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Il caso Unicredito

 
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"Banche armate"/ Unicredito cambia strada

"Basta finanziamenti alla produzione militare"

La scelta annunciata dal colosso del credito - che verificheremo sul campo e che ci auguriamo trovi ampio seguito - è un incoraggiamento per i risparmiatori consapevoli ed esigenti sui temi etici.

di Francesco Terreri  (Copyright © NIGRIZIA Aprile 2001)

 

Unicredito lascia il business dei finanziamenti alla produzione militare. Il processo sarà graduale: si tratta di rientrare da un impegno di 1.200 miliardi di lire solo per l'export che ha portato nel '99 il gruppo bancario guidato da Alessandro Profumo al primo posto tra le "banche armate" (dal nome della campagna di pressione lanciata dalle riviste Nigrizia, Missione Oggi e Mosaico di Pace nel dicembre '99, alla vigilia del giubileo). Ma "la decisione è stata presa e sarà portata a termine - spiega il portavoce Vittorio Borelli -. A dicembre abbiamo deciso di centralizzare la gestione delle operazioni in questo campo, revocando l'operatività alle sedi periferiche. L'idea è di sganciarci sin dalla fine di quest'anno da questo tipo di attività. Ci vorrà qualche anno, invece, perché vadano a esaurirsi le operazioni precedenti".
Gli uomini di Unicredito ci tenevano a comunicare questa scelta - clamorosa, anche perché la prima fatta in questi termini tra le grandi banche italiane - proprio a Nigrizia, come punto di riferimento di quel mondo di risparmiatori e consumatori "consapevoli" che da un po' di mesi sta tormentando i principali istituti di credito della penisola con fastidiose lettere in cui si protesta per il sostegno finanziario alle esportazioni italiane di armi, sia pur legali, e la sottovalutazione dei rilevanti problemi etici generati da questo "ramo di attività". Ma Borelli precisa che non si tratta solo di questo: "Certo, anche noi abbiamo ricevuto lettere. Anzi sono arrivate anche a banche del nostro gruppo che, di per sé, non erano coinvolte nell'operatività sulle armi. Infatti è un'eredità che ci portiamo dietro praticamente solo dal Credito Italiano, banca di provenienza Iri. La nostra però è una strategia più ampia: non rispondere solo agli azionisti ma anche alla società". Quello che nel mondo anglosassone si chiama social responsability delle imprese.
Unicredito Italiano, quotato a Piazza Affari, è il secondo gruppo bancario del paese dopo Banca Intesa per massa di denaro amministrata - 381 mila miliardi di lire di raccolta e patrimonio. Nasce dalla convergenza tra un marchio storico delle banche nazionali, il Credito Italiano, e una serie di casse di risparmio e istituti locali come Cariverona, Cassamarca, le Casse di Torino e Trieste, la trentina Caritro, Rolo Banca, ovvero lo storico Credito Romagnolo. I soci principali sono, appunto, le fondazioni bancarie delle casse di risparmio del gruppo, oltre a un importante partner europeo, la compagnia assicurativa tedesca Allianz. Nel gruppo c'è a pieno titolo, dal 2000, anche una banca polacca: Bank Pekao.
Nell'export di armi, però, finora aveva operato quasi solo il Credito Italiano, se si eccettua una limitata operatività della Cassa di Risparmio di Torino fino ad un massimo di 4 miliardi nel '95. Credit invece non scherzava. Con punte di 319 miliardi nel '93 e di 307 miliardi nel '98, e con l'exploit per 1.248 miliardi nel '99, è stata sempre ai primi posti della classifica delle banche italiane che sostengono l'industria esportatrice. E non mancano negli anni i dossier scottanti. Tra il '91 e il '93, ad esempio, passano per Credit le forniture di semoventi Oto Melara e di missili Alenia alla Nigeria. Con "lettere di credito" da 61 milioni di dollari e "compensi di mediazione" da 20 milioni di dollari.
Nel '99, invece, il colpaccio della maxicommessa della francese Thomson-Csf e dell'italiana Elettronica: apparati elettronici per l'aeronautica agli Emirati Arabi Uniti per un valore di circa 1.200 miliardi di lire, all'interno di contratti francesi da 9 mila miliardi per i nuovi cacciabombardieri Mirage agli Emirati. Così Unicredito, tramite Credit, si ritrova al top delle "banche armate". "Anche se - dice Borelli - 1.200 miliardi su 310 mila miliardi di attività complessive del gruppo sono pochi, e ci procurano solo 2 miliardi di ricavi netti". Motivo in più per cambiare. E sollecitazioni in tal senso sono arrivate anche da un versante inaspettato.

E ora, "banche pulite"
"Tra gli investitori sul titolo Unicredito ci sono fondi di investimento etici britannici", spiega il portavoce del gruppo. "Ci hanno sottoposto ad un autentico interrogatorio sui nostri comportamenti come banca per decidere se potevano investire". Unicredito comunque gode di buona fama tra gli investitori etici anglosassoni soprattutto per la trasparenza dei bilanci. Ad esempio è stato inserito tra i titoli del Dow Jones sustainability group index, uno dei principali indici internazionali di riferimento in questo campo, dove però il criterio "banche armate" non viene considerato. Ma la partita armi pesava ancora. Spiega ancora Borelli: "C'è stato al nostro interno un dibattito. Io sono convinto che una parte almeno delle attività in campo militare possono essere considerate necessarie. C'è un diritto costituzionale alla difesa nazionale, ma anche il problema degli interventi per ripristinare la legalità internazionale". Questioni delicate, visto come è andata in Iraq e in Kossovo. Ad ogni modo oggi la priorità è mettere un freno alla crescente tendenza a vendere armi per scopi commerciali. Questa preoccupazione ha prevalso nella scelta di Unicredito.
Nelle intenzioni di Profumo e del nuovo presidente Francesco Cesarini la rinuncia alle operazioni con l'industria militare è solo un tassello della social responsability. "Siamo il primo grande gruppo bancario a presentare un bilancio sociale - afferma Borelli -. Intendiamo impostare il rapporto con le imprese nostre clienti che presentano problemi di impatto ambientale in termini di consulenza e assistenza tecnica per mettersi a norma". Anche sulle controverse questioni delle condizioni fatte ai risparmiatori - dai mutui "usurari" alle "clausole vessatorie" - "abbiamo avviato un lavoro di analisi con l'organizzazione "Cittadinanza attiva" di Giovanni Moro". Esperienza del Tribunale del malato, per intenderci.
E si arriva alla sfida della finanza etica. Anche Unicredito ha lanciato il suo fondo "etico e ambientale": è l'Environmental and ethical fund di Pioneer, la società statunitense di risparmio gestito del gruppo. Si basa sui "classici" criteri di esclusione: la black list dei titoli delle imprese che producono armi, tabacco, alcolici. "Ma ci vorrebbero anche criteri in positivo. Scegliere ad esempio imprese con la certificazione ambientale".
Non è facile trovarle nei listini di Borsa, soprattutto in Italia dove quelle società che - poniamo - hanno avuto una valutazione positiva nella Guida al consumo critico del Centro nuovo modello di sviluppo non sono quotate. Forse bisogna pensare a "fondi chiusi" che investano, appunto, in aziende non quotate. "Abbiamo cominciato un cammino - dice Borelli -. Si tratta di cambiare il modo di fare banca. Non è facile neanche al nostro interno". Prossimo passaggio: la risposta al questionario inviato proprio dal Centro di Francuccio Gesualdi su "banche pulite".

 

 

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