“Sarà
mai possibile che all’inizio del terzo millennio il
fenomeno migratorio debba essere gestito con affanno e
paura? La povertà che spinge i fratelli e le sorelle del
sud del mondo sulle nostre coste si combatte con la
solidarietà intelligente nelle cosiddette periferie del
villaggio globale. Il nostro benessere è spesso causa di
sfruttamento in terre lontane!”.
(Da
“Ascolta si fa sera” del 9/07/03 di p. Giulio Albanese,
MISNA)
La
lista dei corpi senza vita di immigrati che tentano di
sbarcare a Lampedusa aumenta ogni giorno. Certi politici
italiani istigano, con linguaggi anacronistici e razzisti,
azioni di abbattimento. Non possiamo rimanere indifferenti e
tanto meno silenti. Siamo chiamati in
causa nel tentativo di trovare percorsi e soluzioni che
portino a non sentirci conniventi con una mentalità
antievangelica. In Esodo 22,20 si legge: “Non molesterai
il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati
forestieri nel paese d’Egitto”.
Alcuni
gesti simbolici, come l’incatenamento dei padri comboniani
alla finestra della questura di Caserta dal 4 al 13 giugno
2003, sono serviti a riportare l’attenzione sul problema.
L’immigrazione in Italia è oggi per molti immigrati una
nuova forma di schiavitù: la maggior parte degli immigrati
attirati dal miraggio del benessere della nostra società
occidentale, finiscono per diventarne schiavi, facendo i
lavori che gli Italiani non vogliono più fare. Mentre nei
secoli scorsi i governi coloniali li deportavano dai loro
paesi d’origine per renderli schiavi in Europa…ora essi
vengono con i loro mezzi e con le loro speranze e finiscono
per trovare un mondo che il più delle volte non li
accoglie, li prostituisce e li asservisce lasciandoli infine
al margine della società italiana.
Invitiamo
tutti coloro, religiosi e laici, che condividono queste
preoccupazioni a costruire una rete comune per
sensibilizzare l’opinione pubblica, per facilitare la
crescita di una sensibilità di accoglienza degli immigrati
e di riconoscimento dei loro diritti e della loro dignità.
Prima
di descrivere alcune iniziative concrete che possono essere
prese a riguardo, è utile mettere in luce alcuni aspetti
contraddittori e palesemente ingiusti della normativa
relativa al trattamento dei migranti irregolari in Italia.
A)
Le procedure suggerite dalla legge per regolamentare
l’accesso e la permanenza di immigranti irregolari nel
nostro paese sono tali da “criminalizzare” di fatto
queste persone piuttosto che aiutarle a trovare una
soluzione viabile alla loro difficile situazione. La
condizione di clandestinità che, di per sé, non è e non
può costituire un reato, viene di fatto tramutata in una
condizione di “illegalità” attraverso un ordine di
espulsione rilasciato dal questore da attuarsi entro cinque
giorni, senza possibilità di appello e la cui mancata
attuazione prevede la pena del carcere.
B)
Il riconoscimento o meno del diritto di soggiorno è legato
a condizioni restrittive dei diritti della persona, come nel
caso in cui una questura possa negare o revocare il permesso
di soggiorno semplicemente sulla base che il soggetto abbia
subito una condanna precedente anche per reati minori.
Un’esasperata sottolineatura, in ogni caso, della
distinzione di trattamento tra cittadini italiani e
immigranti irregolari, inevitabilmente diventa veicolo di
un’implicita, ma effettiva mentalità razzista.
C)
Le misure finalizzate all’inserimento dell’immigrante
sono in maniera più o meno esplicita legate semplicemente
agli interessi del datore di lavoro e quindi al beneficio
economico che può venire al paese ospitante dal lavoro
dell’immigrante. Quest’ultimo, insomma, è riconosciuto
soprattutto come una risorsa economica, come mano d’opera
a basso prezzo, senza una più comprensiva considerazione
del suo valore come persona soggetto di diritti, dei bisogni
suoi e della sua famiglia, del possibile contributo umano,
culturale e spirituale che potrebbe apportare al nostro
paese.
Un
decalogo per aiutare gli immigrati oggi
Crediamo
sia possibile attuare delle misure alternative, sia a
livello personale che comunitario, che possano condurre ad
un miglioramento della legislazione e, laddove questa viola
le esigenze della giustizia, dell’accoglienza cristiana e
della solidarietà, che esprimano una netta dissociazione da
essa e quindi un’obiezione di coscienza consapevole e
costruttiva. Seguono, dunque, alcune proposte.
-
“Disobbedisco
anch’io” – Riteniamo legittimo un atto di
disobbedienza nei confronti dei contenuti della legge
Bossi-Fini e ci diciamo disposti a compierlo. Intendiamo
adoperarci a contribuire materialmente con i mezzi a
nostra disposizione per ottenere che lo straniero in
attesa di regolarizzazione, che non sia responsabile di
reati, possa sottrarsi all’espulsione e siamo
disponibili a subire i procedimenti penali e le
conseguenti sanzioni previste per i trasgressori.
-
Favorire
il protagonismo del migrante. Incoraggiare la
nascita di iniziative ed organizzazioni che vedano i
migranti impegnati e coinvolti in prima persona come
protagonisti nel definire gli obiettivi utili al loro
inserimento ed i modi migliori per perseguirli. A questo
livello si chiede che si riconosca il diritto di voto.
-
Gemellaggio
con un migrante. Si tratta di una sorta di
“adozione” fatta da famiglie o comunità nei
confronti di un migrante in maniera tale da offrirgli
amicizia e solidarietà, soprattutto nell’evenienza
che si trovi in situazioni di difficoltà. Concretamente
questo può implicare diversi gradi di coinvolgimento:
–
una semplice telefonata periodica di “controllo”
della situazione
–
accompagnamento del migrante adottato agli uffici
della questura o comunque nello svolgimento di qualche
pratica
–
aiuto nella ricerca di un alloggio o di un lavoro
–
stanziamento di una cifra mensile di sostentamento a
chi ha più bisogno
–
un corso personalizzato di lingua italiana
-
Creare una
rete di urgenza. La rete di urgenza è un insieme di
singoli, gruppi o associazioni, avvocati, medici,
politici etc. che si rendono disponibili ad agire in
tempi rapidi nel caso di un’emergenza: retate di
polizia, episodi di razzismo etc.
-
Testimoniare
pubblicamente il proprio dissenso. Si tratta di
organizzare presidi, sit-in o altre forme di resistenza
passiva davanti a questure o altri luoghi istituzionali
per sensibilizzare circa l’ingiustizia di trattamenti
sommari e puramente restrittivi nei confronti di
migranti in difficoltà.
-
Organizzazione
del “sanctuary movement” in Italia. Negli USA
negli anni 80 nacque il Sanctuary movement
per sostenere gli immigranti provenienti dal
Centramerica in guerra. Nel tentativo di rifugiarsi
negli Stati Uniti, quest’ultimi venivano
sistematicamente rispediti al proprio paese dove
avrebbero dovuto affrontare la prigione o la morte. Le
comunità cristiane memori dell’essere luoghi di
inviolabilità e per tanto i più idonei per la difesa
del diritto d’asilo, si offrirono a dichiarare un
immigrato parte integrante della loro comunità
facendosi carico di determinati soggetti a rischio.
Quando la polizia veniva per arrestarli ed espellerli,
era la comunità stessa a farsi arrestare e a
presentarsi in tribunale.
-
Offrire
sostegno alla regolarizzazione dei migranti. Si
tratta di facilitare in qualsiasi modo possibile il
processo di regolarizzazione del migrante chiedendo ed
offrendo informazioni utili o anche qualsiasi altro tipo
di supporto.
-
Sostenere
le campagne di pressione. Si tratta di aderire a
campagne volte a cambiare la legge Bossi-Fini e a
sensibilizzare la società civile sul problema.
-
Avviare
laboratori di convivenza. Creare occasioni e spazi
di conoscenza reciproca, di confronto, di convivialità
tra le persone e le culture, nelle scuole, nelle
parrocchie, negli spazi comunitari.
-
Aprire le
case ed i cuori dei religiosi/e al forestiero e al
migrante. Ogni istituto potrebbe trovare il modo di
aprirsi al migrante offrendo spazi o supporto vario.
|