Oggi
parlo di perdono in maniera diversa da come ne parlai all'indomani
della morte di
Paolo.
Ricordo
che in mezzo alle macerie di via D'Amelio, mi si avvicinò un
giornalista con il microfono in mano, me lo mise sotto il naso e mi
chiese: “Ma lei perdona gli assassini di suo fratello?”. E
io,
per togliermelo di mezzo, per non rispondergli in maniera violenta -
anche perché non ne sono capace, perché davanti ad una
domanda di questo genere, davvero cascano le braccia - gli risposi
istintivamente di sì. Forse me lo ha detto la mia educazione,
il mio essere cattolica, quasi fosse obbligatorio perdonare chi ti ha
fatto del male. Perché è un po' questa l'idea corrente,
se si chiede a un familiare di qualcuno o a chi ha subito violenza di
qualsiasi genere, se perdona oppure no. Tu ti aspetti che dica di
sì,
perché se quello ti dice di no, tu ci resti pure male,
perché
è quasi obbligatorio che quello li perdoni.
Davvero
ci si resta così.
Io
quando sento queste domande e ricordo quello che ho provato io,
quando mi è stata posta, mi viene voglia di prenderli a
schiaffi questi qui, di svegliarli, di dirgli: “Aspetta di
provarlo
tu e poi capirai la violenza che fa una domanda di questo
genere”.
Ma come fai in quei momenti in cui non ti rendi neanche conto di
quello che ti è successo, in cui fai fatica veramente a
prendere coscienza, a capire, in cui cerchi soltanto di rimuovere
quello che ti fa male, quello che ti ha fatto del male, in cui sono
tante le sensazioni che ti attanagliano, che l'ultima cosa che puoi
fare è ragionare, ma come fai a rispondere? Io, ripeto,
risposi istintivamente di sì, però devo dare un merito
a questo giornalista - e ne abbiamo parlato in seguito, perché
è anche una persona seria, lo fanno per mestiere, forse non
è
neanche colpa loro, è questo che gli chiede poi, l'esigenza
della cronaca. Gli dissi: “Io ti ringrazio, perché mi hai
fatto riflettere, perché non mi aveva neanche sfiorato
quest'idea, non ne ho avuto il tempo, né la possibilità.
Ma dopo che tu me lo hai chiesto, ho cominciato a pensarci su e ho
seguito un percorso, un ragionamento che mi ha portato poi a
rispondere in maniera consapevole a questa domanda, a rispondere a me
prima di tutto, perché era questo che volevo capire io,
rendermi conto io. E' un percorso, un ragionamento difficile,
complicato, pieno d'insidie anche, pieno di sì e di no che ti
tirano da una parte e dall'altra. Mi sono resa conto che per dare una
risposta a questa domanda, devi mettere insieme la testa e il cuore.
Non puoi rispondere solo con la testa, non puoi sentire solo quello
che ti dice il cuore perché altrimenti, quello che tu dici poi
in quel momento, resta incompleto, mutilato.
E'
un percorso che io credo non finisca mai, perché puoi dire un
momento o pensare un momento una cosa e il momento dopo sentirti
sopraffare dal dolore, dall'assenza della persona che ti era cara,
dal risentimento davanti a qualcosa che vedi, che senti o che ti
porta da tutt'altra parte. E' un percorso che credo non finisca mai,
un percorso difficile e complicato, ma che ti fa prendere coscienza.
Io ci ho ragionato sopra e mi sono resa conto che, come vi dicevo
prima, che se è vero che io ho ricevuto, il dono di non
odiare, il dono di non cercare vendetta, è un dono che ho
ricevuto da Dio ed un dono che io devo condividere con qualcun altro.
Non posso tenerlo stretto per me e se c'è qualcuno con cui
devo condividerlo, è proprio con chi mi ha fatto del male.
Perché altrimenti non è vero, non è sincero
tutto questo. E' facile stare da una parte, isolandosi completamente
da quell'altra. Tu devi metterti davvero davanti a chi ti ha fatto
del male e rifare questo ragionamento, lo devi verificare in qualche
modo, collaudare.
E
ancora una volta ho trovato un grande aiuto in questo percorso
così
complicato e così tormentato.
Ero
davanti alla televisione dove proiettavano le immagini della cattura
di Totò Riina, questo ometto fotografato quasi per scherno
sotto le fotografie di Paolo e Giovanni, nei locali della Questura di
Palermo - non so quanti di voi lo ricordano - un ometto dimesso,
piccolo, malvestito, quasi impacciato, che non sapeva dove mettere le
mani, ma con uno sguardo che balenava sotto le palpebre che dava
davvero i brividi. E mi chiedevo in maniera molto sofferta e quasi
con paura cosa provavo nei confronti di questa persona, perché,
vedete, altro è dire che non si odia, che non si prova rancore
nei confronti di qualcuno che non conosci e altro è poi
vederlo in faccia, materializzato. Allora è un po' diverso. Lo
guardavo quasi con timore che affiorasse qualcosa che mi faceva
paura. Allora ho sentito che dietro di me, piano piano, si era
avvicinata mia madre. Mia madre aveva 86 anni, aveva visto morire suo
figlio, perché Paolo veniva quel giorno a casa mia a trovare
mia madre che non stava bene. C'era un rapporto fortissimo tra loro,
aveva telefonato anche lui dicendo: “Sto venendo” e poi
aveva
avuto soltanto il tempo di pigiare il campanello del portone di casa.
Mia madre aveva sentito il suono, sapeva che era Paolo, ed era
scoppiato il finimondo. Muri che crollavano, tetti che si
sbriciolavano, schegge da tutte le parti, pareti che si aprivano,
sirene impazzite, fiamme dovunque. Mia madre sapeva che in tutto
questo Paolo moriva.
Mia
madre si avvicinò a piccoli passi, non l'avevo sentita, sentii
dietro di me la sua voce che diceva: “Che pena mi fa
quell'uomo!”.
E' stato per me un messaggio straordinario. Mia madre aveva visto
l'uomo. Io ancora me lo chiedevo, non c'ero riuscita. Mamma con lo
stesso sguardo di Paolo, aveva visto l'uomo dentro Totò Riina
e aveva visto un uomo che le faceva pena, ma perché le faceva
pena? Perché si chiedeva come quell'uomo si era potuto ridurre
così, come quell'uomo aveva spento, aveva rischiato di
spegnere quella scintilla umana che aveva dentro, quella scintilla
divina che aveva dentro. Come aveva fatto? Erano le stesse domande
che si faceva Paolo, quando chiedeva: “Chi sei, come giocavi,
cosa
facevano i tuoi genitori, perché non sei andato più a
scuola?”. L'aveva racchiuso in una parola sola, mia madre, e io
l'ho assorbito, l'ho penetrato, ho capito quello che lei
istintivamente in quel momento mi aveva trasmesso.
http://www.santamelania.it/approf/borsellino.htm#titre11
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