Io per
essere onesto, tanto per cominciare con una critica, non ho capito bene
che fate qua, non ho capito bene che cosa mi fosse chiesto. Ho tentato
di mettere a fuoco delle cose che a mio avviso sono interessanti: ve le
dico, se per caso non vanno nella direzione che voi vi aspettavate, voi
me lo segnalate e facciamo una inversione di tendenza.
Vorrei
partire sottolineando che il mondo sta sedendo sopra due
grandi bombe: una bomba ecologica ed una bomba sociale. Sono due
bombe che, se non decidiamo di tapparci gli occhi, vediamo tutti.
Per
quanto riguarda la bomba ambientale
credo che non ci sia bisogno di molte spiegazioni. È ovvio che ancora
non abbiamo toccato con mano gli abissi di questo problema, però tutto
sommato gli scienziati ci continuano ad informare rispetto ai buchi
nello strato di ozono, le piogge acide e al clima che cambia e da questo
punto di vista qualche cosa cominciamo a vedere anche noi.
Per
l’altra bomba, quella sociale, credo che,
più che sentircelo dire dai giornali, cominciamo a toccarlo con mano,
anche attraverso la nostra esperienza: le folle di migranti che arrivano
in casa nostra sono la dimostrazione che, da qualche altra parte nel
mondo, la gente non riesce più a vivere dignitosamente a casa propria.
In
effetti se noi approfondiamo l’analisi rispetto a ciò che succede nel
Sud del Mondo, da un punto di vista sociale, e quella che è la realtà
a livello mondiale, troviamo una situazione catastrofica. Catastrofica
soprattutto per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza.
Premesso che il pianeta non ha mai prodotto tanta ricchezza come ne ha
prodotta oggi, dal 1950 ad oggi la ricchezza prodotta a livello mondiale
è aumentata di ben 17 volte… nonostante questo la metà della
popolazione terrestre, 3 miliardi di persone, vivono in condizione di
povertà assoluta e vorrei ricordarvi che la Banca Mondiale definisce
come povero assoluto chiunque viva con meno di un dollaro al giorno, ma
nei 3 miliardi ci sono compresi anche quelli che vivono appena al di
sopra del dollaro, ma comunque al di sotto dei due. Al di là dei
numeri, dei valori monetari, vivere in condizione di povertà assoluta
significa vivere in una condizione in cui non sono garantiti neanche i
bisogni fondamentali e con questi intendo riferirmi al cibo,
all’alloggio, al vestiario, alla possibilità di poter mandare i
propri figli a scuola, alla possibilità di poter almeno curare le
malattie più banali. Tre miliardi di persone vivono in questa
condizione e l’altro numero, che da il quadro della situazione, del
fracasso sociale che abbiamo creato a livello planetario, è la
distribuzione della ricchezza: il 20% della popolazione mondiale, che
non è lontana da noi, siamo noi, eccoci qua, guardiamoci allo specchio,
ci siamo già individuati, si appropria ogni anno dell’86% della
ricchezza che è prodotta a livello mondiale; quindi l’altro 80% deve
accontentarsi del 14% che rimane. Sapendo che la statistica è una
materia buffa, perché divide per le teste come se a tutti toccasse la
stessa quota, se andiamo a vedere che come è distribuita la ricchezza
tra il rimanente 80% della popolazione mondiale, che si trova quasi
tutta nel Sud del Mondo, troviamo anche lì delle differenze abissali ed
arriviamo al punto che il 20% più povero si deve accontentare appena
dell’1,4% della ricchezza prodotta a livello mondiale.
Allora
bisogna tentare di capire come mai siamo arrivati a produrre queste due
bombe, questa bomba ambientale e questa bomba sociale. Non è un modo di
dire parlare di bombe, sono veramente bombe innescate, che già
cominciano a scoppiettare e un bel giorno potrebbero scoppiare in una
maniera drammatica, quindi come se si trattasse di una bomba nucleare e
nessuno sa quel giorno cosa potrebbe succedere.
Allora
si tratta di capire come mai siamo arrivati a produrre queste due bombe,
perché solo se capiamo come mai abbiamo prodotto le due bombe,
riusciamo poi a capire che cosa possiamo fare per tentare di
disinnescarle: questo è l’obbiettivo che dobbiamo porci.
(uno
di noi passa a distribuire l’acqua)… Ma aspettiamo che lui abbia
finito di dare l’acqua, perché mi pare vi distraiate… eh sì,vi
state distraendo: io sono piuttosto esigente e quando vedo la gente che
si distrae sono demotivato…una precisazione ragazzi: io mi sono alzato
un quarto alle cinque stamane per venire da voi, per cui… ho fatto uno
sforzo: o le cose che dico non vi interessano e quindi “chetati,
ripiglia il treno e torna a casa”, oppure fate uno sforzo per
ascoltarmi perché ho fatto un discreto sacrificio… tra l’altro io
sento davvero profondamente questi temi, per cui se siamo davvero
cristiano non bisogna lasciare che le cose rimangano appiccicate in un
pezzo di carta, lontano dai nostri cuori, lontano dalla nostra vita,
bisogna veramente porsi il problema di come riuscire ad incidere, se no
sono soltanto chiacchiere che non servono assolutamente a nessuno, non
servono a noi, non servono neanche a nostro Signore, che non si
accontenta delle parole, perché tanto guarda nei nostri cuori e quindi
sa, alla fine, se davvero vogliamo impostare una vita per l’impegno ed
il cambiamento oppure no.
Quindi,
ripeto, secondo me dobbiamo prendere consapevolezza di queste due enormi
bombe che abbiamo innescato, dobbiamo porci l’obbiettivo di
disinnescarle e, per essere capaci di capire che cosa dobbiamo fare per
disinnescarle, bisogna innanzitutto capire come mai ci siamo arrivati.
Dopodiché possiamo avere anche gli strumenti in mano per tentare di
valutare cosa possiamo fare per invertire la tendenza.
Mi
dispiace, potrei sembrare a volte semplicista, potrei sembrare
dogmatico, però quando io parlo di analisi
del sistema sono piuttosto drastico. Noi dobbiamo renderci conto
che da due secoli a questa parte la nostra economia, l’economia
planetaria, è gestita non per servire gli interessi della gente, ma è
gestita per servire esclusivamente l’interesse dei mercanti e dei
mercanti forti. Rispetto a questo bisogna essere estremamente chiari,
perché se continuiamo a fare i buonisti alla cattolico-maniera, dove
tutto va bene, dove bisogna essere amici di tutti, non arriveremo da
nessuna parte. Noi siamo in un sistema che non è assolutamente pensato
per servire gli interessi della gente, ma è pensato per servire
esclusivamente gli interessi dei grandi mercanti.
Per
capire appieno come questo sistema, che è il sistema capitalista, in
piedi da grossomodo due secoli e stiamo avviando il terzo secolo di
vita, ha prodotto questo tipo di situazione, abbiamo bisogno di fare due
precisazioni.
Prima
precisazione: quali sono gli interessi dei mercanti.
Seconda
precisazione: dove si sono sviluppati i mercanti.
Se
capiamo meglio questi due aspetti, poi riusciamo a capire il perché si
siano messi in moto tutta una serie di meccanismi economici che hanno
prodotto un certo tipo di risultato.
Per
quanto riguarda l’interesse
dei mercanti non c’è niente di complicato, è tutto molto
semplice: l’interesse del mercante è fare quattrini. Non ce ne sono
altri. Voi interrogate qualsiasi mercante…e quando parlo di mercante,
non mi riferisco solo ai piccoli bottegai, anzi direi che questi tutto
sommato sono i più innocui, perché tentano di farsi pagare un lavoro
di intermediazione che è legittimo…oggi quando parlo di mercanti,
intendo riferirmi alle grandi imprese e soprattutto alle imprese
multinazionali, che oggi stanno prendendo il sopravvento. Il loro
obbiettivo, al di là delle dimensioni, al di là dei numeri complicati
che ci espongono, al di là della schiera di ragionieri, di ingegneri di
economia e tutto il resto, hanno un solo obiettivo: fare quattrini. Fare
quattrini in una corsa senza fine e l’obiettivo è accumulare quanti
più soldi possibile, in un processo di accumulazione, che è
l’obiettivo ultimo, sapendo che per fare quattrini i mercanti hanno
bisogno di creare una differenza tra costi e ricavi.
Niente
di complicato rispetto a questo, l’avete studiato, l’abbiamo
studiato tutti fin dalla terza elementare: io ha fatto le elementari
oramai una quarantina di anni fa e non so se ancora oggi si fanno fare i
problemini “costi – ricavi – guadagni” in terza elementare, ma
ai miei tempi si faceva, come se tutti dovessimo fare i mercanti… ma
il condizionamento culturale passa così, passa fin dalla tenera età,
attraverso questi insegnamenti che potrebbero sembrare scientifici e
neutrali ma che di fatto hanno una impostazione.
Allora,
l’obbiettivo è di fare sempre più denaro, accumulare denaro, creando
questa differenza fra ciò che si è pagato per avere una produzione da
vendere e ciò che si riesce ad incassare: una cosa veramente molto
semplice. Il problema qual è? Il problema è che questo sistema valuta
costo anche il lavoro, per cui inevitabilmente, immediatamente appena si
è creato questa sistema, appena ha assunto una certa fisionomia, appena
si è cominciato a costituire il mercante – imprenditore, il
lavoratore, comunque il fornitore, è diventato uno dei principali
antagonisti, nemici del mercante: tutto il capitalismo è segnato da
questo conflitto costante tra i lavoratori, che pretendevano di riuscire
ad avere una fetta più grande della ricchezza prodotta e gli
imprenditori che invece gliela negavano, perché il lavoro è sempre
stato concepito come un costo. Un costo che va mantenuto basso. Oggi
siamo in una situazione in cui, in nome di mantenere il costo basso, non
ci si fa neanche scrupolo a tenere la gente in schiavitù. Siamo
arrivati a questo limite: si fanno lavorare addirittura i bimbi, in
schiavitù, come succede nel caso dei tappeti. Questo tanto per dirvi
che non sto parlando di questioni teoriche, sto parlando di cose molto
pratiche, che hanno assunto veramente una dimensione drammatica.
Oggigiorno, nonostante i nostri computer, nonostante l’alta tecnologia
che siamo stati capaci di mettere in piedi, purtroppo siamo tornati
indietro sul piano dei diritti.
Ecco
quindi che questa storia del creare la differenza tra costi e ricavi,
innanzitutto ha dato come risultato un’accanimento nei confronti del
lavoro, ricordandoci che dietro al lavoro c’è della gente in carne ed
ossa: ci sono dei lavoratori, ci sono delle lavoratrici, ci sono a volte
anche dei bambini e dietro a loro ci sono le loro famiglie che, in base
a quanto guadagnano o non guadagnano, fanno dipendere il loro tenore di
vita, la qualità della loro vita.
Usciamo
quindi fuori da questi schemi astratti e diamo un senso umano alle cose.
L’altro
grande disastro di questa concezione è che l’ambiente
è anch’esso considerato un costo, perché per mettere in atto tutto
ciò che serve per proteggere l’ambiente, le aziende devono spendere:
l’ambiente va quindi sul lato delle spese e le imprese non vogliono
spendere; inoltre, siccome siamo in un sistema dove l’unica cosa che
vale è il denaro, l’unica cosa che vale è solo ciò che ha un
prezzo, e siccome l’aria, la natura il Buon Dio la mette gratuitamente
a disposizione di tutti e nessuno è stato capace di prenderla ed
imbottigliarla, come si sta facendo nel caso dell’acqua, alla fine
l’aria non vale niente e siccome non vale niente, la possiamo
addirittura utilizzare come una discarica, dove ci buttiamo tutti gli
inquinanti che vogliamo. Le conseguenze le stiamo pagando perché la
nostra aria, il nostro ambiente, sta diventando sempre più degradato e
sempre meno adatto a farci vivere in una maniera salubre. L’ambiente
paga questo doppio prezzo: da una parte le aziende non vogliono spendere
per proteggerlo e dall’altra, siccome non ha prezzo, può essere
bistrattato. D’accordo? Questo sul lato dei costi. Sul lato dei ricavi
invece c’è tutta la concezione del mercato, ricordandosi che il
mercato è uno strumento che consente di poter soddisfare qualsiasi
bisogno, ma solo per chi ha soldi. Chi soldi non ne ha, al mercato ci
va, curiosa e torna indietro con gli stessi bisogni che aveva
all’inizio. Purtroppo per i mercanti, l’unica strada concepibile per
soddisfare i bisogni è il mercato e negano che ci possano essere altre
vie, principalmente la via della solidarietà, che è l’altro grande
concetto che si contrappone al mercato, come vedremo dopo.
Direi
che grossomodo sono questi i capisaldi: il mercato, la concorrenza, lo
sfruttamento del lavoro, il fatto che l’ambiente non abbia costo e
quindi la noncuranza, sono direi i quattro o cinque elementi che ci
consentono di capire perché questo sistema è poi arrivato a non
curarsi dell’ambiente, a sfruttare la gente ed a creare tutta una
serie di squilibri.
L’altra
questione su cui bisogna fare una serie di precisazioni è, da
un punto di vista storico, dove
sono nati i grandi mercanti che hanno fatto la storia.
Il
sistema capitalista, incentrato sui mercanti, si è formato
sostanzialmente in Europa e poi più tardi in America del Nord, perché
l’America del Nord è stato luogo di emigrazione degli europei (gli
inglesi furono i primi che se ne andarono negli Stati Uniti e nel
Canadà).
I due grandi poli sono stati quindi Europa, Stati Uniti e Canada, dunque
America del Nord. Questi imprenditori, questi mercanti, che perseguivano
l’obiettivo dell’accumulazione del denaro, che però doveva passare
attraverso l’accumulazione degli investimenti per riuscire ad
allestire tutto un apparato produttivo, avevano in mente di accumulare
nella loro patria, questo è ovvio: il commerciante inglese sognava di
poter avere delle manifatture che fossero in Inghilterra, non che
fossero altrove. La globalizzazione, rispetto a come la concepiamo oggi,
era di là da venire. Per cui c’è stato, per almeno un secolo e
mezzo, ma forse anche due, un processo per tentare di concentrare nella
nostra parte di mondo, quindi in Europa e nell’America del Nord, tutte
le risorse che se ne stanno in giro per il pianeta, per realizzare quel
processo di accumulazione produttiva, che poi era la premessa per
riuscire a realizzare sempre più profitto, sempre più accumulazione.
Se
vogliamo capire allora perché oggi siamo arrivati ad una
situazione così assurda, per cui il 20% della popolazione mondiale si
appropria dell’86% della ricchezza prodotta ogni anno nel mondo,
dobbiamo tentare di capire quali sono i meccanismi
che funzionano un po’ come bidoni aspiratutto, perché è come
se la nostra parte di mondo fosse dotata di potenti motori aspiranti,
che riescono ad aspirare risorse da tutto il resto del pianeta, perché
non potete concepire che il Buon Dio sia stato così ingiusto da aver
messo tutte le ricchezze della terra nella nostra parte di mondo: è
ovvio che sono sparpagliate, noi però siamo stati capaci, attraverso i
tempi, di congegnare questi motori che poi aspirano.
Il
primo meccanismo è stato il colonialismo
e quindi si è associata la forza bruta, con cui si è fatto questo
processo di aspirazione. Poi naturalmente il colonialismo è stato
condannato dalla coscienza collettiva. Però si sa che il lupo perde il
pelo ma non il vizio e quindi non poteva il Sistema rinunciare a questo
processo di accumulazione che aveva messo in moto, perché era una
questione di vita o di morte per lui e quindi sono stati congegnati
altri meccanismi molto più sofisticati, che sono i classici meccanismi
economici e direi che due hanno giocato un ruolo di
rilievo: il cosiddetto “scambio ineguale”, per cui i prodotti del
Nord costano tantissimo, quelli del Sud molto poco e dall’altra il
debito. Quindi la macchina commerciale e la macchina finanziaria.
Vi
ricordo che il debito provoca ogni anno al Sud del Mondo un’emorragia
di 300 miliardi di dollari. Sono 300 miliardi di dollari che il Sud
riesce a regalare al Nord perché lavora, lavorando crea tutta una serie
di prodotti per le esportazioni, li esporta in casa nostra ed in cambio
non riceve neanche una lira, si fermano tranquillamente nella nostra
parte di mondo.
Questi
sono, da un punto di vista storico, i tre meccanismi. Il colonialismo è
stato poi rimpiazzato, salvo che la situazione non richieda ancora
l’intervento armato: l’Iraq insegna, tanto per fare un esempio; il
caso del Nicaragua ha insegnato altre forme per mettere in ginocchio i
governi che non accettano i dictat dei nostri stati, come adesso nel
caso di Cuba. Questo meccanismo, dicevo, è stato poi rimpiazzato dalle
armi economiche, sostanzialmente lo scambio ineguale ed il debito.
Su
tutta questa situazione, si innesta la globalizzazione,
parola entrata ormai in grande uso: la utilizziamo tutti. Ma tentiamo di
dire due parole rispetto a questo concetto, perché magari non ci
possono essere le idee chiare, nonostante la utilizziamo come parola. La
globalizzazione tutto sommato significa che si sta facendo di tutto per
trasformare il mondo intero in un unico grande mercato. L’obiettivo è
questo: fare in modo che il, mondo sia una sorta di palla da biliardo,
dove non c’è più nessun ostacolo, per consentire alle merci di poter
viaggiare liberamente, da una parte all’altra del globo. Gli
economisti vorrebbero farci credere che la globalizzazione fa parte del
processo naturale dell’economia, ingannandoci, perché in economia di
naturale non c’è assolutamente niente: l’economia è frutto delle
decisioni degli uomini e delle donne, in base ai loro valori, ma molto
più spesso in base ai loro interessi ed in base ai rapporti di forza
che si creano all’interno della società.
Se
vogliamo quindi capire perché avvengono i fenomeni economici, dobbiamo
capire quale è la premessa filosofica che ci sta dietro, soprattutto
quali sono gli interessi e poi chi è che ha avuto la forza per far
prevalere il proprio interesse.
Noi
dobbiamo capire che la globalizzazione così intesa, o che
almeno parte così e poi si arricchisce di molti altri aspetti, si è
creata perché, da 50 anni a questa parte, le imprese che si sono
affermate non sono più le imprese di carattere nazionale, come avevamo
un tempo, quindi imprese che, tutto sommato, operavano nell’ambito dei
propri confini e per la verità tiravano i loro governi per la
giacchetta, affinché creassero tutta una serie di condizioni perché
fossero protette all’interno dei loro mercati e magari, se gli
riusciva, strappavano l’apertura nei mercati altrui. Questa è stata
sempre la grande contraddizione delle grandi imprese nazionali:
protezione per se, libertà ed accesso ai mercati altrui, per
l’estero. Questa è una contraddizione che non può rimanere in piedi:
è come avere la botte piena e la moglie ubriaca. Ma diciamo che fino al
1995 gli stati si sono arrabattati per vedere di mantenere una
situazione di equilibrio, che tentasse di accontentare tutti, dal
momento che il grosso delle imprese continuava ad essere di dimensioni
nazionali e quindi non avevano interesse ad avventurarsi in mare aperto.
Però c’è stato un fatto nuovo che alla fine a fatto si che questo
diventasse un ostacolo. Il fatto nuovo è che oggigiorno si sono
rafforzate delle imprese che oramai vedono i confini nazionali non più
come una protezione che le fa sopravvivere, ma come una sorta di camicia
di forza che alla fine le fa morire, le strangola. Queste imprese sono
le multinazionali, che hanno delle dimensioni enormi, molte di loro
hanno fatturati che sono molto superiori ai prodotti interni lordi di
paesi, anche industrializzati. Tanto per fare un esempio, General Motors
ha un fatturato che è più alto del prodotto interno lordo della
Danimarca. Per cui ecco, queste imprese multinazionali hanno delle
dimensioni così vaste, per cui nessun paese ha un numero di consumatori
sufficiente per assorbire i loro prodotti e quindi hanno bisogno di
poter spaziare per il mondo, collocando i loro prodotti in qualsiasi
parte della terra, proprio perché questa diventava una questione di
vita o di morte. Questa è la ragione per cui hanno tirato ancora una
volta i governi per la giacchetta, affinché venisse costituito una
sorta di riferimento giuridico internazionale completamente nuovo.
Fino
ad oggi i riferimenti economici e politici erano gli stati ed
esistevano ed esistono tuttora delle strutture sovra – nazionali,
delle organizzazioni mondiali, che però non sono niente altro che degli
organi consultivi: la stessa ONU fa delle risoluzioni ogni tanto, assume
delle decisioni, ma sono decisioni che non hanno capacità di imporsi,
perché è difficile trovare il meccanismo che poi imponga agli stati
l’obbligo del rispetto di ciò che si è deciso a livello
internazionale.
Tutto
questo cambia con l’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade
Organization WTO), che è una superistituzione, creata praticamente da
quasi tutti i governi del mondo: mi pare che all’appello oggi manchi
la Cina, la Russia, Cuba e pochi altri, anche se la Cina ha già bussato
per entrare, la Russia ha già bussato per entrare, Cuba non so per
quanto resisterà e poi anche lei alla fine deciderà di entrare.
È
quindi una superistituzione mondiale, della quale fanno parte quasi
tutti i paesi del mondo, che hanno scritto una sorta di
supercostituzione mondiale. Vorrei ricordarvi che la costituzione
rappresenta un pacchetto di leggi alle quali tutte le altre leggi
successive debbono uniformarsi: la legge ordinaria non può essere in
contrasto con la legge costituzionale. Il fatto dunque di aver scritto
una sorta di supercostituzione mondiale significa che le leggi dei
singoli stati debbono fare delle leggi interne che non possono
discostarsi da ciò che sta scritto all’interno di questi trattati: i
trattati che stanno dentro questa organizzazione, l’Organizzazione
Mondiale del Commercio, assumono il valore di leggi internazionali di
riferimento, che limita di fatto la sovranità dei singoli stati.
Qual
è il contenuto di questa sorta di supercostituzione mondiale?
…potreste
rischiare di percepire queste informazioni come notizie tecniche. Di
fatto hanno un significato politico profondo, come vedremo un pochino più
in là. Per questo si sta anche creando un grande movimento
internazionale, che sta cominciando a dare del grande filo da torcere a
tutti i governi del mondo e a tutte le superistituzioni che si sono
create, perché ci sono delle concezioni filosofiche e sociali che si
stanno scontrando. Quindi dovete fare uno sforzo per capire…
I
modi per tentare di regolamentare l’ingresso e l’uscita delle merci
sono innanzitutto di carattere doganale: se io metto un dazio del 30% su
un frigorifero che viene dall’estero, ovviamente la gente preferisce
comprare quello interno invece che quello che viene da fuori.
Fino
a ieri, la maggior parte delle manovre si facevano su questo piano ed il
grande sforzo che si è fatto da 50 anni a questa parte è stato quello
di far si che i paesi si mettessero d’accordo per portare i dazi
doganali ad un livello più basso possibile. Ma adesso, per le
multinazionali, questa manovra non è sufficiente. Le multinazionali
hanno avuto bisogno di andare molto più in là, di obbligare gli stati
per rivedere tutta una serie di questioni di carattere qualitativo,
perché gli ambiti, che in fin dei conti possono ostacolare l’ingresso
delle merci che vengono da fuori, possono essere giustappunto anche di
carattere tecnico, anche di carattere tecnico, di carattere sanitario,
di carattere ambientale. Se faccio una legge che dice che è proibito
l’ingresso di carne che contiene ormoni della crescita, perché
abbiamo tutti i motivi per ritenere che gli ormoni della crescita,
somministrati ai bovini, poi non facciano bene ai consumatori, perché
fanno crescere le mammelle ai maschietti, perché fanno venire i tumori
agli organi genitali, questa è una legge di carattere sanitario che
naturalmente si contrappone agli interessi degli allevatori americani.
Ho fatto un esempio molto pratico di come le leggi in ambito sanitario
poi possono trasformarsi in un ostacolo al commercio.
L’organizzazione
mondiale del commercio ha assunto una serie di trattati per porre le
regole agli stati. Ricordatevi che l’oggetto della regolamentazione
non sono le imprese, sono i parlamenti: sono state allora adottate una
serie di trattati per scrivere le regole che i parlamenti devono
rispettare quando fanno leggi in ambito ambientale, in ambito sanitario,
in ambito sociale e su tutte quelle materie che in qualche modo possono
incrociarsi con gli interessi commerciali. L’imperativo è di portare
queste regole al livello più basso possibile, in modo da creare meno
ostacoli possibile al commercio.
Si
è fatta quindi una sorta di supercostituzione mondiale, che di fatto
limita la sovranità degli stati. I popoli hanno un bello sbraitare, se
per caso la legge fatta dal parlamento è in contrasto con
l’Organizzazione Mondiale del Commercio: oggi questa organizzazione ha
gli strumenti per obbligare gli stati a rispettarla. È la prima volta
nella storia che si siano creati gli strumenti per obbligare gli stati a
seguire certe regole internazionale e lo si è fatto per il commercio.
Questo
vi dà quindi la dimostrazione di quali siano davvero gli obiettivi che
si stanno perseguendo a livello mondiale.
Rispetto
a questa globalizzazione, che è partita come una globalizzazione del
mercato, si potrebbero dire molte altre cose per farvi capire come poi
non ci si è fermati solo alla globalizzazione dei mercati, ma si è
sfociato poi anche nella globalizzazione della produzione, degli
investimenti e del movimento dei capitali. Ma non c’è il tempo oggi
per parlare di questo e lo dovete assumere come un dato di fatto: oggi
la globalizzazione a cui si punta è una globalizzazione totale, che
coinvolge anche queste altre sfere.
Da
un punto di vista della produzione non c’è mistero, voi stessi
guardate i capi che vi mettete addosso e vi accorgerete che è molto
difficile trovare qualcosa “made in Italy”, viene da Taiwan, da
Singapore, dall’Indonesia. Il tutto secondo la logica di trovare il
costo più basso possibile.
Il
perché, nell’epoca della globalizzazione, si è messo in moto anche
la globalizzazione della produzione, alla ricerca dei costi più bassi
possibile, ha una sua storia ed ha una sua logica e non la posso
raccontare: assumetela come dato di fatto.
Però
la cosa drammatica è appunto che, dopo aver creato i meccanismi che
hanno generato tanto squilibrio a livello mondiale, si è anche creata
tutta una situazione, che si innesta sopra questa altra storia, che di
fatto ci fa vivere come sotto una sorta di nuova dittatura, la dittatura
delle multinazionali, che vogliono imporre a tutti i popoli del mondo
delle regole che siano finalizzate a servire i loro interessi. Noi oggi
ci troviamo di fronte ad un sistema che non ha creato solo una
situazione conflittuale con il mondo del lavoro, con l’ambiente,
questa enormità di squilibri a livello mondiale, ma che appunto oggi
tenta di soggiogare, di subordinare, di sottomettere tutte le altre
sfere del vivere civile e del vivere politico ai loro interessi
commerciali. Questa è la grande novità della globalizzazione con cui
dobbiamo incominciare a fare i conti e rispetto alla quale tanta gente
comincia a ribellarsi. Noi dobbiamo stabilire se questo sistema ci sta
bene o se invece anche noi vogliamo ribellarci. La mia scelta l’ho
fatta, io ho scelto di ribellarmi.
Allora
a questo punto si tratta di capire che cosa possiamo
fare per tentare di invertire il senso di marcia. Quello che,
secondo me, bisogna essere capaci di fare è di saperci muovere in due
direzioni contemporaneamente. Da una parte bisogna affrontare le
emergenze e dall’altra bisogna essere capaci di riprogettare di sana
pianta questo sistema economico. Le due cose si debbono integrare a
vicenda. La riprogettazione richiede tempio molto lunghi, ammesso che il
pianeta abbia pazienza. Oggi ci troviamo di fronte a questo problema, ci
prendiamo il lusso di prendercela comoda, però può darsi che il
pianeta crolli molto prima di quando noi abbiamo fatto la nostra
maturazione e a quel punto pazienza, si piglierà quello che viene. È
evidente che una riprogettazione dell’economia richiede tempi lunghi e
proprio per questo bisogna avere anche la capacità, contemporaneamente,
di muoverci rispetto alle emergenze che questo sistema ha creato.
Affrontare le emergenze significa tentare di tamponare le falle più
grosse, i problemi più seri che questo sistema ha creato, sia in ambito
sociale che in ambito ambientale e dall’altra invece tentare di capire
come riscriviamo una nuova economia, in modo da servire gli interessi
della gente, nel rispetto del creato.
Consentitemi
un attimo di affrontare questi due capitoli, questi due livelli
vai
alla seconda parte dell'intervento, clicca
qui
se
vuoi tornare all'inizio del testo clicca qui
se
vuoi tornare all'inizio della pagina, clicca qui
|