Via Crucis 1a Stazione 2a Stazione

 

Prima stazione

L'agonia nel Getsemani: la paura e la solitudine di Gesù
Dio sogna un mondo comunità fatta di dialogo

Riflessione associazione Papa Giovanni di Rimini "Operazione Colomba"
Salmo 132: vivere in comunità
preghiera di Acteal

 

 

Perché la condivisione? Perché il bisogno di partire dai poveri?
Innanzitutto bisogna dire che intervenire nei conflitti deve avere un senso che va al di là dell'aiuto concreto e materiale. Il farsi carico di una situazione di sofferenza e di violenza qual è la guerra deve avere come scopo primario quello di testimoniare che noi, in quanto appartenenti al mondo dei ricchi, non valiamo più di altri, che la nostra vita non è più importante di quella dei milioni di persone che muoiono o soffrono a causa della guerra. Può apparire scontato, ma se ci pensiamo bene non è così; lo capiamo da come funzionano gli organi d'informazione, dalle scelte politiche dei nostri governi, che agiscono in base ai parametri degli interessi economici e del prestigio internazionale, da come noi, il popolo, spesso rimaniamo per la stragrande maggioranza in silenzio di fronte alle barbarie che si consumano nel mondo, e il nostro silenzio, anche se involontariamente, ne diventa complice. Di fatto tutto questo sancisce il concetto che noi siamo più importanti, la nostra vita è più preziosa;e non solo, ma anche il nostro benessere è più prezioso della vita di altre persone. Questo è quello che si recepisce quando andiamo in una zona di guerra, quando ci troviamo di fronte, come occidentali, a quelle persone.
Quindi il nostro tentativo di partire dai poveri è innanzitutto questo: un atto di giustizia, cercare di far sentire alle persone che non sono dimenticate, che c'è qualcuno che ha a cuore la loro sofferenza. E' un rendersi conto delle proprie colpe e responsabilità, e un tentativo anche di chiedere scusa, in qualche modo. Vorremmo che fosse "la tenerezza dell'amore di Dio" che non si dimentica dei suoi figli e che non si manifesta attraverso gesti sdolcinati o atti simbolici, ma attraverso una scelta concreta di condividere la sofferenza, la povertà, il pericolo, la precarietà. Con tutti i nostri limiti e i nostri peccati, ovviamente. Ma non devono essere quelli a bloccarci.

Purtroppo ogni guerra nasconde dietro di sé degli interessi e delle dinamiche talmente grandi che solo pensare a delle soluzioni appare utopico. Il senso di impotenza e la frustrazione sono sentimenti che ci accompagnano sempre. E' qui però che il fatto di vivere a stretto contatto con le vittime della guerra stessa diventa una cosa grande: loro non possono scegliere, non possono dire "tanto non si può fare niente", perché è la loro vita. E così attraverso la condivisione questa urgenza, questo bisogno irrinunciabile che la guerra finisca diventa anche tuo. Non puoi lasciare le persone soffrire da sole, non puoi far finta di niente e tornare a casa.
Ci deve essere la Fede, ossia la consapevolezza che se qualcosa di buono si riesce a fare non è certo per merito delle nostre poche forze umane. Il Signore ci chiede di vivere qualcosa che Lui ci ha messo dentro, con umiltà, senza pretendere cose grandi o gratificazioni personali. Ci dice attraverso il Vangelo che la guerra, l'ingiustizia e l'oppressione dei deboli sono insopportabili, e vanno combattuti, ci dice che l'amore è l'arma più potente in mano agli uomini per lottare; ci dice che i poveri saranno sempre i nostri maestri. E' tutto qui. A noi tocca il compito di convertirci, ossia di dare spazio a Lui perché agisca. Questa è la cosa più difficile e che se viene a mancare rende tutto vano

 

Salmo 132 da Carrarini "Salmi d'oggi" ed. Mazziana
 

Preghiera di Acteal

"Soffrendo abbiamo perso la vita, ci hanno umiliati, ci hanno spogliati,non c'è stata distinzione per nessuno, donne, bambini, abbiamo corso, ci siamo nascosti ma non è servito a nulla. Con il machete ci hanno assassinato, il nostro sangue ha irrigato la terra, gli alberi e ha tinto di rosso l'acqua del nostro fiume. Hanno aperto quello che doveva essere il nostro corpo anche se stavamo dormendo nel corpo di nostra madre (le donne incinte) abbiamo sentito tutto. Non conosciamo il mondo ma la sua malvagità e violenza. Dolore e lacrime accolsero la nostra partenza, non solo qui ma in tutto il mondo.Senza dubbio siamo morti per nascere, se nella vita eravamo dimenticati, ora siamo storia.
Ci hanno uccisi piccoli, indifesi e come i più ultimi perché indigeni, però siamo rinati giganti ed immortali di nuovo come gli antenati di questa terra.
Oggi siamo frammenti di luce che impedisce che tutto sia notte, siamo voci che emergono dalla morte e dal silenzio, siamo speranza, siamo indigeni tzotzil. Il nostro tempo è stato di morte per fare fiorire la vita, la dignità, la pace e la memoria. Siamo morti per la diversità, per il riconoscimento dei nostri diritti come indigeni. Abbiamo dato la nostra vita per nascere in un mondo migliore dove non dovremo soppravvivere ma vivere in un mondo per tutti. Siamo questa grande parte della patria oltraggiata e negata che resiste alla morte nonostante la morte stessa, tra la dimenticanza, la miseria, la repressione e lo sterminio.Siamo nati ieri su questa terra e oggi aiutiamo a nascere il domani, in pace viviamo e lottiamo, riposiamo in pace."