Sono desolato di dovermi ricordare e
ricordare a ciascuno di voi che, con la croce, Gesù fa riferimento al
mezzo con cui l'Impero romano condannava coloro che considerava
rivoluzionari. Il primo appello di Gesù nel Vangelo è quello dell'amore
di Dio e del prossimo. Ma quando chiarisce questo comandamento
richiamandosi specificamente alla croce, ho paura di preferire, come la
maggior parte di voi, di pensare in termini astratti e non nel contesto
storico in cui il Cristo è vissuto ed è morto. Il riferimento di Gesù
alla croce era un appello ad amare Dio e il prossimo in un modo così
diretto che le autorità potevano vederlo solo come sovversivo e
rivoluzionario. "Prendere la propria croce," "perdere la
propria vita," significa essere pronti a morire nelle mani
dell'autorità politica per la verità del Vangelo, per quell'amore di Dio
in cui noi siamo uno.
Cari fratelli Vescovi,
Queste parole, pronunciate dal vostro confratello Raymond
Hunthousen e risuonate ancora nel 1981 nelle comunità ecclesiali della
diocesi di Seattle, mantengono per noi intatta la forza della profezia e
il richiamo alla concretezza storica della nostra responsabilità, proprio
in rapporto a Cristo e Cristo crocifisso.
Siamo al termine anche quest'anno di un'esperienza che con
il percorso della Via Crucis abbiamo vissuto, non ripetuto.
E siamo qui davanti a questa base militare di Aviano non
solo a riflettere, ma anche a impegnarci. Sentiamo forte in noi lo
stridore nei fatti tra il progetto del Signore - che si ostina a
sollecitarci a costruire la grande famiglia umana con il dialogo,
affrontando i conflitti con la nonviolenza attiva, proponendo la felicità
come stile di vita e realizzando la giustizia con il perdono e la piena
solidarietà - e la realtà che questa base rappresenta. Non stiamo
riferendoci solo agli strumenti di terrore e di morte presenti in questa
base, che anche logisticamente continua ad allargarsi invece che
diminuire, ma anche agli eventi collegati ad essa.
Il Crocifisso ci richiama a un amore senza limiti e senza
confini e per questo ci aiuta a fare verità.
Saremmo tentati di chiedere con forza, maggiore coerenza e trasparenza ai
responsabili politici e di rivolgerci a voi con maggiore attenzione e
delicatezza. Ma sono proprio questo atteggiamento e questo linguaggio
diplomatico che inquinano i rapporti nella Chiesa (ci sono tanti mugugni e
mormorazioni alla base) e impediscono una vera comunione.
Altre volte ci siamo rivolti a voi con grande fiducia e
confidenza perché sui grandi problemi della pace aveste da illuminare e
incoraggiare tutta la comunità ecclesiale, ma ancora non abbiamo ricevuto
risposta.
In questo momento abbiamo molti motivi in più per riproporre la
richiesta, sempre con grande fiducia e attesa, grande amore per le vostre
persone e per le comunità cristiane, ma proprio per questo con grande
sincerità.
Siamo disposti anche ad accogliere ogni vostro richiamo,
anche disciplinare se necessario, ma dopo una verifica se quanto
esprimiamo costituisca vero problema per tutta la Chiesa.
Stiamo avvertendo che il fermento che sta scuotendo l'intera società
riguarda pure la Chiesa e le modalità con cui si pone anche come
struttura.
Qualcuno all'interno della Chiesa ha perso la fiducia in voi e preferisce
parlare della "politica" della Conferenza Episcopale. Noi non
rinunciamo ad essere "in comunione" con voi.
Non facciamo problema di singoli vescovi (anche se a volte
alcuni, che fanno opinione pubblica, mettono in difficoltà e portano
divisione nelle comunità ecclesiali), ma proprio di collegialità.
Con sincerità dobbiamo dirvi che siamo scandalizzati dal vostro silenzio
sui problemi che oggi sono alla base delle ingiustizie e delle sofferenze
della maggior parte dell'umanità.
In particolare dopo l'11 settembre 2001:
-
abbiamo sofferto l'isolamento in cui è stato messo il
Papa nelle sue parole e nei suoi gesti;
-
non abbiamo trovato nelle parole e nelle indicazioni
autorevoli di alcuni di voi il riferimento alla fede nel Crocifisso, né
abbiamo sentito pronunciare le parole "riconciliazione" e
"perdono";
-
ora, dopo che altre migliaia di persone innocenti, con
il pretesto della giustizia internazionale, sono state soppresse in
Afghanistan con la guerra, non sentiamo la stessa denuncia, né la
stessa sofferenza e solidarietà come per le vittime delle due torri;
-
in questi mesi abbiamo assistito a un massiccio
attacco e allo smantellamento delle istituzioni sia internazionali che
nazionali in favore dell'arbitrio e della prepotenza dei più forti
con la creazione di vere e proprie mostruosità giuridiche (tribunale
militare statunitense); sono sempre più minacciati i diritti dei più
deboli;
-
per affrontare il terrorismo internazionale l'unico
mezzo usato fino ad oggi è stata la guerra, che tende a perpetuarsi,
sempre a discrezione di chi la decide, senza alcun rapporto né con la
giustizia né con il diritto internazionale;
-
è di questi giorni la scoperta che l'uso dell'atomica
sarà all'occorrenza anche di "primo colpo" e che la ricerca
di nuovi sistemi della cosiddetta "sicurezza totale" prevede
l'uso del nucleare, in dispregio a convenzioni e trattati già
sottoscritti e ritenuti patrimonio acquisito dell'umanità
-
le innumerevoli vittime dell'umanità più povera non
esistono; per loro nemmeno un cenno di cronaca.
Come tante altre persone, anche non credenti, preoccupate
delle conseguenze politiche, sociali e culturali dell'uso
istituzionalizzato della violenza, noi desideriamo che emerga lo specifico
cristiano come seme e lievito di una storia fondata sulla fede nel
Risorto, che ha posto la pace a fondamento della nuova comunità dei
discepoli. Siamo convinti, come cristiani, di avere molto da condividere
con quanti cercano sinceramente la pace con la nonviolenza, il dialogo, la
fraternità e il perdono.
Per questo sentiamo che il nostro silenzio come Chiesa in
questo momento "cruciale" oscura la Croce di Cristo e chiediamo
anche a voi:
-
di aiutarci ad approfondire la centralità della pace,
anche nella concretezza storica della traduzione pastorale. Come
strumento specifico vi chiediamo di rimettere in onore e rendere
operativa, sia a livello nazionale che locale, la commissione
"Giustizia e Pace";
-
di darci orientamenti e pronunciamenti di magistero
sulle scelte che riguardano le sfide più grandi dell'umanità, che
aiutino a mettere a fuoco obiettivi e percorsi contro le strutture di
morte, per un'economia a servizio dell'uomo, per la salvaguardia del
creato, per il rispetto dei diritti umani; scelte che impegnino le
comunità e non soltanto i singoli, senza accettare una
relativizzazione tale che permetta anche nella Chiesa di scegliere
tutto e il contrario di tutto, con grande confusione e delusione
specialmente da parte dei più giovani. Anche a Voi chiediamo di
prendere posizione con scelte concrete e con coraggio, anche a costo
di entrare in conflitto con il potere costituito, come di fatto è
successo a Gesù.
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