La Pace nelle nostre mani

Carovana della Pace 2003 

 

Testimonianza di Suor Rachele:

"ho fatto causa comune con le mie figlie ugandesi"

 

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Riportiamo qui di seguito la trascrizione dell'intervento che suor Rachele ci ha regalato durante la Carovana della Pace 2003. Ci racconta la sua storia di missionaria in Uganda per fare  causa comune con le "sue figlie" ugandesi rapite dalla LRA...

Per conoscere meglio la situazione dell'Uganda martoriata dalla guerra vai allo speciale Uganda

Roma, 10 settembre 2003

Testimonianza di sr. Rachele Missionaria Comboniana 

in Uganda

  

Sono qui a raccontare la tragedia immensa della mia gente, della nostra gente. Ieri sera mi sono messa a scrivere ma mi son detta: “Come faccio a spiegare questa lunga storia in poco tempo?”. Non mi sentivo in grado. Questa mattina, appena alzata, ho guardato il crocefisso e mi ha dato pace e ho pensato: “Devo portarLo con me perché è Lui la Pace.”. Quello che il Signore mi dona questa sera di poter condividere con voi  è dono Suo. Vorrei che gli occhi nostri e vostri fossero su di Lui non su di me… perché è troppo quello che mi presto a condividere, quello che ho dentro e quello che condivido profondamente dentro di me ho paura di rovinarlo, e ho paura anche dell’orgoglio, della soddisfazione personale… siamo persone umane.

Gli occhi siano su di Lui perché quello che mi ha donato di vivere in Uganda è dono Suo.

Prima di tutto vorrei chiedere perdono a Te e a voi perché io sono arrivata in Uganda nel 1982  e la tragedia immensa per la nostra gente del nord Uganda, per i bambini, per le famiglie,  è iniziata nel 1988… io nell’88 non mi sono mossa, non ho fatto niente per la mia gente. Ho visto soffrire. I bambini venivano portati via dai ribelli (L.R.A. -Lord Resistance Army-, ndr.).

E’ stato poi nell’89 che il Signore è entrato nella mia vita in una maniera incredibile, violenta: quando i ribelli, un centinaio di questi ribelli, sono entrati nella nostra scuola e hanno portato via 10 delle nostre ragazze, 32 seminaristi del seminario vicino e una sessantina di persone del villaggio. Il Signore mi ha aiutato, con due insegnanti, a seguirli per liberare le ragazze. Io devo ringraziarti o Signore perché ho camminato con Te, in sentieri molto aspri; perché sono comboniana e tante volte ho sentito e detto fare causa comune mentre camminavo in cerca delle mie bambine. Ad un certo punto, mentre con i maestri inseguivamo i ribelli abbiamo visto cinque persone uccise ai lati della strada e centinaia di case bruciate una desolazione che non vi so raccontare. Mentre ero lì, dentro di me dentro sono sgorgate queste parole: “Sono qui per fare causa comune con voi!”. Sono diventata comboniana là, il 22 Marzo 1989, ma non sono riuscita a liberare le mie ragazze, loro sono riusciti a scapparci. Allora sono tornata a casa e abbiamo cominciato a bussare alle porte del presidente, dei militari, dell’arcivescovo, del cardinale, delle ambasciate che si occupano di tutta la “sicurezza” della nostra zona. Allora ci hanno dato i militari per proteggere la scuola. Con i militari noi ci siamo sentite tranquille, ma a Gulu, Kitgum e in altre zone continuavano a portare via  bambini, a bruciare case, a tagliare le labbra, a tagliare le orecchie, a fare cose incredibili… Ma noi ci sentivamo abbastanza tranquilli, perché avevamo i militari fra di noi, e questo dall’89 fino al 1996.

L’8 Ottobre del 1996, ci hanno trasferiti per alcuni giorni, c’erano notizie terribili: i ribelli erano a Lira, molto vicini.  Abbiamo cercato aiuto, ma il mattino del 10 Ottobre1996, un centinaio di questi ribelli, di notte alle 2,15 a.m. sono entrati nella scuola e ci hanno portato via 152 bambine, centocinquantadue! Son venuti di notte, hanno sfondato il muro dei dormitori, distrutto una finestra e portato via le ragazze. Li ho seguiti e con un insegnante li abbiamo incontrati con le nostre ragazze ed altri bambini e persone che avevano rapito. Abbiamo camminato con loro per quaranta chilometri, giungendo così alla loro base. Io camminavo con il rosario in mano e anche loro avevano il rosario! Ad un certo punto mi rivolgo al capo implorandolo: “Dammi le bambine;  mi rispose: “Sì, non temere che te le do.” Arrivati alla loro base mi disse che me ne dava 109 e ne teneva 30. Non posso descrivere quello che ho provato là….ma là, in quel momento io sono diventata madre, Pia Madre della Nigrizia perché quando lui disse, e lo scrisse per terra, “ne lascio 109 e ne tengo 30”, sotto gli occhi di tutte le bambine mi sono inginocchiata davanti a lui e ho detto: “Dammele tutte e tieni me!”. E in quel momento per me sono diventate vere le parole del Vangelo quando il Signore dice che non c’è nulla di più grande che dare la vita. In quel momento ho capito queste parole. Lui non ha accettato che rimanessi lì, e sono dovuta venire via con le 109 promesse ma prima di andarmene lui mi disse di prendere anche un’altra bambina che non apparteneva al gruppo della mia scuola. Ma io avevo chiesto solo la liberazione delle bambine della nostra scuola e non  altri bambini fuori dal nostro gruppo… 

Mentre mi sto ascoltando mi scuso perché non so se con le parole posso descrivere quanto ho sentito, vissuto, visto…

La bambina di dieci anni non l’ho chiesta… ma è stata portata via anche lei… e lui questo capo dei ribelli, che era uno dei più crudeli, mi disse: “portati via anche lei.”

Lì per lì non capii. Più tardi, nel 1998, mi hanno chiesto di fare una testimonianza a Milano e lì ho capito: in ogni cuore anche in quello del più crudele c’è qualcosa che tu Signore hai messo dentro, in ogni cuore…

Ho dovuto lasciare là 30 ragazze e non vi posso descrivere nulla di quel momento…no… è stato il dolore più grande della mia vita. Ho perso mio fratello gemello nel 85 e pensavo di morire; è morto mio papà: un dolore grande… ma lasciare là quelle trenta ragazze nelle mani dei ribelli è stato il dolore più grande! Sono tornata con le 109. Dovrei stare qui tutta la notte per descrivervi tutto, ma non sarebbe sufficiente. Mentre con i miei piedi camminavo, Suor Alba, la preside della scuola, ed alcuni direttori hanno formato il gruppo genitori per lavorare per la liberazione dei bambini. Abbiamo incominciato a bussare a tutte le porte: quindici volte o sedici sono andata dal presidente Museweni , tre o quattro nelle varie ambasciate, abbiamo incontrato Kofi Annan, Mandela, Gheddafi in Libia, siamo andate a Brusselles, per incontrare l’incaricata dei diritti umani Mary Robinson, Angelina, la mamma di una delle nostre bambine che sono ancora là, è andata a Washington e a New York e quando Clinton è venuto in Uganda abbiamo incontrato la signora Clinton, quando Powell è venuto in Uganda abbiamo incontrato la signora Powell… ho scritto qui tutte le persone che abbiamo incontrato e a tutte abbiamo chiesto una cosa sola: “Aiutateci a liberare tutti i nostri bambini”. Una mamma disse: ”Ma tu, tu lavori per le tue ragazze”. No! Alle mamme abbiamo detto che noi lavoriamo per tutti i bambini dell’Uganda, circa 20.000, che in tutti questi anni sono stati portati via. Sono diventati tutti nostri figli.

Mi chiederete, come ti hanno ascoltato tutti quei grandi da cui sei andata? Quando andavo da questi grandi mi veniva in mente subito Comboni. Quante volte questa vita che ho vissuto mi ha fatto diventare vera comboniana, ha fatto diventare vivo il mio fondatore. Quando io andavo, mi sentivo così piccola, eppure entravo così come sono, perché non ho altro. Vedete, non so parlare, non ho quel dono, ne ho tanti ma questo no e dicevo: “Vi chiedo una cosa sola: la liberazione dei bambini”. E tutti mi accoglievano bene, veramente e tutti mi hanno promesso. Quando sono andata in Libia, Gheddafi mi ha promesso che lui avrebbe dato tutti gli aerei per trasportare i nostri migliaia di bambini ma… Kofi Annan ha detto che avrebbe parlato al Security Council. Nel 2000, se non erro, l’Italia doveva diventare membro del Security Council, ma è subentrata la Norvegia allora è venuta una rappresentante della Norvegia in Uganda, ha voluto incontrare la presidente del Comitato dei Genitori, Angelina, e me, e siamo andate da questa signora. Ci accolse e ci chiese: “Cosa posso fare per voi?”, noi con Angelina ci siamo guardate e le abbiamo detto: “Ora lei è membro del Security Council. Le chiediamo semplicemente che se ha l’occasione di avere i contatti con i ribelli, di dir loro che si ricordino delle loro madri e se incontra il presidente, le domandi cosa farebbe se tra i tanti bambini rapiti ci fosse pure suo figlio. Noi gli chiediamo di fare quello che lui farebbe se suo figlio o sua figlia fossero come i nostri bambini”.

E continuammo a bussare a molte porte. Le mie ragazze erano a scuola! In prima, seconda e terza “liceo” dai tredici ai sedici anni, 152 bambine che studiavano, e alle quali insegnavo  Biologia. Sapete, me le vedo ancora davanti… Charlot mi guardava con occhi grandi. Così la trovai nel  bosco. Ha già partorito due figli da quei ribelli. Me le vedo qui. Una di loro era chiara di pelle e Koni il capo dei ribelli se l’è presa subito perché l’ha scambiata per la figlia di Museweni, (è chiaro di pelle).

Queste bambine erano a scuola, cosa ne hanno fatto dei nostri bambini? Di questi bambini che portano via cosa ne fanno questi ribelli? Gli insegnano a uccidere, a massacrare la gente, a bruciare, a rubare. Le ragazze vengono violentate; alcuni se ne prendono due, altri dieci, quindici. Omona ha preso tutte le nostre ragazze tra cui Luisa ed Angela. Luisa era in prima, tredici anni, Angela era in terza, quindici anni. Omona è morto nel '98 di AIDS.

Vi rendete conto di questa tragedia dell’Uganda?

Sono andata anche da Mandela. C’è stata una conferenza stampa ma i referenti non arrivarono e allora mi hanno chiesto una testimonianza (mai come in quella circostanza mi sono sentita strumentalizzata) ed io per le mie bambine vado ovunque a piedi. Durante la testimonianza arriva uno e mi domanda: “Ma tu, tu stai parlando dei bambini soldato, delle tue bambine, dell’Uganda, ma tu hai mai parlato dei bambini della Sierra Leone?!”. Ho detto: “Ti prego scusami, io non ho fatto niente per i bambini della Sierra Leone, e tu hai fatto qualcosa per loro?”. Tante porte, tante occasioni, tante parole, tante promesse e grandi speranze. Pensate che nel 98 sembrava dovessero venire qui a Roma; mi sembrava un sogno: finalmente liberate. Avevano già preparato le culle perché qualcuna sarebbe venuta con i bambini. Ma invece non arrivarono mai. Sono venuti là in tantissimi a fare dei documentari, articoli per i giornali… le mie bambine, le ragazze, le mie figlie sono ancora nelle mani di quei ribelli. Una di loro è stata massacrata. Molto probabilmente perché aveva voluti difendere i più piccoli: era Judie. Quando ho dovuto lasciarle là le ho detto: “Judie, ti lascio il rosario” e mi rispose: “Suora non si preoccupi, le proteggo io le più piccole”. Nel 97 Judie con una bambina di Gulu, Katerin, sono state picchiate dalle altre bambine. Quando i ribelli picchiano e puniscono lo fanno fare ai bambini. Capite? Voi capite che questi ragazzi, che sono stati portati via, che sono nelle mani di questi ribelli, li trasformano in macchine per uccidere. Judie… Della sua morte siamo state informate da Agnes, una bambina che è scappata dai campi dei ribelli del Sudan nel Luglio del 99, ed è arrivata in Uganda nel 2000. Era incinta di sette mesi, due ragazzi sono riusciti a scappare con lei, il bambino le è morto dentro e questi due ragazzi la hanno aiutata a tirarlo fuori… ma vi rendete conto? Agnes ora ha ripreso la scuola e vuole diventare medico. Con lei vi sono altre ragazze che sono riuscite a fuggire e che stanno recuperando, e le altre?

E pensate a Davide, un ragazzo che ho incontrato in uno di questi due centri di Gulu per la riabilitazione dei bambini. Venne portato via da una scuola di Gulu all’età di sedici anni, rimase due anni con questi ribelli e a diciotto riuscì a scappare. Un giornalista gli chiese che cosa faceva con i ribelli e Davide rispose: “Io mi curavo di quelli che scappavano. Quando tornavano li punivamo. Penso di aver ucciso 120 persone.” Ci pensate? Cosa avrà dentro quel ragazzo? Come fare per recuperarlo? E’ una tragedia immensa che incredibilmente ha cambiato anche me. E’ stato il Signore ha cambiarmi.  Pensate, io per natura sarei abbastanza violenta dentro, eppure in quella tragedia non ho mai avuto per nessuno, perché qui, la responsabilità di questa tragedia, ce l’abbiamo tutti. Ce l’ha il governo ugandese, ce l’ha la nostra gente, ce l’ha la comunità internazionale, ma soprattutto ce l’ho io.

Quello che il Signore mi ha donato di fare è stato questo: di avere nel cuore il desiderio di voler contattare tutti e così abbiamo contattato anche i ribelli. Abbiamo avuto il dono di andare nei campi dei ribelli in Sud Sudan per trattare le bambine. Erano là e una bambina di dodici anni mi prese in disparte e mi disse: “Le tue figlie sono qui”. Appena abbiamo lasciato il campo, l’hanno uccisa.

Ci sono momenti in cui mi chiedo se Kofi Annan si ricorda il peso delle parole che mi ha detto allo Sheraton Hotel di Kampala. E Gheddafi se le ricorda? Museweni se le ricorda?

A tutti loro ho scritto una lettera nella quale dicevo:

”Il Signore ti faccia strumento di Pace”.

 

Per concludere questo momento, ho portato con me un pezzettino del cranio di p. Raffaele di  Bari che è stato bruciato vivo. Lo porto sempre con me, perché mi fa memoria, mi ricorda la mia e la nostra vocazione. Il dono più grande che il Signore ci può fare veramente è dare la vita ed è un frutto di questa tragedia immensa che non riesco neanche a trasmettervi, scusate se balbetto un po’. Vi chiedo di ringraziare il Signore con me e che il Signore ci metta nel cuore il desiderio di dare la vita per i fratelli che è il dono più grande.

Grazie Padre nostro, il dono è la vita che hai dato; tu non hai mai accusato nessuno. Avevi le braccia aperte per tutti, militari, ribelli… per tutti! E non c’è dono più grande di dare la nostra vita.

Signore grazie e grazie a voi.