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q       14 dicembre 2001 PARTECIPA AL DIGIUNO e BOICOTTA IL CONTO ARMATO

q       Sabato 15/12/2001 "Pace e Giustizia! Responsabilità di Banche e risparmiatori."
Associazioni e cittadini si interrogano sull'uso responsabile del denaro.

q       Altreconomia gennaio 2002- Le armi occidentali del fondamentalismo islamista,di Francesco Terreri

 


 14 dicembre 2001 PARTECIPA AL DIGIUNO e BOICOTTA IL CONTO ARMATO

 


 

 

Per raccogliere i contributi della "giornata di digiuno, preghiera e carità per la pace", promossa dal Papa per il 14 dicembre prossimo, il Vaticano ha aperto un "conto corrente straordinario"  (http://www.vatican.va/) nella Banca di Roma, una delle principali banche che commerciano in armi. Missione Oggi (http://www.saveriani.bs.it/) partecipa al digiuno e con un comunicato chiede di inviare mail  (http://www.saveriani.bs.it/) per chiudere quel conto corrente.

Nonostante oltre 6000 mail inviate (tra cui moltissime di sacerdoti e religiosi/e) il Vaticano ha mantenuto aperto il conto corrente presso la Banca (armata) di Roma:
se non l'hai ancora fatto,
invia una mail e chiedi di chiudere quel conto corrente.

 

 

 

Sabato 15 dicembre 2001 Firenze
"Pace e Giustizia! Responsabilità di Banche e risparmiatori."
Associazioni e cittadini si interrogano sull'uso responsabile del denaro,
alla luce dei recenti avvenimenti e delle campagne "Banche armate" e "Banche
Trasparenti". Organizzazione del Coordinamento Fiorentino Campagna Banche Armate


Ecco una breve relazione, frutto del lavoro di alcuni membri del coordinamento fiorentino e
in particolare di Gianni Comoretto.
Sabato 15 dicembre si e' tenuto nella sala del Consiglio del Quartiere 4 a
Villa Vogel il convegno dal titolo "Pace e giustizia: responsabilità di
banche e risparmiatori".
L'idea era quella di mettere a confronto ricercatori, politici e persone
coinvolte nella campagna "Banche armate", con i rappresentanti di alcune
banche e i risparmiatori. Sono stati invitati i rappresentanti di
Unicredito, Monte dei Paschi di Siena, Cassa di Risparmio di Firenze e Banca
Toscana.
Purtroppo tra le banche interpellate solo il Monte dei Paschi di Siena (che
ha dichiarato solo ufficiosamente di non voler più essere coinvolto in
commercio di armi) ha risposto all'invito, ma il suo rappresentante non e'
potuto intervenire per motivi di salute (una colica renale contratta sabato
stesso). La Cassa di Risparmio di Firenze ha inviato una lettera, in cui ha
difeso la sua scelta di finanziare il commercio non di armi, ma di sistemi
di puntamento, nel pieno rispetto delle leggi attuali (ricordiamo per
precisione che i materiali in questione sono solo "armi a prevalente uso
militare"- art.2 della l.185/90).
Davanti a più di 120 ascoltatori, Francesco Terreri di Altreconomia e
Giorgio Beretta di Missione Oggi hanno presentato la campagna attraverso i
dati, che il Governo pubblica ogni anno ai sensi della legge 185/90. Beretta
ha sottolineato l'importanza delle lettere spedite dai risparmiatori alle
banche. La campagna è un mezzo per aprire un dialogo costruttivo tra clienti
e aziende di credito basato su dati ufficiali e finalizzato a rendere più
etica la gestione del nostro risparmio.
"Vogliamo evitare che le leggi dell'economia diventino, come sta succedendo,
leggi al servizio del profitto e non del bene comune? Allora la politica
deve riprendere il suo ruolo di controllo", questo il sunto dell'intervento
del Vicepresidente della Regione Toscana Angelo Passaleva. Il politico ha
ricordato le attenzioni e gli interventi della Regione Toscana a favore del
commercio equo, della finanza etica e del settore no profit.
Massimo Ronchieri, ricercatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, ha
presentato alcuni risultati della ricerca condotta dall'istituto di
Vecchiano. Ha ribadito che la guida al risparmio responsabile uscirà entro
primavera e ha poi sottolineato che la maggior parte delle iniziative etiche
delle diverse banche sono "bufale etiche", che spesso consistono solo nel
devolvere in beneficenza gli interessi dei diversi conti. Inoltre anche gli
altri fondi "etici" hanno in portafoglio per es. aziende farmaceutiche,
spesso non rispettose dell'ambiente. Il ricercatore ha poi evidenziato la
necessità che la campagna Banche Armate sia l'inizio di una conversione a
nuovi "stili di vita", che riguardi anche gli altri ambiti del nostro vivere
quotidiano.
Tra i molti interventi del pubblico, Alessandro Santoro ha ricordato che il
problema dell'uso consapevole del denaro non esiste, per chi non ne ha.
Bisogna quindi sperimentare strade nuove e sostenere le esperienze di
microcredito che già esistono.
A livello di enti locali intanto qualcosa si muove. "La Cassa di Risparmio
di Firenze, il cui contratto di tesoreria scadrà nel 2003, gestisce circa
2000 miliardi per il solo Comune di Firenze", ma ci sono continue pressioni
per un cambiamento. A proposito i consiglieri comunali Alessio Papini e
Gregorio Malavolti hanno raccontato l'esperienza della mozione recentemente
presentata in Comune, che propone di valutare gli istituti di credito, cui
si appoggia Palazzo Vecchio, in base a principi etici.
Vari risparmiatori hanno poi chiesto informazioni, su possibili alternative:
da Banca Etica, un po' scomoda per la mancanza di un vero e proprio
sportello a Firenze, al "Banco Posta", dai fondi etici già esistenti, al
microcredito.
Nelle conclusioni si è rilevata la necessità di prestare attenzione a molti
altri aspetti della campagna Banche Armate: come il "commercio grigio", per
cui vengono vendute armi "per attività sportive" senza che compaiano nella
relazione del Governo e la necessità di valutare l'eticità' di una banca non
solo rispetto al sostegno del commercio d'armi.
Beretta ha affermato l'importanza di allargare la campagna anche a quelle
associazioni e ai soggetti, che per orientamento politico non sarebbero
portati ad interessarsi di finanza etica: l'essenziale in molti casi è fare
un cammino insieme.
Infine Terreri ha rammentato il rischio che la legge 185 venga modificata
già nel 2002 e perda così i suoi caratteri piu' innovativi.
In definitiva c'è ancora tanto da fare. Per questo accogliamo l'invito del
coordinatore dell'incontro Andrea Bigalli: "sforziamoci per inventare sempre
nuovi tipi di azioni".

Coordinamento Fiorentino Campagna Banche Armate

 

 

 

 

 

 

Altreconomia gennaio 2002 (www.altreconomia.it)

 Le armi occidentali del fondamentalismo islamista

di Francesco Terreri

 

Tra il gennaio e l'agosto del 2001 dall'Italia sono partite 36 tonnellate di armi e munizioni con destinazione Emirati Arabi Uniti per un valore di 20 milioni di euro (oltre 38 miliardi di lire), qualcosa come 291 tonnellate di materiale bellico destinato al Libano, che però valgono solo 1 milione e mezzo di euro, e quasi due tonnellate di armi all'Algeria per un ammontare di poco inferiore a 900 mila euro. Sono i dati doganali forniti dall'Istat e riferiti prevalentemente ad armi leggere, anche se nella classificazione del munizionamento sono compresi missili e bombe di dimensioni maggiori. Il principale cliente dell'industria italiana delle piccole armi restano gli Stati Uniti, che nei primi otto mesi dell'anno hanno acquistato materiale per 98 milioni e mezzo di euro (190 miliardi di lire). Nessuna di queste destinazioni è estranea alla crisi politico-militare aperta con gli attentati dell'11 settembre.

La via dei traffici dal Golfo al Pamir

Come spiega Human Rights Watch nel suo rapporto, del luglio scorso, "Afghanistan: crisis of impunity", negli Emirati Arabi Uniti, e in particolare a Dubai, operano diverse compagnie commerciali pakistane e dealers, operatori d'affari, specializzati nella compravendita di munizioni e parti di ricambio di armi che sono finite ad armare, tra l'altro, il regime dei Talebani a Kabul. Tra il materiale finito sull'antica "Costa dei pirati" del Golfo arabo-persico, c'è almeno una parte della commessa '98 da 15 milioni di dollari alla Sei, la Società Esplosivi Industriali di Brescia, per i "sistemi di difesa subacquea Manta". Nel 2000 infatti - ce lo dice l'annuale Relazione governativa sull'export italiano di armi prevista dalla legge 185/90 - la banca d'appoggio dell'operazione, Ambroveneto-Banca IntesaBci, aveva ottenuto l'autorizzazione a cominciare ad incassare i pagamenti. Le "Manta" non sono altro che mine marine: poco adatte, certo, alla guerra sulle montagne dell'Asia centrale, ma efficaci per quel terrorismo navale di cui si ebbe un clamoroso esempio proprio nel Golfo durante la guerra Iran-Iraq degli anni '80.

Il Libano sotto la pax siriana non fa più parlare di sé come centro di traffici più o meno illegali, anche se resta sede di importanti organizzazioni dell'estremismo islamista. Ai primi del 2000 le forze di sicurezza siriane e libanesi sbaragliano nel nord del paese una brigata di ex volontari mujaheddin in Afghanistan che, scrive il quotidiano indipendente di Beirut Al-Nahar, "ricevono sostegno finanziario dal miliardario saudita Osama Bin Laden attraverso conti bancari segreti a Beirut e nel Libano del nord". Il gruppo possedeva mitragliatori e razzi di fabbricazione russa e statunitense inclusi, forse, alcuni dei micidiali sistemi antiaerei portatili Stinger della General Dynamics/Raytheon, che i nordamericani fornirono alla resistenza antisovietica afgana negli anni '80.

Ma non si tratta del solo legame tra organizzazioni libanesi e terrorismo internazionale e l'intervento siriano in quel caso è stato dettato da preoccupazioni su un gruppo fuori controllo. Il network del radicalismo islamista, da Hezbollah ai fondamentalisti sunniti ai legami con le organizzazioni estremiste palestinesi, è ampio e sostanzialmente protetto da Damasco, oltre che sostenuto dall'Iran. Difficile che non utilizzi almeno in parte il consistente flusso di armi leggere e munizioni provenienti ogni anno dall'Italia. In Libano è arrivato materiale per 2,2 milioni di euro nel '98, altrettanti nel '99 e per 3,1 milioni di euro nel 2000. Ma nel 2000 sono cominciate anche le consegne alla Siria dei sistemi di controllo del tiro Turms (Officine Galileo-Finmeccanica) per carri armati, una megacommessa, regolarmente autorizzata dal governo italiano, che vale complessivamente oltre 200 milioni di euro (400 miliardi di lire).

Una Beretta non manca mai

Più della metà delle forniture di armi italiane al Libano arriva dalla provincia di Brescia, e nel distretto dei fucili e delle pistole della Val Trompia la parte del leone la fa, come sempre, il gruppo Beretta - oltre 250 milioni di euro di fatturato consolidato - che a Beirut ha anche un ufficio vendite, la Brescia Middle East. Non stupisce quindi che da Brescia sia partita anche l'unica partita di armi registrata in dogana negli anni '90 per l'Afghanistan: 120 milioni di lire, appena 62 mila euro, esportati in piena guerra civile a cavallo tra il 1995 e il 1996. E Beretta sono anche molte delle armi, soprattutto pistole, arrivate in questi anni dall'Italia in Algeria. Il record fu raggiunto nel 1995 con più di 5 milioni di euro (10 miliardi di lire). Naturalmente il cliente principale era il governo di Algeri. Ma secondo Luis Martinez, del Centro studi e ricerche internazionali (Ceri) di Parigi, che ha seguito da vicino la situazione nel paese durante la guerra civile seguita alla cancellazione dei risultati delle elezioni legislative del '91, le armi principali usate dai gruppi armati del fondamentalismo islamista - anch'essi connessi con i network internazionali - erano "le pistole Beretta e i Kalashnikov".

Mitragliette Beretta, invece, sono state trovate insieme a fucili mitragliatori, lanciagranate, razzi e missili guidati, compresi i famosi Stinger, nel listino prezzi di due uomini d'affari statunitensi, uno di origine egiziana e l'altro pakistana, arrestati alla metà di giugno 2001 dall'Fbi in Florida e accusati insieme a due complici, tra cui un trader di Wall Street, di esportazione illegale di armi, in particolare in Pakistan, e di riciclaggio di denaro sporco. Non si sa quanti sistemi fossero già stati venduti, ma l'ultima cifra d'affari da "ripulire" ammontava a 2,2 milioni di dollari. Tuttora non è chiaro se c'è una connessione tra questi trafficanti d'armi e la rete terroristica che ha organizzato l'attentato dell'11 settembre. È chiaro invece che non tutte le armi Beretta esportate o prodotte negli Stati Uniti - dove opera la Beretta Usa corporation - finiscono alle forze armate statunitensi o al mercato interno.

La connection saudita

Ma prima della guerra in Asia centrale, i grandi affari dell'industria bellica occidentale con paesi che proteggevano il radicalismo islamista negli anni '90 sono stati fatti con il Pakistan e con l'Arabia Saudita e attraverso di essi, in una certa fase, anche con il regime dei Talebani in Afghanistan. Scrive la rivista "Raids", legata al mondo dei mercanti d'armi e dei mercenari, nel settembre 1995: "I Talebani hanno ricevuto armi leggere, mezzi blindati e velivoli dal Pakistan, con il sostegno finanziario dell'Arabia Saudita e l'approvazione di Washington". Sempre gli Stati Uniti nel '97, quando gli uomini del mullah Omar erano ormai al potere, mandarono a Kabul non solo 45 milioni di dollari di aiuti umanitari ma anche 275 mila dollari di "security assistance, che comprende sostegno economico a paesi strategici, programmi antidroga e antiterrorismo" (Council for a Livable World Education Fund, "Foreign Aid and the Arms Trade: A Look at the Numbers", luglio 1998).

Il Pakistan intanto - come spiegano gli istituti internazionali, primo fra tutti il Sipri, l'Istituto di ricerca per la pace di Stoccolma - riceveva veicoli blindati M-113A2 dagli Stati Uniti, elicotteri antisommergibili Lynx dalla Gran Bretagna, cacciabombardieri Mirage III dalla Francia. Massicce forniture di aerei e carri armati arrivavano dalla Cina e qualcosa in campo elicotteristico perfino dalla Russia, tradizionale amica del paese rivale, l'India. L'Italia fa il pieno nel '94 e nel '97 con due grosse commesse di radar Grifo della Fiar (Finmeccanica) installati sia sui caccia di costruzione cinese F-7 che sui Mirage, per un valore totale che supera i 100 milioni di dollari. Non bastano gli scontri nel Kashmir con l'India per interrompere questo flusso. Un certo raffreddamento da parte statunitense si ha soltanto dal '98 a causa della corsa agli armamenti nucleari nell'area.

Nessun rallentamento invece nei rapporti economico-militari con l'Arabia Saudita, uno dei principali clienti dell'industria militare occidentale e, al tempo stesso, supporter più o meno entusiasta di diversi gruppi del fondamentalismo islamista sunnita. Secondo l'ultimo rapporto del General Accounting Office (Gao) al Congresso degli Stati Uniti, le sole vendite da governo a governo degli Usa a Ryad tra il 1991 e il 2000 sono ammontate a 33 miliardi e mezzo di dollari, un quinto di tutte le esportazioni statunitensi di armamenti nel periodo. Nel 2000 le vendite commerciali dirette autorizzate sono state pari a mezzo miliardo di dollari. La connection saudita nell'establishment Usa va anche oltre, date le ampie relazioni finanziarie in corso in campo petrolifero e non, di cui è simbolo la partecipazione di capitali sauditi al Carlyle Group, la società di investimento guidata da esponenti dell'amministrazione Reagan come Frank Carlucci e James Baker e di cui è socia anche la famiglia Bush.

Anche i paesi dell'Europa Occidentale hanno venduto negli anni '90 a Ryad armamenti per decine di miliardi di dollari. E dall'Arabia Saudita dipendono molto più degli Usa per le forniture di petrolio. Tra gli affari più grandi, le esportazioni dei cacciabombardieri anglo-italo-tedeschi Tornado, che portarono le autorizzazioni all'export italiane ai sauditi nel 1994 al record di 395 milioni di euro (765 miliardi di lire), e la fornitura delle fregate francesi F3000S, armate anche con sistemi di altri paesi tra cui l'Italia.

Guadagnare due volte sulla stessa crisi

Dopo questa scorpacciata, che ha portato su i profitti ma ha anche alimentato l'instabilità e le connessioni pericolose con regimi estremisti e reti terroriste, i gruppi di interesse della produzione bellica in Occidente si apprestano a sfruttare la nuova occasione provocata dalla strage di New York dell'11 settembre. Il 14 dicembre il Congresso Usa ha approvato un bilancio della difesa 2002 da 344 miliardi di dollari. Negli ultimi cinque anni, secondo il Sipri, la spesa militare statunitense non aveva mai superato i 300 miliardi di dollari. Il progetto National Missile Defense - lo "scudo spaziale" - è stato tutt'altro che abbandonato, nonostante la sua palese incongruenza, a dir poco, con le nuove minacce della "guerra asimmetrica", il termine che usano a Washington per indicare i nuovi conflitti non convenzionali come quello con il terrorismo internazionale. Lo Nmd costerà - secondo uno studio del Council for a Livable World Education Fund, un importante organismo non profit statunitense che promuove ricerche sui principali temi di interesse socio-economico - non meno di 273 miliardi di dollari, sia pur in vent'anni.

Anche il bilancio della difesa italiano crescerà nel 2002 almeno del 10%. La spesa militare nel nostro paese, secondo il Sipri, si stava attestando negli ultimi anni sui 24 miliardi di dollari, dopo essere vistosamente cresciuta a metà degli anni '90. Lo stesso Sipri segnalava nel 2000 un incremento nella spesa militare mondiale, salita dai 733 del '99 a 756 miliardi di dollari. La spinta alla crescita veniva soprattutto dall'Est e dal Sud del mondo. Adesso torna a manifestarsi nel centro del sistema mondiale. E il complesso militare-industriale si appresta a guadagnare per la seconda volta sugli stessi drammi e sulle stesse paure.

Francesco Terreri

Microfinanza srl*

* Microfinanza è una piccola organizzazione italiana che promuove il microcredito nel Sud del mondo e l'analisi e l'informazione sulla finanza e l'economia internazionale www.microfinanza.it





 

 

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