15 settembre. Ultimo giorno ufficiale di carovana. Per alcuni di noi invece, l’ultima giornata è stata ieri. Ci è dispiaciuto lasciarli quasi alla fine, ma oggi loro sono con noi in modo speciale.

Prima di partire per ODOLO (BS), dove saremo ospiti a casa dei genitori di p. Mosè per trascorrere insieme un momento di festa e di convivialità, ci prendiamo un po’ di tempo per abbozzare il documento conclusivo della Carovana 2003.

 

Nel tardo pomeriggio arriviamo a Limone sul Garda, nella casa natale del beato Daniele Comboni, che il 5 ottobre verrà canonizzato a Roma.

La pesantezza si fa sentire: gli spostamenti, i ritmi intensi, le realtà incontrate, i chilometri percorsi da una tappa all’altra, le emozioni provate, le poche ore di sonno, tutto contribuisce.

Nella cappellina ci apprestiamo a concludere con un momento semplice, ma intenso di preghiera. Sopra l’altare vengono posti i segni che nelle varie tappe abbiamo raccolto: simboli del nostro passaggio che ci sono stati donati e che rappresentano la gratuità dell’incontro con le persone e le storie che in questi dodici giorni abbiamo incrociato. Ognuno di noi tiene in mano la sciarpetta ecuadoreña, la stringe a sé, come fosse parte integrante di noi; l’altra metà poggia sull’altare, per sentirci tutti in comunione tra noi, con il mondo e con Dio.

Concludiamo in preghiera, lasciando affiorare la grazia che Dio ci ha fatto: abbiamo ricevuto tutto, ci sembra di non aver dato niente; concludiamo cercando di condividere i pesi e le gioie che fin dal primo giorno ci portiamo nel cuore; cerchiamo di capire il segno che questa carovana lascerà dentro ognuno di noi… forse è troppo presto, ci vorrà tempo, abbiamo appena cominciato…

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