Decidersi

Una condivisione del Card. Carlo Maria Martini

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La conoscenza di sé non è sufficiente, anzi può diventare un ostacolo, un alibi, può assumere uno sviluppo per così dire canceroso. Essa ha senso se ci apre a decisioni significative per l'esistenza. E' dunque nel decidersi che la persona si fa persona, che l'individuo diventa soggetto, che il ragazzo, il giovane diventa adulto.

Vogliamo allora indicare un sottotitolo per la nostra riflessione: Tipologie delle decisioni significative, patologie e rimedi per curarle.

Sono "significative" le decisioni che imprimono una certa direzione alla nostra vita, che ne costruiscono la figura giorno dopo giorno.

 

 

Un'icona biblica di decisione significativa

Ci è utile trovare un'icona biblica capace di farei cogliere meglio la pregnanza del sottotitolo. La Bibbia offre molti esempi di decisioni significative. Tra i tanti, ne scelgo uno che è tratto dal Libro degli Atti degli Apostoli, al cap. 21.

Paolo sta salendo a Gerusalemme, dopo essere salpato da Mileto. Terminata la navigazione approda a Tolemaide e vi si ferma un giorno: “Ripartiti, giungemmo a Cesarea; ed entrati nella casa dell'evangelista Filippo, che era uno dei Sette (diaconi), sostammo presso di lui. Le sue quattro figlie nubili avevano il dono della profezia. Eravamo qui da alcuni giorni, quando giunse dalla Giudea un profeta di nome Agabo. Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e dis­se: "Questo dice lo Spirito santo: l'uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai Giudei a Gerusalemme e verrà quindi consegnato nelle mani dei pagani". All'udire queste cose, noi e quelli del luogo pregammo Paolo di non andare più a Gerusalemme. Ma Paolo rispose: "Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? io sono pronto non soltanto a essere legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù". E poiché non si lasciava persuadere, smettemmo di insistere dicendo: "Sia fatta la volontà del Signore!"” (At 21,8-14).

E' sul tavolo una decisione: andare o meno a Gerusalemme, e i motivi per non andare sono molti. C'è infatti una situazione di pericolo, che l'Apostolo conosce bene e che ha già messo a fuoco a Mileto, nel suo discorso agli anziani di Efeso: “Ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei” (At 20,9).

Paolo sa per certo che a Gerusalemme incontrerà insidie maggiori di quelle sperimentate, precedentemente, un po' ovunque. D'altra parte, la sua coscienza delle difficoltà e dei pericoli è espressa bene pure nella seconda Lettera ai Corinti: “Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pe­ricoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli ... ” (2 Cor 11,26). Egli intuisce quanto potranno fargli i suoi connazionali e i falsi fratelli che saranno presenti, in gran numero, a Gerusalemme. Ancor prima di giungere a Cesarea, i discepoli di Tiro, mossi dallo Spirito, l'avevano caldamente esortato a desistere (cf At 21,4).

Paolo ci offre quindi uno splendido esempio di decisione significativa che emerge da un contesto difficile ed è addirittura contrastata da persone carismatiche (la profezia di Agabo, i discepoli di Tiro che, "mossi dallo Spirito", lo implorano di non partire); una decisione attraversata da diver­si segnali, di tipo spirituale, che lo fanno entrare in un certo senso nella notte dello spirito. Una decisione carica di conseguenze che segneranno tutta la sua vita, e che prende con piena coscienza, sentendosi probabilmente solo rispetto ai suoi collaboratori che non sono affatto d'accordo.

Nella nostra riflessione sul "conoscersi", richiamando le immagini bibliche del nostro cammino, avevamo citato la parola dell'apostolo Tommaso: “Andiamo anche noi a morire con lui” (Gv 11,16); dopo lo stupore per la decisione presa da Gesù, dopo aver considerato i rischi della sequela e aver lottato contro la fatica di assumerli, i Dodici decidono di andare dietro al Maestro.

Tutta la Bibbia è costellata di decisioni significative, anche vocazionali. Noi terremo presente in particolare l'icona di Paolo, ma nella vostra meditazione personale, potrete richiamarne alla mente molte altre.

R. Bultmann, che interpreta il vangelo di Giovanni con la categoria fondamentale della decisione esistenziale, scrive che non è il mondo a determinare l'appartenenza di un uomo al regno delle tenebre o a quello della luce; è la sua decisione. E aggiunge: “Il dualismo fatalistico della gnosi è diventato, in Giovanni, dualismo di decisione e la fede non è altro che la decisione per Dio contro il mondo”, resa possibile dal fatto che Dio incontra l'uomo rivelandosi in Gesù. Una decisio­ne donata da Dio: "non voi avete scelto me, ma io voi"; tuttavia, questa scelta che Dio ha fatto di me è resa operante nella decisione di fede del discepolo (cf R. BULTMANN, Teologia del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1985, 407).

Chi lo desiderasse, potrebbe dunque contemplare il messaggio dell'evangelista Giovanni sotto la cifra della decisione esistenziale.

Sarebbe pure interessante che ciascuno di noi, riflettendo sulla propria esperienza, individuasse un'icona personale, un momento della vita in cui ha preso una decisione significativa in circostanze particolarmente difficili. lo ricordo molto bene, per esempio, quando all'età di 18 anni ho fatto per la prima volta il Mese ignaziano di Esercizi spirituali. Arrivato alla meditazione che propone l'offerta di sé a Cristo re e Signore (cf IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi Spirituali, n. 98), mi sentii confuso perché a ogni ragione in favore di quell'offerta di seguire Gesù nella via della povertà e dell'umiltà evangelica, si opponeva una ragione contraria e, più meditavo, più mi smarrivo. A un tratto, ebbi improvvisamente l'intuizione che dovevo assolutamente decidermi, che non potevo salvarmi se non attraverso una decisione di cui coglievo le radici nell'amore del Signore per me e nella sua esigenza di totalità. Ne seguì una gran pace, anche se la decisione non era stata accompagnata dal conforto logico e razionale che avrei desiderato, anzi veniva controbilanciata da continue immaginazioni, fantasie e sofismi di ogni tipo.

Aiutati dunque dall'esempio di Paolo e di altri personaggi biblici, passiamo a considerare alcune tipologie della decisione per coglierne gli elementi comuni. Successivamente mi fermerò sulla patologia delle decisioni, cioè sulle difficoltà che si frappongono e sul modo di curarle.

 

 

Tipologie delle decisioni

Lasciando da parte il caso dell'opzione fondamentale - quella per la fede - che è indubbiamente il più importante, ma il più difficile da trattare sistematicamente, vorrei indicare quattro tipi di decisioni:

  • abituali e moderatamente facili;

  • abituali e che però richiedono un certo sforzo, uno slancio maggiore;

  • decisioni che implicano un cambio di orizzonte;

  • infine, quelle che ipotecano definitivamente il futuro.

Si tratta di tipologie puramente descrittive, utili a stimolare la vostra riflessione e quindi il dialogo.

  1. Le decisioni abituali e moderatamente facili ritmano l'intera esistenza: andare a tavola quando è l'ora, pregare nei tempi stabiliti. Qui non viene messa in questione l'azione da compiere, perché è già parte di una precedente scelta.

  2. Le decisioni abituali possono richiedere, per svariati motivi, uno sforzo maggiore. Per esempio, ci vuole un certo slancio nell'alzarsi al mattino quando si è molto stanchi; come pure nell'andare a scuola o al lavoro quando non se ne ha voglia o si è preoccupati per qualche grave problema. Ed è proprio l'azione a essere chiamata in causa, in quanto ci si chiede: perché qui e adesso? perché non più tardi? Sono molte le decisioni di questo tipo nella vi­ta: siamo stanchi e affaticati dal peso della giornata e ci troviamo di fronte a un'ennesima richiesta; dobbiamo rispondervi, ma perché non rimandare a un altro momento? non sarebbe meglio addirittura rifiutarsi inventando delle scuse? Per non rimandare o per non rifiutarci, abbiamo bisogno di compiere uno sforzo, di avere uno slancio maggiore.

  3. Ci sono poi le decisioni che implicano un cambio di orizzonte, con conseguenze per il proprio futuro, almeno a breve o a medio termine: sce­gliere il servizio civile anziché quello militare; accettare, se si è preti, un ministero che il Vescovo propone ma senza richiederlo strettamente. Si tratta di decisioni che esigono, oltre lo sforzo, una riflessione più attenta, in quanto non basta seguire l'abitudine. Un altro esempio: un giovane incontra un gruppo di coetanei che stanno sempre insieme, si divertono, vanno in discoteca; inizialmente sembra non gli chiedano nulla di male, e tuttavia capisce che, una volta entrato nel giro, non potrà uscirne e deve dunque decidere con un atto impegnativo, carico di conseguenze per la sua vita.

  4. Le decisioni che ipotecano il futuro in maniera definitiva riguardano la scelta del matrimonio, della vita consacrata, della vita sacerdotale, di un tipo di servizio che, concretamente, porrà la persona in una situazione nuova coinvolgendola per tempi lunghi. Oppure, si tratta, al contrario, della decisione di divorziare, di rompere i legami con la vita di consacrazione.

 

Elementi comuni alle diverse tipologie

Volendo cercare gli elementi comuni ai quattro tipi di decisioni appena ricordati, ci accorgiamo che il primo elemento è costituito dal fatto che esse, comprese le più semplici, sono anzitutto atti di volontà.

Il secondo elemento è che questi atti di volontà sono radicati nell'emotività del soggetto; coinvolgeranno per uno o per cinque o per dieci, comunque la mozione dei sentimenti, degli affetti, è sempre presente.

Il terzo elemento comune è lo sforzo che gli atti di volontà comportano: da sforzo zero (quando vado a mangiare avendo fame) a sforzo enorme. Può costarmi moltissimo decidere di sottopormi a un intervento chirurgico su cui non concordano nemmeno gli specialisti.

Il quarto elemento è pure interessante: in questi atti conta prima la ragionevolezza della decisione e dopo la difficoltà. Un'azione è migliore, è preferibile, è da scegliere non perché più comoda e più facile (nemmeno perché è più ardua), bensì perché è più conforme alla ragione, alla fede, quindi è bella, utile, moralmente comandata. La ragionevolezza, illuminata dalla fede, mi si presenta attraverso il magma incerto del piacere/dispiacere, dell'inclinazione/ripugnanza, dello sforzo/facilità, per indicarmi la direzione.

Il quinto elemento comune: a misura che si passa dal primo caso al secondo, dal secondo al terzo e dal terzo al quarto, occorre essere pronti a combattere e a lottare per la decisione ragionevole.

 

 

Patologie di una decisione ragionevole e illuminata

Quali sono le patologia di un decidersi autentico? Sono molte, in verità, ma per semplicità le riduco a quattro categorie che ritengo fondamentali.

  1. L'opposizione altrui (pensiamo agli amici e ai collaboratori di san Paolo, che insistentemente gli chiedono di non andare a Gerusalemme). Tale opposizione può essere reale o temuta: che cosa diranno gli altri? Solitamente, il timore dei giudizi o di farsi dei nemici, di crearsi delle noie, è un grosso ostacolo alla decisione.

  2. Un'altra patologia si riferisce ai danni che pa­vento per me, reali o immaginari: che cosa mi accadrà se scelgo un nuovo lavoro che mi viene offerto? e che cosa succederà se vi rinuncio?

  3. Distinguo dalla precedente la patologia del­le fantasie delle opposizioni e dei danni, che possono molto oscillare il campo decisionale muovendolo in una direzione o nell'altra. Proprio perché in ogni decisione è posta in gioco l'emotività, facilmente le fantasie si scatenano fino a confonderci; è quanto è accaduto a me, durante il Mese ignaziano di Esercizi spirituali, nel momento in cui dovevo decidermi per offrirmi di seguire Gesù in povertà e umiltà.

  4. Una patologia più sottile e più insidiosa, è quella della paura di aver paura, cioè il timore di entrare in uno stato conflittuale. Questa patologia impedisce a molte persone di prendere decisioni significative perché, non volendo turbare alcuni equilibri raggiunti, preferiscono continuare nel loro trantran. Conosco tanti giovani, e anche tanti adulti, che non giungono a decisioni mature per mancanza del coraggio di esaminarle, per paura delle insorgenze negative esterne o interne. E così, purtroppo, fanno delle scelte riguardanti la professione, la famiglia, la vita affettiva, sentimentale, senza avere la necessaria maturità.

 

La cura delle patologia

Infine, esprimo alcuni rimedi utili a curare, a vincere gli ostacoli che si frappongono alla decisione.

  1. E' pedagogicamente fondamentale, per aiutare i ragazzi e i giovani, promuovere il coraggio e la prontezza nelle decisioni del secondo tipo, cioè in quelle abituali, ma che richiedono uno sforzo maggiore. In tal modo l'individuo matura una certa abitudine a guardare in faccia gli ostacoli frapposti dalla fantasia o dalla paura.

  2. Per prendere decisioni del terzo e del quarto tipo, è necessario entrare nel mondo delle scelte divine mediante l'esercizio della "lectio divina". Perché la lectio divina mette a contatto con le grandi decisioni di Dio, le decisioni che il Signore fa compiere al suo popolo, la decisione di Gesù continuamente rinnovata nell'Eucaristia, e a poco a poco esse diventano il nostro mondo.

  3. Ancora per le decisioni del terzo e del quarto tipo, bisogna imparare, con l'aiuto del direttore spiritual e, a discernere le mozioni interiori: fantasie, paure, immaginazioni, inclinazioni, attrazioni. Imparare a discernerle in noi per potere, a nostra volta, essere di aiuto ad altri.

  4. Le decisioni di secondo tipo sono sempre il nostro cavallo di battaglia e, per vincere gli ostacoli in proposito, è bene abituarsi a vivere la comunione del santi. Esemplifico: sapere che la comunità mi aspetta per la celebrazione della Messa a una determinata ora, mi sollecita a superare la pigrizia e la fatica dell'alzata mattutina, la voglia di dormire un po' di più. Il fatto di dover rispondere di me e di avere delle responsabilità verso gli altri, è molto stimolante. Non a caso la vita eremitica è estremamente difficile. La comunione dei santi, l'esempio di persone più brave, più fedeli, più generose di noi, la consapevolezza che altri attendono da noi determinati servizi, ci conforta, ci incoraggia, ci sostiene, magari anche ci premia o ci rimprovera; tutto questo meccanismo è ricco di profonda vitalità. Allora le buone abitudini prese diventano importanti, perché esprimono il nostro modo di inserirci in una comunità.

  5. Un altro rimedio, per curare le patologie è di resistere dove la confusione vorrebbe impadronirsi di noi. Torneremo su questo tipo di "cura", che è estremamente valido per evitare l'inautenticità di decisioni gravi. Resistere tenendo presente che, nel momento della confusione, non dobbiamo per alcun motivo mutare quanto abbiamo deciso nel momento della serenità.

  6. Infine, occorre talora compiere qualche atto coraggioso a cui ci sentiamo spinti, per cui veniamo debitamente consigliati, ma per il quale proviamo ancora paura e disagio. E' la cura del tuffo. Non si tratta qui di confusione, bensì di indecisione: si sa che cosa si deve fare, però sembra esserci un motivo per aspettare. Allora, opportunamente consigliati, ci si butta, si salta. E' un decidersi nel suo momento esistenziale e ha come conseguenza uno stato di grande pace.

 

Domande per la riflessione personale

Per concludere, vi propongo delle semplici domande che riprenderemo nel dialogo comunitario:

  • mi trovo spesso di fronte a decisioni del secondo tipo? perché? forse per stanchezza fisica, nervosa, per abbattimento? e come reagisco?

  • Ho vissuto casi di decisioni del terzo tipo? e sono riuscito o riesco a promuovere in tali casi la ragionevolezza della scelta superando le ombre dell'ansietà e i blocchi delle paure?

  • Percepisco il rapporto tra lectio divina e scelte significative? oppure lo recepisco soltanto come un mandato dall'esterno, pur se lo rispetto? ho qualche difficoltà a recepirlo, qualche problema al riguardo? E' utilissimo chiarirsi a poco a poco il rapporto tra lectio divina e decisioni significative.

  • Quale facilità o difficoltà trovo nel discernimen­to delle mozioni contrarie alle scelte ragionevoli? Mozioni contrarie sono, per esempio, la paura, l'antipatia, le ripugnanze, gli incubi, oppure le infatuazioni, le esaltazioni, gli entusiasmi superficiali, gli innamoramenti rapidi. Provo facilità nel discernere le mozioni contrarie alle scelte ragionevoli?

  • Come mi aiuta la comunione dei santi nel senso che abbiamo espresso (la regola, l'abitudine, l'esempio degli altri, le loro attese su di me)? mi aiuta in maniera autentica o soltanto superficiale? ne colgo almeno il valore?

  • Vi sono altre patologie del decidersi che vorrei fossero discusse?

 

DIALOGO

 

Nel riflettere sui temi di cui ci stiamo occupando, mi sembra possibile correre il rischio di parlare in termini umani, razionali, aggiungendo poi, come giustapposto e quasi "dovuto" il discorso teologico, il discorso su Gesù. Come evitare tale rischio?

A mio avviso non esiste un modo di procedere obbligato. Si può, infatti, partire da una notizia del giornale per andare alla Bibbia e viceversa; si può partire da un'analisi psicologica e poi cercare in quale modo essa si allarghi, oppure dalla prospettiva di fede e vedere come si verifica nel concreto.

Credo ci sia una sola regola a priori, per capire quale debba essere il procedimento migliore: sforzarsi di essere contemplativi nel nostro agire, di cogliere in ogni realtà e in ogni avvenimento il mi­stero di Dio, così da parlare di tutte le espressioni più umane e razionali della persona leggendole in questa visuale; o di parlare del mistero di Dio contemplandolo già inserito nella persona.

Si tratta di una sintesi che compiamo a poco a poco, e non si può dimostrare, soltanto con un'analisi puramente razionale, che la sintesi sia riuscita o meno. Penso, per esempio, alla differenza che troviamo nell'enciclica papale Centesimus annus tra l'ultimo capitolo - dove è presentata una visuale teologica - e i capitoli precedenti che costituiscono un'analisi storica. Leggendo il documento posso dire: i sociologi hanno collaborato alla prima parte, offrendo delle indicazioni sulla società di mercato, e alla fine è stata aggiunta una visione di fede profonda, che permette di valutare gli eventi del 1989 in una certa ottica, cogliendone il significato globale nel piano divino di salvezza. Ma in realtà è un'attitudine di fede quella con cui devo leggere l'enciclica, perché è certamente quella nella quale è stata scritta e che mi aiuta a contemplare il mistero di Dio. Se invece mi attardo a distinguere, secondo la logica, tutti i passaggi, non riuscirò a cogliere il carattere unitario del documento.

Al di là dunque del diverso modo espressivo, noi siamo chiamati anzitutto a fare unità dentro di noi, per poter dare l'interpretazione giusta e correggere le eventuali riflessioni unilaterali. Nulla ci garantisce dallo sbilanciarsi da una parte o dall'altra se non il ritornare a una visuale contemplativa, che non è puramente teologica.

Confesso che, per un certo tempo, ho pensato fosse possibile giungere a una visuale teologica così organica e così completa da delineare e verbalizzare con assoluta chiarezza gli elementi umano­divini. Ora però sono convinto che solo il cuore, cioè la visuale interiore, permette di recuperare sempre e comunque la globalità, anche quando il linguaggio teologico, necessariamente analitico, distingue tempi, aspetti, attenzioni. Se non vivo la dimensione contemplativa, continuerò a trovare la giustapposizione.

Mi sembra importante tale affermazione, in quanto ci permette di avere il retto quadro di lettura e insieme di recuperare nella loro integrità pezzi apparentemente distaccati dell'unico messaggio cristiano.

Ci sono, è vero, modi più o meno perfetti di ar­rivare a questa sintesi. Teresa d'Avila, per esempio, ha una capacità straordinaria di sintesi tra lo psicologico e il soprannaturale, ma dobbiamo tener conto che i suoi scritti sono il racconto di un'esperienza. Quando però si entra maggiormente nell'esposizione teoretica, come fa Giovanni della Croce, si possono distinguere i filosofumeni, i concetti tratti dalla dottrina aristotelico-tomistica e le esperienze propriamente mistiche.

Volendo dedicarci al lavoro della mente, dobbiamo accettare che ci siano delle analisi con accentuazioni differenziate, e non sempre potremo pretendere una sintesi globale, se non l'abbiamo in noi stessi e se non la recuperiamo continuamente. E' tuttavia molto affascinante questo tema del rapporto tra visione globale contemplativa e singoli aspetti dell'esperienza umana e della sua descrizione.

Potete avere qualche indicazione particolarmente illuminante, riferendovi ai testi di Bernard Lonergan. Per esempio, nel suo libro "Il metodo in teologia" - dove distingue nella teologia otto spe­cializzazioni funzionari - cerca di cogliere il significato di un'analisi (che può fare anche un non credente) del testo, della storia, dell'interpretazione, di tutti gli aspetti materiali-storici, analisi che li consideri però in unità con l'aspetto più propriamente teologico, soprannaturale. Non è affatto facile giungere a tale unità. Ci sono, di fatto, degli ottimi specialisti di scienze neotestamentarie, magari non credenti, che compiono un buonissimo lavoro settoriale, e nient'altro; il credente, invece, pur facendo lo stesso lavoro, lo realizza attraverso una visione unitaria di fede.

Concludendo, vi invito a curare molto l'unità interiore della vostra vita e della vostra azione, perché la realtà è necessariamente analitica e frammentata. Non è importante capire con chiarezza il collegamento tra impegni di tipo materiale, manageriale, amministrativo e servizi di tipo spirituale o teologico; l'importante è custodire in noi quel "segreto interiore" che ci guiderà a far sì che le nostre scelte - pur se sono le stesse di un non credente - abbiano una determinata collocazione.

 

 

Mi ha colpito sentire che nella decisione conta la ragionevolezza della decisione stessa più che le difficoltà a essa collegate. Può approfondire questo concetto?

Con il termine ragionevolezza intendo quello che la filosofia classica chiama il bonum, cioè lo scopo per cui agisco. Se prendo una decisione, è sempre in vista di un bene, un bene reale, non apparente; beni apparenti, la ricerca dei quali può indurre a decidere, sono per esempio le comodità, il quieto vivere per paura o pigrizia, l'ottenere il favore degli altri.

Per la rettitudine della volontà è anzitutto necessario collocare nel suo primato la ratio boni e allora tutte le altre prospettive vengono considerate come ausiliarie o addirittura contrarie o alternative.

Non è forse vero che l'educazione morale del bambino e del fanciullo tende a fargli cogliere come esista una ragione del bene che non è riducibile ad alcuna ragione di vantaggio, di utilità, di successo, di piacere o di dispiacere? Si gioca qui l'autenticità della coscienza morale. E la conversione morale si ha quando l'uomo comprende che ciò che conta è irriducibile alle sensazioni, emozioni, possibilità inferiori rispetto a quell'assoluto indiscutibile intuito che è la ragione del bene. Lo sforzo dei genitori consiste nel far passare i figli dal desiderio del premio, pur piccolo, o dalla paura del rimprovero alla ragione di bene. Tale passaggio avviene tra i sette e i quattordici anni, tuttavia comporta un cammino lungo, una fatica che accompagna tutta l'esistenza.

Dunque, ho chiamato ragionevolezza la ragione che, illuminata dalla fede, capisce ciò che è buono e che va fatto per se stesso, in quanto è il riflesso del volto di Dio nella realtà umana. Perciò san Tommaso afferma che in ogni atto buono, l'uo­mo tende a Dio, lo cerca e, in qualche modo, lo testimonia.

 

 

Può approfondire la quarta tipologia della deci­sione? In particolare vorrei sapere, pensando concretamente a una scelta vocazionale, quanto incide o dovrebbe incidere l'atto di volontà, quindi l'autocandidatura del soggetto, e quanto invece la chia­mata del Signore, che è la componente più trascen­dente della persona. Com'è possibile riconoscere il dosaggio delle due componenti?

Di proposito ho soltanto accennato al quarto tipo di decisione perché, a mio giudizio, si gioca nelle tipologie precedenti. Se a un certo punto della vita si tematizza, non è però possibile che questo avvenga attraverso uno 'sconto' sulle prime tre tipologie. Il peso di una decisione, infatti, non si gioca soltanto su alcuni atti specifici, bensì su un orientamento al bene, al mistero di Dio, e su una docilità allo Spirito che derivano dall'insieme delle decisioni precedenti. La domanda tende tuttavia giustamente a cogliere il problema nella sua specificità; in proposito va tenuto presente il tema della libertà e della grazia. Il dono della grazia crea e suscita la libertà, ed è questo il punto di riferimento fondamentale. Parlare della grazia o par­lare della libertà è la stessa cosa, se abbiamo la visione d'insieme. Posso insistere di più sulla decisione, ma parlo sempre della grazia; posso parlare della grazia, ma in quanto suscitatrice di libertà. E' quindi la causalità fondamentale della libertà graziata o della grazia liberante che viene messa in questione.

Una volta posto questo fondamento metafisico, la parte più o meno appariscente degli atti viene distribuita a seconda dei diversi soggetti e del diversi ambiti di decisione. Così, nella decisione matrimoniale, occorrono le decisioni di due soggetti che, in una visione di fede, si fondono in un unico atto. E' richiesta certamente una chiamata fondamentale, però si esprime soprattutto a livello di decisioni esistenziali, perché non si può parlare di chiamata nello stesso senso con cui si parla di vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata. E, tra l'altro, bisogna ancora distinguere tra le ultime due chiamate; mentre in quella alla vita di totale consacrazione è preponderante la serie degli atti soggettivi con cui si arriva alla scelta, nella chiamata al sacerdozio ha un ruolo molto impor­tante, pur in presenza degli atti soggettivi, la Chiesa locale, il Vescovo.

Quale peso dare allora all'autocandidatura? Di­pende dalla chiamata. Concretamente la Chiesa, nel matrimonio, constata l'autocandidatura delle due persone; nell'ordinazione sacerdotale e, ancor più, nell'ordinazione episcopale, la Chiesa non può limitarsi a questo.

In ogni caso è molto importante riconoscere quella sinergia divino-umana, che ci permette di affidarci totalmente all'azione della grazia e insie­me di sentirci totalmente responsabili dell'azione posta.

Tale dilemma, che a livello teoretico ha fatto discutere per secoli i teologi, a livello pratico assume accentuazioni diverse e, magari, successive. Nella mia esperienza personale o in quella di altri, sottolineerò, secondo l'intuizione del momento, più l'aspetto della scelta personale, della responsabilità, del doversi decidere, o più l'aspetto dell'affidamento, dell'abbandono, dell'accoglienza dello Spirito santo.

 

 

Mi sembra davvero utilissima la regolai di non prendere decisioni nel momento di desolazione, ma di fare riferimento a quanto si è deciso in un mo­mento di grazia, di consolazione. Può tornare sull'argomento?

La regola è semplicissima, ma mi accorgo che, di fatto, è spesso calpestata proprio perché la confusione mentale impedisce, blocca, opprime, confonde, travolge. Bisogna allora, con l'aiuto di Dio, sforzarsi di andare al di là di sé, di compiere un atto di metalinguaggio chiedendosi: per quale motivo sto vivendo questa esperienza? che senso ha nella mia vita?

Con tale domanda sono già fuori, per così dire, dalla desolazione, e comincio a intuire che quell'esperienza ha il senso di provarmi, di purificarmi, di indicarmi che non devo prendere nessuna decisione.

La capacità di autotrascendersi è davvero la salvezza nei momenti confusi e difficili, ma di solito il Signore ci permette di esercitarla pure in situazioni più semplici. Quando, per esempio, ci irritiamo o ci logoriamo per un problema, ci infuochiamo per una discussione, e tuttavia riusciamo a dire a noi stessi: perché me la sto prendendo tanto? che valore ha? magari ha valore, ma fino a un certo punto. Allora vedo i limiti di ciò che sto vivendo.

 

 

Può chiarire il rapporto tra "lectio divina" e scelte significative?

Prima di rispondere alla domanda, credo sia utile un breve approfondimento sulla lectio stessa e su alcuni metodi per esercitarla.

  • La mia preoccupazione è stata di capire in quale modo fosse possibile mettere in pratica il capitolo VI della Dei Verbum, che chiede a tutti i cristiani di arrivare a una conoscenza più profonda di Gesù Cristo attraverso la lettura orante delle divine Scritture. E' un ideale pastorale straordinario, da cui siamo ancora lontani, ma ho cerca­to di dare delle regole minime semplicissime, abbastanza ovvie, perché la gente cominciasse a compiere qualche passo e a gustare la lectio divina. Non si gusta la Bibbia solo sfarfalleggiando qua e là o leggendo un libro di spiegazioni: la si gusta affrontandola coraggiosamente, direttamente e arrivando a comprendere come in essa il Signore mi parla e mi nutre. Allora il cammino verso la familiarità con il mondo di Dio, avrà determinate regole, ma sempre più libere; i metodi hanno un loro valido significato, però non devono mai obbligare. La spiritualità rabbinica, per esempio, sa trarre un nutrimento formidabile dalle parole e gli esegeti, in fondo, ricalcano un poco questa linea, cercando di spremere il più possibile la parola. Così, il contatto con la carne del Signore, viene mediato dalla parola, dalla ricerca dei suoi sinonimi, dal ricorso a parole affini presenti in altre pagine della Scrittura. Ricordo l'impressione che suscitò in me un rabbino. Partecipavo a un seminario sui rotoli del Mar Morto, all'Università di Munster, e leggevamo insieme, in ebraico, la Regola della comunità; il rabbino, per ogni parola, trovava immediatamente, a memoria, le referenze. Il suo essere nella carne del Testo Sacro (per noi, nella carne del Signore) era mediato da quella conoscenza mnemonica straordinaria, per cui ogni parola acquistava rilievo confrontandola con un'altra. Noi ci sentiamo dispensati da un tale lavoro, perché abbiamo le concordanze, ma la luce che ci viene dal trovare noi il contesto in cui ricorre la parola uguale a quella che stiamo leggendo, è preziosissima. Altre persone, invece, usano, nell'accostamento alla Bibbia, la fantasia, l'immaginazione (è la cosiddetta composizione di luogo). Per quanto riguarda la riflessione di S. Ignazio di Loyola sulla applicazione dei sensi (cf Esercizi Spirituali nn. 121-125), ho scoperto che davvero può farci assaporare il mistero di Dio, che possiamo essere nutriti dalla Parola attraverso l'espe­rienza del respiro spirituale, del gusto interiore di Dio. Ma la lectio divina, dicevo sopra, è un cammino mai compiuto, e vorrei accennare alla tappa cui si può giungere dopo averne praticato fedelmente e per lungo tempo l'esercizio. Il testo comincia a dire molto meno, non lo si gusta più e si entra nell'oscurità, nell'aridità, nella desolazione, nell'incapacità a esprimere pensieri buoni. E' questo il momento importante del passaggio a una lectio più approfondita, che si nutre ormai della carne di Cristo. Giovanni della Croce e Teresa d'Avila descrivono molto tali esperienze mediante le immagini della notte oscura del sensi, della notte dello spirito, della sorgente che, zampillando di notte, non può essere vista. Siamo sempre nella strada della lectio, ma le regole sono venute meno per dare posto al gusto misterioso, non percepito dai sensi, di Dio.

  •  Ora ci chiediamo: quale relazione esiste dunque tra la lectio divina e le decisioni? La risposta è facile: una relazione molteplice come molteplice è la lectio. All'inizio è fondamentale insegnare ai principianti l'opportunità di terminare la lettura orante di un brano prendendo qualche deliberazione concreta. In tal modo il principiante capisce che lo scopo di meditare sul Vangelo o su una pagina dell'Antico Testamento è il cambiamento della vita, il compiere gesti reali. A mano a mano che si procede nel cammino, però, il frutto sarà un atteggiamento evangelico che informa tutta l'esistenza, e qui vediamo la relazione tra lectio divina e decisioni significative. Nella misura in cui ci affezioniamo al modo di vivere di Cristo, alla sua scelta di povertà, di umiltà, di obbedienza, di primato del Regno, le nostre scelte non potranno che essere consequenziali. La scelta, quindi, non deriva tanto dalla lectio, quasi come deduzione; dalla lectio deriva quella "sublime conoscenza di Gesù" che è conoscenza del suo modo di essere Dio-uomo. Perché l'Incar­nazione avviene mediante modalità storiche che vanno assimilate per conoscere davvero questo Gesù che così ha predicato, così ha vissuto, così ha agito, così è morto.

  • Un'ultima osservazione sulla Parola di Dio in quanto dono. Mentre all'inizio della lectio predomina l'azione propria, e la Parola su cui mi esercito, i fatti di cui mi parla sono il dono per me, a un dato punto del cammino percepisco che non essi, bensì Dio stesso che mi si comunica è il vero dono. Un dono che afferra la mia esistenza e che mi determina sempre più come qualcosa che viene dall'alto. Recepisco esistenzialmente che il Signore mi nutre e sperimento ciò che il popolo ha vissuto nel momento della distribuzione dei pani.

 

 

Carlo Maria Martini, testimone del nostro tempo. dopo il suo servizio reso alla diocesi di Milano, è ora a Gerusalemme dove studia e prega. per altre informazioni clicca qui.

 

Terrorismo, ritorsione, legittima difesa, guerra a pace

Discorso per la vigilia di S.Ambrogio 2001

 

Facciamo Pace

Videocassetta con  testimonianze del Card. Carlo Maria Martini e di altri.

 

Pace: 3 verità

Lettera da Gerusalemme, quaresima 2003

 

Mio Signore e mio Dio

Esercizi spirituali in Duomo a Milano

 

 

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