LO SPAZIO E TEMPO SCUOLA
“MILLE
BARBIANA” di Edoardo Martinelli
(alunno del
Priore
dal
1964 al '67)
Forum
dei saperi – Università – Cosenza
Settembre
2005
“Non
faccio più che lingua e lingue.
Mi richiamo dieci venti volte per sera
alle etimologie.
Mi fermo sulle parole,
gliele seziono,
gliele faccio vivere come persone
che hanno una nascita,
uno sviluppo,
un trasformarsi,
un deformarsi”.
LA
PAROLA
Voglio riflettere
liberamente con voi e trasmettere così la mia esperienza
educativa a partire dai lontani anni sessanta, quando un grande
Maestro ebbe la pretesa di far scuola trasformando le parole in
veri e propri personaggi. “ La
parola, ci diceva, è la chiave fatata che apre ogni porta”.
Il dominio sul mezzo
d’espressione, nucleo fondante l’insegnamento di Lorenzo
Milani, era un concetto che si legava subito alla conoscenza delle
origini della lingua.
Le parole dovevano essere riflettute, guai a fermarsi al semplice
significato! Dovevano condurci ovunque.
Era frequente
interrompere la lezione per correre dietro alle etimologie delle
parole più astruse e sconosciute. Erano le parole stesse che
producevano i percorsi formativi, che solo apparentemente
sembravano informali, ma che nella realtà consentivano alla
classe di produrre il proprio libro di testo
e i propri materiali.
Attraverso la
costruzione degli strumenti didattici il ragazzo interagiva con la
realtà comprendendo il nesso tra la conoscenza, il
sapere, e la politica, il
saper fare. “Quando il
povero saprà dominare le parole come personaggi, la tirannia del
farmacista, del comiziante e del fattore sarà spezzata”.
Era questo il motivo per cui la scuola non poteva sottrarsi
al compito di preparare alla politica e alla vita sociale.
L’educazione
aveva, a Barbiana, un filo conduttore che dava centralità
all’allievo, considerato cittadino
attivo e “non subalterno”, avendo come fine ultimo: la formazione alla “sovranità”.
Un riferimento che ci conduce, senza citarla, alla paideia
degli antichi greci, quale iniziazione dei giovani alla
cittadinanza. Con lo slogan: “imparare
a conoscere, imparare a convivere, imparare a essere e imparare a
fare,” l’UNESCO ci vuole proporre un modello ideale
formativo. Cosa significa?
I veri riformatori
dello Stato moderno erano più che convinti che la democrazia non
si tutela solo con il voto-delega, Hitler andò al potere con il
voto. Uno Stato si considera democratico soprattutto per il
livello culturale e partecipativo raggiunto dai propri cittadini.
La morte dello Stato non è avvenuta, come auspicava lo stesso
Gramsci nei Quaderni
dal carcere, per un
processo di crescita di democrazia perché la società politica è
stata assorbita da quella civile, ma piuttosto per una
dislocazione dei centri di potere reale. L’impero sovietico,
all’apice, crolla per implosione grazie alla combattività e
allo sciopero bianco della società civile, ma anche le grandi
democrazie socialdemocratiche europee stanno crollando su se
stesse, ma per il motivo opposto: il calo d’attenzione alle
problematiche culturali e sociali a favore del consumo.
La stessa Idea di Dio diventa appartenenza etnica (vedi
intervento di Pera), non è più necessaria la fede, basta il
danaro per essere cristiano.
Dice Aldo
Capitini: “Ogni società
fino ad oggi è stata oligarchica, cioè governata da pochi, anche
se rappresentanti di molti; oggi specialmente, malgrado la
diffusione di certi modi detti democratici, il potere (un potere
enorme) è in mano a pochi, in ogni Paese. Bisogna, invece,
arrivare ad una società di tutti, alla omnicrazia”.
Ieri chiunque
parlasse di scuola lo faceva in un contesto politico, culturale e
economico solido che poteva fungere da supporto a tale pensiero.
Il supporto alla scuola di Barbiana era la cultura contadina,
sobria e non permissiva. Due mappe concettuali esperte, sobrietà
e permissivismo, che dovrebbero generare scritture, soprattutto in
un momento in cui ai contadini del meridione si paga i pomodori 3
euro la tonnellata. A cosa sono valse le lotte sindacali del dopo
guerra fino agli anni ’70? Oggi siamo costretti a riformare in
piena dissoluzione dello Stato e in un calo consistente delle
risorse.
Con la fine del
mondo moderno, il crollo dei muri che separavano, ma anche delle
grandi intese internazionali sui diritti dell’uomo, dopo la
guerra dei Balcani e dell’Iraq, l’ONU ha perso il suo ruolo.
All’ottimismo di un ordine mondiale è subentrata la “delusione
disperata della guerra”.
Finiti i blocchi, l’occidente ricco decide che c’è un mondo
da salvare e un mondo da lasciar perdere, a costo di una guerra
preventiva perché le risorse non bastano più.
A fronte di tali
problematiche cosa fare per trasformare il nostro gruppo classe in
una comunità pensante che possiede e utilizza precise facoltà
mentali?
Lorenzo Milani
risponderebbe con una di quelle frasi che ricorrevano
quotidianamente nella nostra scuola: “Estremizziamo
i concetti per capirli meglio”. Ecco che la mia
riflessione la voglio portare a questo limite estremo che mi dà
la libertà di produrre un pensiero critico verso l’istituzione
scolastica di oggi che
non va preso, è ovvio, alla lettera, ma che ci consente non solo
di insegnare, ma di riflettere sull’apprendimento per andare
dritti alla radice del problema.
IL
DIALOGO
E’ nel dialogo
che il maestro e l’allievo, cercano la verità per mezzo del confronto, evitando
ogni forma di predeterminazione, mettendo in gioco i vari punti di
vista e le rispettive posizioni. Tale reciprocità esprime il
desiderio di produrre un processo
formativo: in cui le idee e il proprio punto di vista
vengono messi completamente in discussione, fino a demolire abiti
mentali ereditati e giammai riflettuti. Spesso tale processo, ci
diceva il Priore, produce soltanto “una
scala di valori” o tentativi.
Ci spinge a cercare nuove prospettive tra i diversi mondi
disciplinari per poi pervenire alla condivisione e integrazione.
Proprio quando crediamo di sapere scopriamo di stare ancora per
imparare, crescere e divenire.
Con questa frase: “Sei
d’accordo con quello che penso oggi, che ho pensato ieri o che
penserò domani?” il Priore di Barbiana ci metteva in
guardia ponendosi, a volte, non sopra, ma sotto la cattedra. Era
anche quello uno dei luoghi privilegiati da cui il Maestro
organizzava i saperi, selezionava, dirigeva, costruiva strutture
mentali, diventava regista
dell’ambiente educativo che stava tra la didattica e
l’autodidattica, tra lo scolastico e l’extrascolastico. Ciò
avveniva attraverso un metodo, intuitivo, ma anche ben strutturato
che fu denominato: tecnica
umile della scrittura collettiva e che più tardi
analizzerò in modo approfondito.
Spesso nella nostra
scuola tale dialogo si riduce a una prassi burocratica basata
sulla pianificazione delle attività annuali. I nostri schemi
mentali rigidi ci impediscono di andare oltre e la relazione,
alunno/insegnante, si riduce spesso nell’atto di riempire
contenitori vuoti: registro e portafolio. Un educatore, la cui
pratica d’insegnamento si volesse basare su un rapporto
dialogico, è spesso compresso dall’assillo dei programmi, dalle
disposizioni e valutazioni ministeriali, dalle pretese altrettanto
rigide delle famiglie sui tempi e modi d’attuazione dei
programmi stessi, condizionati, a loro volta, dall’influenza
ormai prevalente, dei Media. E non solo. Raramente i
percorsi programmati
dall’equipe pedagogica contemplano “gli attesi imprevisti”
o “i motivi occasionali”,
veri e propri grimaldelli del pensiero pedagogico di Lorenzo
Milani, a cui le riforme del governo di destra e di sinistra si
sono solo strumentalmente o in parte ispirate.
Proprio dopo la
Scuola Primaria, quando il ragazzo sta diventando adulto, si pone
interrogativi, riflette sulla propria condizione e scelte future,
il dialogo viene meno e si trasforma in lezione frontale,
disciplinare e teoricamente pianificata. Quale deve essere il
metro di misura per verificare la maturità di un adolescente? La
comprensione del mondo politico, economico e sociale o la vita di
Giuseppe Garibaldi?
Nel primo anno
della Scuola Secondaria di Primo Grado è opportuno dedicare mesi
alla formazione, gestione e conduzione del gruppo. Sancire regole
comuni e condivise. Individuare competenze e limiti. Il gruppo
classe non si può permettere d’essere bloccato da stupide forme
di bullismo, ma deve poter lavorare come un’equipe. In esso
vengono riconosciute le attitudini di ognuno, ripartiti i compiti
oltre i limiti dell’orario scolastico e instaurato un “sistema
d’interazione”. Questa strategia presuppone un metodo
d’insegnamento che sposta l’attenzione: dai saperi alla
persona, dai programmi ministeriali omnicomprensivi al bagaglio
delle conoscenze necessarie e di partenza dell’allievo. “Le
conoscenze frammentate servono solo ai tecnici ma non consentono
di far fronte alle sfide che caratterizzano la nostra epoca.
Dobbiamo realizzare una nuova organizzazione dei saperi, disgiunti
e frazionati che abbiano la capacità di approcci
multidisciplinari. L’approccio riduzionista rende impotente la
comprensione e impedisce una visione a lungo termine, produce
intelligenze insensibili e incapaci”. Erano contenuti forti
quelli riversati nella scuola da Berlinguer e dal gruppo dei
saggi, purtroppo con poco dialogo e mescolati all’idea di scuola
azienda.
L’educatore,
capace di produrre un contesto, non deve esporre semplicemente in
un percorso logico sequenziale le materie scolastiche, calandole
dall’alto verso il basso, ma
trovare strategie, metodi e tecniche che partendo dal “motivo
occasionale” o dall’”atteso imprevisto” siano capaci di
penetrare i nuclei fondanti le discipline, attraverso la ricerca e
il metodo cooperativo. La pratica buona ce la espone lo stesso
Lorenzo nell’autodifesa del ’65, spiegando in poche parole il
segreto di Barbiana: “Eravamo come sempre insieme quando un amico ci portò il ritaglio di
un giornale. ‘Si presentava come un comunicato dei cappellani
militari in congedo della regione Toscana ’… Ora io sedevo
davanti ai miei ragazzi nella mia duplice veste di maestro e di
sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Un
sacerdote che ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto più se
ingiuria chi è in carcere per un ideale. Non avevo bisogno di far
notare queste cose ai miei ragazzi. Le avevano già intuite. E
avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una
lezione di vita”.
… Come ben potete verificare, per il Priore, motivo occasionale e
motivazione sono la stessa cosa.
IL
TEMPO
Per Platone, c’è
come una linea diretta tra lui e Lorenzo Milani, conoscere
significava guardare al passato,
procedere a ritroso. In questa logica educare ci conduce a
un atteggiamento verso il tempo diverso dal modo tradizionale con
cui oggi insegniamo, ma torniamo all’autodifesa: “Abbiamo
dunque preso i nostri libri di storia (per la precisione il Saitta,
lo Smith e gli atlanti) e siamo riandati cento anni di storia
italiana in cerca di una guerra giusta”.
Sarebbe bello poter
anche noi considerare gli eventi che ci propone la quotidianità,
una volta usavamo l’articolo di fondo del giornale, oggi non si
può prescindere dalle nuove tecnologie della comunicazione che
solo la scuola può rendere da unidirezionali a interattive.
E’ assurdo
riproporre a ragazzi che stanno diventando adulti un ampliamento
nozionistico delle materie della Scuola Primaria, (con la scusa
demenziale di trovare dicotomia tra scienze e umanistica) a
scapito dell’acquisizione di schemi logici essenziali, strategie
e strumenti indispensabili per apprendere ed imparare a
apprendere.
In questa prima
fase è logico che ci sia un rallentamento delle attività dovuto
all’acquisizione della metodologia, degli strumenti e dello
schema di lavoro. Non ci dobbiamo preoccupare. Il tempo
d’attenzione alla lezione frontale è così basso che riduce di
fatto il tempo scuola al 25%”. Voglio sottolineare un
“paradosso” suggeritomi da Rosanna Rota, un’insegnante di
Verona che vede positivo un tempo rallentato: “Mi
sono accorta che, piantandola con tutte le nostre fisime sulla
fretta, il lavoro in classe spesso si accelera. Sarà perché
conta di più il rapporto umano, sarà perché cala l’ansia da
prestazione dei ragazzi, sarà perché quando si approfondisce un
argomento può aumentare l’interesse nei suoi confronti, sarà
perché così gli alunni si sentono più valorizzati, sarà …
non so bene cosa, ma funziona”.
E’ sul perno del tempo
dell’apprendimento, a Barbiana era continuo
che si può incardinare una vera riforma della scuola, ma anche
considerando lo spazio, a Barbiana era circolare
e reticolare.
Ci ricorderebbe Platone che se Aion è il tempo dell’Essere, infrazionabile nella sua durata
perché, appunto, racchiude passato, presente e futuro, Chronos è invece il tempo del divenire che si può misurare ed
infine, Scholè,
da cui deriva tutto ciò che si riferisce a scuola, è il tempo
che trascorre senza assillo, non soggetto alle angosce della
necessità, portando in sé l'idea dell'indugio, dell'ozio, della
lentezza.
L’accesso alla
conoscenza si fonda principalmente sull’insieme dei concetti
che esprimono gli allievi, per mezzo della ricerca, e delle
preposizioni che li collegano tra loro attraverso il più
elementare strumento d’assemblaggio che oggi definiremmo: mappa
concettuale.
Qualcosa di diverso dall’apprendimento meccanico, dove le
informazioni vengono semplicemente immagazzinate senza
trasformarle in strutture mentali capaci di accogliere le stesse
nozioni. Non dimentichiamoci che la stessa percezione diventa
diversa in relazione a quante strutture mentali abbiamo costruito.
Lo ricorda all’allievo, con ironia,
lo stesso Socrate: “Sarebbe
proprio una bella cosa, Agatone, se la Sapienza potesse passare da
chi ne possiede di più a chi ne possiede di meno, solo mettendosi
l’uno accanto all’altro, come l’acqua che, attraverso un
filtro, scorre da un bicchiere pieno a uno vuoto”.
Non è sufficiente
integrare le idee nuove con le vecchie in una struttura fredda e
statica. Se vogliamo costruire significati nella mente degli
allievi che siano capaci di produrre il pensiero critico, creativo
e l’apprendimento significativo è necessario che tale
integrazione avvenga dentro una trama impregnata di spontaneità,
motivazione, piacere ed emotività. Solo così le nuove conoscenze
accedono ad una struttura che diventerà sempre più complessa e
articolata nel crescere dell’età, attraverso il fenomeno
dell’assimilazione. Nello stesso modo concetti errati vengono
corretti e quelli non conosciuti vengono recuperati sia nella zona
approssimale di sviluppo, si direbbe oggi, che nella zona
d’arrivo in modo che tutti restino dentro il ritmo della classe.
Chi conosce la corrispondenza tra Lorenzo Milani e Mario Lodi ha
un riferimento preciso in quello che viene definito “vocabolario
attivo”, le parole utilizzate, e “vocabolario passivo”, le
parole solo conosciute.
L’applicabilità di tale metodo ha come presupposto un contesto
dinamico che si lega al “qui ed ora”. Barbiana era un vero e
proprio centro editoriale, il tempo e il luogo della fruizione
dello strumento didattico coincidevano spesso con il tempo e il
luogo della produzione. Come punto di partenza dobbiamo
ben definire tale ambiente, volutamente mi ripeto, che fa da
contenitore alla nostra proposta educativa e individuare gli
oggetti mediatori che, entrando in rapporto tra loro diventano le
chiavi che aprono le porte della conoscenza. La
parola-personaggio, per esempio, che, attraverso i vocabolari,
ci conduce liberamente in qua e in là nello spazio e nel tempo.
Progettare uno
scenario-struttura, anziché provvedere ai soli contenuti permette
al docente di aderire alla realtà degli allievi e all’ambiente
in cui vivono le famiglie. Maestro, allievo e genitore devono
entrare in un processo in cui crescono insieme. A noi trovare le
strategie necessarie, altrimenti la parola
cittadino sovrano resterà un termine sancito ma non
applicato. I soggetti sociali, allievi - docenti - genitori, non
possono continuare a vivere l’attuale conflitto.
Alla canonica di
Lorenzo Milani ebbero accesso anche i giovani comunisti e per
consentire loro di sentirsi a proprio agio, siamo nel ‘48 in
pieno scontro sociale, il crocefisso viene tolto dalla parete
della scuola. Un atteggiamento che consentirà il confronto e che
romperà finalmente la divisione del popolo. Circa un centinaio di
giovani parteciperà nonostante il poco tempo libero e il duro
lavoro di allora: “ Spesso
gli amici mi chiedono come faccio a fare scuola e come faccio a
averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che
io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica.
Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare
per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter far
scuola.…
Bisogna avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici.
Non bisogna essere interclassisti, ma schierati. Bisogna ardere
dell’ansia di elevare il povero a un livello superiore. Non dico
a un livello pari a quello dell’attuale classe dirigente. Ma
superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più
tutto.
E allora vedrete che gli operai verranno, che lasceranno in asso tutte
le ricreazioni del mondo, che s’arrenderanno nelle mani del loro
prete per lasciarsi costruire da lui.
Da un prete così son disposti a accettare di tutto: divisioni a tre
cifre, verbi, dettato, storia, politica, teologia, scenate,
malumore. Tutte le materie son buone e tutti i modi di proporle
son buoni.
Per dare pari
opportunità era sceso dal pulpito e la stessa omelia, in origine
significa conversazione, era dialogata in un continuum che non
aveva limiti di luogo e di tempo. E’ questo atteggiamento sia
educativo che pastorale che lo renderà incomprensibile a quel
tempo. Non ci furono possibilità ad alcuna mediazione. Questo suo
essere schierato e nello stesso tempo alla ricerca di una verità
oggettiva, il suo modo d’educare quindi, lo porterà
inevitabilmente a Barbiana, anche se il suo atteggiamento cerca
solo intonazione,
“aderenza tra parola e pensiero”.
Parlando delle
differenze, esistenti nel popolo, ribadirà: “La
differenza vera
non è nella quantità o qualità del tesoro chiuso nella
mente e nel cuore, ma in qualcosa che sta sulla soglia fra il
dentro e il fuori, anzi è la soglia stessa, la
parola”. Pur essendo cosciente che non è la tecnica
l’anima dell’insegnamento, sosterrà allo spasimo, che
l’arte dello scrivere si può apprendere e insegnare.
E ci presenta il profilo di un educatore che appare umile che è
preso dal bisogno di offrire pari opportunità strumentali.
LO
SPAZIO
E’ a Barbiana che
il profilo del pedagogo s’evolve e diventa: Regista
e portatore di strumenti.
Il termine pedagogo
significa colui che conduce l’allievo nel luogo
dell’apprendimento. Ieri il maestro conduceva gli allievi in
posti che erano dei veri e propri banchetti, sui campi di
battaglia, nelle aule di tribunale.
Voglio fare il
parallelo tra la scuola media di Barbiana e la Scuola Secondaria
di primo grado, una scuola che dobbiamo non riformare, ma
trasformare radicalmente. Spero che il nuovo governo di sinistra
si ricordi della Riforma dei cicli o meglio della necessità di
raccordare meglio i cicli tra loro.
Oggi tale luogo
comprende la cattedra, l’insegnante, 25/30 adolescenti e tutte
le attività gestite in 30/40 metri
quadri. E’ indubbia l’esigenza di ridurre fortemente
tale rapporto (15 allievi sarebbe l’ottimale), magari riducendo
l’orario scolastico a favore del tempo d’attenzione. Il tempo
d’insegnamento portato a 16
ore la settimana ed investito solo in tre classi
attenuerebbe il passaggio da poche figure di riferimento della
Primaria alle troppe della Secondaria di primo grado.. Aprendo le
strutture della scuola, palestre, aule e biblioteche, ad altri
soggetti sociali che con le loro attività creino un
tempo continuo introducendo le abilità e gli interessi del
territorio. Allungando il tempo scuola a chi è in difficoltà.
Qualcuno mi dirà che mancano le risorse. Se non abbiamo il
coraggio di privilegiare la scuola a scapito degli stadi, che
prospettive daremo ai nostri figli? ma che dico, ai nostri nipoti?
Se ne è parlato anche troppo di riforma, ma in tempi e spazi
lontani dai luoghi in cui si faceva scuola. Gli insegnanti
migliori hanno percepito, sia nella Riforma Berlinguer che in
quella della Moratti, un clima di restaurazione. Se non altro
Berlinguer alla fine era riuscito a produrre, pur negli errori,
una, anche se debole, riflessione attorno ai contenuti e le
proposte, del così definito, gruppo dei saggi.
L’autonomia aveva spinto le scuole ad elaborare i propri
curricoli e a renderli più adatti a ragazzi che vivono nella
società di oggi. Il Governo Berlusconi e la Moratti hanno
sostenuto chi sentiva la necessità di tornare indietro, ai vecchi
modelli, e hanno costretto gli insegnanti più disponibili al
cambiamento ad arroccarsi sempre più nella classe.
Mi rendo conto che
a questo punto il racconto mediato dalle parole/personaggi ci
conduce sì indietro nel tempo, ma in un tempo reale.
A sentire tanti
intellettuali o pedagogisti di oggi, Barbiana, sarebbe diventata
ormai una semplice metafora. Un non luogo, utopico per intenderci,
quindi irraggiungibile!
Forse è proprio per questo motivo che Don Milani è
diventato, ormai, più un simbolo o un mito che un maestro
concreto e non fa più paura. Lui che ha passato il suo tempo a
contestualizzare e demistificare la storia diventa suo malgrado un
mito dell’educazione, o un santino in più da mettere su un
piedistallo o un tabernacolo.
Attenzione al mito!
Non dimentichiamo che, secondo Platone, il mito era un modo di
esprimere ciò che deriva dall’opinione
e non aveva alcuna certezza scientifica.
Usciamo quindi da
questo gioco di parole e chiediamoci concretamente:
“In quale luogo il Priore conduceva l’allievo?”
Vorrei qui
dimostrare che intanto Barbiana non è associabile ai luoghi
dell’esclusione, ma dell’inclusione e azzarderei, del
privilegio. Sono patetici quegli studiosi di Barbiana che vogliono
legare tale esperienza all’eccezionalità di una povertà
estrema. I contadini di Barbiana erano simili in tutto ai
contadini d’Italia solo, avendolo capito, avevano investito
tutto nella Scuola. Per lungo tempo Barbiana fu scuola una media
unificata. Avevamo la stanza con i tavoli a ferro di cavallo, dove
svolgevamo le attività insieme, come la lettura della posta o del
giornale o vedevamo il cinema. Su tali temi avveniva
un’aggregazione per interessi e non per fasce d’età.
Avevamo uno studio
fotografico, l’officina, la falegnameria, i prati, gli alberi e
il cielo, l’astronomia era una materia importante, così
com’era importante manipolare,
costruendo anche i banchi e le seggiole.
Spesso la scuola si
spostava all’estero e la chiamavamo vacanza, ma era anche il
nostro esame di maturità. Ivan
Illich nel suo bellissimo libro “Nella vigna del testo” ci
ricorda che vacare significa esser
stato liberato o liberarsi , che il termine pone
l’accento sulla voglia di dedicarsi
a un nuovo genere di vita e non a staccarsi da vecchie
abitudini o servitù.
Infatti, a Barbiana,
il processo formativo considerava la liberazione dell’individuo,
soprattutto di quello che non ha i cromosomi del dottore.
“Liberiamoci dal
pensiero che produce solo pensiero e guardiamo la condizione
dell’umanità” sottolinea padre Balducci in una vecchia
intervista. Diamo, quindi, alla scuola una impostazione
antropologica, creiamo uno sfondo integratore sempre più vicino
alla realtà. Un invito non solo ad uscire dalla classe, ma ad aderire
ai bisogni e alle risorse presenti nel territorio circostante,
quale punto di partenza per andare oltre e aprire, così, i veri
fronti della riflessione. Altrimenti le scritture collettive,
tante sono le esperienze che si rifarebbero al Priore di Barbiana
e che ho visitate, resteranno un mero assemblaggio di opinioni
senza verifica o rapporto con la moda o le nuove tendenze.
A questo punto
vediamo come il Priore descrive il luogo dell’apprendimento,
dovendosi difendere in tribunale per apologia di reato ossia, ci
diceva, per aver malamente insegnato la storia del ‘900:
“La scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale
solo ciò che è legge stabilita.
La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti
entrambi.
E' l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un
lato formare in loro il senso della legalità (e in questo
somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volontà di leggi
migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla
vostra funzione).
Un buon educatore conduce l’allievo in una zona di “confine”,
in una zona di intersezione e laica, ma non neutrale, tortuosa,
affilata e a rischio quale il filo di rasoio. Dove non esistono più
certezze, bensì il primato della coscienza, il libero esercizio
della ragione critica, i problemi concreti da risolvere, è quella soglia dalla
quale dobbiamo estrarre le ricchezze che l’allievo ha dentro. Un
luogo dove si affrancano i sentimenti, liberi di agire quali
elementi fondanti la motivazione.
Voglio fare una
breve parentesi. Che senso ha, allora, la distinzione tra scuola
laica e scuola cattolica?
Fra i numerosi
equivoci che inquinano oggi la discussione sulla scuola pubblica e
privata, ma direi l’intero processo d’integrazione politica
tra cattolici e non,
c'è anche il frequente uso improprio del termine «laico»,
parola così ricca di significato e valore. La laicità è un
abito mentale che tutti i docenti dovrebbero possedere, e che, una
volta indossato, ci consente di distinguere ciò che è
dimostrabile da ciò che invece è oggetto di fede. E’
l'attitudine critica a dare al proprio credo filosofico o
religioso principi logici e
non oscurantisti.
Da “Non siamo capaci di
ascoltarli” di Paolo Crepet, esperienza relativa al periodo
in cui lavorava in un’università nella città danese di
Aaarhus: “…Tutto apparentemente, si regolava attorno
all’avvenimento più importante della giornata: il pranzo. I
bambini eleggevano chi tra loro quella mattina doveva redigere
l’elenco dei prodotti da acquistare, raccogliere i soldi,
andare al vicino mercato e comprare il necessario per
cucinare. Dopo, chi tornava dal mercato doveva render conto di
ciò che aveva comprato, per poi consegnarlo ai bambini
addetti alla cucina. Infine, si preparava il pranzo e si
mangiava tutti assieme, insegnanti compresi. In questo modo i
bimbi non solo apprendevano a leggere, a scrivere e a far di
conto – anzi, apprendevano meglio e più rapidamente,
stimolati da attività che li riguardavano e li interessavano
in maniera diretta - , ma soprattutto imparavano ad essere
autosufficienti, a cavarsela da soli senza che un adulto fosse
necessariamente presente a controllarli. Quella scuola
insegnava a volersi bene. Una volta cresciuti avrebbero
sviluppato le loro risorse di autonomia e avrebbero lottato
per raggiungerla in quanto dimensione esistenziale strategica.
Nel Timeo, Platone distingue due tipi di tempo, creando delle
interessanti relazioni tra loro.Il primo è il tempo eonico (aion
deriva da tò aei on = ciò che è sempre), che egli definisce
il tempo dell'essere, inteso nella sua durata non
frazionabile. Il secondo è il chronos, vale a dire il tempo
del divenire, inteso nel suo fluire come sequenza di momenti.
Mentre il primo è un tempo dell'essere senza divenire,
l'altro è un tempo del divenire senza essere.
“… Rispetto alle Università occidentali, i corsi di
Chennal hanno almeno una particolarità che salta agli occhi
il: lavoro manuale. «In effetti, abbiamo preso un po' da
tutto l’Occidente – spiega Elango -è questo è un lascito
dei tedeschi che, qui, all'inizio, erano molto presenti». NeI
primo anno, per sei ore a settimana, tutti gli studenti vanno
in officina a filettare viti, forgiare strumenti, limare a
piano una superficie, costruire connessioni elettriche.
Qualcosa
che, da noi, non si fa quasi più neanche negli Istituti
tecnici. Per gli studenti, dice Vinod, è un po' di relax.
Secondo Elango, «acuisce il senso della precisione, dimostra
che il presto è nemico del bene, abitua a un lavoro metodico».
Ma a forgiare gli studenti, c'è anche un retroterra storico
culturale. «Nella nostra cultura, nell'educazione dei nostri
figli - sottolinea N. K. Swaminathan, il padre della
"rivoluzione verde, che ha dato l'autosufficienza
alimentare all'India, negli anni'70 – danza e musica hanno
un posto di primo piano. E la musica, come sa, è per un terzo
significato, per un terzo ritmo, un terzo matematica »…”
Da articolo di Repubblica del 09/04/04
Ascoltiamo Ernesto Balducci in un articolo su Testimonianze
del 1972 intitolato “Don Milani fuori strada”, nel quale i
due tipi di educatore vengono messi a confronto: “
Se nei fatti la distinzione sopravvive è perché ambedue
ritagliano la loro diversità in un dogmatismo ideologico di
diverso segno in cui il ragazzo è visto come un soggetto da
acculturare, insomma come preda di caccia. Chi dinanzi a
questa funzione della scuola ancora si preoccupa dello
“specifico cristiano” non è in grado di comprendere la
testimonianza di Milani, anzi di comprendere il senso profondo
del Vangelo”
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