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SUD DEL MONDO | MURALES | TEMI SPECIALI | TESTI DI APPROFONDIMENTO |
Per raccogliere i
contributi della "giornata di digiuno, preghiera e carità
per la pace", promossa dal Papa per il 14 dicembre prossimo,
il Vaticano ha aperto un "conto
corrente straordinario"
(http://www.vatican.va/)
nella
Banca di Roma, una delle principali banche
che commerciano in armi. Missione
Oggi (http://www.saveriani.bs.it/)
partecipa
al digiuno e con un comunicato
chiede di inviare
mail (http://www.saveriani.bs.it/)
per
chiudere quel conto corrente. Nonostante oltre 6000 mail inviate (tra cui
moltissime di sacerdoti e religiosi/e) il Vaticano ha mantenuto
aperto il conto corrente presso la Banca (armata) di Roma: Sabato
15 dicembre 2001 Firenze Altreconomia gennaio 2002 (www.altreconomia.it) Le armi occidentali del fondamentalismo islamista di Francesco Terreri Tra
il gennaio e l'agosto del 2001 dall'Italia sono partite 36
tonnellate di armi e munizioni con destinazione Emirati Arabi
Uniti per un valore di 20 milioni di euro (oltre 38 miliardi di
lire), qualcosa come 291 tonnellate di materiale bellico destinato
al Libano, che però valgono solo 1 milione e mezzo di euro, e
quasi due tonnellate di armi all'Algeria per un ammontare di poco
inferiore a 900 mila euro. Sono i dati doganali forniti dall'Istat
e riferiti prevalentemente ad armi leggere, anche se nella
classificazione del munizionamento sono compresi missili e bombe
di dimensioni maggiori. Il principale cliente dell'industria
italiana delle piccole armi restano gli Stati Uniti, che nei primi
otto mesi dell'anno hanno acquistato materiale per 98 milioni e
mezzo di euro (190 miliardi di lire). Nessuna di queste
destinazioni è estranea alla crisi politico-militare aperta con
gli attentati dell'11 settembre. La
via dei traffici dal Golfo al Pamir Come
spiega Human Rights Watch nel suo rapporto, del luglio scorso,
"Afghanistan: crisis of impunity", negli Emirati Arabi
Uniti, e in particolare a Dubai, operano diverse compagnie
commerciali pakistane e dealers, operatori d'affari, specializzati
nella compravendita di munizioni e parti di ricambio di armi che
sono finite ad armare, tra l'altro, il regime dei Talebani a
Kabul. Tra il materiale finito sull'antica "Costa dei
pirati" del Golfo arabo-persico, c'è almeno una parte della
commessa '98 da 15 milioni di dollari alla Sei, la Società
Esplosivi Industriali di Brescia, per i "sistemi di difesa
subacquea Manta". Nel 2000 infatti - ce lo dice l'annuale
Relazione governativa sull'export italiano di armi prevista dalla
legge 185/90 - la banca d'appoggio dell'operazione,
Ambroveneto-Banca IntesaBci, aveva ottenuto l'autorizzazione a
cominciare ad incassare i pagamenti. Le "Manta" non sono
altro che mine marine: poco adatte, certo, alla guerra sulle
montagne dell'Asia centrale, ma efficaci per quel terrorismo
navale di cui si ebbe un clamoroso esempio proprio nel Golfo
durante la guerra Iran-Iraq degli anni '80. Il
Libano sotto la pax siriana non fa più parlare di sé come centro
di traffici più o meno illegali, anche se resta sede di
importanti organizzazioni dell'estremismo islamista. Ai primi del
2000 le forze di sicurezza siriane e libanesi sbaragliano nel nord
del paese una brigata di ex volontari mujaheddin in Afghanistan
che, scrive il quotidiano indipendente di Beirut Al-Nahar,
"ricevono sostegno finanziario dal miliardario saudita Osama
Bin Laden attraverso conti bancari segreti a Beirut e nel Libano
del nord". Il gruppo possedeva mitragliatori e razzi di
fabbricazione russa e statunitense inclusi, forse, alcuni dei
micidiali sistemi antiaerei portatili Stinger della General
Dynamics/Raytheon, che i nordamericani fornirono alla resistenza
antisovietica afgana negli anni '80. Ma
non si tratta del solo legame tra organizzazioni libanesi e
terrorismo internazionale e l'intervento siriano in quel caso è
stato dettato da preoccupazioni su un gruppo fuori controllo. Il
network del radicalismo islamista, da Hezbollah ai fondamentalisti
sunniti ai legami con le organizzazioni estremiste palestinesi, è
ampio e sostanzialmente protetto da Damasco, oltre che sostenuto
dall'Iran. Difficile che non utilizzi almeno in parte il
consistente flusso di armi leggere e munizioni provenienti ogni
anno dall'Italia. In Libano è arrivato materiale per 2,2 milioni
di euro nel '98, altrettanti nel '99 e per 3,1 milioni di euro nel
2000. Ma nel 2000 sono cominciate anche le consegne alla Siria dei
sistemi di controllo del tiro Turms (Officine Galileo-Finmeccanica)
per carri armati, una megacommessa, regolarmente autorizzata dal
governo italiano, che vale complessivamente oltre 200 milioni di
euro (400 miliardi di lire). Una
Beretta non manca mai Più
della metà delle forniture di armi italiane al Libano arriva
dalla provincia di Brescia, e nel distretto dei fucili e delle
pistole della Val Trompia la parte del leone la fa, come sempre,
il gruppo Beretta - oltre 250 milioni di euro di fatturato
consolidato - che a Beirut ha anche un ufficio vendite, la Brescia
Middle East. Non stupisce quindi che da Brescia sia partita anche
l'unica partita di armi registrata in dogana negli anni '90 per
l'Afghanistan: 120 milioni di lire, appena 62 mila euro, esportati
in piena guerra civile a cavallo tra il 1995 e il 1996. E Beretta
sono anche molte delle armi, soprattutto pistole, arrivate in
questi anni dall'Italia in Algeria. Il record fu raggiunto nel
1995 con più di 5 milioni di euro (10 miliardi di lire).
Naturalmente il cliente principale era il governo di Algeri. Ma
secondo Luis Martinez, del Centro studi e ricerche internazionali
(Ceri) di Parigi, che ha seguito da vicino la situazione nel paese
durante la guerra civile seguita alla cancellazione dei risultati
delle elezioni legislative del '91, le armi principali usate dai
gruppi armati del fondamentalismo islamista - anch'essi connessi
con i network internazionali - erano "le pistole Beretta e i
Kalashnikov". Mitragliette
Beretta, invece, sono state trovate insieme a fucili
mitragliatori, lanciagranate, razzi e missili guidati, compresi i
famosi Stinger, nel listino prezzi di due uomini d'affari
statunitensi, uno di origine egiziana e l'altro pakistana,
arrestati alla metà di giugno 2001 dall'Fbi in Florida e accusati
insieme a due complici, tra cui un trader di Wall Street, di
esportazione illegale di armi, in particolare in Pakistan, e di
riciclaggio di denaro sporco. Non si sa quanti sistemi fossero già
stati venduti, ma l'ultima cifra d'affari da "ripulire"
ammontava a 2,2 milioni di dollari. Tuttora non è chiaro se c'è
una connessione tra questi trafficanti d'armi e la rete
terroristica che ha organizzato l'attentato dell'11 settembre. È
chiaro invece che non tutte le armi Beretta esportate o prodotte
negli Stati Uniti - dove opera la Beretta Usa corporation -
finiscono alle forze armate statunitensi o al mercato interno. La
connection saudita Ma
prima della guerra in Asia centrale, i grandi affari
dell'industria bellica occidentale con paesi che proteggevano il
radicalismo islamista negli anni '90 sono stati fatti con il
Pakistan e con l'Arabia Saudita e attraverso di essi, in una certa
fase, anche con il regime dei Talebani in Afghanistan. Scrive la
rivista "Raids", legata al mondo dei mercanti d'armi e
dei mercenari, nel settembre 1995: "I Talebani hanno ricevuto
armi leggere, mezzi blindati e velivoli dal Pakistan, con il
sostegno finanziario dell'Arabia Saudita e l'approvazione di
Washington". Sempre gli Stati Uniti nel '97, quando gli
uomini del mullah Omar erano ormai al potere, mandarono a Kabul
non solo 45 milioni di dollari di aiuti umanitari ma anche 275
mila dollari di "security assistance, che comprende sostegno
economico a paesi strategici, programmi antidroga e
antiterrorismo" (Council for a Livable World Education Fund,
"Foreign Aid and the Arms Trade: A Look at the Numbers",
luglio 1998). Il
Pakistan intanto - come spiegano gli istituti internazionali,
primo fra tutti il Sipri, l'Istituto di ricerca per la pace di
Stoccolma - riceveva veicoli blindati M-113A2 dagli Stati Uniti,
elicotteri antisommergibili Lynx dalla Gran Bretagna,
cacciabombardieri Mirage III dalla Francia. Massicce forniture di
aerei e carri armati arrivavano dalla Cina e qualcosa in campo
elicotteristico perfino dalla Russia, tradizionale amica del paese
rivale, l'India. L'Italia fa il pieno nel '94 e nel '97 con due
grosse commesse di radar Grifo della Fiar (Finmeccanica)
installati sia sui caccia di costruzione cinese F-7 che sui Mirage,
per un valore totale che supera i 100 milioni di dollari. Non
bastano gli scontri nel Kashmir con l'India per interrompere
questo flusso. Un certo raffreddamento da parte statunitense si ha
soltanto dal '98 a causa della corsa agli armamenti nucleari
nell'area. Nessun
rallentamento invece nei rapporti economico-militari con l'Arabia
Saudita, uno dei principali clienti dell'industria militare
occidentale e, al tempo stesso, supporter più o meno entusiasta
di diversi gruppi del fondamentalismo islamista sunnita. Secondo
l'ultimo rapporto del General Accounting Office (Gao) al Congresso
degli Stati Uniti, le sole vendite da governo a governo degli Usa
a Ryad tra il 1991 e il 2000 sono ammontate a 33 miliardi e mezzo
di dollari, un quinto di tutte le esportazioni statunitensi di
armamenti nel periodo. Nel 2000 le vendite commerciali dirette
autorizzate sono state pari a mezzo miliardo di dollari. La
connection saudita nell'establishment Usa va anche oltre, date le
ampie relazioni finanziarie in corso in campo petrolifero e non,
di cui è simbolo la partecipazione di capitali sauditi al Carlyle
Group, la società di investimento guidata da esponenti
dell'amministrazione Reagan come Frank Carlucci e James Baker e di
cui è socia anche la famiglia Bush. Anche
i paesi dell'Europa Occidentale hanno venduto negli anni '90 a
Ryad armamenti per decine di miliardi di dollari. E dall'Arabia
Saudita dipendono molto più degli Usa per le forniture di
petrolio. Tra gli affari più grandi, le esportazioni dei
cacciabombardieri anglo-italo-tedeschi Tornado, che portarono le
autorizzazioni all'export italiane ai sauditi nel 1994 al record
di 395 milioni di euro (765 miliardi di lire), e la fornitura
delle fregate francesi F3000S, armate anche con sistemi di altri
paesi tra cui l'Italia. Guadagnare
due volte sulla stessa crisi Dopo
questa scorpacciata, che ha portato su i profitti ma ha anche
alimentato l'instabilità e le connessioni pericolose con regimi
estremisti e reti terroriste, i gruppi di interesse della
produzione bellica in Occidente si apprestano a sfruttare la nuova
occasione provocata dalla strage di New York dell'11 settembre. Il
14 dicembre il Congresso Usa ha approvato un bilancio della difesa
2002 da 344 miliardi di dollari. Negli ultimi cinque anni, secondo
il Sipri, la spesa militare statunitense non aveva mai superato i
300 miliardi di dollari. Il progetto National Missile Defense - lo
"scudo spaziale" - è stato tutt'altro che abbandonato,
nonostante la sua palese incongruenza, a dir poco, con le nuove
minacce della "guerra asimmetrica", il termine che usano
a Washington per indicare i nuovi conflitti non convenzionali come
quello con il terrorismo internazionale. Lo Nmd costerà - secondo
uno studio del Council for a Livable World Education Fund, un
importante organismo non profit statunitense che promuove ricerche
sui principali temi di interesse socio-economico - non meno di 273
miliardi di dollari, sia pur in vent'anni. Anche
il bilancio della difesa italiano crescerà nel 2002 almeno del
10%. La spesa militare nel nostro paese, secondo il Sipri, si
stava attestando negli ultimi anni sui 24 miliardi di dollari,
dopo essere vistosamente cresciuta a metà degli anni '90. Lo
stesso Sipri segnalava nel 2000 un incremento nella spesa militare
mondiale, salita dai 733 del '99 a 756 miliardi di dollari. La
spinta alla crescita veniva soprattutto dall'Est e dal Sud del
mondo. Adesso torna a manifestarsi nel centro del sistema
mondiale. E il complesso militare-industriale si appresta a
guadagnare per la seconda volta sugli stessi drammi e sulle stesse
paure. Francesco
Terreri Microfinanza
srl* * Microfinanza è una piccola organizzazione italiana che promuove il microcredito nel Sud del mondo e l'analisi e l'informazione sulla finanza e l'economia internazionale www.microfinanza.it
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