Sono
qui a raccontare la tragedia immensa della mia gente, della nostra
gente. Ieri sera mi sono messa a scrivere ma mi son detta: “Come
faccio a spiegare questa lunga storia in poco tempo?”. Non mi
sentivo in grado. Questa mattina, appena alzata, ho guardato il
crocefisso e mi ha dato pace e ho pensato: “Devo portarLo con me
perché è Lui la Pace.”. Quello che il Signore mi dona questa
sera di poter condividere con voi
è dono Suo. Vorrei che gli occhi nostri e vostri fossero
su di Lui non su di me… perché è troppo quello che mi presto a
condividere, quello che ho dentro e quello che condivido
profondamente dentro di me ho paura di rovinarlo, e ho paura anche
dell’orgoglio, della soddisfazione personale… siamo persone
umane.
Gli
occhi siano su di Lui perché
quello che mi ha donato di vivere in Uganda è dono Suo.
Prima
di tutto vorrei chiedere perdono a Te e a voi perché io sono
arrivata in Uganda nel 1982 e
la tragedia immensa per la nostra gente del nord Uganda, per i
bambini, per le famiglie, è
iniziata nel 1988… io nell’88 non mi sono mossa, non ho fatto
niente per la mia gente. Ho visto soffrire. I bambini venivano
portati via dai ribelli (L.R.A. -Lord Resistance Army-, ndr.).
E’
stato poi nell’89 che il Signore è entrato nella mia vita in
una maniera incredibile, violenta: quando i ribelli, un centinaio
di questi ribelli, sono entrati nella nostra scuola e hanno
portato via 10 delle nostre ragazze, 32 seminaristi del seminario
vicino e una sessantina di persone del villaggio. Il
Signore mi ha aiutato, con due insegnanti, a seguirli per liberare
le ragazze. Io devo ringraziarti o Signore perché ho camminato
con Te, in sentieri molto aspri; perché sono comboniana e tante
volte ho sentito e detto fare
causa comune mentre camminavo in cerca delle mie bambine. Ad un certo
punto, mentre con i maestri inseguivamo i ribelli abbiamo visto
cinque persone uccise ai lati della strada e centinaia di case
bruciate una desolazione che non vi so raccontare. Mentre ero lì,
dentro di me dentro sono sgorgate queste parole:
“Sono qui per
fare causa comune con voi!”. Sono diventata comboniana
là, il
22 Marzo 1989, ma non sono riuscita a liberare le mie ragazze,
loro sono riusciti a scapparci. Allora sono tornata a casa e
abbiamo cominciato a bussare alle porte del presidente, dei
militari, dell’arcivescovo, del cardinale, delle ambasciate che
si occupano di tutta la “sicurezza” della nostra zona. Allora
ci hanno dato i militari per proteggere la scuola. Con i militari
noi ci siamo sentite tranquille, ma a Gulu, Kitgum e in altre zone
continuavano a portare via bambini,
a bruciare case, a tagliare le labbra, a tagliare le orecchie, a
fare cose incredibili… Ma noi ci sentivamo abbastanza
tranquilli, perché avevamo i militari fra di noi, e questo
dall’89 fino al 1996.
L’8
Ottobre del 1996, ci hanno trasferiti per alcuni giorni, c’erano
notizie terribili: i ribelli erano a Lira, molto vicini. Abbiamo
cercato aiuto, ma il mattino del 10 Ottobre1996, un centinaio di
questi ribelli, di notte alle 2,15 a.m. sono entrati nella scuola
e ci hanno portato via 152 bambine, centocinquantadue! Son venuti
di notte, hanno sfondato il muro dei dormitori, distrutto una
finestra e portato via le ragazze. Li ho seguiti e con un
insegnante li abbiamo incontrati con le nostre ragazze ed altri
bambini e persone che avevano rapito. Abbiamo camminato con loro
per quaranta chilometri, giungendo così alla loro base. Io
camminavo con il rosario in mano e anche loro avevano il rosario!
Ad un certo punto mi rivolgo al capo implorandolo: “Dammi le
bambine”; mi
rispose: “Sì, non temere che te le do.” Arrivati alla loro
base mi disse che me ne dava 109 e ne teneva 30. Non posso
descrivere quello che ho provato là….ma là, in quel momento io
sono diventata madre, Pia Madre della Nigrizia perché quando lui
disse, e lo scrisse per terra, “ne lascio 109 e ne tengo 30”,
sotto gli occhi di tutte le bambine mi sono inginocchiata davanti
a lui e ho detto: “Dammele tutte e tieni me!”. E in quel
momento per me sono diventate vere le parole del Vangelo quando il
Signore dice che non c’è nulla di più grande che dare la vita.
In quel momento ho capito queste parole. Lui non ha accettato che
rimanessi lì, e sono dovuta venire via con le 109 promesse ma
prima di andarmene lui mi disse di prendere anche un’altra
bambina che non apparteneva al gruppo della mia scuola. Ma io
avevo chiesto solo la liberazione delle bambine della nostra
scuola e non altri
bambini fuori dal nostro gruppo…
Mentre
mi sto ascoltando mi
scuso perché non so se con le parole posso descrivere quanto ho
sentito, vissuto, visto…
La
bambina di dieci anni non l’ho chiesta… ma è stata portata
via anche lei… e lui questo capo dei ribelli, che era uno dei più
crudeli, mi disse: “portati via anche lei.”
Lì
per lì non capii. Più tardi, nel 1998, mi hanno chiesto di fare
una testimonianza a Milano e lì ho capito: in
ogni cuore anche in quello del più crudele c’è qualcosa che tu
Signore hai messo dentro, in ogni cuore…
Ho
dovuto lasciare là 30 ragazze e non vi posso descrivere nulla di
quel momento…no… è stato il dolore più grande della mia
vita. Ho perso mio fratello gemello nel 85 e pensavo di morire; è
morto mio papà: un dolore grande… ma lasciare là quelle trenta
ragazze nelle mani dei ribelli è stato il dolore più grande!
Sono tornata con le 109. Dovrei stare qui tutta la notte per
descrivervi tutto, ma non sarebbe sufficiente. Mentre con i miei
piedi camminavo, Suor Alba, la preside della scuola, ed alcuni
direttori hanno formato il gruppo genitori per lavorare per la
liberazione dei bambini. Abbiamo incominciato a bussare a tutte le
porte: quindici volte o sedici sono andata dal presidente Museweni
, tre o quattro nelle varie ambasciate, abbiamo incontrato Kofi
Annan, Mandela, Gheddafi in Libia, siamo andate a Brusselles, per
incontrare l’incaricata dei diritti umani Mary Robinson,
Angelina, la mamma di una delle nostre bambine che sono ancora là,
è andata a Washington e a New York e quando Clinton è venuto in
Uganda abbiamo incontrato la signora Clinton, quando Powell è
venuto in Uganda abbiamo incontrato la signora Powell… ho
scritto qui tutte le persone che abbiamo incontrato e a tutte
abbiamo chiesto una cosa sola: “Aiutateci a liberare tutti i
nostri bambini”. Una mamma disse: ”Ma tu, tu lavori per le tue
ragazze”. No! Alle mamme abbiamo detto che noi lavoriamo per
tutti i bambini dell’Uganda, circa 20.000, che in tutti questi
anni sono stati portati via. Sono diventati tutti nostri figli.
Mi
chiederete, come ti hanno ascoltato tutti quei grandi da cui sei
andata? Quando andavo da questi grandi mi veniva in mente
subito Comboni. Quante volte questa vita che ho vissuto mi ha
fatto diventare vera comboniana, ha fatto diventare vivo il mio
fondatore. Quando io andavo, mi sentivo così piccola,
eppure entravo così come sono, perché non ho altro. Vedete, non
so parlare, non ho quel dono, ne ho tanti ma questo no e
dicevo:
“Vi chiedo una cosa sola: la liberazione dei bambini”. E tutti
mi accoglievano bene, veramente e tutti mi hanno promesso. Quando
sono andata in Libia, Gheddafi mi ha promesso che lui avrebbe dato
tutti gli aerei per trasportare i nostri migliaia di bambini ma…
Kofi Annan ha detto che avrebbe parlato al Security Council. Nel
2000, se non erro, l’Italia doveva diventare membro del Security
Council, ma è subentrata la Norvegia allora è venuta una
rappresentante della Norvegia in Uganda, ha voluto incontrare la
presidente del Comitato dei Genitori, Angelina, e me, e siamo
andate da questa signora. Ci accolse e ci chiese: “Cosa posso
fare per voi?”, noi con Angelina ci siamo guardate e le abbiamo
detto: “Ora lei è membro del Security Council. Le chiediamo
semplicemente che se ha l’occasione di avere i contatti con i
ribelli, di dir loro che si ricordino delle loro madri e se
incontra il presidente, le domandi cosa farebbe se tra i tanti
bambini rapiti ci fosse pure suo figlio. Noi gli chiediamo di fare
quello che lui farebbe se suo figlio o sua figlia fossero come i
nostri bambini”.
E
continuammo a bussare a molte porte. Le mie ragazze erano a
scuola! In prima, seconda e terza “liceo” dai tredici ai
sedici anni, 152 bambine che studiavano, e alle quali insegnavo
Biologia. Sapete, me le vedo ancora davanti… Charlot mi
guardava con occhi grandi. Così la trovai nel
bosco. Ha già partorito due figli da quei ribelli. Me le
vedo qui. Una di loro era chiara di pelle e Koni il capo dei
ribelli se l’è presa subito perché l’ha scambiata per la
figlia di Museweni, (è chiaro di pelle).
Queste
bambine erano a scuola, cosa ne hanno fatto dei nostri bambini? Di
questi bambini che portano via cosa ne fanno questi ribelli? Gli
insegnano a uccidere, a massacrare la gente, a bruciare, a rubare.
Le ragazze vengono violentate; alcuni se ne prendono due, altri
dieci, quindici. Omona ha preso tutte le nostre ragazze tra cui
Luisa ed Angela. Luisa era in prima, tredici anni, Angela era in
terza, quindici anni. Omona è morto nel
'98 di AIDS.
Vi
rendete conto di
questa tragedia dell’Uganda?
Sono
andata anche da Mandela. C’è stata una conferenza stampa ma i
referenti non arrivarono e allora mi hanno chiesto una
testimonianza (mai come in quella circostanza mi sono sentita
strumentalizzata) ed io per le mie bambine vado ovunque a piedi.
Durante la testimonianza arriva uno e mi domanda: “Ma tu, tu
stai parlando dei bambini soldato, delle tue bambine,
dell’Uganda, ma tu hai mai parlato dei bambini della Sierra
Leone?!”. Ho detto: “Ti prego scusami, io non ho fatto niente
per i bambini della Sierra Leone, e tu hai fatto qualcosa per
loro?”. Tante porte, tante occasioni, tante parole, tante
promesse e grandi speranze. Pensate che nel 98 sembrava dovessero
venire qui a Roma; mi sembrava un sogno: finalmente liberate.
Avevano già preparato le culle perché qualcuna sarebbe venuta
con i bambini. Ma invece non arrivarono mai. Sono venuti là in
tantissimi a fare dei documentari, articoli per i giornali… le
mie bambine, le ragazze, le mie figlie sono ancora nelle mani di
quei ribelli. Una di loro è stata massacrata. Molto probabilmente
perché aveva voluti difendere i più piccoli: era Judie.
Quando
ho dovuto lasciarle là le ho detto: “Judie, ti lascio il
rosario” e mi rispose: “Suora non si preoccupi, le proteggo io
le più piccole”. Nel 97 Judie con una bambina di Gulu, Katerin,
sono state picchiate dalle altre bambine. Quando i ribelli
picchiano e puniscono lo fanno fare ai bambini. Capite? Voi capite
che questi ragazzi, che sono stati portati via, che sono nelle
mani di questi ribelli, li trasformano in macchine per uccidere.
Judie… Della sua morte siamo state informate da Agnes, una
bambina che è scappata dai campi dei ribelli del Sudan nel Luglio
del 99, ed è arrivata in Uganda nel 2000. Era incinta di sette
mesi, due ragazzi sono riusciti a scappare con lei, il bambino le
è morto dentro e questi due ragazzi la hanno aiutata a tirarlo
fuori… ma vi rendete conto? Agnes ora ha ripreso la scuola e
vuole diventare medico. Con lei vi sono altre ragazze che sono
riuscite a fuggire e che stanno recuperando, e le altre?
E
pensate a Davide, un ragazzo che ho
incontrato in uno di questi
due centri di Gulu per la riabilitazione dei bambini. Venne
portato via da una scuola di Gulu all’età di sedici anni,
rimase due anni con questi ribelli e a diciotto riuscì a
scappare. Un giornalista gli chiese che cosa faceva con i ribelli
e Davide rispose: “Io mi curavo di quelli che scappavano. Quando
tornavano li punivamo. Penso di aver ucciso 120 persone.” Ci
pensate? Cosa avrà dentro quel ragazzo? Come fare per
recuperarlo? E’ una tragedia immensa che incredibilmente ha
cambiato anche me. E’ stato il Signore ha cambiarmi. Pensate, io per natura sarei abbastanza violenta dentro,
eppure in quella tragedia non ho mai avuto per nessuno, perché
qui, la responsabilità di questa tragedia, ce l’abbiamo tutti.
Ce l’ha il governo ugandese, ce l’ha la nostra gente, ce
l’ha la comunità internazionale, ma soprattutto ce l’ho io.
Quello
che il Signore mi ha donato di fare è stato questo: di
avere nel cuore il desiderio di voler contattare tutti
e così abbiamo contattato anche i ribelli.
Abbiamo avuto il dono
di andare nei campi dei ribelli in Sud Sudan
per trattare le
bambine. Erano là e una bambina di dodici anni mi prese in
disparte e mi disse: “Le tue figlie sono qui”. Appena abbiamo
lasciato il campo, l’hanno uccisa.
Ci
sono momenti in cui mi chiedo se Kofi Annan si ricorda il peso
delle parole che mi ha detto allo Sheraton Hotel di Kampala. E
Gheddafi se le ricorda? Museweni se le ricorda?
A tutti loro ho scritto
una lettera nella quale dicevo:
”Il Signore
ti faccia strumento di Pace”.
Per
concludere questo momento, ho portato con me un pezzettino del
cranio di p. Raffaele di Bari
che è stato bruciato vivo. Lo porto sempre con me, perché mi fa
memoria, mi ricorda la mia e la nostra vocazione. Il
dono più grande che il Signore ci può fare veramente è dare la
vita ed è un frutto di questa tragedia immensa che non riesco
neanche a trasmettervi, scusate se balbetto un po’. Vi chiedo di
ringraziare il Signore con me e che il Signore ci metta nel cuore
il desiderio di dare la vita per i fratelli che è il dono più
grande.
Grazie
Padre nostro, il dono è la vita che hai dato; tu non hai mai
accusato nessuno. Avevi le braccia aperte per tutti, militari,
ribelli… per tutti! E non c’è dono più grande di dare la
nostra vita.
Signore
grazie e grazie a voi.
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