Testimoniare fino al sangue!

Catechesi Gim Roma, marzo 2003

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Il nostro tema di oggi è molto provocatorio e pauroso: “Testimoniare…fino al sangue”. Che roba?! Poi il testo proposto è un po’ forte 

– Lettura: «Apparve una moltitudine immensa…di ogni nazione, razza, popoli e lingua…» Ciò dimostra chiaramente l’identità di un Dio che vogliamo seguire o che stiamo seguendo o che stiamo cercando come seguirlo. È un Dio, possiamo dire, della globalizzazione? È un Dio che non esclude nessuno. Dio che nessuno è in grado di misurare il suo amore. Ecco chi ama così, non può evitare il martirio. Perché l’uomo è abituato a misurare il proprio amore. Come siamo abituati a dire : ”Amore mio” ad “A” e non a “B”. Nell’amore di Dio invece, non c’è amore mio solo ad A né solo a B. Il suo amore è indirizzato agli entrambi. Questo modo di amare, dà fastidio all’uomo: “o a me o niente…ti uccido o mi uccido”. Non esiste per Dio l’esclusione. Prolungare nella storia dell’umanità questo genere d’amore, include il dovere di essere martirizzato. Gesù stesso ci ha detto: ” Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi…”Gv 15, 20. Il Vangelo, non è un rifugio ma l’insicurezza umana.  Qui, non si tratta di avere meno o più martiri nella parrocchia propria come pensano alcune persone. Il martirio non è un dato di concorrenza o di competizione. Ma conseguenza di una testimonianza pura della presenza di Dio nella propria vita. Ciò deve interpellarci. Interpellare la  coscienza cristiana. Tutti siamo chiamati alla salvezza e all’adorazione d’un Dio che ci vuole bene così come siamo con i nostri limiti, debolezze, fatiche, e qualità. Non si basa sui nostri colori, dimensioni…per amarci. Si dice: è biondo/a quindi lo/a voglio bene. Dio non ha bisogna del nostro trucco per volerci bene. Che sia con trucco o senza trucco, che sia grande o corto, che sia marrone o giallo, che sia femmina o maschio, ci vuole bene lo stesso. Ciò, è una salvezza grande e gratuito.

«Portavano palme nelle loro mani»: è la raccolta, portavano il frutto della loro vita. È il momento della resa dei conti del loro vissuto, frutto della loro perseveranza. Ciò, ci può ricordare la parabola dove un padrone, prima di viaggiare, diede ai suoi servi ciascuno secondo la propria capacità, i talenti e partì. Dopo molto tempo, il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. E lì, ciascuno portava nelle mani il frutto della propria gestione. Mt 25, 14-30. E così, stiamo portando ora nelle nostre mani la responsabilità della nostra vita affidata a noi da Dio a prenderne cura insieme a lui. E verrà il giorno in cui saremo chiamati anche noi a presentare al padrone le nostre palme. La salvezza è là, ma si deve cercarla, desiderarla, cioè non cade come la manna nel deserto. Ciò chiede l’impegno quotidiano al livello personale. La propria relazione con Dio. La propria relazione con gli altri come conseguenza di quella con Dio.

«Gridavano con gran voce»: non è il grido di lamento, ma il grido di gioia. Un grido dopo tanti tempi di sofferenza, di tortura, di tribolazione, di dolore, d’incomprensione…un grido davvero esperimentato nella vita concreta. Un grido di superamento e di successo. Un grido di dopo soffocamenti, grido di vittoria. È un grido che significa: Ah!…finalmente! Come non manifestare la gioia all’uscita dal carcere o dall’ostaggio, un momento di disgrazia, di disperazione?! Dopo un momento tenebroso, dopo tunnel. Penso che piccolo o grande, abbiamo esperimentato quel momento. Se non ancora, verrà solo per assaggiare com’è buono un momento così! Chi può augurarsi rimanere (tutta la vita) sotto tunnel? Si dice che dopo la pioggia, c’ è sempre il buon tempo, e fa esplodere di gioia. Vi ricordate il  lebbroso che dopo la sua guarigione Gesù lo rimandò dai sacerdoti dicendogli di non dire niente a nessuno… però allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto: Mc1,44-45. L’evangelista non ha indicato quanto tempo ha passato con la lebbra. Non si può bloccare una gioia così grande, perché è, gioia di risurrezione per chi ha vissuto quel momento di morte. Il testo dice che gridavano con gran voce, riconoscendo che se non fosse l’intervento di Dio, non ce l'avrebbero fatto. Riconoscono che l’accaduto, non è l’opera umana ma la potenza di Dio Vivente nella loro vita. Quante volte nella nostra vita dopo il superamento di tante agitazioni e preoccupazioni riconosciamo che quello è il frutto dell’amore di Dio, il frutto del suo intervento nella nostra vita. A volte, davanti alcune situazioni ci sentiamo nell’incapacità di sorpassare quel momento: “non ce la faccio(più) ”  chi non ha mai detto questa parola? Eppure dopo, ci rendiamo conto che ce l’abbiamo fatta. E la frase diventa: ce l’ho fatta!” (laureato, esame, ricerca di lavoro, malattie, malintesa…).

«Lode, gloria, sapienza, azione di grazia, onore, potenza, forza al nostro Dio», questo è il contenuto del loro grido. Il significato vero e profondo del loro grido è che si esaltano del fatto che sono riusciti a dare testimonianza a quell’amore di Dio (senza esclusione) attraverso la loro esperienza, cioè la loro vita. Ecco il perché del loro martirio. Il martirio in sé è la conseguenza dell’amore, di un amore vero. Perciò, il martirio non è una roba da cercare, ma accade perché hai voluto soltanto prolungare nella storia dell’umanità il volto dell’amore di Dio che Gesù è stato il primo a portarcelo.

«Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono? », forse avvolte chiediamo anche per curiosità: chi sono questi davanti ad un gruppo, o forse abbiamo sentito già queste genere di domande. È una domanda che fa vedere come nella storia c'è gente che sa vivere contro corrente. Qui la risposta è nella linea della salvezza che deriva dalla forza di testimoniare la presenza di Dio nella propria vita. Come diceva Gesù: “Chi mi riconosce davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio” Mc, 8,34-38. Qui è proprio il momento in cui Gesù riconosce i suoi veri discepoli. Ciò è il frutto della perseveranza. Sono passati dalla tribolazione i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori. Non hanno cercato il martirio ma hanno testimoniato il Figlio di Dio. Martiria in greco significa testimonianza. Il testo quindi, ridà la vita, la vita di risurrezione della realtà dell’uomo, della donna. Tanta gente vive molto forte nella nostra storia, una esperienza di morte e di peccato. Il testo interviene per svegliarci, richiamarci di rivedere lo stilo di vita in qui viviamo. È uno stilo di morte? È uno stilo di vita? Comunque ciascuno sa come sta vivendo la propria vita di oggi. E quale sarà la conseguenza di (questo) sua palma?! È un testo che vuole spingerci nel cammino di fede. E quindi ognuno deve esperimentare nella propria vita questo cammino per scoprire i segni della salvezza, i segni di risurrezione e scoprire come Dio si sta portando avanti. Di fronte alla sofferenza, di fronte all’incomprensione, di fronte alla fragilità…stiamo passando la tribolazione. Come assumiamo allora questi momenti? Se li viviamo nell’amore, ci stiamo lavando le nostre vesti nel sangue. Grande tribolazione mostra una situazione di debolezza che fa vacillare la fede, la vita.                   

«Hanno lavato le loro vesti… col sangue», io non ho mai visto il sangue che lava, siamo abituati a vedere solo il sangue che sporca. È strano questo sangue che non sporca ma lava, rende candida il vestito. Ciò ci può ricordare la resurrezione di Gesù: “le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo,… era piegato in un luogo a parte" Gv. 20,6-7. Ciò ci fa vedere il cambiamento radicale e totale che avviene dopo una sofferenza assunta ed accettata. Le bende e il sudario con cui hanno circondato il corpo di Gesù erano sicuramente sporchi,  e pieni di sangue, non vi sembra? Ora non sono più sporchi ne disordinati, ma puliti e piegati. Chi sarebbe andato a prenderli e poter lavarli? Ed in qual momento? Boh! Io credo che stiamo aspirando veramente a un mistero molto grande. Una ricchezza non misurabile è proprio la bontà di Dio. E chi prende coscienza di questa ricchezza non può non testimoniarla con la propria vita in qualsiasi momento e a tutti i costi. Ecco, la forza del martirio che nasce dalla consapevolezza di essere amato/a e perdonato/a da un cuore e da forza umile, silenziose. Una forza non arrogante né aggressiva per rivendicare la propria sicurezza. Non è una forza potenza apparentemente fisica armata fino ai denti. Ma è una forza che non ha "il prosciutto sull'occhio". Una forza che non ha vergogna di mostrare la propria identità di figli di Dio. È una forza che non ha vergogna di mostrarsi debole fisicamente e testimoniare fino in fondo davanti agli uomini il suo obiettivo: "amare Dio ed amare senza frontiera e senza distinzione". E contro tutte le forme di discriminazione possibile. Purtroppo queste genere di amore dà fastidio a chi è abituato a canalizzare il proprio amore. Ciò causa allora l'omicidio, ecco il perché succede il martirio. Un cristiano/a, deve avere il coraggio e la forza di mostrare il volto di Cristo agli uomini e alle donne del suo tempo, allora saremo chiamati e in grado di avere le nostri vesti bianche. Ecco il perché tutti questi popoli hanno i vestiti bianchi. Loro sono passati per tribolazione senza vergognarsi di testimoniare Gesù e la loro fede nella loro quotidianità, a  scuola, quartieri, casa, uffici, fabbriche….L’uomo è unico, non è basta la messa funerale in chiesa dopo la morte. Questo può essere per noi una sfida. Pensiamoci e chiediamoci. Come è la mia vissuta quotidiana?

«Hanno lavato le loro vesti …col sangue… per questo stanno davanti al trono di Dio…» qui c'è qualcosa di molto importante da segnalare. Gesù dirà: "Il Padre mi ama; perché io offro la mia vita…" Gv.10. 17-18. Entrambi le frasi mostrano una grandissima libertà e disponibilità al riguardo di Dio che ci ha creato. Dio è certo Maestro della vita, ma lascia a noi la libertà di esserne “padrone”. Libertà di scelta(orientare la propria vita). Cioè abbiamo la responsabilità di offrire o di non offrire…E da qui, la risposta che dobbiamo dare alla persona di Cristo non può restare senza contenuto, ci deve trasformare in una persona nuova, è automatico. Ciò significa imparare ad assumere le tribolazioni quotidiane, le incomprensioni, liberarsi dai pregiudizi, il modo di gestirci al di dentro e al di fuori., andare contro corrente, senza usare la logica di : come tutti fanno così, come tutti comprano così… affrontare le situazioni difficile, malattia ,solitudine… Non chiediamo al Cristo di toglierci la croce ma di darci la forza di portarla se ci accadono. Così la nostra vita diventi simile a quella di Cristo. Di darci spalle forti per portare le tribolazioni con dignità e non con rassegnazione passiva, non solo con pazienza, ma con dignità, (V16-17) ed allora arriverà il tempo della pienezza della pace, della tranquillità, ed ogni lacrima versata a causa di Dio non rimarrà senza ricompensa, non rimarrà dimenticata. Lui stesso tergerà, lacrime dagli occhi, lacrime dal cuore, lacrime dal corpo.

 Grazie della vostra pazienza …

                    …buona meditazione.

 Che lo Spirito vi accompagni!

 Soloumta Israel

 

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