"Mille Barbiana"

Edoardo Martinelli alunno di don Milani

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LO SPAZIO E TEMPO SCUOLA

“MILLE BARBIANA” di Edoardo Martinelli (alunno del Priore dal 1964 al '67)

Forum dei saperi – Università – Cosenza

Settembre 2005

 Non faccio più che lingua e lingue.

Mi richiamo dieci venti volte per sera alle etimologie.

 Mi fermo sulle parole,

gliele seziono,

gliele faccio vivere come persone

 che hanno una nascita,

uno sviluppo,

un trasformarsi,

 un deformarsi[1]”.

 

 

LA PAROLA

Voglio riflettere liberamente con voi e trasmettere così la mia esperienza educativa a partire dai lontani anni sessanta, quando un grande Maestro ebbe la pretesa di far scuola trasformando le parole in veri e propri personaggi. “ La parola, ci diceva, è la chiave fatata che apre ogni porta”.

 Il dominio sul mezzo d’espressione, nucleo fondante l’insegnamento di Lorenzo Milani, era un concetto che si legava subito alla conoscenza delle origini della lingua[2]. Le parole dovevano essere riflettute, guai a fermarsi al semplice significato! Dovevano condurci ovunque.

Era frequente interrompere la lezione per correre dietro alle etimologie delle parole più astruse e sconosciute. Erano le parole stesse che producevano i percorsi formativi, che solo apparentemente sembravano informali, ma che nella realtà consentivano alla classe di produrre il proprio libro di testo[3] e i propri materiali.

Attraverso la costruzione degli strumenti didattici il ragazzo interagiva con la realtà comprendendo il nesso tra la conoscenza, il sapere, e la politica, il saper fare. “Quando il povero saprà dominare le parole come personaggi, la tirannia del farmacista, del comiziante e del fattore sarà spezzata[4]”.  Era questo il motivo per cui la scuola non poteva sottrarsi al compito di preparare alla politica e alla vita sociale.

L’educazione aveva, a Barbiana, un filo conduttore che dava centralità all’allievo, considerato cittadino  attivo e “non subalterno”, avendo come fine ultimo: la formazione alla “sovranità”. Un riferimento che ci conduce, senza citarla, alla paideia degli antichi greci, quale iniziazione dei giovani alla cittadinanza. Con lo slogan: “imparare a conoscere, imparare a convivere, imparare a essere e imparare a fare,” l’UNESCO ci vuole proporre un modello ideale formativo. Cosa significa?

I veri riformatori dello Stato moderno erano più che convinti che la democrazia non si tutela solo con il voto-delega, Hitler andò al potere con il voto. Uno Stato si considera democratico soprattutto per il livello culturale e partecipativo raggiunto dai propri cittadini. La morte dello Stato non è avvenuta, come auspicava lo stesso Gramsci  nei Quaderni dal carcere,  per un processo di crescita di democrazia perché la società politica è stata assorbita da quella civile, ma piuttosto per una dislocazione dei centri di potere reale. L’impero sovietico, all’apice, crolla per implosione grazie alla combattività e allo sciopero bianco della società civile, ma anche le grandi democrazie socialdemocratiche europee stanno crollando su se stesse, ma per il motivo opposto: il calo d’attenzione alle problematiche culturali e sociali a favore del consumo.  La stessa Idea di Dio diventa appartenenza etnica (vedi intervento di Pera), non è più necessaria la fede, basta il danaro per essere cristiano.

Dice Aldo Capitini: “Ogni società fino ad oggi è stata oligarchica, cioè governata da pochi, anche se rappresentanti di molti; oggi specialmente, malgrado la diffusione di certi modi detti democratici, il potere (un potere enorme) è in mano a pochi, in ogni Paese. Bisogna, invece, arrivare ad una società di tutti, alla omnicrazia”.

Ieri chiunque parlasse di scuola lo faceva in un contesto politico, culturale e economico solido che poteva fungere da supporto a tale pensiero. Il supporto alla scuola di Barbiana era la cultura contadina, sobria e non permissiva. Due mappe concettuali esperte, sobrietà e permissivismo, che dovrebbero generare scritture, soprattutto in un momento in cui ai contadini del meridione si paga i pomodori 3 euro la tonnellata. A cosa sono valse le lotte sindacali del dopo guerra fino agli anni ’70? Oggi siamo costretti a riformare in piena dissoluzione dello Stato e in un calo consistente delle risorse.

Con la fine del mondo moderno, il crollo dei muri che separavano, ma anche delle grandi intese internazionali sui diritti dell’uomo, dopo la guerra dei Balcani e dell’Iraq, l’ONU ha perso il suo ruolo. All’ottimismo di un ordine mondiale è subentrata la “delusione disperata della guerra[5]”. Finiti i blocchi, l’occidente ricco decide che c’è un mondo da salvare e un mondo da lasciar perdere, a costo di una guerra preventiva perché le risorse non bastano più.

A fronte di tali problematiche cosa fare per trasformare il nostro gruppo classe in una comunità pensante che possiede e utilizza precise facoltà mentali?

Lorenzo Milani risponderebbe con una di quelle frasi che ricorrevano quotidianamente nella nostra scuola: “Estremizziamo i concetti per capirli meglio”. Ecco che la mia riflessione la voglio portare a questo limite estremo che mi dà la libertà di produrre un pensiero critico verso l’istituzione scolastica di oggi  che non va preso, è ovvio, alla lettera, ma che ci consente non solo di insegnare, ma di riflettere sull’apprendimento per andare dritti alla radice del problema.

IL DIALOGO

E’ nel dialogo che il maestro e l’allievo, cercano la verità per mezzo del confronto, evitando ogni forma di predeterminazione, mettendo in gioco i vari punti di vista e le rispettive posizioni. Tale reciprocità esprime il desiderio di produrre un processo formativo: in cui le idee e il proprio punto di vista vengono messi completamente in discussione, fino a demolire abiti mentali ereditati e giammai riflettuti. Spesso tale processo, ci diceva il Priore, produce soltanto una scala di valorio tentativi. Ci spinge a cercare nuove prospettive tra i diversi mondi disciplinari per poi pervenire alla condivisione e integrazione. Proprio quando crediamo di sapere scopriamo di stare ancora per imparare, crescere e divenire.

Con questa frase: “Sei d’accordo con quello che penso oggi, che ho pensato ieri o che penserò domani?” il Priore di Barbiana ci metteva in guardia ponendosi, a volte, non sopra, ma sotto la cattedra. Era anche quello uno dei luoghi privilegiati da cui il Maestro organizzava i saperi, selezionava, dirigeva, costruiva strutture mentali, diventava regista dell’ambiente educativo che stava tra la didattica e l’autodidattica, tra lo scolastico e l’extrascolastico. Ciò avveniva attraverso un metodo, intuitivo, ma anche ben strutturato che  fu denominato: tecnica umile della scrittura collettiva e che più tardi analizzerò in modo approfondito.

Spesso nella nostra scuola tale dialogo si riduce a una prassi burocratica basata sulla pianificazione delle attività annuali. I nostri schemi mentali rigidi ci impediscono di andare oltre e la relazione, alunno/insegnante, si riduce spesso nell’atto di riempire contenitori vuoti: registro e portafolio. Un educatore, la cui pratica d’insegnamento si volesse basare su un rapporto dialogico, è spesso compresso dall’assillo dei programmi, dalle disposizioni e valutazioni ministeriali, dalle pretese altrettanto rigide delle famiglie sui tempi e modi d’attuazione dei programmi stessi, condizionati, a loro volta, dall’influenza  ormai prevalente, dei Media. E non solo. Raramente i percorsi  programmati dall’equipe pedagogica contemplano “gli attesi imprevisti[6]” o “i motivi occasionali[7]”, veri e propri grimaldelli del pensiero pedagogico di Lorenzo Milani, a cui le riforme del governo di destra e di sinistra si sono solo strumentalmente o in parte ispirate.

Proprio dopo la Scuola Primaria, quando il ragazzo sta diventando adulto, si pone interrogativi, riflette sulla propria condizione e scelte future, il dialogo viene meno e si trasforma in lezione frontale, disciplinare e teoricamente pianificata. Quale deve essere il metro di misura per verificare la maturità di un adolescente? La comprensione del mondo politico, economico e sociale o la vita di Giuseppe Garibaldi?

Nel primo anno della Scuola Secondaria di Primo Grado è opportuno dedicare mesi alla formazione, gestione e conduzione del gruppo. Sancire regole comuni e condivise. Individuare competenze e limiti. Il gruppo classe non si può permettere d’essere bloccato da stupide forme di bullismo, ma deve poter lavorare come un’equipe. In esso vengono riconosciute le attitudini di ognuno, ripartiti i compiti oltre i limiti dell’orario scolastico e instaurato un “sistema d’interazione”. Questa strategia presuppone un metodo d’insegnamento che sposta l’attenzione: dai saperi alla persona, dai programmi ministeriali omnicomprensivi al bagaglio delle conoscenze necessarie e di partenza dell’allievo. “Le conoscenze frammentate servono solo ai tecnici ma non consentono di far fronte alle sfide che caratterizzano la nostra epoca. Dobbiamo realizzare una nuova organizzazione dei saperi, disgiunti e frazionati che abbiano la capacità di approcci multidisciplinari. L’approccio riduzionista rende impotente la comprensione e impedisce una visione a lungo termine, produce intelligenze insensibili e incapaci”. Erano contenuti forti quelli riversati nella scuola da Berlinguer e dal gruppo dei saggi, purtroppo con poco dialogo e mescolati all’idea di scuola azienda.

L’educatore, capace di produrre un contesto, non deve esporre semplicemente in un percorso logico sequenziale le materie scolastiche, calandole dall’alto verso il basso,  ma trovare strategie, metodi e tecniche che partendo dal “motivo occasionale” o dall’”atteso imprevisto” siano capaci di penetrare i nuclei fondanti le discipline, attraverso la ricerca e il metodo cooperativo. La pratica buona ce la espone lo stesso Lorenzo nell’autodifesa del ’65, spiegando in poche parole il segreto di Barbiana: “Eravamo come sempre insieme quando un amico ci portò il ritaglio di un giornale. ‘Si presentava come un comunicato dei cappellani militari in congedo della regione Toscana ’… Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella mia duplice veste di maestro e di sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Un sacerdote che ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto più se ingiuria chi è in carcere per un ideale. Non avevo bisogno di far notare queste cose ai miei ragazzi. Le avevano già intuite. E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una lezione di vita[8]”. … Come ben potete verificare, per il Priore, motivo occasionale e motivazione sono la stessa cosa.

IL TEMPO

Per Platone, c’è come una linea diretta tra lui e Lorenzo Milani, conoscere significava guardare al passato,  procedere a ritroso. In questa logica educare ci conduce a un atteggiamento verso il tempo diverso dal modo tradizionale con cui oggi insegniamo, ma torniamo all’autodifesa: “Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (per la precisione il Saitta, lo Smith e gli atlanti) e siamo riandati cento anni di storia italiana in cerca di una guerra giusta”.

Sarebbe bello poter anche noi considerare gli eventi che ci propone la quotidianità, una volta usavamo l’articolo di fondo del giornale, oggi non si può prescindere dalle nuove tecnologie della comunicazione che solo la scuola può rendere da unidirezionali a interattive.

E’ assurdo riproporre a ragazzi che stanno diventando adulti un ampliamento nozionistico delle materie della Scuola Primaria, (con la scusa demenziale di trovare dicotomia tra scienze e umanistica) a scapito dell’acquisizione di schemi logici essenziali, strategie e strumenti indispensabili per apprendere ed imparare a apprendere.  

In questa prima fase è logico che ci sia un rallentamento delle attività dovuto all’acquisizione della metodologia, degli strumenti e dello schema di lavoro. Non ci dobbiamo preoccupare. Il tempo d’attenzione alla lezione frontale è così basso che riduce di fatto il tempo scuola al 25%”. Voglio sottolineare un “paradosso” suggeritomi da Rosanna Rota, un’insegnante di Verona che vede positivo un tempo rallentato: “Mi sono accorta che, piantandola con tutte le nostre fisime sulla fretta, il lavoro in classe spesso si accelera. Sarà perché conta di più il rapporto umano, sarà perché cala l’ansia da prestazione dei ragazzi, sarà perché quando si approfondisce un argomento può aumentare l’interesse nei suoi confronti, sarà perché così gli alunni si sentono più valorizzati, sarà … non so bene  cosa, ma funziona”.

E’ sul perno del tempo dell’apprendimento, a Barbiana era continuo che si può incardinare una vera riforma della scuola, ma anche considerando lo spazio, a Barbiana era circolare e reticolare.

Ci ricorderebbe Platone che se Aion è il tempo dell’Essere, infrazionabile nella sua durata perché, appunto, racchiude passato, presente e futuro, Chronos è invece il tempo del divenire che si può misurare ed infine, Scholè, da cui deriva tutto ciò che si riferisce a scuola, è il tempo che  trascorre senza assillo, non soggetto alle angosce della necessità, portando in sé l'idea dell'indugio, dell'ozio, della lentezza[9].

L’accesso alla conoscenza si fonda principalmente sull’insieme dei concetti[10] che esprimono gli allievi, per mezzo della ricerca, e delle preposizioni che li collegano tra loro attraverso il più elementare strumento d’assemblaggio che oggi definiremmo: mappa concettuale[11]. Qualcosa di diverso dall’apprendimento meccanico, dove le informazioni vengono semplicemente immagazzinate senza trasformarle in strutture mentali capaci di accogliere le stesse nozioni. Non dimentichiamoci che la stessa percezione diventa diversa in relazione a quante strutture mentali abbiamo costruito[12]. Lo ricorda all’allievo, con ironia,  lo stesso Socrate: “Sarebbe proprio una bella cosa, Agatone, se la Sapienza potesse passare da chi ne possiede di più a chi ne possiede di meno, solo mettendosi l’uno accanto all’altro, come l’acqua che, attraverso un filtro, scorre da un bicchiere pieno a uno vuoto”.

Non è sufficiente integrare le idee nuove con le vecchie in una struttura fredda e statica. Se vogliamo costruire significati nella mente degli allievi che siano capaci di produrre il pensiero critico, creativo e l’apprendimento significativo è necessario che tale integrazione avvenga dentro una trama impregnata di spontaneità, motivazione, piacere ed emotività. Solo così le nuove conoscenze accedono ad una struttura che diventerà sempre più complessa e articolata nel crescere dell’età, attraverso il fenomeno dell’assimilazione. Nello stesso modo concetti errati vengono corretti e quelli non conosciuti vengono recuperati sia nella zona approssimale di sviluppo, si direbbe oggi, che nella zona d’arrivo in modo che tutti restino dentro il ritmo della classe. Chi conosce la corrispondenza tra Lorenzo Milani e Mario Lodi ha un riferimento preciso in quello che viene definito “vocabolario attivo”, le parole utilizzate, e “vocabolario passivo”, le parole solo conosciute.

L’applicabilità di tale metodo ha come presupposto un contesto dinamico che si lega al “qui ed ora”. Barbiana era un vero e proprio centro editoriale, il tempo e il luogo della fruizione dello strumento didattico coincidevano spesso con il tempo e il luogo della produzione. Come punto di partenza dobbiamo ben definire tale ambiente, volutamente mi ripeto, che fa da contenitore alla nostra proposta educativa e individuare gli oggetti mediatori che, entrando in rapporto tra loro diventano le chiavi che aprono le porte della conoscenza. La parola-personaggio, per esempio, che, attraverso i vocabolari[13], ci conduce liberamente in qua e in là nello spazio e nel tempo.

Progettare uno scenario-struttura, anziché provvedere ai soli contenuti permette al docente di aderire alla realtà degli allievi e all’ambiente in cui vivono le famiglie. Maestro, allievo e genitore devono entrare in un processo in cui crescono insieme. A noi trovare le strategie necessarie, altrimenti la parola  cittadino sovrano resterà un termine sancito ma non applicato. I soggetti sociali, allievi - docenti - genitori, non possono continuare a vivere l’attuale conflitto.

Alla canonica di Lorenzo Milani ebbero accesso anche i giovani comunisti e per consentire loro di sentirsi a proprio agio, siamo nel ‘48 in pieno scontro sociale, il crocefisso viene tolto dalla parete della scuola. Un atteggiamento che consentirà il confronto e che romperà finalmente la divisione del popolo. Circa un centinaio di giovani parteciperà nonostante il poco tempo libero e il duro lavoro di allora: “ Spesso gli amici mi chiedono come faccio a fare scuola e come faccio a averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica.

Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter far scuola.…

Bisogna avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici. Non bisogna essere interclassisti, ma schierati. Bisogna ardere dell’ansia di elevare il povero a un livello superiore. Non dico a un livello pari a quello dell’attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto.

E allora vedrete che gli operai verranno, che lasceranno in asso tutte le ricreazioni del mondo, che s’arrenderanno nelle mani del loro prete per lasciarsi costruire da lui.

Da un prete così son disposti a accettare di tutto: divisioni a tre cifre, verbi, dettato, storia, politica, teologia, scenate, malumore. Tutte le materie son buone e tutti i modi di proporle son buoni.

Per dare pari opportunità era sceso dal pulpito e la stessa omelia, in origine significa conversazione, era dialogata in un continuum che non aveva limiti di luogo e di tempo. E’ questo atteggiamento sia educativo che pastorale che lo renderà incomprensibile a quel tempo. Non ci furono possibilità ad alcuna mediazione. Questo suo essere schierato e nello stesso tempo alla ricerca di una verità oggettiva, il suo modo d’educare quindi, lo porterà inevitabilmente a Barbiana, anche se il suo atteggiamento cerca solo intonazione[14], “aderenza tra parola e pensiero”.

Parlando delle differenze, esistenti nel popolo, ribadirà: “La differenza vera[15]  non è nella quantità o qualità del tesoro chiuso nella mente e nel cuore, ma in qualcosa che sta sulla soglia fra il dentro e il fuori, anzi è la soglia stessa, la parola”. Pur essendo cosciente che non è la tecnica l’anima dell’insegnamento, sosterrà allo spasimo, che l’arte dello scrivere si può apprendere e insegnare[16]. E ci presenta il profilo di un educatore che appare umile che è preso dal bisogno di offrire pari opportunità strumentali.

LO SPAZIO

E’ a Barbiana che il profilo del pedagogo s’evolve e diventa: Regista e portatore di strumenti.

Il termine pedagogo significa colui che conduce l’allievo nel luogo dell’apprendimento. Ieri il maestro conduceva gli allievi in posti che erano dei veri e propri banchetti, sui campi di battaglia, nelle aule di tribunale[17].

Voglio fare il parallelo tra la scuola media di Barbiana e la Scuola Secondaria di primo grado, una scuola che dobbiamo non riformare, ma trasformare radicalmente. Spero che il nuovo governo di sinistra si ricordi della Riforma dei cicli o meglio della necessità di raccordare meglio i cicli tra loro.

Oggi tale luogo comprende la cattedra, l’insegnante, 25/30 adolescenti e tutte le attività gestite in 30/40 metri  quadri. E’ indubbia l’esigenza di ridurre fortemente tale rapporto (15 allievi sarebbe l’ottimale), magari riducendo l’orario scolastico a favore del tempo d’attenzione. Il tempo d’insegnamento portato a 16  ore la settimana ed investito solo in tre classi attenuerebbe il passaggio da poche figure di riferimento della Primaria alle troppe della Secondaria di primo grado.. Aprendo le strutture della scuola, palestre, aule e biblioteche, ad altri soggetti sociali che con le loro attività creino un  tempo continuo introducendo le abilità e gli interessi del territorio. Allungando il tempo scuola a chi è in difficoltà.  Qualcuno mi dirà che mancano le risorse. Se non abbiamo il coraggio di privilegiare la scuola a scapito degli stadi, che prospettive daremo ai nostri figli? ma che dico, ai nostri nipoti? Se ne è parlato anche troppo di riforma, ma in tempi e spazi lontani dai luoghi in cui si faceva scuola. Gli insegnanti migliori hanno percepito, sia nella Riforma Berlinguer che in quella della Moratti, un clima di restaurazione. Se non altro Berlinguer alla fine era riuscito a produrre, pur negli errori, una, anche se debole, riflessione attorno ai contenuti e le proposte, del così definito, gruppo dei saggi.  L’autonomia aveva spinto le scuole ad elaborare i propri curricoli e a renderli più adatti a ragazzi che vivono nella società di oggi. Il Governo Berlusconi e la Moratti hanno sostenuto chi sentiva la necessità di tornare indietro, ai vecchi modelli, e hanno costretto gli insegnanti più disponibili al cambiamento ad arroccarsi sempre più nella classe.

Mi rendo conto che a questo punto il racconto mediato dalle parole/personaggi ci conduce sì indietro nel tempo, ma in un tempo reale[18].

A sentire tanti intellettuali o pedagogisti di oggi, Barbiana, sarebbe diventata ormai una semplice metafora. Un non luogo, utopico per intenderci, quindi irraggiungibile![19]  Forse è proprio per questo motivo che Don Milani è diventato, ormai, più un simbolo o un mito che un maestro concreto e non fa più paura. Lui che ha passato il suo tempo a contestualizzare e demistificare la storia diventa suo malgrado un mito dell’educazione, o un santino in più da mettere su un piedistallo o un tabernacolo.

Attenzione al mito! Non dimentichiamo che, secondo Platone, il mito era un modo di esprimere ciò che deriva dall’opinione[20] e non aveva alcuna certezza scientifica.

Usciamo quindi da questo gioco di parole e chiediamoci concretamente: “In quale luogo il Priore conduceva l’allievo?”

Vorrei qui dimostrare che intanto Barbiana non è associabile ai luoghi dell’esclusione, ma dell’inclusione e azzarderei, del privilegio. Sono patetici quegli studiosi di Barbiana che vogliono legare tale esperienza all’eccezionalità di una povertà estrema. I contadini di Barbiana erano simili in tutto ai contadini d’Italia solo, avendolo capito, avevano investito tutto nella Scuola. Per lungo tempo Barbiana fu scuola una media unificata. Avevamo la stanza con i tavoli a ferro di cavallo, dove svolgevamo le attività insieme, come la lettura della posta o del giornale o vedevamo il cinema. Su tali temi avveniva un’aggregazione per interessi e non per fasce d’età.

Avevamo uno studio fotografico, l’officina, la falegnameria, i prati, gli alberi e il cielo, l’astronomia era una materia importante, così com’era importante manipolare[21], costruendo anche i banchi e le seggiole.

Spesso la scuola si spostava all’estero e la chiamavamo vacanza, ma era anche il nostro esame di maturità.  Ivan Illich nel suo bellissimo libro “Nella vigna del testo” ci ricorda che vacare significa esser stato liberato o liberarsi , che il termine pone l’accento sulla voglia di dedicarsi a un nuovo genere di vita e non a staccarsi da vecchie abitudini o servitù.

Infatti, a Barbiana, il processo formativo considerava la liberazione dell’individuo, soprattutto di quello che non ha i cromosomi del dottore.

 Liberiamoci dal pensiero che produce solo pensiero e guardiamo la condizione dell’umanità” sottolinea padre Balducci in una vecchia intervista. Diamo, quindi, alla scuola una impostazione antropologica, creiamo uno sfondo integratore sempre più vicino alla realtà. Un invito non solo ad uscire dalla classe, ma ad aderire ai bisogni e alle risorse presenti nel territorio circostante, quale punto di partenza per andare oltre e aprire, così, i veri fronti della riflessione. Altrimenti le scritture collettive, tante sono le esperienze che si rifarebbero al Priore di Barbiana e che ho visitate, resteranno un mero assemblaggio di opinioni senza verifica o rapporto con la moda o le nuove tendenze[22].

A questo punto vediamo come il Priore descrive il luogo dell’apprendimento, dovendosi difendere in tribunale per apologia di reato ossia, ci diceva, per aver malamente insegnato la storia del ‘900:

“La scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita.

La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi.

E' l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione).                                                                                            

Un buon  educatore conduce l’allievo in una zona di “confine”, in una zona di intersezione e laica, ma non neutrale, tortuosa, affilata e a rischio quale il filo di rasoio. Dove non esistono più certezze, bensì il primato della coscienza, il libero esercizio della ragione critica,  i problemi concreti da risolvere, è quella soglia dalla quale dobbiamo estrarre le ricchezze che l’allievo ha dentro. Un luogo dove si affrancano i sentimenti, liberi di agire quali elementi fondanti la motivazione. 

Voglio fare una breve parentesi. Che senso ha, allora, la distinzione tra scuola laica e scuola cattolica?

Fra i numerosi equivoci che inquinano oggi la discussione sulla scuola pubblica e privata, ma direi l’intero processo d’integrazione politica tra cattolici e non[23], c'è anche il frequente uso improprio del termine «laico», parola così ricca di significato e valore. La laicità è un abito mentale che tutti i docenti dovrebbero possedere, e che, una volta indossato, ci consente di distinguere ciò che è dimostrabile da ciò che invece è oggetto di fede. E’ l'attitudine critica a dare al proprio credo filosofico o religioso principi logici  e non oscurantisti[24].

 

 



[1] Lettera di don Lorenzo Milani al direttore del Giornale del mattino del 28 marzo 1956 – Giovani di montagna e giovani di città.

[2] Ibidem.

[3] Vedi “Borghese” – Corrispondenza tra Lorenzo Milani e Mario Lodi.

[4] Ibidem nota 1.

[5] Padre Balducci

[6] Paolo Perticari: “Gli attesi imprevisti”

[7] Da “Non siamo capaci di ascoltarli” di Paolo Crepet, esperienza relativa al periodo in cui lavorava in un’università nella città danese di Aaarhus: “…Tutto apparentemente, si regolava attorno all’avvenimento più importante della giornata: il pranzo. I bambini eleggevano chi tra loro quella mattina doveva redigere l’elenco dei prodotti da acquistare, raccogliere i soldi, andare al vicino mercato e comprare il necessario per cucinare. Dopo, chi tornava dal mercato doveva render conto di ciò che aveva comprato, per poi consegnarlo ai bambini addetti alla cucina. Infine, si preparava il pranzo e si mangiava tutti assieme, insegnanti compresi. In questo modo i bimbi non solo apprendevano a leggere, a scrivere e a far di conto – anzi, apprendevano meglio e più rapidamente, stimolati da attività che li riguardavano e li interessavano in maniera diretta - , ma soprattutto imparavano ad essere autosufficienti, a cavarsela da soli senza che un adulto fosse necessariamente presente a controllarli. Quella scuola insegnava a volersi bene. Una volta cresciuti avrebbero sviluppato le loro risorse di autonomia e avrebbero lottato per raggiungerla in quanto dimensione esistenziale strategica.

[8] Il motivo occasionale: Lettera ai giudici.

[9] Vedi Pedagogia della Lumaca del mio amico Gianfranco Zavalloni in www.scuolacreativa.it

[10] I fogliolini ammonticchiati sul tavolo e poi riesaminati insieme per trovare lo schema comune di riflessione e scrittura.

[11] I paragrafi e quindi i capitoli della Lettera a una professoressa.

[12]“ Cosa vedi in quel muro?” mi chiese una volta a bruciapelo Lorenzo Milani mentre andavamo, mi pare, per la scorciatoia che dalle Salaiole porta a Firenze. “Vedi non sei capace di parlare di ciò che vedi”. La stessa cosa si ripetè davanti al panorama di Firenze visto da Fiesole.

[13] I vocabolari erano i veri supporti alla scuola di Barbiana.

[14] Agli amici che non si rassegnarono all’esilio e gli scrivevano lettere rincuoranti auspicando una nuova destinazione Lorenzo replicava: “ non c’è motivo di considerarmi tarpato se sono quassù. La grandezza d’una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si è svolta, ma da tutt’altre cose. E neanche le possibilità di far del bene si misurano sul numero dei parrocchiani “.“ io il prete lo intendo solo così. E lo fo così. E mi devono tollerare. Tollerano i preti che commerciano i maiali e il vino e che si tengono il bar, devono tollerare me che faccio scuola. E la scuola, fino a prova contraria, sta un gradino più su del commercio dei maiali e della gazzose. Se non gli va bene, prima mi devono dimostrare perché non va bene, e poi mi ritiro alla Certosa “.

[15] Ciò che aveva generato conflitto.

[16] Lettera alla signora Lovato – Pedagogia dell’aderenza di Edoardo Martinelli - Polaris

[17] Socrate.

[18] Nel Timeo, Platone distingue due tipi di tempo, creando delle interessanti relazioni tra loro.Il primo è il tempo eonico (aion deriva da tò aei on = ciò che è sempre), che egli definisce il tempo dell'essere, inteso nella sua durata non frazionabile. Il secondo è il chronos, vale a dire il tempo del divenire, inteso nel suo fluire come sequenza di momenti. Mentre il primo è un tempo dell'essere senza divenire, l'altro è un tempo del divenire senza essere.

[19] Utopia: ôu “non” e tópos “luogo

[20] Il grado più basso della conoscenza secondo Platone.

[21] “… Rispetto alle Università occidentali, i corsi di Chennal hanno almeno una particolarità che salta agli occhi il: lavoro manuale. «In effetti, abbiamo preso un po' da tutto l’Occidente – spiega Elango -è questo è un lascito dei tedeschi che, qui, all'inizio, erano molto presenti». NeI primo anno, per sei ore a settimana, tutti gli studenti vanno in officina a filettare viti, forgiare strumenti, limare a piano una superficie, costruire connessioni elettriche.

Qualcosa che, da noi, non si fa quasi più neanche negli Istituti tecnici. Per gli studenti, dice Vinod, è un po' di relax. Secondo Elango, «acuisce il senso della precisione, dimostra che il presto è nemico del bene, abitua a un lavoro metodico». Ma a forgiare gli studenti, c'è anche un retroterra storico culturale. «Nella nostra cultura, nell'educazione dei nostri figli - sottolinea N. K. Swaminathan, il padre della "rivoluzione verde, che ha dato l'autosufficienza alimentare all'India, negli anni'70 – danza e musica hanno un posto di primo piano. E la musica, come sa, è per un terzo significato, per un terzo ritmo, un terzo matematica »…” Da articolo di Repubblica del 09/04/04

[22] La scrittura generativa – Lella Giornelli – Paesaggi Educativi

[23] Ai tempi del Cappellano di San Donato a Calenzano gli integralismi cattolici provenivano dalla tradizione, mentre i convertiti cercavano punti d’incontro con il cristianesimo delle origini. L’incontrario di ciò che avviene oggi con i nuovi convertiti: vedi comportamenti e interventi a Rimini al meeting di C.L. .

[24] Ascoltiamo Ernesto Balducci in un articolo su Testimonianze del 1972 intitolato “Don Milani fuori strada”, nel quale i due tipi di educatore vengono messi a confronto: “ Se nei fatti la distinzione sopravvive è perché ambedue ritagliano la loro diversità in un dogmatismo ideologico di diverso segno in cui il ragazzo è visto come un soggetto da acculturare, insomma come preda di caccia. Chi dinanzi a questa funzione della scuola ancora si preoccupa dello “specifico cristiano” non è in grado di comprendere la testimonianza di Milani, anzi di comprendere il senso profondo del Vangelo”

 

 

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